I wanna be your dog

di
genere
etero

Al tavolo di fianco c’è un tipo con la cravatta regimental blu e oro. Sta prendendo appunti su un taccuino e ogni tanto alza il capo di scatto. Aggrotta gli occhi e pare scrutare tutti quelli che entrano ed escono dal locale. Forse ha un gancio e forse ha preso buca.
Chissà se ha avuto modo di farsi un’idea di noi? Avrà sommato: mamma sfinita + figlio mai-‘na-gioia + frigovuoto&zerovogliadispignattare = saranno in attesa di un po’ di pappa.
Sì, può essere anche se il Barz8 mica è un posto per cavarsi la fame. Girano Campari, cubetti di ghiaccio ed è tutto un tin-tin ed una miriade di piccoli fermini. Qua la gente viene dopo otto ore di computer a fare due parole ed affanculo il report-asap. Maschi e femmine che si annusano senza tante cerimonie e poi probabilità&imprevisti.
Se l’incravattato avesse guardato con maggior cura magari qualcosa gli avrebbe ricordato Macron&Brigitte più che la famiglia che garbava tanto a papa Ratzinger. Sì perché la qui presente Carla ogni tanto, a spregio, glielo abbaia a Jonathan che potrebbe essere sua madre. Non è così, naturalmente, fra di noi non c’è alcun grado di parentela. Mi inziga ‘sto gioco molesto anche se ci batto la testa ogni volta. Ho bisogno di sfidarlo a costo di farmi male.
Eppure basterebbe un micro dettaglio per intendere tutto il quadro. Sul piano di noce è rimasta una piccola selva fatta di bicchieri vuoti e terrine unte di salsa. Lì in mezzo al caos dei grassi saturi mi sorprendo a reclamare le dita di Jonathan. E non è proprio un gesto materno, del tipo: ci sono io, cucciolo. C’è, invece, qualcosa di vagamente ansioso nel gesto, una piccola supplica travestita da strafottenza. E’ il medesimo affanno di mezzora fa quando davanti allo specchio controllavo la qualità del lipp-stick e ghignavo inter-me della babbiona franzosa. Vogue m’informa che ha appena spento 71 candeline, 23 meno delle mie, ‘sta troia farcita di rughe. Eppure sento le caviglie gonfie e il Lorazepam oramai non lo uso più solo contro l’insonnia.
Quando provo ad incrociare le dita con le sue, il mio boy alza gli occhi dal Galaxy. Mi gira lo schermo e c’è una pagina aperta su Dagospia. Il titolo: beccata a fare un pompino ad un collega il marito chiede il divorzio con addebito. E’ sinceramente divertito dalla notizia e mi fa: “Qua dentro tutti sono a rischio: etero, finocchi .. non credo le lelle, loro colle pompe .. te, invece?”.
Mi alzo e scappo in bagno. Scende una lacrima e non è la prima.

Infilarsi le mutande in macchina è una cosa oltremodo difficoltosa per me che ho le gambe lunghe. Non c’è un punto d’appoggio facile per sollevare il culo e tirarle su. Ma è anche divertente: l’impaccio reciproco è occasione di una piccola complicità.
“Me l’hai fatta dentro, delinquente?”.
“Sì”
Una gentildonna ha voglia di cazzo ed il suo occasionale cavaliere di figa ed eccolo qua il deal. Transazione eseguita c’è scritto sullo scontrino quando si striscia la carta e tutti contenti. Il resto non conta una cippa di niente neanche che abbiamo 23 anni di differenza, io e il qui presente dottor Jonathan Pecora. Lui il dottorino, come l’hanno apostrofato un minuto dopo che ha preso servizio in chirurgia e la caposala ossia la sottoscritta Carla Panella anche se tutti mi conoscono per Carlita. Mezzo diminutivo, mezzo vezzeggiativo con questo non so che di puerto-escondido anche se le O chiuse che sparo a raffica ammazzano ogni esotismo apparente. Anna è una vita che fa il verso: “ .. a iosa” a me e alla mia cadenza orecchiette style.
Per dirla in altre parole, un aspirante primario ed una proletaria delle cure ospedaliere si sono trovati a fare sesso nel parcheggio del Niguarda.
Intanto che mi sistemo i polsini della camicetta mi esce una scemenza: “ .. una sveltina dovrebbero metterla nel prontuario dei farmaci mutuabili. Si risparmierebbe in corsi di gestione dello stress, psicoterapia, self-godeur .. ” e mi viene una smorfia da cornacchia a figurarmi il dottorino che invece di divertirsi con l’infermiera più figa s’è fatto la più .. vabbè, lasciamo perdere gli aggettivi.
Non mi caga mezza il lì presente dottor Pecora. Sta spippolando qualcosa sul cellulare quando avvicina il display e mi fa: “Guarda qua, Carlita”.
Il video inizia e il primo riflesso è una piccola vertigine, tipo il treno sul binario accanto che pare parta il mio ma non è vero. Sul margine superiore destro un pallino rosso conferma il comando play e l’icona della batteria da il 92% di carica. Scorrono i fotogrammi con l’auto, i passeggeri, il Niguarda, Milano, PianetaTerra e che siamo noi due quelli lì ma non mi pare possibile.
L’immagine è decisamente sottoesposta, del resto sono le 21.30 passate e l’abitacolo non è un set per riprese cinematografiche anche se l’effetto fai-da-te da un certo realismo al video. La dash-cam della C3, mi informa Jonathan, invece che riprendere la strada è stata rivolta verso dentro e ha filmato l’interno della Citroen. Basta una app e il bluetooth e il file con la mia vita degli ultimi 30 minuti è lì in prima visione.
C’è anche la parte audio ed una delle voci è mia, fossi davanti ad un giudice non potrei negarlo, anche se la sensazione di irrealtà sta al massimo.
“Da dove comincio?”: inizia così la clip ed il tono che ostento è da bambina vezzosa, tipo quando volevo compiacere papà. Alzo pure le mani, in nome della trasparenza: ecco qua, la mercanzia. Per risposta mi trovo la lingua in bocca e le mani in mezzo alle cosce. La reazione istintiva è quella di sollevare le ginocchia sul vetro fin quasi ad oscurare l’obiettivo. Mi sussurra cose nell’orecchio, il dottorino e non lo intendo finché nitrisce che sono una bella figa e che sto bene montata.
Il grandangolo riprende tutta la cabina, sfoca i margini e rende tutto surreale. Al centro ci sono io e me la sto guadagnando la pagnotta.
Jonathan ci da di pollice&indice sul display a restringere l’immagine. Precipitano i margini ed in primo piano c’è il pompino che gli ho appena fatto. Zoomma fin quando rimangono un cazzo bello diritto e Carlita che si da da fare con la bocca.
Lo guardo di sguincio e non posso crederci che al contempo scorrono quei frame li davanti. Le spalline del reggiseno calate, il glitter sulle unghie, certe striature di saliva che sparano sono i dettagli del vortice che mi sta rubando gli occhi. Vedermi lì in video è una botta a cui non ero preparata. Mi lascia di sale, inerme ed esaltata. Ottusa di fronte a qualsiasi cosa d’altro.
L’interpretazione cinematografica del duo medico&infermiera si chiude poi in senso abbastanza canonico: gli sono montata sopra tipo cowgirl per poi strillare: “Spara, spara forte, dottorino del cazzo”. I movimenti bruschi rendono l’immagine sgranata, dentro la camera s’intuisce solo il mio culo bianco che sale e scende. Ad un certo punto devo aver perso il ritmo ed è stata quasi una mischia. Poco male, era già venuto.

Faccio così spesso, farsi farcire la passera al primo appuntamento è una mossa bastarda, lo so, ma è anche un modo per mettere in chiaro chi dirige l’azienda. Pareva una di quelle scappatelle che ce ne sono almeno una dozzina nella carriera di una cinquantenne milanese.
Un minuto fa volevo mandare un wapp ad Anna e spiattellargli lo scoop. E’ il nostro sex-and-the-city la cronaca di questi filarini ancora freschi e basta poco anche solo un faccino. Lei usa volentieri lo sweet-drop e il gocciolare lascia intendere l’essenziale.
Stavolta, però, l’emoticon giusto non l’ho trovato e parole ancora meno.
Me ne sto qua a far due tiri nella sigaretta elettronica, roba da post film o da post scopata. Sto sclerando, non riesco a togliermi quei fotogrammi dalla testa. Paiono moscerini: s’affollano, ronzano e non vanno via. E come colonna sonora la voce del mio amante che mi scroscia dentro. Strilla una roba tipo chupame-aquì e a dove si riferisse non c’è proprio bisogno di dirlo.
Domenica in pieno pomeriggio un tipo senza essersi presentato voleva per forza parlare con il primario di certe cose che sapeva lui. Ho provato a fargli notare che c’era solo un medico di guardia per l’intero reparto ma non c’è stato niente da fare. Ha insistito, ha detto che non capiva il perché e che le cose le doveva sapere subito.
Ecco, ognuno ha il proprio senso dell’urgenza.
Jonathan se n’è appena andato: un bacio in fronte e: “Quando vuoi succhiarmi dammi una voce, ok?”.
Un minuto fa ero decisa a prendergli il cellulare anche con la forza e poi a buttarlo in Darsena. Per un attimo ho avuto il terrore di finire su qualche chat strana con gli occhi oscurati ma che tanto poi si viene a sapere chi è l’infermiera del Niguarda.
La verità, però, è che non gli ho detto niente. Non ci sono riuscita a mettere le palle sul tavolo. Almeno il Mascetti c’aveva provato a chiudere con la Titti e a farsi dare della merdaiola, mi dico, c’è sempre tempo.
La verità vera è che s’è già deciso tutto quando ha premuto start sulla clip e mi sono vista.
Scrivo tre parole e fanno schifo al cazzo. Le cancello, le riscrivo e le correggo un paio di volte ancora. Poi parte un messaggio in direzione dottorino. E’ scarno: “Domani sera, ancora qui. Stacco alle 21.00” ma s’intende bene.
Dall’altra parte la doppia spunta azzurra è quasi immediata: visualizza e non risponde, la merda neolaureata. Altro che amministratrice delegata dell’azienda, la sottoscritta. Ancora il chupame-aquì di Jonathan che mi rintrona: sì, sì, sì, si e ancora sì, figghie de nu squice appedùne.
Passano 10 minuti e nessuna risposta: sono in bambola totale.
Il traffico su via Majorana è calato. A quest’ora della sera la gente dabbene se ne sta a casa propria a cenare con i sofficini e a guardare Netflix.
Quando faccio per andarmene mi viene in mente che ho un marito ed una famiglia.

Radio 105 stamani ha dato notizia della separazione tra Paola Turci e la Pascale. Il Fantini c’ha sghignazzato per tutto il turno su ‘sto carico di gnocca che torna in commercio.
Mi viene da pensare la stessa cosa proprio adesso che siamo qui, precisi a 24 ore fa.
Lo provoco: “Ti sono mancata, dolcezza?” ma rimbalzo come fossi gomma. Il tono aggressivo con il dottor Pecora non attacca.
Si slaccia i jeans e lo tira fuori, eccola la risposta.
La combo Levis’s e camicia scozzese evoca l’idea di mani rudi, altro che intellettuale carta velina, altro che dottorino.
Anche la dinamica è precisa a ieri sera: io con la bocca e lui col pisello.
Ridacchio di nervoso quando me lo trovo ad altezza labbra: “ .. certo che te non perdi tempo .. ”.
Prima del via alzo la mano verso lo specchietto retrovisore. Ci rovisto, lì. Cerco qualcosa con le dita. Qualcosa che so che c’è.
“Posso girare un po’ la telecamera? Per riprendere nu poco poco. Intanto che ti faccio una pompa”.
“Adesso non sto riprendendo” risponde. Tira su il sopracciglio e qualche punto interrogativo gli spunta dalla crapa.
“Dai, ti prego” e mi esce di nuovo la bambina vezzosa. Quella amorevole che chiede con lo sguardo sui piedi. A voce bassa.
Armeggia col cellulare e quando mi fa: “Azione” è ora di ballare la pizzica.
Il lavoretto dura una decina di minuti buoni, drink e lucidatura comprese.
C’è il conto, alla fine: “Mandami il file”. La voce esce piana, tipo annunciatrice tv. Ci provo a restare neutra anche se avere la faccia impiastricciata di maschio non deve essere la situazione migliore per muovere istanze. Magari una battuta: “Finita la poppata, merolone?”, mi affrancherebbe dalla questua col piattino in mano ma non sono in vena di ironia.
Al secondo richiamo: “Mandami il file, tesoro” qualche nota di frustrazione deve essere affiorata. L’ha fiutata Jonathan, come fanno le bestie e questa volta il sopracciglio non lo inarca. Allarga il sorriso che pare il Fantini che s’è appena trovato davanti Paola Turci a gambe larghe.
Il dlin-dlon segnala qualcosa in arrivo ed è roba pesante, un mp4. E’ la ricompensa e ci sono dentro io. Il video inizia con un fermaglio. Il Galateo della pompa sostiene che non c’è nulla di più schifoso di una brodaglia di capelli, sborra e altri composti organici rattoppati in qualche maniera. Sono tutte cazzate perché il motivo vero per cui mi sono fatta la coda è un altro: si deve vedere bene. Si deve vedere Carlita che sta lì e perché. Ho acceso anche la lucetta di cortesia e stavolta il contrasto è migliore.
Jonathan strilla qualche porcata pseudo macho e fa atmosfera. C’ha un bel cazzo, il mio amante, non è lungo o grosso e men che meno una mazza da baseball. E’ giusto per Carlita. Mi riempie la bocca a modo e quando fa dentro&fuori non ci sono vuoti. Scorre tutto bene bene anzi vedere come lo prendo dentro è il più grande spettacolo dopo il big bang.
La mia facciona spara di brutto e le pupille, in qualche frame, hanno un bagliore quasi violento. Difficile ammettere le cose, che a infoiarmi sia l’intensità della presa. Alla vista di quelle dita ferme che mi danno la cadenza mi manca il fiato.
Dopo che ho finito e che la minchia gliel’ho riconsegnata lavata e stirata mi rendo conto d’essere ancora completamente vestita, tacchi compresi. Ma non importa, il mio l’ho avuto uguale.
Quando l’ho invitato a guardarla insieme la nostra performance video mi ha risposto di no e che è come vedere una partita e sapere già il risultato. Un modo come un altro per fare presente che era ora di togliersi dal cazzo.
Va bene, per stasera ad umiliazioni ho fatto il pieno e basta così. Vaffanculo, dottor Pecora

Gruppo chat leCicale. AnnaProfia l’amministratrice e CarlitaPane l’unica altra partecipante.
Anna: “Beh?” e mi strappa un sorriso. Che vorrà sapere? News generiche? Beh, ebbene, allora, com’è? O magari, la zoccola, intendeva il belato, il Pecora, io a pecora?

Nessuna pretesa nei confronti di Jonathan, desidero solo un’altra serata.
Non mi interessa una passeggiata mano nella mano in via Orefici o un cinemino abbracciati, no niente relazione. L’abitacolo di un auto o lo sgabuzzino dello sporco è tutto quello che possiamo spartire.
Le immagini, però, tornano a farmi visita e sono feroci. La voglia di sesso e ancora di più quella di vedermi dentro quel display del cazzo non mi danno pace.
Oggi pomeriggio l’ho trascorso a letto al buio a consumarmi gli occhi sull’ultimo video. E’ andato in loop e per un paio d’ore almeno neanche sono stata in grado di ricordarmi come mi chiamo.
Il patto è il seguente: Jonathan riprende col suo cellulare e poi se gli garba il risultato condivide. Questo è breve, dura solo 4.21, fossimo su onlyfans sarebbe classificato come demishort. L’ha rinominato signora-delle-pulizie005b e m’ha detto perché li pulisco bene i suoi liquidi organici. Il bello è che ho lo smartphone zeppo di questa merda. Non li ho mai cancellati, i file e neanche rinominati che se Giordano, mio marito per caso .. o forse uno bravo direbbe che è quello che voglio ma ad ogni modo il pensiero è di quelli vacui, svanisce subito.
Ieri mattina, con la scusa di controlli per la nuova normativa covid, l’ho trascinato nel seminterrato del blocco Sud ed è stato bello, mocch a màmt se è stato bello.
Stavo in borghese, leggins e t-shirt a maniche lunghe, la tenuta perfetta per farsi infilare le mani dentro la passera senza slacciare un mezzo bottone. Di posti adatti per il Galaxy zero così Jonathan è stato promosso cameraman sul campo.
E’ stato il mio primo p.o.v.
Parte l’mp4 e rivela una geometria nota. La soggettiva è un poco mossa, l’obiettivo traballa tipo filmino di quinta elementare ma rende bene la scena.
Per terra ci sono due caschi di plastica da operaio e una barella smontata. Quando l’inquadratura sale lui sta in piedi appoggiato al muro ed io in ginocchio. Lui è con le braghe blu della divisa calate ed io che attendo che mi forzi la bocca.
Sto imparando a guardare dritto, a mangiarmeli, cazzo e obiettivo.
Ci sono attimi, però, tipo le montagne russe con le vertigini a cannone: resisto fino all’ultimo ma poi è più forte di me. Quando sento che stringe le gambe, che sta per arrivare lo spasmo, lì chiudo gli occhi. Li chiudo e divento niente.
L’audio del file restituisce solo poche parole e neanche tutte comprensibili.
Carlita: “Sparala in bocca, alla mamma”.
Jonathan: “La sparo in bocca, a quella mignotta della mamma”.
Le parole –e basta l’aggettivo in più: mignotta, arrivano come una bomba di profondità, non si sente ma scoppia. Mi rimbomba dentro: mignotta, mignotta, mignotta, sei una mignotta, Carlita, mille volte mignotta.
Anche a me, in fondo, starebbe bene così. Avere un trombamico è una bella cosa. C’è, però, quella vocina che scava, vuole qualcosa di più. Sporcarsi le mani per davvero, camminare sul filo. Con la scusa di sentirmi viva.
E quando arriva sì che faccio sbam. Non è un’onda, la sborra esce lentamente, a piccoli fiotti. Li stoppo con la lingua e intanto ci sono mille baci lì dove l’asta finisce ed inizia la cappella.
La cam è a pochi centimetri lì dallo sbrugno e amplifica tutto. Qualcosa gocciola giù dal mento, è poca roba. Il grosso del cumshot l’ho ingoiato tutto.
Dopo che l’ho svuotato faccio la minchiata del secolo.
Mi viene di abbracciarlo, Jonathan, da li sotto. Sta col pisello ancora mezzo in tiro, me lo sento sbattere sulle labbra e lo stringo forte, il mio amante, tipo koala.
Che cazzo t’è saltato in mente, Carla Panella?
Che sia solo un’avventura è palese. Che mi getterà via quando si sarà cavato la voglia
altrettanto. Quello che mi faccio fare è di uno sconcio esagerato. Senza filtri, senza pudore. Appena mi prende arrossisco e al contempo vibro.
Che casino che sono diventata.

L’ascensore sale, direzione reparto. Al quarto piano entra un tipo con le cuffiette a tutto volume, riconosco la melodia. Il basso degli Stooges pulsa forte: I wanna be your dog.
Now I’m ready
To close my eyes
And now I’m ready
To close my mind
C’è Iggy Pop in fondo al motivo: si contorce come una biscia. Sono certa che anche lui ne vuole da Carlita.

Due squilli e rispondo. Il vivavoce in auto è proprio una figata.
“Ciao, Carla, com’è che non sei venuta a yoga, ieri?”
“C’ho mille casini, Anna”
“C’entra il tipo? Lui là, il dottorino? Ancora iddo?”.
Succede che con Anna apro il cesso. Non so se mi ascolta ma ha la santa dote di non interrompere, di non voler parlare di sé a tutti i costi.
Le parole vengono fuori tipo cascata ed è una baraonda di cose, fatti, Giordano-sospetta-qualcosa, peccati mortali, come&dove&quando che chi ci capisce è bravo. Partono anche un tot di contumelie ed in lingua madre ne conosco più d’una: trmon e chine-d’mmerd escono in tutte le frasi e in mezzo probabile pure qualche lacrima. Gli riferisco pure dei filmati: “Questa mania del riprendersi è peggio del veleno”. Do qualche dettaglio e arrossisco feroce pure se sono da sola.
Ho solo voglia di sfogarmi e ne ho tanta di merda dentro anche se di fronte alla domanda di Anna: e-adesso? ammutolisco.
Mi racconta una storia lei, allora. E’ laureata in filosofia e di cose ne sa un pacco. Vuol sapere se ho letto il Piccolo Principe, quel passo dove la volpe dice che se tu, nobiluomo ogni tanto ti fari vivo lei penserà che prima o poi starete insieme. Ci tira fuori la morale da questo aneddoto e suona così: “Se vuoi conquistare un uomo pensa a come concedi gentilmente le tue cosce. Trova il giusto mezzo tra dargliela sempre che significa l’indigestione e non dargliela mai che poi non sarebbe divertente neanche per te”.
Mi fa ridere, Anna e si merita un cinque alto. Gli voglio bene e pace se non ha capito nulla delle sabbie mobili in cui sono finita.
Prima di chiudere gli chiedo dei suoi, di cazzi: “E Pietro, col tuo studente, come va?”.
“Ascolta, Carla: se a te ti trovano a scopare con un collega magari te la cavi con una nota del collegio dell’Ordine ma a me, se salta fuori che faccio pompini ad un mio alunno poco più che maggiorenne mi mandano in diretta sul TG4”, grande Anna.

23.19, messaggio wapp, da Carlita a dottorino: “Lo sai che anche stavolta manco mi sono tolta le Superga? Vaffanculoooooooooooooo, più forte che quello di Aldo”.

00.36, messaggio wapp, da dottorino a Carlita: c’è un mp4 allegato, rinominato labbra-reali-culo-imperiale e m’invita a guardare il frame all’istante 8.21. E’ l’ennesimo pov in auto e glielo sto succhiando. La veemenza è tale che chissà come ho tirato su il culo così in alto che dietro la bocca nell’inquadratura spunta il taglio delle chiappe della sottoscritta. Scrive: “ .. così figa mi mandi ai matti .. ”.

Dal bagno si intravede il resto della stanza. L’anta dell’armadio è aperta: ci sono solo manichini appesi senza nessun vestito. Ai piedi del letto s’ammucchiano un paio di tronchetti scamosciati, un marsupio Adidas e dei boxer antracite.
All’angolo con la finestra di questa stanza d’albergo c’è un treppiede e sopra una telecamerina 4k-36mp presa a 39,00 euro su Amazon. Fino a mezzora fa ha ripreso una coppia che ha fatto sesso, lei ha qualche anno e i capelli biondi a caschetto ma non è facile capire chi sia. Per la gran parte del tempo se n’è stata acciambellata tipo gatta a succhiare il cazzo di lui. Occhi bassi e tanta cura dell’articolo.
Lei porta la fede, lui, invece no e pare anche discretamente più giovane
La pompa è durata un tempo ragguardevole. Si dovesse chiederlo a lui direbbe più o meno due ore, lei, al contrario, risponderebbe troppo poco.
Lo so che sono di parte ma se dovessi dire lei con la bocca è una campionessa del mondo. Se fare bocchini fosse una specialità olimpica sarebbe medaglia certa.
Difficile dire se sia piaciuto più a lui o a lei. A tutti e due, credo, il loro equilibrio è questo.
Ad ogni modo lui è venuto e poi si addormentato

Così appare la stanza 114 dell’Ibis Ca’ Granda alle 15.31. Avevo il turno del mattino ma mi sono presa ferie: motivi personali ho scritto sulla richiesta e dettagliare mi avrebbe messo in difficoltà.
Jonathan sta dormendo mezzo nudo. Il lenzuolo gli copre solo il pacco e la gamba sinistra. Mi appoggio al materasso e lui si ripiglia.
Passano 10 minuti e quando sono certa che è rientrato dall’orbita di Marte, gli butto lì: “Sai che non lo so perché sei finito a letto con me invece che con la Altobelli, essì che non fa troppe storie lei lì”.
Ride da topo: “E Sonia Giuffrida pensi che no?”.
Gli prendo un polso: “Stronzooooooooo”. Ce n’ho di veleno da sputare via.
“Boh, so solo che qualche settimana fa eri in guardiola, era il turno di pomeriggio, mi pare. Neanche ricordo che cazzo stavo combinando. Ero lì, insomma e te stavi cercando qualcosa nella scansia bassa dell’armadietto bianco, hai presente quello con le flebo al 5% e gli aghi cannula?”
“Certo”
“Avevi addosso i leggins neri. A forza di piegarti da dietro è spuntato il taglio delle chiappe e il perizoma: era bianco vergine. M’ha preso la fantasia di afferrartelo come fosse un guinzaglio. C’era qualcosa di molto porco in quell’immagine e poi, sai, la testa fa alla svelta a farsi dei film”.
In un’altra vita, in un altro letto gli avrei domandato se aveva della marja per rollare uno spinello e poi al secondo tiro avrei preso per il culo le sue ambizioni da Sorrentino dei poveri. Invece: la testa, la testa, la testa, Carlita.
Ci provo ancora, altro rilancio. Pare che non ci riesco proprio a capire da che parte gira il fumo. Altrimenti detto: cosa siamo, io e lui? Eppure di ceffoni ne ho già presi: “Lo pensi davvero che sono una mignotta?”.
La replica è secca: “Vuoi venire a succhiarmi il cazzo, mignotta?”.
Il film è sempre lo stesso ed anche i ruoli, altro che Sorrentino.
No, Jonathan, ti prego, non puoi chiedermi robe del genere, lo sai che .. cazzo, lo sai che .. e qui ci starebbe bene urlare di rabbia ma non mi esce nulla. Resta tutto in gola ed eccomi di nuovo a disposizione.
S’è alzato in piedi sul materasso con quella roba lì soda che sporge e che eclissa tutto il resto. Mi tira su per le spalle fino a lasciarmi in ginocchio: vuole togliermi la canottiera. Alzo le braccia per farla sfilare dall’alto e in quel frangente di nuovo a portata di bocca ce l’ho, quel cazzo benedetto.
Mi scappa un risolino da matta prima di riprenderlo dentro e anche l’espressione che faccio non deve essere proprio da persona lucida.
La pompa come sempre è assai intensa, per certi versi perfetta da tanto è la sincronia che abbiamo: le sue mani ad accompagnarmi il capo, le mie ad artigliargli il culo. Eppure alcune cose inizio a notarle solo adesso: certe zampe di gallina che ho sotto gli occhi e uno spazietto fra l’incisivo e il canino di sinistra e non suggeriscono proprio l’idea di una persona sana. Anche il contrasto tra la sua pelle liscia e la mia zeppa di pieghe fa effetto.
E sono tutte cose che nella mia testa fanno reazione con la parolina di prima: mignotta. Una troia vecchia e rugosa buona solo a fare pompini, cosa ti credevi di essere Carlita? Sparo pompini e giro clip: ecco tutto.
Succede anche che Jonathan mi prende per un polso e finisco a quattro zampe sul letto, come una vacca, pronta ad essere ingravidata.
E mi entra dentro come non faceva da tempo. Lo sento su per la pancia che mi scartavetra l’utero e appena accelera la cadenza mi mozza il fiato.
Finisco anche di sotto, alla missionaria. Siamo stretti all’inverosimile, ginocchia e gomiti incastrati quando mi sento alitare cose nell’orecchio. Mi sussurra che come con me non ha mai goduto prima e che non riuscirebbe a fare meno dei miei bocchini, poi vuole sapere a quanti ho dato il culo e altre cose che francamente non intendo.
Viene anche lui, almeno credo. Non me sono accorta subito da tanto sento il corpo indolenzito. Vedo che si alza da letto, va in bagno e allora chiudo gli occhi. Sono flippata. Sono niente.

Quando ritorno presente a me stessa la prima cosa che mi colpisce è che fuori c’è buio. Accendo il cellulare per sapere che sono le 19.44 di martedì 3 Aprile. Maledizione sono più di 11 ore che sto dentro a questa stanza.
Arriva poi una sfilza di messaggi, sono quasi tutti di Giordano. Alle 14.26 mi chiede come sto, alle 16.53 dove cazzo sono e l’ultimo di una mezzora fa recita testuale: “Ce la caviamo benissimo anche senza di te” ed è il commento ad una foto con lui e Lorenza, nostra figlia che stanno preparando la cena.
Fanno l’effetto un petardo, un po’ di casino ma non lasciano segni.
Dovrei darmi una sistemata ma non ho il fegato di guardarmi allo specchio. Non credo che la vista mi piacerebbe. Una doccia mi pare il minimo anche se l’odore di mignotta si sentirà fino a Desio.
Passa un minuto e nuovo dlin-dlon. Stavolta è Anna: “L’hastag #pecorella, la crasi fra pecora+panella. Come si sta (a) pecorella? Pecorella is the new doggy”.
Il suddetto dott. Pecora è sparito, come suo solito. Nessuna traccia della sua esistenza in vita se non una confezione strappata di Cialis dentro il cestino delle cartacce.
Qualche settimana fa una situazione del genere –aiuto, sono stata ghostata, mi avrebbe indotto una crisi di panico. Mi ci sto abituando e il Lorazepam aiuta.
Controllo la telecamera: il sistema segnala che la memoria è full dalle 18.09. Basta inserire il jack nel cellulare e guardare. Sono una guardona, sono la spettatrice di me stessa.
C’è tutto, anche se non ricordo ogni cosa distintamente. C’è quello che ho fatto e quello che mi sono fatta fare.
Metto l’avanzamento veloce, un x5 e l’effetto visivo è straniante. Torno a velocità normale su un frangente.
Di Jonathan si vedono le gambe aperte, i polpacci tesi e poco altro. Ci sono io lì in mezzo proprio dove il pisello ce l’ha dritto.
Sto spalmata sul letto a pancia in giù e l’obiettivo mi riprende di schiena. Dal basso le chiappe nude e sopra le spalle fanno perno sui gomiti. Al centro il mio caschetto biondo e la coda fanno su e giù. In sottofondo risucchi, saliva che gorgoglia e il frinire del condizionatore.
Tutto si svolge con lentezza estrema ma nessuno pare aver fretta: per una volta pare che sono riuscita a succhiargli via l’anima al mio maschio. Faccio re-wind e me la guardo di nuovo, la scena, una, due, otto volte.
Non so, non credo, non ricordo di preciso ma non direi che lo stavo sbocchinando. La parola è troppo anche se non so troppo come .. troppo, troppo cattiva. Mi piace pensare che gli sto dicendo che è mio e che quella è la cosa che più mi piace fare al mondo.
E’ questo il mio modo di esprimere cosa provo per quest’uomo.
Anche questo c’è stato.
scritto il
2024-08-18
1 . 5 K
visite
8
voti
valutazione
2.8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Zanzarosi
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.