Serve solo per pisciare
di
mare_di_beaufort
genere
etero
“Chissà dove essere il dentro di Adele?” mi butto lì una volta Zoran intanto che con l’indice mi sfiorava il ventre.
Mi torna in mente ‘sta cosa intanto che sto decollando e la sensazione è sempre la medesima. Pare che tutto si appesantisca ed un formicolio parte dalle scapole, a volte dal retro delle cosce.
E’ un’onda che s’irradia verso l’interno e mi stropiccia tutta. Dall’epidermide giù in fondo, mi scuote i fianchi, passa per il coccige e tutto si raccoglie attorno al buco del culo. L’ultimo lembo di Adele che si rivolta è proprio quello, il suo didietro.
Me lo chiedesse adesso, Zoran o qualche altro omarino gli risponderei pronta: “Il culo è il mio dentro”.
Ed invece in quei frangenti non mi viene mai nulla di spiritoso da dire. Me ne sto lì zitta, quasi ottusa.
Una nuova botta sta arrivando, cazzo. L’aereo vira a sinistra, proprio dove c’è il mio seggiolino. Sotto di me si apre l’azzurro del cielo e del mare e lo sguardo sul vuoto mi atterrisce. Tutto chiudo: occhi, pori e da ultimo ancora lui, il suddetto signor buco del culo.
Dopo qualche istante torno orizzontale e la scossa s’attenua. Le chiappe si rilassano e pure tutto quello che ci sta attorno.
Il brivido, per ora è passato.
Qualcuno si sta chiedendo che ci faccio sopra un aereo? Niente di particolare se non che sono appena partita da Malaga destinazione Malpensa. Qualche giorno di vacanza ci voleva, sì ed i viaggi sono uno dei miei rari svaghi. Ho preso a base un appartamento ad Algeciras e davanti a me le onde e l’Africa. Sono arrivata giovedì mezza distrutta e mi sono fatta bastare le Lucky Strike, una Fanta muy fria e lo spettacolo del Mediterraneo, lì dove diventa più stretto.
Quando il sole è sceso oltre l’orizzonte di uscire ne avevo voglia zero e mi sono fatta violenza a scendere al ristorante dell’albergo. Mi è risultato subito un posto inospitale, quasi ostile. A me che di spagnolo non so una parola, di inglese poco più e a leggere il menù duro una fatica tanta. Detesto far vedere che ho fatto le scuole basse, goodmorning, stranger in the night e niente più. Ed invece le altre clienti, che classe: pashmina, tablet con la mela e sangria d’ordinanza.
L’unico cane in chiesa era un sessantenne brizzolato del posto che ha attaccato bottone con due americane del Minnesota. Magro come un chiodo in tre minuti ha esaurito gli argomenti ed il vocabolario spanglish. Pareva iniziare ragionamenti da Nobel e a metà frase gli mancava la parola.
Le due tizie, dopo un po’ di smorfie, ce l’hanno fatta a sganciarsi ed è calato il silenzio.
La sceneggiatura avrebbe dovuto stimolarmi il sarcasmo, invece m’ha preso una tristezza rabbiosa.
Mi sono chiesta com’è che quel baraccone di andaluso non avesse puntato me? Cos’è, non ero all’altezza? Avrà creduto che i pompini non sono brava a farli?
Questi pensieri mi tormentavano quando il cameriere è venuto a prendere la comanda.
Un bel fusto, a prima vista: un po’ di pancia ed un non so che di mielato nel suo aspetto. M’andava il riso con i frutti di mare, peccato che l’ordinazione minima fosse per due persone. Ho provato a chiedergli se la disposizione fosse tassativa e cosa mi sono sentita rispondere? “Ordini per due, senoryta, se vuole mi siedo io a mangiare l’altra porzione”. Gli ho dato cinque ad Ashraf, così mi pare d’aver inteso si chiamasse, per lo stile della facezia.
Ed invece avrei dovuto prenderlo per la cravatta, tirarlo giù e fargli: “Hombre, siediti, cena e luego ven a mi” La notte me lo sarei fatto volentieri, Achraf lo spiritoso e sono certa che non avrebbe avuto nulla da ridire.
Ma come sa chi mi conosce i maschi raramente vanno da Adele. Quando hanno distribuito l’appeal si vede che non mi andava di fare la coda. Le vacanze oramai da anni le faccio da sola, la gente che frequento mica la posso portare più in là della circonvallazione. Anzi, a dire il vero, mica si fa portare e quando torno, all’aeroporto non c’è mai nessuno ad aspettarmi. Speravo in Giorgio, mi pareva fossimo ancora on-fire, come dice lui nel suo anglico da terzamediatomale. Una volta ho usato l’espressione luna di miele ma è roba da sposi promessi o da fidanzatini ed io e lui scopiamo.
Domattina ci si troverà al lavoro e chissà. L’ultima volta l’ho lasciato addormentato peso a casa mia giovedì notte quando sono partita. Dormiva senza alcun senso del peccato. Dormi chiccolotto mio, ho pensato a vederlo così, che poi la mamma quando torna ti da una caramella azzurra e vedrai che saremo contenti.
Interessa a qualcuno questa mia storia col Giorgio?
L’ho abbordato come faccio con quasi tutti i maschi ultimamente sul luogo di lavoro. Sono impiegata in una delle decine di Lidl dell’area milanese: un posto con roba da poco per gente da poco. Siamo una trentina circa, sui due turni 7 giorni su 7, la gran parte con contratti a tempo determinato e succede spesso al mattino di avere un collega nuovo. Tutti agli ordini di Ivano, il direttore che ci vuole sempre inappuntabili, con la polo d’ordinanza, quella grigia con lo scudetto sulla spalla. Ogni 5 minuti mi scopro a tirarla giù, son convinta che così, tesa e corta com’è, mi lasci la pancia scoperta, anzi la buzza.
La mia vita è più che ordinaria e pure io mi son resa conto di non essere poi una brillantona. Turno, spesa, casa, qualche commissione, da mamma il sabato e scarse varianti a questo binario. Pochi amici, per non dire nessuno, una gatta di nome Penelope, maisposata&senzafigli ma a 47 anni questo status sa più di muffa che di one-more-chanche. Tanto che ritrovarsi al mattino presto sul piazzale del discount con i finestrini dell’auto ancora ghiacciati in attesa della serranda che si alza è un modo per non farsi ammazzare dallo spleen.
Qui mi chiamano tutti la mamma, forse perché sono buona e non rifiuto mai un favore o un cambio turno. Le vere origini dell’appellativo in verità sono diverse ed anche la storia della cortesia riguarda altro. Diciamo che sono gentile nel senso che se me la chiedi te la do senza tante storie. Anzi, accade sempre più spesso che te la offro io, anzi, te lo offro. E poi di nomignoli non è certo l’unico che mi porto dietro.
Ad ogni modo è successo un martedì mattina di inizio marzo, alle 6.30 mi sono trovata il nuovo programma settimanale, un foglio excel di Ivano con un sacco di correzioni a biro e riportava: mamma + Giorgio, 8-12, scarico bilico. ‘Sto Giorgio, giuro, l’avrò visto due o tre volte al massimo, alto&alto e secco&secco, due basettoni da aspirante badboy e il resto tutto molto dimenticabile. La cosa che m’ha rubato l’occhio è stata la data di nascita: 20-02-2000, venuto al mondo il mio stesso giorno e mese, 25 anni prima. Pesci e pesci, suggeriva lo zodiaco e chissà quale acquario del menga ne sarebbe venuto fuori, mi venne in mente anche se a dirla tutta mi sono sorpresa a pensare che mai ero stata con uno così, un tenero fiorellino.
E non c’ho messo molto a farmi sotto. Sono brava a fare cose con estranei, sfacciata forse: chiedere una sigaretta o la firma su una petizione o se ti va un bel pipotto.
Mentre si stava a sistemare un bancale di yogurt m’è uscita piatta piatta come chiedessi che ore fossero: “Dopo vieni da me, Giorgio?”.
E credo abbia intuito subito cosa intendessi col panico latente d’avere invece capito troppo. Chessò, uno scherzo di cattivo gusto, immaginato da quelli vecchi a prendere per il naso il grullo appena arrivato e con l’Adele a fare l’esca.
Per un istante s’è fatto trasparente, mimetizzato fra gli scaffali e non ha aperto bocca per l’ora successiva e neanche alzato lo sguardo da terra. Può darsi fosse fidanzato, mi son detta, magari s’è offeso, anche se queste cose di fronte ad una scopata fuorilegge contano meno di niente. O forse il cazzo garbava anche e lui.
All’orario d’uscita s’era volatilizzato. Nel parcheggio era rimasta solo io ed il mio umore ha preso il colore del termosifone di casa, grigio topo.
Il pomeriggio l’ho trascorso su internet ad accudirmi con video porno e a tormentarmi la passera. Debbo essere venuta dopo parecchie ore quando m’è capitata una clip alla categoria ‘mom anal sex’. L’ho salvata fra i segnalibri e s’intitola ‘cheating amateur assfuck on couch’. La protagonista è una biondina trentacinque anni al massimo, Beate ho deciso che è il suo nome. Farà la commercialista, anzi no, la docente di storia dell’arte in un liceo di Dresda e in un buco di lezioni si fa sbattere dal collega di matematica. Una figlia da portare a danza, Helke e a seguire un appuntamento dall’estetista ma null’altro pare contare in quell’intermezzo clandestino. Taglio di capelli sbarazzino ed aspetto come tanti ma in quei dieci minuti di video mentre lo prende di dietro riesce a fare di tutto: alterna lamenti a strilli, lo sguardo furbetto della puttana, vocia robe tipo ‘fick mick’ ed i lineamenti stravolti alla fine si distendono.
Lei gode e fa godere anche me, come e più dei Raffaello della Ferrero.
Non credo ci sia bisogno di dirlo ma il sesso è l’altro mio riempitivo e per quanto le mie dita meritino il brevetto nulla riesce a battere il cazzo.
E a proposito di cazzo, Giorgio l’ho ritrovato il mercoledì. Nello spogliatoio è bastato appoggiargli le punte delle dita su una guancia e poi le labbra ed ecco fatto. La sua riluttanza s’è rivelata ricotta di poco prezzo.
La macchina mica ce l’aveva: “Che faccio, mamma?”, mi fa tutto spalmato contro lo sportello della Yaris col dubbio che il mio vero nome forse non l’avesse presente, “lo lascio qui il motorino? Riesco a tornare? Dopo mi riporti te?” ed altri balbettii confusi finché ho parcheggiato sotto casa.
Davanti al portone intanto che cercavo le chiavi un duo famigliare davamo l’impressione di essere. Di ritorno una dal lavoro l’altro da scuola ed invece no.
Appena al di là dell’uscio ci accoglieva il poster di Brivido Divino con Donatella Rettore a gambe spalancate e ammiccava qualcosa di sconcio.
“Mettiti comodo, vado a sciacquarmi, torno subito” e quando sono uscita dal bagno una bolla di niente s’era fatta spazio dentro il ventre segno che la trance era prossima. Chissà che impressione ho dato: una panterona di 1.64 mezza nuda che mendicava attenzione dal suo toyboy? Il confronto con Beate ed i suoi fianchi snelli è stato crudele: una danzatrice sassone da una parte ed una colf figlia di terroni dall’altra.
M’era rimasto addosso solo il reggiseno con sopra il top quando il Giorgio ha tirato fuori il cazzo ed anche il suo gommino targato Durex.
“Cos’è che fai?” l’ho canzonato, “Non lo sai che questa casa è plastic free?” e questa mia cosa pareva in qualche modo avergli scatenato la bestia lì sotto. La successiva, invece, l’ha smontato di brutto.
“Lo prendo solo di dietro, intesi?” e qui il suddetto maschietto ha preso a tossicchiare peggio di una macchina senza benzina. S’è ingolfato con dei cioè, come, davvero ed una sfilza di avverbi privi di senso compiuto. “Aspetta un minuto, Adele ..” ed altre due tre frasi mozze.
La prospettiva d’incularsi a secco una femmina deve essergli sembrata una cosa immensa, smisurata come la rocca di Gibilterra a vederla da Marbella. La verginità delle fantasie da adolescente segaiolo riguardava di sicuro altre anatomie.
“Hai per caso un desiderio di paternità?” l’ho irriso come una troia incattivita. Altro che ‘faccio tutto tranne baciare sulla bocca’, Pretty woman mi fa una sega.
E’ stato solo cinismo brutto e stupido, vero?
C’ho provato a rimediare, una carezza sulla guancia e: “non preoccuparti, amore mio, t’aiuto io”. All’amore mio, ho creduto di morire di diabete ma in quel frangente lì con me c’era solo una sottiletta col cazzo dritto.
E’ bastato gli salissi sopra e dall’alto guidassi la monta. Quelle sciatte inquadrature del genere gonzo avrebbero ripreso la verità: nessun Furia cavallo dell’West e nessuna domatrice, solo il mio addome a scendere e un mezzo cazzo che mi si è infilato su per il culo senza particolare fatica.
“E’ entrato. Sei dentro, amore”, devo aver belato tutta lirica, sopra quella pelle liscia.
Ci si è assestati e qualcosa ho avvertito. La voglia è lievitata e le mani di Giorgio che m’affondavano nella cellulite le ho sentite e mi davano la cadenza.
C’è stato un sacco di zucchero quella volta lì. Ricordo una cosa: dopo avermela fatta tutta dentro, da sotto mi ha carezzato i capelli, come potrei fare io con una bimba che non ho mai avuto ne voluto.
Dopo è stato diverso quasi da subito, l’anima del gibbone, quello che allo zoo salta e s’aggrappa alle reti per fare paura, a Giorgio gli è saltata fuori. Un nostro equilibrio, però, l’abbiamo trovato. Non riesco a dirglielo e me ne vergogno: è molleggiato il giusto per farmi il culo come si deve ed un tot sgarruppato per prendersene giù a volontà senza desiderare la donna d’altri. Questo è il patto tacito.
E con tutto il mio pudore calabrese lo dico sottovoce che mi garba. Mi passa e ripassa come fosse una pialla su una superficie di legno, spiana tutto: bitorzoli, asperità, ogni imperfezione. Quando lo sento al culo divento liscia, una superficie espansa all’infinito.
La nostra geometria preferita è rimasta la prima, lì lo sento che mi sale dentro il midollo ed arriva appena sotto la nuca e lui sente il mio peso e quello è il lento ma dopo arriva anche il rock. Mi da della libellula quando mi gira e finisco di sotto a cosce aperte. Mi afferra gli avambracci, dove finiscono i polsi e me lo pesta dentro per bene. Quando non c’è più idea di bene e male l’unica cosa che conta è l’intensità, la forza con cui vibra il diapason del mio buco più stretto.
In quell’attimo lì sono Beate, splendo come lei.
A dire il vero l’orgasmo, come davanti intendo, non l’ho mai avuto. Credo proprio non esista. Non saprei neanche a chi domandare, qualcuno con cui parlarne. Una sera che siamo uscite buttai li qualcosa con una collega, la Boschi ma mi rispose che quelle robe gli facevano schifo e me ne rimasi zitta ed anche parlarne col medico giuro che mi pare una cazzata solenne. Quelle notizie che ho letto in rete -la spugna perineale e punti erogeni A- per me sono tutte minchiate da letteratura porno. Una storiella, tipo il mostro di Lochness che tiri fuori quando non sai più che inventarti.
Detto questo quando mi tiro via le mutande poi dopo sto bene. Per un po’ ma sto bene, meglio di prima, insomma.
Non era facile dirlo dopo la prima volta se ci sarebbe stato un seguito.
Dopo tre minuti tutto era finito e chissà forse era esattamente quello che volevo, una compressa di oblio ad effetto immediato. Siamo rimasti a letto senza sapere bene cosa dire. Io guardavo i giochi che la polvere faceva nelle lame di luce tra le persiane. Che avevamo in comune se non qualche buco da riempire?
Il silenzio l’ha rotto lui.
“Sai che non so perché ti chiamano la mamma?” e ha fatto aderire il mio fianco al suo. Di venirmi sopra diretto ancora non osava. “Il nome Adele, a dirlo, mi viene fuori difficile”.
M’ha strappato un smorfia quella cosa e non mi andava molto di raccontare storie.
Gli ho chiesto: “Te l’avevano già detto giù in magazzino che la do via facile, eh?”.
“Ma no, dai, cosa dici, mica penso che sei .. a me sei simpatica ..” e la parola gli si è mozzata in gola.
“Simpatica sarà tua sorella, va bene? Morivo dalla voglia che qualcuno mi dicesse che ero la più bella della piazza ed invece: simpatica l’Adele, mi sentivo dire ed intendevano :anvedi ‘sta chiattona. Per qualcuno somiglio a Geppy Cucciari ma non credo per la simpatia. E allora simpatica infilatelo su dove dico io, va bene? Adele non è simpatica”.
Credo mi sia spuntata una lacrima o forse l’ho trattenuta: “Lascia fare Giorgio, non è necessario .. vabbè hai capito, no? Sono solo una terrona col culo rotto”.
La sigaretta me l’ha accesa lui ed era di nuovo muto di parole. La nicotina è stata mia amica: “In realtà mamma non c’entra niente coi figli o con la famiglia, c’entra con le mie tette, le mammelle, le minne dicono giù a Catanzaro. Senti come ce le ho dure, tocca, dai”.
Un altro tiro di Lucky Strike: “I maschi ci mettono le mani dentro subito, e dopo anche il cazzo, e ci fan di tutto, come fosse pongo. A volte giocano, il Menetti c’aveva la fissa di stamparmi succhiotti dappertutto. Altri son cattivi, invece, mi pizzicano, le mordono, me la fanno lì anche quando la aspetto a bocca aperta”.
Non ce l’ho più fatta a tenermi le cose dentro. Credo di aver aperto la fogna “Lo sai qual è l’altro modo che .. mi dicono Adele SSPP, che la passera mi Serve Solo Per Pisciare. Così, celiando, una volta lo sussurrai nell’orecchio ad uno, che il cazzo non gli si rizzava: ti serve solo per pisciare e lui s’incazzò a morte. Mi giro e me lo buttò in culo, sì, tanto ma tanto da farci indigestione. E anch’io sono una SSPP ma suona diverso, no?”.
“Sì, mamma, hai ragione” ed intanto aveva di nuovo allungato la gamba ad incrociarla con la mia.
“Se per un maschio è un offesa a me dire che serve solo per pisciare è come darmi la medaglia da troia. E da allora avanti così: Adele da via solo il culo”.
Ma so come andrà a finire, probabilmente come con gli altri: Giorgio dopo Zoran, il Menetti, Michele e suo fratello, il mio assicuratore dell’Axa e ho perso il conto degli altri. Finirà per abusare della mia bocca quasi tutti i giorni, nei bagni al lavoro o in macchina parcheggiati in qualche vicolo, mi chiederà presto di leccargli il culo e già ora la cosa più gentile che gli viene fuori è che ha due mamme ed una è troia, anzi troppo troia. Addirittura neppure più lo usa mamma, è passato di moda. Adesso sono la sua mammina e pare che il vezzeggiativo unito all’insulto gli gonfi la foia.
Ma va bene così, ad Adele potrebbe anche andare bene così.
Quando si fa sbocchinare lo vedo sempre più spesso che mi scosta la frangetta e quando non lo fa lui ci penso io. L’indice segue la linea della tempia, i capelli mi finiscono dietro l’orecchio e gli occhi sono di nuovo liberi d’incrociare i suoi. Una volta si vergognava, adesso farsi succhiare non gli basta, vuole quel qualcosa in più: vedermi in faccia, vedermi a bocca piena. Dice che lo faccio impazzire, che sono più calda di una centrale nucleare e cazzate del genere. Se n’è uscito l’altra sera con una roba così che oramai me lo butta dentro solo per venirci, lì dietro e che invece si farebbe giustiziare solo a forza di pompe.
Lo lascio dire. Se piace a lui anche ad Adele va bene.
Mi sono fatta la coda di cavallo, per Giorgio e quando non mi resterà altro gli darò anche la passera ma una volta arrivati al fine corsa del sesso pure lui vedrà cosa c’ho dentro, quella foschia leggera che mi accompagna da un tot e come tutti gli altri se ne andrà senza dir nulla.
Gli ho offerto anche le chiavi di casa senza che me le chiedesse ed è stata una cazzata, stai sereno. Fra breve le ritroverò dentro la casetta delle lettere.
Mi torna in mente ‘sta cosa intanto che sto decollando e la sensazione è sempre la medesima. Pare che tutto si appesantisca ed un formicolio parte dalle scapole, a volte dal retro delle cosce.
E’ un’onda che s’irradia verso l’interno e mi stropiccia tutta. Dall’epidermide giù in fondo, mi scuote i fianchi, passa per il coccige e tutto si raccoglie attorno al buco del culo. L’ultimo lembo di Adele che si rivolta è proprio quello, il suo didietro.
Me lo chiedesse adesso, Zoran o qualche altro omarino gli risponderei pronta: “Il culo è il mio dentro”.
Ed invece in quei frangenti non mi viene mai nulla di spiritoso da dire. Me ne sto lì zitta, quasi ottusa.
Una nuova botta sta arrivando, cazzo. L’aereo vira a sinistra, proprio dove c’è il mio seggiolino. Sotto di me si apre l’azzurro del cielo e del mare e lo sguardo sul vuoto mi atterrisce. Tutto chiudo: occhi, pori e da ultimo ancora lui, il suddetto signor buco del culo.
Dopo qualche istante torno orizzontale e la scossa s’attenua. Le chiappe si rilassano e pure tutto quello che ci sta attorno.
Il brivido, per ora è passato.
Qualcuno si sta chiedendo che ci faccio sopra un aereo? Niente di particolare se non che sono appena partita da Malaga destinazione Malpensa. Qualche giorno di vacanza ci voleva, sì ed i viaggi sono uno dei miei rari svaghi. Ho preso a base un appartamento ad Algeciras e davanti a me le onde e l’Africa. Sono arrivata giovedì mezza distrutta e mi sono fatta bastare le Lucky Strike, una Fanta muy fria e lo spettacolo del Mediterraneo, lì dove diventa più stretto.
Quando il sole è sceso oltre l’orizzonte di uscire ne avevo voglia zero e mi sono fatta violenza a scendere al ristorante dell’albergo. Mi è risultato subito un posto inospitale, quasi ostile. A me che di spagnolo non so una parola, di inglese poco più e a leggere il menù duro una fatica tanta. Detesto far vedere che ho fatto le scuole basse, goodmorning, stranger in the night e niente più. Ed invece le altre clienti, che classe: pashmina, tablet con la mela e sangria d’ordinanza.
L’unico cane in chiesa era un sessantenne brizzolato del posto che ha attaccato bottone con due americane del Minnesota. Magro come un chiodo in tre minuti ha esaurito gli argomenti ed il vocabolario spanglish. Pareva iniziare ragionamenti da Nobel e a metà frase gli mancava la parola.
Le due tizie, dopo un po’ di smorfie, ce l’hanno fatta a sganciarsi ed è calato il silenzio.
La sceneggiatura avrebbe dovuto stimolarmi il sarcasmo, invece m’ha preso una tristezza rabbiosa.
Mi sono chiesta com’è che quel baraccone di andaluso non avesse puntato me? Cos’è, non ero all’altezza? Avrà creduto che i pompini non sono brava a farli?
Questi pensieri mi tormentavano quando il cameriere è venuto a prendere la comanda.
Un bel fusto, a prima vista: un po’ di pancia ed un non so che di mielato nel suo aspetto. M’andava il riso con i frutti di mare, peccato che l’ordinazione minima fosse per due persone. Ho provato a chiedergli se la disposizione fosse tassativa e cosa mi sono sentita rispondere? “Ordini per due, senoryta, se vuole mi siedo io a mangiare l’altra porzione”. Gli ho dato cinque ad Ashraf, così mi pare d’aver inteso si chiamasse, per lo stile della facezia.
Ed invece avrei dovuto prenderlo per la cravatta, tirarlo giù e fargli: “Hombre, siediti, cena e luego ven a mi” La notte me lo sarei fatto volentieri, Achraf lo spiritoso e sono certa che non avrebbe avuto nulla da ridire.
Ma come sa chi mi conosce i maschi raramente vanno da Adele. Quando hanno distribuito l’appeal si vede che non mi andava di fare la coda. Le vacanze oramai da anni le faccio da sola, la gente che frequento mica la posso portare più in là della circonvallazione. Anzi, a dire il vero, mica si fa portare e quando torno, all’aeroporto non c’è mai nessuno ad aspettarmi. Speravo in Giorgio, mi pareva fossimo ancora on-fire, come dice lui nel suo anglico da terzamediatomale. Una volta ho usato l’espressione luna di miele ma è roba da sposi promessi o da fidanzatini ed io e lui scopiamo.
Domattina ci si troverà al lavoro e chissà. L’ultima volta l’ho lasciato addormentato peso a casa mia giovedì notte quando sono partita. Dormiva senza alcun senso del peccato. Dormi chiccolotto mio, ho pensato a vederlo così, che poi la mamma quando torna ti da una caramella azzurra e vedrai che saremo contenti.
Interessa a qualcuno questa mia storia col Giorgio?
L’ho abbordato come faccio con quasi tutti i maschi ultimamente sul luogo di lavoro. Sono impiegata in una delle decine di Lidl dell’area milanese: un posto con roba da poco per gente da poco. Siamo una trentina circa, sui due turni 7 giorni su 7, la gran parte con contratti a tempo determinato e succede spesso al mattino di avere un collega nuovo. Tutti agli ordini di Ivano, il direttore che ci vuole sempre inappuntabili, con la polo d’ordinanza, quella grigia con lo scudetto sulla spalla. Ogni 5 minuti mi scopro a tirarla giù, son convinta che così, tesa e corta com’è, mi lasci la pancia scoperta, anzi la buzza.
La mia vita è più che ordinaria e pure io mi son resa conto di non essere poi una brillantona. Turno, spesa, casa, qualche commissione, da mamma il sabato e scarse varianti a questo binario. Pochi amici, per non dire nessuno, una gatta di nome Penelope, maisposata&senzafigli ma a 47 anni questo status sa più di muffa che di one-more-chanche. Tanto che ritrovarsi al mattino presto sul piazzale del discount con i finestrini dell’auto ancora ghiacciati in attesa della serranda che si alza è un modo per non farsi ammazzare dallo spleen.
Qui mi chiamano tutti la mamma, forse perché sono buona e non rifiuto mai un favore o un cambio turno. Le vere origini dell’appellativo in verità sono diverse ed anche la storia della cortesia riguarda altro. Diciamo che sono gentile nel senso che se me la chiedi te la do senza tante storie. Anzi, accade sempre più spesso che te la offro io, anzi, te lo offro. E poi di nomignoli non è certo l’unico che mi porto dietro.
Ad ogni modo è successo un martedì mattina di inizio marzo, alle 6.30 mi sono trovata il nuovo programma settimanale, un foglio excel di Ivano con un sacco di correzioni a biro e riportava: mamma + Giorgio, 8-12, scarico bilico. ‘Sto Giorgio, giuro, l’avrò visto due o tre volte al massimo, alto&alto e secco&secco, due basettoni da aspirante badboy e il resto tutto molto dimenticabile. La cosa che m’ha rubato l’occhio è stata la data di nascita: 20-02-2000, venuto al mondo il mio stesso giorno e mese, 25 anni prima. Pesci e pesci, suggeriva lo zodiaco e chissà quale acquario del menga ne sarebbe venuto fuori, mi venne in mente anche se a dirla tutta mi sono sorpresa a pensare che mai ero stata con uno così, un tenero fiorellino.
E non c’ho messo molto a farmi sotto. Sono brava a fare cose con estranei, sfacciata forse: chiedere una sigaretta o la firma su una petizione o se ti va un bel pipotto.
Mentre si stava a sistemare un bancale di yogurt m’è uscita piatta piatta come chiedessi che ore fossero: “Dopo vieni da me, Giorgio?”.
E credo abbia intuito subito cosa intendessi col panico latente d’avere invece capito troppo. Chessò, uno scherzo di cattivo gusto, immaginato da quelli vecchi a prendere per il naso il grullo appena arrivato e con l’Adele a fare l’esca.
Per un istante s’è fatto trasparente, mimetizzato fra gli scaffali e non ha aperto bocca per l’ora successiva e neanche alzato lo sguardo da terra. Può darsi fosse fidanzato, mi son detta, magari s’è offeso, anche se queste cose di fronte ad una scopata fuorilegge contano meno di niente. O forse il cazzo garbava anche e lui.
All’orario d’uscita s’era volatilizzato. Nel parcheggio era rimasta solo io ed il mio umore ha preso il colore del termosifone di casa, grigio topo.
Il pomeriggio l’ho trascorso su internet ad accudirmi con video porno e a tormentarmi la passera. Debbo essere venuta dopo parecchie ore quando m’è capitata una clip alla categoria ‘mom anal sex’. L’ho salvata fra i segnalibri e s’intitola ‘cheating amateur assfuck on couch’. La protagonista è una biondina trentacinque anni al massimo, Beate ho deciso che è il suo nome. Farà la commercialista, anzi no, la docente di storia dell’arte in un liceo di Dresda e in un buco di lezioni si fa sbattere dal collega di matematica. Una figlia da portare a danza, Helke e a seguire un appuntamento dall’estetista ma null’altro pare contare in quell’intermezzo clandestino. Taglio di capelli sbarazzino ed aspetto come tanti ma in quei dieci minuti di video mentre lo prende di dietro riesce a fare di tutto: alterna lamenti a strilli, lo sguardo furbetto della puttana, vocia robe tipo ‘fick mick’ ed i lineamenti stravolti alla fine si distendono.
Lei gode e fa godere anche me, come e più dei Raffaello della Ferrero.
Non credo ci sia bisogno di dirlo ma il sesso è l’altro mio riempitivo e per quanto le mie dita meritino il brevetto nulla riesce a battere il cazzo.
E a proposito di cazzo, Giorgio l’ho ritrovato il mercoledì. Nello spogliatoio è bastato appoggiargli le punte delle dita su una guancia e poi le labbra ed ecco fatto. La sua riluttanza s’è rivelata ricotta di poco prezzo.
La macchina mica ce l’aveva: “Che faccio, mamma?”, mi fa tutto spalmato contro lo sportello della Yaris col dubbio che il mio vero nome forse non l’avesse presente, “lo lascio qui il motorino? Riesco a tornare? Dopo mi riporti te?” ed altri balbettii confusi finché ho parcheggiato sotto casa.
Davanti al portone intanto che cercavo le chiavi un duo famigliare davamo l’impressione di essere. Di ritorno una dal lavoro l’altro da scuola ed invece no.
Appena al di là dell’uscio ci accoglieva il poster di Brivido Divino con Donatella Rettore a gambe spalancate e ammiccava qualcosa di sconcio.
“Mettiti comodo, vado a sciacquarmi, torno subito” e quando sono uscita dal bagno una bolla di niente s’era fatta spazio dentro il ventre segno che la trance era prossima. Chissà che impressione ho dato: una panterona di 1.64 mezza nuda che mendicava attenzione dal suo toyboy? Il confronto con Beate ed i suoi fianchi snelli è stato crudele: una danzatrice sassone da una parte ed una colf figlia di terroni dall’altra.
M’era rimasto addosso solo il reggiseno con sopra il top quando il Giorgio ha tirato fuori il cazzo ed anche il suo gommino targato Durex.
“Cos’è che fai?” l’ho canzonato, “Non lo sai che questa casa è plastic free?” e questa mia cosa pareva in qualche modo avergli scatenato la bestia lì sotto. La successiva, invece, l’ha smontato di brutto.
“Lo prendo solo di dietro, intesi?” e qui il suddetto maschietto ha preso a tossicchiare peggio di una macchina senza benzina. S’è ingolfato con dei cioè, come, davvero ed una sfilza di avverbi privi di senso compiuto. “Aspetta un minuto, Adele ..” ed altre due tre frasi mozze.
La prospettiva d’incularsi a secco una femmina deve essergli sembrata una cosa immensa, smisurata come la rocca di Gibilterra a vederla da Marbella. La verginità delle fantasie da adolescente segaiolo riguardava di sicuro altre anatomie.
“Hai per caso un desiderio di paternità?” l’ho irriso come una troia incattivita. Altro che ‘faccio tutto tranne baciare sulla bocca’, Pretty woman mi fa una sega.
E’ stato solo cinismo brutto e stupido, vero?
C’ho provato a rimediare, una carezza sulla guancia e: “non preoccuparti, amore mio, t’aiuto io”. All’amore mio, ho creduto di morire di diabete ma in quel frangente lì con me c’era solo una sottiletta col cazzo dritto.
E’ bastato gli salissi sopra e dall’alto guidassi la monta. Quelle sciatte inquadrature del genere gonzo avrebbero ripreso la verità: nessun Furia cavallo dell’West e nessuna domatrice, solo il mio addome a scendere e un mezzo cazzo che mi si è infilato su per il culo senza particolare fatica.
“E’ entrato. Sei dentro, amore”, devo aver belato tutta lirica, sopra quella pelle liscia.
Ci si è assestati e qualcosa ho avvertito. La voglia è lievitata e le mani di Giorgio che m’affondavano nella cellulite le ho sentite e mi davano la cadenza.
C’è stato un sacco di zucchero quella volta lì. Ricordo una cosa: dopo avermela fatta tutta dentro, da sotto mi ha carezzato i capelli, come potrei fare io con una bimba che non ho mai avuto ne voluto.
Dopo è stato diverso quasi da subito, l’anima del gibbone, quello che allo zoo salta e s’aggrappa alle reti per fare paura, a Giorgio gli è saltata fuori. Un nostro equilibrio, però, l’abbiamo trovato. Non riesco a dirglielo e me ne vergogno: è molleggiato il giusto per farmi il culo come si deve ed un tot sgarruppato per prendersene giù a volontà senza desiderare la donna d’altri. Questo è il patto tacito.
E con tutto il mio pudore calabrese lo dico sottovoce che mi garba. Mi passa e ripassa come fosse una pialla su una superficie di legno, spiana tutto: bitorzoli, asperità, ogni imperfezione. Quando lo sento al culo divento liscia, una superficie espansa all’infinito.
La nostra geometria preferita è rimasta la prima, lì lo sento che mi sale dentro il midollo ed arriva appena sotto la nuca e lui sente il mio peso e quello è il lento ma dopo arriva anche il rock. Mi da della libellula quando mi gira e finisco di sotto a cosce aperte. Mi afferra gli avambracci, dove finiscono i polsi e me lo pesta dentro per bene. Quando non c’è più idea di bene e male l’unica cosa che conta è l’intensità, la forza con cui vibra il diapason del mio buco più stretto.
In quell’attimo lì sono Beate, splendo come lei.
A dire il vero l’orgasmo, come davanti intendo, non l’ho mai avuto. Credo proprio non esista. Non saprei neanche a chi domandare, qualcuno con cui parlarne. Una sera che siamo uscite buttai li qualcosa con una collega, la Boschi ma mi rispose che quelle robe gli facevano schifo e me ne rimasi zitta ed anche parlarne col medico giuro che mi pare una cazzata solenne. Quelle notizie che ho letto in rete -la spugna perineale e punti erogeni A- per me sono tutte minchiate da letteratura porno. Una storiella, tipo il mostro di Lochness che tiri fuori quando non sai più che inventarti.
Detto questo quando mi tiro via le mutande poi dopo sto bene. Per un po’ ma sto bene, meglio di prima, insomma.
Non era facile dirlo dopo la prima volta se ci sarebbe stato un seguito.
Dopo tre minuti tutto era finito e chissà forse era esattamente quello che volevo, una compressa di oblio ad effetto immediato. Siamo rimasti a letto senza sapere bene cosa dire. Io guardavo i giochi che la polvere faceva nelle lame di luce tra le persiane. Che avevamo in comune se non qualche buco da riempire?
Il silenzio l’ha rotto lui.
“Sai che non so perché ti chiamano la mamma?” e ha fatto aderire il mio fianco al suo. Di venirmi sopra diretto ancora non osava. “Il nome Adele, a dirlo, mi viene fuori difficile”.
M’ha strappato un smorfia quella cosa e non mi andava molto di raccontare storie.
Gli ho chiesto: “Te l’avevano già detto giù in magazzino che la do via facile, eh?”.
“Ma no, dai, cosa dici, mica penso che sei .. a me sei simpatica ..” e la parola gli si è mozzata in gola.
“Simpatica sarà tua sorella, va bene? Morivo dalla voglia che qualcuno mi dicesse che ero la più bella della piazza ed invece: simpatica l’Adele, mi sentivo dire ed intendevano :anvedi ‘sta chiattona. Per qualcuno somiglio a Geppy Cucciari ma non credo per la simpatia. E allora simpatica infilatelo su dove dico io, va bene? Adele non è simpatica”.
Credo mi sia spuntata una lacrima o forse l’ho trattenuta: “Lascia fare Giorgio, non è necessario .. vabbè hai capito, no? Sono solo una terrona col culo rotto”.
La sigaretta me l’ha accesa lui ed era di nuovo muto di parole. La nicotina è stata mia amica: “In realtà mamma non c’entra niente coi figli o con la famiglia, c’entra con le mie tette, le mammelle, le minne dicono giù a Catanzaro. Senti come ce le ho dure, tocca, dai”.
Un altro tiro di Lucky Strike: “I maschi ci mettono le mani dentro subito, e dopo anche il cazzo, e ci fan di tutto, come fosse pongo. A volte giocano, il Menetti c’aveva la fissa di stamparmi succhiotti dappertutto. Altri son cattivi, invece, mi pizzicano, le mordono, me la fanno lì anche quando la aspetto a bocca aperta”.
Non ce l’ho più fatta a tenermi le cose dentro. Credo di aver aperto la fogna “Lo sai qual è l’altro modo che .. mi dicono Adele SSPP, che la passera mi Serve Solo Per Pisciare. Così, celiando, una volta lo sussurrai nell’orecchio ad uno, che il cazzo non gli si rizzava: ti serve solo per pisciare e lui s’incazzò a morte. Mi giro e me lo buttò in culo, sì, tanto ma tanto da farci indigestione. E anch’io sono una SSPP ma suona diverso, no?”.
“Sì, mamma, hai ragione” ed intanto aveva di nuovo allungato la gamba ad incrociarla con la mia.
“Se per un maschio è un offesa a me dire che serve solo per pisciare è come darmi la medaglia da troia. E da allora avanti così: Adele da via solo il culo”.
Ma so come andrà a finire, probabilmente come con gli altri: Giorgio dopo Zoran, il Menetti, Michele e suo fratello, il mio assicuratore dell’Axa e ho perso il conto degli altri. Finirà per abusare della mia bocca quasi tutti i giorni, nei bagni al lavoro o in macchina parcheggiati in qualche vicolo, mi chiederà presto di leccargli il culo e già ora la cosa più gentile che gli viene fuori è che ha due mamme ed una è troia, anzi troppo troia. Addirittura neppure più lo usa mamma, è passato di moda. Adesso sono la sua mammina e pare che il vezzeggiativo unito all’insulto gli gonfi la foia.
Ma va bene così, ad Adele potrebbe anche andare bene così.
Quando si fa sbocchinare lo vedo sempre più spesso che mi scosta la frangetta e quando non lo fa lui ci penso io. L’indice segue la linea della tempia, i capelli mi finiscono dietro l’orecchio e gli occhi sono di nuovo liberi d’incrociare i suoi. Una volta si vergognava, adesso farsi succhiare non gli basta, vuole quel qualcosa in più: vedermi in faccia, vedermi a bocca piena. Dice che lo faccio impazzire, che sono più calda di una centrale nucleare e cazzate del genere. Se n’è uscito l’altra sera con una roba così che oramai me lo butta dentro solo per venirci, lì dietro e che invece si farebbe giustiziare solo a forza di pompe.
Lo lascio dire. Se piace a lui anche ad Adele va bene.
Mi sono fatta la coda di cavallo, per Giorgio e quando non mi resterà altro gli darò anche la passera ma una volta arrivati al fine corsa del sesso pure lui vedrà cosa c’ho dentro, quella foschia leggera che mi accompagna da un tot e come tutti gli altri se ne andrà senza dir nulla.
Gli ho offerto anche le chiavi di casa senza che me le chiedesse ed è stata una cazzata, stai sereno. Fra breve le ritroverò dentro la casetta delle lettere.
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