Strane storie

Scritto da , il 2021-11-16, genere pulp

Strane storie

Cammina a piedi nudi sulla roccia scura. C’è un vento che si alza lento come il volo di un gabbiano che le solleva la veste fino alla coscia. In alto, un gabbiano stride in un lento turbinare.
Lei, Pallida come la luna, trasporta i suoi quasi 45 anni fino alla punta della scogliera. Supera la piccola chiesa di Santa Devota, dove i pellegrini lasciano spesso medagliette e candele sotto l‘effige della Santa.
Cammina fino alla punta che sembra la prua di una nave in procinto di salpare. Davanti a lei, il mare è una tavola di nero basalto e le nuvole sono gonfie e scure. Una sola linea di colore biancastro, separa il cielo dal mare. Un fulmine solitario spezza l’orizzonte come il tridente del nume Nettuno..
Non ha freddo, nonostante la fredda aria di tempesta. Sotto la veste si intravede un corpo nudo, ancora florido, ancora pronto per accogliere passione. Fu in una notte come questa, che il marito Biagio morì. Colto da un improvviso infarto mentre lui la cavalcava come un’indomita giumenta. Lei, piegata a novanta sul davanzale, con lo sguardo che puntava sul mare in tempesta. E sotto, le case con gli scuri chiusi e la gente accanto alla stufa o ad un camino, in attesa della buriana che si placasse, ignari che lei stava vivendo un amplesso bestiale.
Poi, un colpo più violento nelle profondità del suo ano, un rantolo, le dita di lui che si serravano sui fianchi morbidi di lei. Lei che, incuriosita, si voltava appena in tempo per vederlo con le mani al petto e crollare all’indietro, rantolando. La mano protesa al comodino dove le medicine stavano. Poi, l’immobilità e l’assurdo del suo sesso, rigido e umido, che sprizzava l’ultimo sperma colpendo lei sul ventre.
In una notte come questa, con solo una veste da camera indosso, a distanza di cinque anni, Leandra, detta Lea, si ritrova a camminare come trascinata da un sogno, fino alla punta di roccia. Come quella notte, a pochi centimetri dalla punta, le braccia aperte, pronta a spiccare il balzo.
Mani robuste l’afferrano da dietro e la trascinano al sicuro. Lei, colta di sorpresa, si divincola e fissa il suo salvatore: un giovane di circa ventanni,vestito con abiti pesanti e lo sguardo scuro come il mare di fronte “Lea, ti prego, cosa stai facendo?” dice lui alzando le mani
“Accidenti a te, Brando”
“Per l’amor del cielo Lea. Fa freddo, mettiti qualcosa di più pesante”
“Al diavolo! Cosa credevi? Che mi sarei buttata di sotto?”
“Eri sulla punta, troppo vicina. Con questo vento, basta un attimo e..”
“E cosa? Ciao ciao, vecchia Lea?”
“Non sei vecchia”
Lei cade in ginocchio, esasperata “Non trovi anche tu che il mare, oggi, sia meraviglioso?
Brando l’aiuta a sollevarsi da terra e l’accompagna a casa. Gli scuri si aprono di poco, occhi indagatori scrutano quelle due figure che arrancano per gli stretti scalini in pietra. Mormorano, lanciano ingiurie. La pazza del mare ha fatto un’altra vittima.
La veste è appiccicata al corpo di Lea. Vedo e non vedo, si nota i seni abbondanti, un culo perfetto, capezzoli scuri e un taglio con una fitta ma curata peluria. Lea si lascia svestire da Brando, per nulla imbarazzato delle sue nudità. Il ragazza cerca altri vestiti da fare indossare a Lea e un asciugamano per togliere l’umidità.
Lea lo cinge da dietro, premendo il suo corpo contro la sua schiena, il mento poggiato alla sua spalla “Ti prego, non andartene. Mi sento così sola”
E Brando rimane, attirato da quell’abbraccio, da quel nudo corpo fremente di attenzione e desiderio. E la sua gioventù si accende come somma virilità, quando lui si volta e l’abbraccia, baciandola con passione. Lei che non si ritrae accettando il suo ardore. Lei che lo invita a spogliarsi di ogni suo bene. Ah, da quanto tempo non stringeva tra le mani una simile virilità. Lei che ancora aveva fuoco e amore da dispensare. Lui che aveva tanto da dare
Nudo, ardente, Brando entra in lei e comincia a muovere i fianchi con l’impeto di una nave che solca le onde. Lei accoglie e stringe. Ride dentro di sé. Biagio è ancora vivo nella sua mente ma poco le importa.
Biagio e prima ancora Leandro.. E prima ancora Antonio.. E per primo un uomo il cui nome non ricorda, che l’aveva presa che non era ancora sbocciata e si era ritrovato con delle forbici piantate in gola. Ora Brando, come il divo del cinema, giovane e muscoloso, il viso solcato dalla salsedine, con quei fianchi impetuosi e il sesso turgido.
E avido dentro di lei.

Melania nell’oscurità, osserva la donna affacciata al balcone. Lea la strega la chiamano. Perché riesce ad ammaliare gli uomini come un’incantatrice e li trascina con se su un sentiero di passione e morte. Melania,come un gatto, acquattata tra le ombre dei tetti, osserva quella donna che gli anni hanno scolpito nella perfezione. Melania la osserva con attenzione e sa che qualcosa non quadra in quella donna. Tanti uomini sono passati nel suo letto, molte ossa sbiancano nella terra a causa sua.
Ora, quel ragazzo che giace nudo e febbricitante tra le lenzuola, mentre fuori il mare si gonfia sferzato dal vento impetuoso.
Melania piange in silenzio e la sua mente scivola a qualche anno prima, con l’immagine di suo fratello, nel fiore degli anni, spento poco alla volta, come una candela che si consuma. Lo ricorda ancora, Antonio, venticinque anni, una vita da vivere, innamorato perso di quella donna.
Se la ricorda ancora, scolpita nella sua mente, la radiosità che emanava. E Antonio era perso in lei, gli occhi che bruciavano d’amore “Quella donna ti sta portando alla rovina, Antonio, non capisci?” le aveva detto lei con la disperazione negli occhi
“Tu non capisci, lei mi ama. Lei è passione, lei è fuoco, lei tutto”
“Lei è follia”
“Non è follia, il vero amore?”
E, nonostante i vani tentativi di Melania nei confronti del fratello di dissuaderlo da quella follia, non poté fare a meno di vederlo consumarsi lentamente in una strana apatia. Sembrava che lei lo prosciugasse di giorno in giorno della sua preziosa linfa vitale. Come se una sorta di incantesimo primordiale risucchiasse ogni forma di energia in lui, deperendo poco a poco. Non tardò molto, in una fredda giornata d’Autunno, che il fratello si ammalò in maniera irreversibile. Lo seppellirono in una mattina gelida, con il ghiaccio che ricopriva la terra e la galaverna avvolgeva gli alberi.
Di lei, vedova affranta, nessuna traccia. Scomparsa come la nebbia scacciata dal sole.
Da quanto tempo la rincorreva. Ogni volta che la trovava, era già troppo tardi e una vittima nuova era finita sotto le sue fauci.
Ma ora…
Ora lei era lì, a portata di mano, pronta per essere fermata.
La donna alla finestra alza di colpo lo sguardo, puntandolo verso di lei. Forse che ne sia accorta? Lei accenna un sorriso e un lampo innaturale passa nei suoi occhi “Strega” mormora Melania stringendo il manico della sua arma

Brando non può fare a meno di lei. La cerca in continuazione, la vuole,la desidera. Leandra lo asseconda, lo conduce al talamo, lo cavalca come una giumenta indomita. E poi lo lascia tra le lenzuola umide di sudore, sesso e sperma
Leandra osserva il mare, una tavola blu cobalto che si agita inquieto. E’ la stagione più incerta, quando il dio Eolo soffia l’aria e le nuvole si rincorrono creando attrito. Un peschereccio arranca nel mare che si ingrossa, cercando di guadagnare il porto.
“Vieni qui, Leandra” supplica Brando nudo dietro di lei, la schiena appoggiata alla testiera del letto.
Lei si volta e si avvicina sinuosa. Lui si allunga cercando le sue mani, afferrandole le tette. Lei che gli afferra il sesso flaccido e cerca di riportarlo in auge “Sei mio” sussurra e si abbassa repentina, ingoiandoglielo e succhiando come se volesse portarselo via. Lui caccia un grido di piacere, inarcandosi all’indietro, desiderando che non finisse mai. E il sesso che si rivitalizza e stilla ancora sperma, nella bocca di lei.

Melania conosce quelle sensazioni. Le vittime non ascoltano se li avverti. Ormai ammaliati dal demone, sono loro servi e sordi agli avvertimenti. Lei dona loro sesso, passione e non si accorgono che si spengono poco a poco. Lei, il demone, la succube, che aspira la linfa vitale attraverso gli amplessi.
I primi tempi provò a raccontare ad altri le sue supposizioni, i suoi sospetti. Ma la gente la guardava male, scuoteva la testa. Sua madre pensò bene di farla visitare da una psichiatra. =No, non sono pazza= gridava e piangeva. Le diedero delle medicine da prendere e un medico che la sorvegliasse giorno e notte.
Passavano i giorni, i mesi, gli anni. Poi, Melanie si arrese. E, quando tutti cedettero che ne era uscita, lei, segretamente, covava il forte desiderio di rintracciare quella donna e fargliela pagare.
Ora era lì, a pochi metri di distanza, con una felpa nera e un pugnale dalla lama dorata in fondo alla tasca della blusa. Non c’era soluzione. Doveva affrontare il mostro ed impedire che altri soffrissero a causa sua.

Leandra scivola fuori dal letto. Brando ha il volto pallido e sembra abbia la febbre. Con l’indice gli sfiora la guancia, le labbra. Lui ha un gemito, mormora il suo nome. Lei sussurra al suo orecchio “Recupera le tue forze, mio amore. Torno subito”. Sale le scale che portano al sotto tetto. A piedi nudi, incurante delle schegge di legno che le graffiano la pelle. Alza le mani e afferra una maniglia sul soffitto. Senza sforzo abbassa una botola e lascia che scivolino fino a terra dei pioli. Una folata di aria gelida le accarezzano il volto. Lei sale verso la cima della torretta. Sopra di lei, il cielo è di un cupo nero e gonfio. Il mare, un ribollire di ardesia schiumante, ruggisce verso gli scogli, infrangendosi in poderosi geyser ribollenti. Leandra, vestita solo con una leggera vestaglia bianca, sembra non curarsi troppo del vento gelido che le morde le carni e le solleva i lembi.
Sotto, il piccolo borgo di pescatori sembra sopito. Li sente distintamente, il rumore dei loro cuori dietro le finestre sbarrate, il fiato che producono per il timore della tempesta imminente. O quello affannato, di chi si sfoga con la propria amante, mentre esorcizzano a loro modo, la violenza incombente.
E sente lei, furtiva come un gatto, arrivarle alle spalle armata di un pugnale “Ci hai messo un po’ per arrivare, Melanie” si volta piano, padrona della situazione, per nulla intimorita. Lo sguardo si sposta sulla lama d’oro che la ragazza stringe “Dunque, sei qui per la resa dei conti?”
“Non farai più del male a nessuno” sibila Melanie
“Sciocca ragazzina. Venire ad affrontarmi con quel piccolo stuzzicadenti. Sarà un piacere scopare Brando mentre divorerò il tuo piccolo cuore sanguinante” denti affilati, occhi gialli da rettile, le unghie che si allungano come rasoi. Melanie non si fa intimorire, si prepara ad affrontare la megera. Stringe il pugnale e affonda la mano sinistra nella tasca della felpa. Leandra scatta con un urlo ferale. Melanie si sposta di lato mentre uno scoppio di petardo riempie l’aria. Leandra strabuzza gli occhi e inciampa verso il basso parapetto. “Tu, strega..” sibila Leandra mentre un secondo colpo la raggiunge alla schiena.
Leandra barcolla all’indietro, cerca di afferrarsi a qualcosa, Un terzo colpo e lei si ritrova a precipitare di sotto. Con la schiena colpisce la punta sporgente di un tetto e poi un tonfo sordo, il rumore del suo corpo che impatta con il selciato. Quasi soffocato dal rombare di un tuono. Melanie osserva a lungo il bianco candido del corpo quasi nudo di Leandra. Dalla tasca estrae un piccolo revolver con il calcio cromato “Ho giocato in maniera sleale” dice lei “Ma non me ne frega nulla”. Poi, lentamente, discende le scale. Non si preoccupa di Brando, ci avrebbero pensate gli inquirenti una volta che fossero arrivati alla casa. Uscì dalla casa, gettando un’ultima occhiata al corpo di Leandra. Così bella anche nella morte. Le volta le spalle e si allontana.

Una telefonata anonima e la polizia giunge alla casa che era di Leandra. Il corpo di Brando viene portato via in preda al delirio, con la febbre altissima. Chiama il nome di Leandra. Chiama il suo amore e il suo sesso.
“Poveraccio” scuote la testa un infermiere mentre lo caricano sull’ambulanza
“Sapete chi è questa Leandra?” chiede l’agente intervenuto sul posto
“No. Probabile la sua amante. Adesso che ci penso, Brando era parecchio che non si faceva vedere in giro. Si diceva fosse andato via anche se, le pettegole del posto, dicevano che era stato ammaliato da una strega”
“Una strega?”
“Ma sì, dicerie. Credenze popolari” l’infermiere fece dei disegni nell’aria con le dita “Qui, basta che si sposti una pietra dalla parte sbagliata e si grida al maleficio”
“Credevo che, queste cose fossero estinte”
“Estinte” sorride l’infermiere “No, agente. In questo angolo di Mondo, la superstizione regna sovrana” e, detto ciò, chiude le ante del vano di carico
L’agente lo guarda andare via, scuote la testa e si avvia verso la casa. Chissà dove è sparita questa donna. Si sofferma ai piedi della casa, immediatamente sotto la torretta della casa abitata da Brando. Abbassa lo sguardo e poi fa per andarsene. Quasi gli sfuggono quelle impronte umide che si dirigono verso il promontorio di roccia. Strane impronte, piccole, fatte di acqua e sangue. Alza lo sguardo e segue il percorso. Un’ombra vaga come fumo sembra galleggiare oltre il bordo. Il poliziotto si alza di scatto e osserva meglio ma, non vede null’altro che le nubi grevi e il mare gonfio di vento. Allunga il passo verso la punta e si ritrova a guardare verso il basso. Nascosta nell’oscurità delle onde feroci, una forma alata scivola sull’acqua per poi scomparire alla luce di un fulmine.

=Fine=

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