Espiazione V

Scritto da , il 2021-08-29, genere pulp

Cosa significa ti lasciamo sola con il tuo demone? E che cos’era quella supposta che mi hanno infilato su per il culo?

-Ho paura!

Le catene non mi impediscono di alzarmi dal letto, sono lunghe, perciò mi rifugio contro il muro sotto la piccola finestrella. E’ disposta troppo in alto e da sotto non riesco ad affacciarmi, respiro a fatica e il culo mi sta avvampando, mi alzo ma le gambe cedono e mi ritrovo piegata sul pavimento. Mi manca il respiro, provo a inspirare forte, ma non basta il cuore mi sta scoppiando, intuisco che sono preda di un attacco di panico. I miei movimenti fanno risuonare le catene e questo non mi rasserena anzi peggiora il mio malessere, mi ritrovo stesa sul pavimento grondante di sudore, mi raccolgo e mi accovaccio contro la parete, inspiro forte e con la bocca aperta. Annaspo tra le mie urla isteriche, cerco di sollevarmi, afferro un gancio conficcato a metà altezza del muro alle mie spalle, ma sono ancora troppo debole per restare in piedi e quindi mi accascio nuovamente. Ritiro le ginocchia indietro e assumo nuovamente una posizione raggomitolata. Faccio sprofondare la mia testa tra le ginocchia e respiro, sembra andare meglio, sento le palpitazioni diminuire e anche quella sensazione di sudore freddo sembra calmarsi. La cintura di castità, come soprattutto l’irritazione rettale, mi infastidisce e tenere il culo poggiato sul pavimento è uno strazio, ma pian piano mi rendo conto che l’arsura sta svanendo, continuo a mantenere la posizione. Ora il respiro è tornato normale e il cuore ha ripreso a battere regolarmente, un’improvvisa sensazione di serenità mi avvolge e un piacevole calore si irradia dalla spalla in giù. Il bruciore all’interno dell’ano sembra quasi essere passato. Stremata provo a rialzarmi, faccio nuovamente leva con il gancio su di me e questa volta le mie gambe reggono e non tremano più. Mi avvicino al letto strisciando le catene e mi siedo sul materasso. La porta di uscita non è fatta di sbarre ma di legno spesso e doppio, mi avvicino e provo a tirare il maniglione centrale, non ho tanta forza, ma mi rendo conto che non sarei stata in grado di aprirla nemmeno nel pieno delle forze per via della sua pesantezza e della sua occlusione. Mi siedo in attesa del ritorno delle mie energie, ma più passa il tempo e più mi sento leggera, non avverto più la pesantezza e mi sento euforica, tanto da avvicinarmi alla finestrella e provare a elevarmi verso le sbarre. Voglio provare ad attaccarmi alle sbarre e urlare aiuto, magari lì fuori qualche anima buona di passaggio avvertirà le mie grida di disperazione, provo il primo salto per afferrare le sbarre, ma non ci riesco, ci riprovo e ancora per poco manco il bersaglio, fino quando alla terza volta fallisco nuovamente cadendo rovinosamente per terra. Sono in gabbia, mi arrendo. Passo il tempo supina per terra, ma ora non sono più disperata o preoccupata anzi quella sensazione di euforia ora è diventata benessere, mi sento serena. Mi raccolgo in preghiera, sperando nell’intermediazione di colui che ho scelto a cui votarmi, ma forse sono troppo indegna anche per lui e non succede nulla. Ritorno nel letto, penso sia meglio dormire, ma non è possibile la stanza non ha interruttori per spegnere la luce e mi sento attivissima. Inizio a comprendere che la sostanza contenuta in quella supposta che mi hanno infilato su per il culo stia facendo effetto. Ho caldo nonostante la mia nudità e la finestrella aperta, mi giro e mi rigiro sul letto concitata. I minuti che passano sembrano un’eternità. Delle voci attirano la mia attenzione, qualcuno passa nel corridoio, accanto alla mia cella. Mi avvicino alla porta, ma le loro voci si allontanano e di disperdono nell’androne. Ora non riesco nemmeno più a capire se fossero suoni veri o dettati dalla mia immaginazione. Inizio a ondeggiare, mi appoggio al portone davanti a me, è un momento ma devo stendermi, cerco di raggiungere il letto, ma non posso su di esso c’è seduto qualcuno, è sfocato non riesco a capire, lo fisso con attenzio
ne e metto a fuoco la sua figura sembra lui, non è possibile, mi avvicino:

:- Papà!

Non mi sembra molto amichevole, mi tiene a distanza, mi rimprovera per tutto quello che ho fatto, per la mia vocazione, e per quello che rappresento. Non ha mai accettato la mia natura, mi ha sempre rinfacciato di essere malata. Sono parole inutili in questo momento e non servono, adesso ho bisogno di comprensione e di aiuto, gli urlo, ma la mia visione si offusca e scompare lentamente, stendo le mani davanti a me per fermarlo, ma è inutile. In un istante mi ritrovo nuovamente sola.

Sto impazzendo. Aiuto!

Mi stanno facendo perdere la ragione, no sono lucida, lo ero fino a poco fa, deve essere quella supposta del cazzo a farmi svarionare . Non voglio impazzire, perciò cerco di espellere questo veleno dal mio corpo, piego leggermente le ginocchia e chinatami un po' in avanti per accosciarmi porto le mani sul bacino, allargo i glutei per rendere il processo più efficiente e meno indolore, visto il bruciore provato fino a poco fa, mi sforzo terribilmente ma non riesco a evacuare nulla.

Mi ricompongo, ma appena lo faccio parte una seconda allucinazione, questa volta mistica, mi attorniano dei roditori e inizio a scacciarli in maniera isterica. Li odio e mi hanno sempre fatto schifo, li sento squittire e camminarmi addosso, ma non li vedo, li respingo a secondo della mia sensazione al tatto, mentre davanti a me un’anziana scarna e sdentata ride sguaiatamente della mia sventura e della mia paura. Raggiungo ad occhi chiusi il letto e porto le mani alla testa per coprirmi gli occhi, l’essere mi fa paura e ride così forte da terrorizzarmi. Non so quanto dura il tutto, ma mi sembra non concludersi mai, piango e prego disperatamente ad alta voce, finché intorno a me non torna il silenzio. Mi ridesto dall’incubo e mi rialzo dal materasso, che bagno d’urina per lo spavento

:- Basta! Non voglio più vivere così, vi prego!

Ovviamente nessuno risponde alle mie suppliche, vivo momenti di angoscia non so cosa sarò costretta vedere a breve.

Non passa molto tempo e lo scopro. Mi compare adesso una donna, un’adolescente quasi matura, la scruto bene e sono io. Nuda e distesa nella poltroncina dello studio della mia psicologa, mentre godo delle sue attenzioni tra le mie cosce e dei suoi baci saffici durante le ore di terapia cui i miei, da adolescente, mi costrinsero a seguire, dopo che mia madre mi sorprese, a quasi diciotto anni, a masturbarmi sulle foto della mia migliore amica. La rigida educazione religiosa con cui fui allevata in famiglia influenzò molto la mia gioventù. In quegli anni non era possibile crescere una lesbica in una casa ricca e soprattutto devota come la mia, fui tacciata di essere matta e per questo fui mandata in cura da una psicologa. La dottoressa Marini capì presto che non c’era nulla che non andasse nella mia testa e soprattutto nella mia natura e me lo fece capire mostrandomi la sua. Le sedute andarono avanti per mesi, i suoi docili modo e la sua raffinata arte di fare l’amore mi fecero innamorare, ma purtroppo non durò molto perché mia madre si insospettì e scoprì la nostra storia. In seguito la dottoressa, dietro le forti pressioni della mia famiglia, fu costretta a lasciare la città per continuare la sua professione e io dovetti subire la scelta da parte dei miei su ciò che era meglio per me. Nel paesino la gente iniziò a mormorare e a sollevare dubbi di rettitudine sulla mia famiglia. Mia madre e mio padre mi convinsero di essere malata perché il demonio albergava dentro di me e per questo mi fecero entrare in monastero e mi obbligarono a viverci come una postulante. Dopo due anni, a vent’anni fui costretta dalla mia famiglia a firmare una specie di documento in cui affermavo di rinunciare alle uscite al di fuori del convento e di essere consenziente a portare la tunica, con quella firma mi giocai tutto e rinunciai definitivamente alla mia. Furono mesi durissimi i ritmi religiosi e la vita monotona mi innervosivano, nonostante la severa condizione continuai a praticare l’auto erotismo, non volevo rinunciare né al piacere, né tantomeno alla mia sessualità. Appena ero sola in camerata o in bagno mi dedicavo alla gradevole arte della masturbazione, ma presto imparai che in un convento non si è mai sole e che anche le mura hanno le orecchie, imparai a mia spese cosa fossero le delazioni e per mezzo di esse fui colta sul fatto più volte. Mi Punirono fisicamente, mi mortificarono psicologicamente e mi rinchiusero in celle di rigore. Più volte tentai di scappare ma immancabilmente venivo recuperata e rinchiusa nuovamente. Nel mondo cattolico l’avversione per l’autoerotismo è fortissima, figuriamoci per l’omosessualità, in particolare per quella femminile, pensata come una forma di gravissimo tradimento dell’amore per Cristo e quindi di negazione della vocazione. La superiora conosceva bene la mia famiglia, soprattutto mia madre, e quindi anche il motivo per cui in realtà mi aveva fatto segregare, così mi impartì una ferrea disciplina coadiuvata dalle altre sorelle che usavano la carota e il bastone, mentre simulavano di capirmi mi fecero un lavaggio del cervello convincendomi che la mia omosessualità fosse dettata dalla forte presa che il demonio aveva su di me e mi promisero di guarirmi. Mi facevano sentire diversa da loro e spesso per non darmi modo di equivocare interrompevano bruscamente le loro poche dimostrazioni di affetto, nei miei confronti, per ricordarmi quanto fossi malata e sporca. Eravamo in tante in quel convento, ma io mi sentivo sempre sola, questa continua solitudine mi portò a contestare la mia sessualità. Sono stata sempre religiosa, sin da piccola, ma non avevo mai sentito il bisogno di sposarmi con Gesù, nel corso degli anni i loro giochetti psicologici mi convinsero a farlo. A 22 anni dopo tre anni di subdoli e continui lavaggi continui di capo, di preghiere estenuanti e di inutili penitenze, abbracciai più o meno convinta lo status di suora e per battezzare questa mia nuova rinascita lontana dalla peccaminosità divenni suora con il nome di Chiara. Da quel questo era il mio nuovo nome, Ivana ora non esisteva più.
Rivedere l’immagine della psicologa mi turbò e provai appagamento, ma come le altre visioni anche essa durò poco e svanì. La supposta era si la causa delle mie visioni, ma anche delle piacevoli e improvvise vampate di calore che sentivo espandersi per il corpo. Attraversata da quel piacevole e artificiale tepore pensai per un attimo alla dottoressa Marini interrogandomi se per lei fosse stato, come fu per me, vero amore; oppure fu solo come avevano sempre detto negli anni passati, la mia famiglia e le monache, e cioè che lei avesse giocato e approfittato della mia ingenuità e giovinezza. Pensai di averla amata e ricordai le sue dolci carezze lungo le mie cosce e un brivido mi pervase tutta, scatenandomi importanti emozioni.
Rivedere la mia analista mi ha resa inquieta, sono eccitata e vorrei toccarmi, ma non posso, cerco di resistere, anche se sento le labbra della mia fica aprirsi.

Parte la visione successiva e capisco gli effetti del farmaco e se anche me lo hanno infilato con forza da dietro, esso ha effetto sulla parte opposta, ossia nel mio cervello. Comprendo che è in grado di materializzare paura e immoralità e la visione che segue è la più immorale di tutte: Gertrude.
Mi appare completamente nuda e con le braccia aperte, e avanza verso di me sicura, come se non attendesse altro momento che concedersi a me. Avanza lentamente mostrandomi il suo sontuoso e delicatissimo fisico sbarazzino. I capelli biondi sciolti le discendono lungo la schiena, la sua delicata pelle bianca riflette la luce nella stanza, i suoi grossi e sodi seni, contornati da areole rosa che pretendono interesse, vengono lambiti dal cordone del lungo crocefisso in argento che porta al collo e ad ogni suo passo esso viene inghiottito da quel suo appetibile promontorio umano. Dal suo pube rasato fanno capolino dei piccoli rudi peli biondi che si ergono a timida protezione del suo monte di venere, le sue cosce immacolate e candide esprimono una carica erotica a cui mi asservisco. Pronuncio il suo nome, sorridendo, lei mi risponde di rimando ammiccando disponibile, mi avvicino a lei, ma una volta vicina scompare come tutte le visioni. Quando mi riprendo mi accorgo di essere per terra e me ne dispero:

:- Voglio il mio amore!

Pronuncio ad alta voce il suo nome, mentre reggo a fatica alla tentazione di stringere le cosce per darmi piacere, non resisto, mi voglio masturbare, ci provo. Ma la cinta, è peggio delle visioni e me lo impedisce in quanto reale. La colpisco maldestramente con rabbia con il palmo della mano facendomi male.
Alla fine dell’allucinazione i miei occhi si perdono nella stanza speranzosi di rivedere quell’essere angelico, ma avverto solo il freddo pavimento, chiudo gli occhi e rivedo quel ricordo foriero dell’inizio della mia, e sicuramente anche della sua, sciagura.

Ve ne rendo adotti: dieci anni dopo il mio ingresso in monastero avevo ormai imparato a gestire le mie “ignobili” pulsioni, avevo 30 anni e non ero mai più uscita dalla badia. Facevo vita casta e lavorativa. I rapporti con le mie consorelle erano cambiati, il recupero del mio onore mi aveva permesso di sviluppare normali rapporti sociali con tutte le sorelle. Lavoravo, pregavo e studiavo le sacre scritture era questo ormai il mio scopo. I miei genitori, là fuori, non mi avrebbero mai più permesso di uscire e per assicurarsi la mia permanenza avevano espressamente chiesto alla badessa, dietro consistenti donazioni economiche elargite a nome del convento, una volta raggiunti i 30 anni di inasprire la mia condizione, convincendomi a dare atto al convento di disporre totalmente della mia vita. Non avevo più nessuno, le uniche figure familiari erano le mie consorelle e quindi non fu difficile convincermi. La badessa mi fece accettare le regole di castità e povertà, mentre forse per commiserazione o stima, non applicò la più atroce di tutte le regole, cioè quella che avrebbe voluto la mia famiglia e annullato allo stesso tempo il libero arbitrio rendendomi “un’ubbidiente”, cioè una figura costretta ad accettare anche fisicamente dai suoi superiori tutto ciò che secondo loro sarebbe stato meglio per la chiesa. Firmai senza alcuna obiezione, avevo provato ad evadere tante volte e ogni volta ero stata ripresa, fuori non avevo più nessuno su cui contare, quindi diedi il mio consenso a vita di castità e povertà. Si alternarono diverse badesse durante il mio soggiorno, solo negli anni avvenire se ne intercorsero tre, alla soglia dei miei 39 anni, conobbi l’attuale superiora e contemporaneamente conobbi anche il mio primo vero amore, assieme al suo fiore del peccato.

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