La storia di Iole 12

Scritto da , il 2012-02-23, genere incesti

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ho una voglia matta di trascinare mio figlio a letto che non riesco più a ragionare. Il mio cervello è impegnato a trovare il momento adatto per imbrigliare il giovane puledro per poterlo poi montare. Frequento un istituto di bellezza dove mi sottopongo ad energici massaggi per rinvigorire i miei muscoli e rendere più appetibile il mio corpo ai suoi occhi. Abbandono il mio abbigliamento da contadina e comincio ad indossare abiti da donna di città. Indosso vestiti molto attillati che esaltano le mie magnifiche forme; sono lunghi fino alle ginocchia e, sopra, molto scollati. Ho comprato delle calze nere a rete con maglie strette e con la cucitura dietro che indosso con un reggicalze di pizzo nero, ai piedi porto delle scarpe nere e lucide con tacchi altissimi. Non sono abituata a camminare con scarpe di quel tipo. Sto continuamente ad esercitarmi a camminare con quelle scarpe ed imparare a non traballare. Ho anche comprato dei reggiseno di pizzo nero trasparenti in coppia con striminziti perizoma anch’essi di pizzo. Ho imparato a muovermi in modo da suscitare voglie innominabili. La cosa che più mi riesce è quella di mettermi seduta in una particolare posizione che oltre a far intravedere abbondanti porzioni delle mie bianche cosce mostro anche il davanti dei miei perizoma di pizzo nero trasparente. I capelli li lascio sciolti che cadono sulle spalle. Così conciata faccio sempre in modo di stare nel suo raggio visivo. Brian mi lancia continui sguardi. Spesso lo sorprendo a guardare nella scollatura dei miei vestiti. Per non parlare delle continue occhiate che lancia fra le mie gambe quando sono seduta. Vedo la sua eccitazione prendere forma fra le sue gambe. Faccio finta di non accorgermene. So che soffre. Un giorno siamo tutti intorno al tavolo. Abbiamo appena finito di pranzare. È Alicia a provocarlo. Sa benissimo il perché del mio comportamento.
“Mamma, è da un po’ che il tuo look è cambiato. Ti sta bene. Sei più bella. Se fossi un uomo non ci penserei due volte ad invitarti a fare una passeggiata. Brian non ho forse ragione, non trovi anche tu che nostra madre è cambiata in meglio. È più arrapante.”
Louise redarguisce la nipote.
“Alicia non si parla così della propria madre. Arrapante; che termine volgare che hai usato.”
Brian si alza di scatto e va via. Mia madre lo segue a ruota. Alicia si avvicina di più a me.
“Mamma, non ti sembra di esagerare. Così facendo lo fai soffrire.”
“Sappi che anch’io sto soffrendo. Non capisco perché non si decide. Lo so che mi vuole. Non riesce a nasconderlo. Non sei stata tu a dirmi che con tua nonna non ha avuto un attimo di esitazione?”
“Mamma non dimenticare che sei sua madre e lui ha paura di fare una gaffe.”
“Quando ha infilzato tua nonna credendo che fossi io non ha avuto paura?”
“Allora fu un raptus. Mamma, dammi ascolto, prendi tu l’iniziativa. Incoraggialo. Digli che lo vuoi nel tuo letto, digli che lo ami, che vuoi che ti chiavi.”
Guardo mia figlia e ricordo quello che accadde il giorno in cui la concepii, cosi come ricordo il giorno che mi feci mettere incinta dal padre di Brian. In entrambe le volte fu mia la responsabilità e fu ancora mia quando mi offrii a mio padre e successivamente al mio fratellastro.
“Hai ragione; devo essere io ad offrirgli il mio corpo; se aspetto che sia lui a decidersi divento vecchia. Tesoro fammi gli auguri.”
Mi sollevo dalla sedia ed esco dal salone. Alle mie spalle sento la voce di mia figlia che mi augura buona fortuna. Arrivo davanti alla porta; sento bisbigliare. Capisco che mia madre è con mio figlio; non voglio disturbarli. Busso. È la voce di mio figlio che sento.
“Chi sei?”
“Brian, sono mamma, ho bisogno di andare in città; ho da fare delle compere e vorrei che tu mi accompagnassi.”
Un vociare più intenso mi fa pensare ad un diniego. Invece.
“Aspettami all’auto. Ti raggiungerò al più presto: il tempo necessario per prepararmi.”
Sono sicura che la sua decisione di venire è stata influenzata da mia madre. Forse Louise, così come Alicia, è a conoscenza del desiderio di mio figlio di possedermi. È una cosa che appurerò, ora mi interessa conquistare il mio cucciolo. Vado a cambiarmi; indosso una gonna larga con sopra una camicetta; prendo un soprabito e vado ad aspettarlo nei pressi dell’auto. Dopo circa 30 minuti mi raggiunge. Dietro di lui sono comparse le sagome di Louise e di Alicia che sorridendo ci salutano e ci invogliano a divertirci. Non ho più necessità di sapere se mia madre sa della voglia di mio figlio di volermi chiavare. La sua presenza sull’aia insieme a mia figlia è la conferma che Louise sa. Le due si sono coalizzate e hanno concordato che per me e Brian è giunto il momento di confessarci il reciproco amore. Saliamo in auto e partiamo. Sto io al posto di guida. Per giungere in città dobbiamo per forza percorrere strade provinciali; il tempo occorrente per arrivarci è di circa un’ora. Non ho fretta. Guido con prudenza ed a bassa velocità.
“Mamma lascia guidare me; faremo prima.”
“Hai fretta di arrivare. C’è qualcuno che ti aspetta. Non ti piace la mia compagnia.”
“Mamma io con te verrei in capo al mondo.”
“Allora rilassati e lasciami guidare. Goditi il panorama.”
Altro che guardare il panorama. Con la coda dell’occhio vedo i suoi occhi che si spostano veloci dalle mie cosce che ho in bella mostra (si vedono le pinze del reggicalze) all’apertura della camicetta che mi sono premunita di lasciare sbottonati tutti i bottoni fin giù all’ombelico. Facendo in modo che le mie tette, coperte dal reggiseno di pizzo trasparente, facessero bella mostra della loro abbondanza.
Dopo circa 20 minuti di viaggio Brian scoppia.
“Mamma, per favore puoi tirare giù la gonna ed abbottonarti la camicetta.”
“Scusami. Ho dimenticato che il mio compagno di viaggio è mio figlio. Ti da fastidio il mio abbigliamento?”
“Non è il tuo abbigliamento a darmi fastidio, ma è quello che contiene a farmi sragionare.”
“Vuoi dire che il mio corpo ti eccita? Eppure non dovresti, sono tua madre.”
“È vero sei mia madre, ma io oltre ad essere tuo figlio sono anche un uomo. Tu sei una bella donna e ad un uomo con una donna come te vicino vengono strani pensieri.”
Ci siamo. Decido di affrontarlo. Lentamente accosto sul bordo destro della strada e fermo la macchina.
“Guarda che mi sono accorta delle occhiate che meni nell’apertura della mia camicetta e degli sguardi che lanci alle mie cosce. Brian, da quand’è che mi ami. Da quando desideri stringermi fra le tue braccia? Credi che non abbia capito che vuoi portarmi a letto? Tu vuoi accoppiarti con me. Dimmelo, non avere paura.”
Povero il mio dolce bambino. L’ho scioccato. È, prima, diventato cadaverico e, poi, il suo viso ha assunto il colore di un rosso acceso. Le sue labbra si muovono, la sua bocca si apre ma non un suono gli esce dalla gola. Ha ragione. Quale donna parlerebbe al proprio figlio dicendogli cose che nessuno si sognerebbe di sentirle dire. Ma io non sono una donna cosiddetta normale. Io sono una donna che è innamorata di un uomo anche se quest’uomo è suo figlio. Non posso lasciarlo in questo stato.
“Amore, sto per dirti una cosa che avrei voluto sentirla dire prima da te. È vero sono tua madre ma sono anche una donna e sono innamorata di un giovane ragazzo che è un po’ di tempo che si danna perché non riesce a dirmi che vuole chiavarmi, che desidera mettere il suo cazzo nella mia fregna. Brian, figlio mio, il ragazzo di cui parlo sei tu. Ti amo. Voglio, desidero che tu mi porti a letto e mi fai assaggiare le delizie dell’amore. Brian voglio essere la tua donna.”
Ancora silenzio. Noto però che il colore del suo viso è tornato normale. Apre la portiera e scende dall’auto. Viene verso il mio lato.
“Spostati.”
Cosa che faccio senza essere ulteriormente sollecitata. Mi sposto sul sedile dove prima stava seduto lui.
Si è messo al posto di guida. Avvia la macchina e proseguiamo il viaggio.
“Prendi il telefono e chiama casa. Di a tua madre ed ad Alicia che stasera non rientriamo e se ti chiedono quando facciamo ritorno di loro che non lo sai.”
Sento un vuoto allo stomaco. Non è causato dalla fame. È quello che sta per accadere che me lo provoca. Chiamo casa e parlo con Alicia. Le dico che non rientriamo ed alla sua seconda domanda rispondo che non lo so, che tutto sta nelle decisioni che il fratello intende prendere. Dall’altro capo del telefono mia figlia mi domanda se ho ascoltato il suo consiglio. Le rispondo che è tutto a posto, che sta guidando suo fratello e non so dove siamo diretti. Un urlo di gioia mi arriva all’orecchio. Chiudo la chiamata.
“Chi ti ha risposto?”
“Tua sorella.”
Il suo viso si apre in un sorriso.
“Mamma, tua figlia è una piccola troietta.”
“Però a te è piaciuto riempirle lo stomaco del tuo sperma. È brava a fare pompini?”
Brian è di nuovo rosso in viso.
“Chi te lo ha detto?”
“È stata lei stessa. E che mi dici dell’altro troione: tua nonna. Ti è piaciuto romperle il culo?”
Questa volta il viso è bianco.
“È stata Louise a dirtelo?”
“No, la notte che le hai rotto il culo stavo quasi dentro la stanza e ho visto con quanta foga le pistonavi il cazzo nel culo. Che gusto ci provate voi uomini a inculare le donne non riesco a capirlo e per non parlare delle donne che oltre a sentire un cruento dolore quando il cazzo le allarga lo sfintere altro non riescono a provare. Ma parliamo d’altro. Da quando tempo è che desideri venire a letto con me?”
Brian toglie una mano dal volante e la infila nella tasca posteriore dei pantaloni; la tira fuori; tra le dita ha una foto; me la porge.
“La porto sempre con me. Guarda l’anno. È da allora che ti desidero. Se conto le seghe che mi sono fatto pensando a te potrei dire che avrei potuto contribuire massicciamente all’incremento demografico. Me ne sono fatte almeno tre al giorno e questo fino a quando prima mia sorella e poi tua madre non si sono sostituite alle mie mani.”
È una mia fotografia quella che mi ha dato. Sono stata ritratta mentre sono distesa, nuda, a prendere il sole sul bordo della nostra piscina. Non ricordo di averla mai vista. La data risale a quattro anni prima.
“Ma eri un ragazzino. Veramente è da allora che mi desideri? Povero amore hai sofferto molto nel non poter realizzare il tuo sogno. Se avessi saputo…, ma ora sono qui con te. Andiamo in un posto dove possiamo dare libero sfogo alle nostre perversioni. Un luogo dove i nostri sogni diventano realtà.”
“Iole, mamma, è lì che stiamo andando.”
Taccio. Guardo la strada. La riconosco. Porta alla casa dove ho trascorso il periodo di clausura. Vi giungiamo a sera inoltrata. Scendiamo dall’auto; mio figlio apre la porta ed entriamo in casa.
“Come fai a conoscere questa casa?”
“È stata tua madre a portarmi qui. Non cominciare a fare domande. Spogliati che non resisto più, voglio vederti nuda.”
“Perché non lo fai tu?”
“Io non ti spoglierei, ti strapperei i vestiti.”
“Sono venuta qui di mia volontà, ti amo e desidero da te essere amata, non voglio essere violentata?”
“Mamma non ho nessuna intenzione di farti del male. Anch’io ti amo e voglio che tu resti contenta per avermi
donato il tuo corpo e la tua anima. Ti ho chiesto di spogliarti da sola perché voglio che tu ti esibisca in uno spogliarello solo per me.”
“Lo farò. Metti su una musica adatta. Ti farò strabuzzare gli occhi per lo spettacolo che ti offrirò.”
La musica è il “Bolero” di Ravel. Quando sento questa musica mi eccito fino a bagnarmi fra le cosce. Mio figlio si è seduto sul divano. Comincio a danzare in modo sensuale. Poi do inizio allo spogliarello che eseguo come fossi una esperta professionista. Resto con il solo perizoma e con il reggiseno che, tenuto conto della loro trasparenza, non avrebbero bisogno di essere tolti. Ancora qualche passo di danza e poi sfilo il perizoma. La mia folta pelliccia di ricci peli nasconde la mia passera che comunque si mostra agli occhi di mio figlio che, intanto, si è svestito rimanendo solo con gli slip. I miei occhi sono attratti dal gonfiore che si è formato fra le sue gambe. Sono contenta per come si stanno sviluppando gli eventi. Ho lasciato per ultimo il reggiseno perché so che lui impazzisce per le mie mammelle. Porto le mani dietro la schiena e sgancio i gancetti del reggiseno che non più trattenuto cade a terra liberando le mie favolose mammelle che scuoto facendole sobbalzare. Con passo felino mi avvicino, mi piego in avanti e gli faccio dondolare le mie zizze sul suo viso schiaffeggiandolo. Brian lancia un ululato di approvazione. Mi sono rimaste solo le calze, i reggicalze e le scarpe che non tolgo. Mio figlio balza in piedi. Si toglie gli slip liberando il suo favoloso cazzo che, vibrando, svetta verso l’alto. È una meraviglia.
“Mamma prendi posizione. È venuto il momento che i nostri sogni si concretizzino.”
“Come preferisci prendermi? Standomi dietro e stando davanti?”
“Il mio sogno è quello di chiavarti guardandoti negli occhi. Voglio vedere l’espressione del tuo viso quanto ti stantuffo il cazzo nella pancia.”
Non sa il mandrillo che anch’io voglio guardare i suoi occhi mentre mi chiava. Mi stendo sul divano ed allargo le cosce. Brian si posiziona fra le mie gambe. Gli artiglio il cazzo con una mano e lo guido all’entrata della mia pucchiacca.
“Dai, spingi.”
Il suo bacino si muove venendo in avanti. Avverto il grosso glande forzare le mie grandi labbra.
“Ancora. Metti più vigore.”
Lui spinge. Il glande, come la punta di un trapano, supera la barriera delle grandi labbra e si inoltra verso l’interno. Sento il cazzo di mio figlio scivolare lentamente nella mia vagina. Brian continua a spingere. Una meravigliosa sensazione si impossessa del mio corpo. Sollevo il bacino andando incontro al suo cazzo favorendo la penetrazione. Finalmente sento il suo pube contro il mio. Il glande si scontra con il mio utero. la spinta si ferma. Il cazzo di mio figlio è dentro il mio ventre. Metto in azione i muscoli vaginali e li comprimo sulla superficie della grossa massa di solida carne formata dal pistone che mi è dentro la vagina. Gli stringo i fianchi con le cosce e porto le mie gambe sulla sua schiena abbracciandolo con esse.
“Figlio mio, sei in me; il tuo corpo si è fuso con il mio, resta immobile. Godiamoci insieme questo favoloso momento.”
“Mamma, avevo perso ogni speranza. Non credevo più che il mio desiderio di chiavarti si concretizzasse. Ed invece eccomi qui con il mio cazzo tutto piantato nella tua pancia.”

Continua

P.S. Racconto fantasia. Ogni riferimento a persone viventi o decedute è puramente casuale.

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