La gara

Scritto da , il 2019-10-05, genere etero

Eccomi arrivata al clou della vicenda, la penitenza. Sì, lo so, vi ho fatto attendere ma avevo un po’ di cose da raccontarvi. Però le promesse le mantengo, no? Devo scontare una penitenza con Viola e la sconterò. Ve lo ricordate perché devo scontare una penitenza? C’è scritto nel primo capitolo, però faccio un breve riepilogo.

Dunque, sono a casa di questa mia amica, Viola. Le ho appena leccato la fica, una new entry assoluta nella mia vita sessuale, ma non è questo il punto, anche se sono discretamente arrapata. Il punto è che sono qui perché qualche mese fa ho conosciuto un ragazzo all’università, un mio compagno di corso, Francesco Uno. Lo chiamo così per distinguerlo da Francesco Due. Chi cazzo sia Francesco Due andatevelo a rileggere, ché non ho tempo di rispiegare tutto.

Questo Francesco Uno è un nerd fatto e finito, ha tutto del nerd. Ma a differenza di quello che si dice degli altri nerd, e io non saprei dire se è vero perché non ne conosco altri, con le ragazze ci sa fare. Insomma, per farla breve, gli ho fatto un paio di pompini all’epoca in cui facevo solo pompini perché volevo restare vergine. Un paio di pompini nella media, direi, se non per un particolare davvero unico: i suoi coglioni producono uno sperma che è un piacere per il palato. Dico davvero! L’errore, se di errore si può parlare, è stato non sapere che questo Francesco Uno ha una ragazza, Viola, appunto.

Ora, io sono riuscita, inventando un sacco di balle, a non farmi spaccare la faccia da Viola, ma lei mi disse che in qualche modo me l’avrebbe comunque fatta pagare e io ho accettato. Perché ho accettato? Ma perché mi aveva appena leccato la fica, in quel momento avrei accettato di tutto! Comunque, se proprio volete approfondire, è tutto scritto nel precedente racconto, Diversamente vergine.

Ora siamo qui, io e Viola, a casa sua, in attesa di Trilli. Trilli è una mia amica. Me l’ha detto Viola di invitare un’amica perché, mi ha assicurato, penitenza a parte sarà una serata piacevole. Non ha voluto aggiungere altro, nemmeno cosa cazzo sia sta penitenza. E io, come potrete immaginare, un po’ tesa lo sono. Quando Trilli arriva Viola la tratta come se fossero sorelle. In questo ha un talento naturale. Nel mettere le persone a proprio agio e farci amicizia, intendo. Avrebbe di certo un futuro nelle pubbliche relazioni, se non fosse matta come un cavallo. Perché io, ve l’ho detto tante volte, sono da Trattamento sanitario obbligatorio, d’accordo, ma non conoscete lei!

Dieci minuti dopo suona ancora il citofono, Viola va a rispondere e la sento pronunciare un gelido “scendiamo”, poi torna da noi, si siede e continua a chiacchierare amabilmente. Dopo un quarto d’ora però, in effetti, scendiamo. Al volante dell’auto che ci aspetta riconosco Francesco Uno, e questo un po’ mi imbarazza. E’ la prima volta che lo vedo insieme a Viola. Sembra un autista. Viola si accomoda accanto a lui, io e Trilli saliamo di dietro. Lo saluto con un neutro “ciao”.

- Lui è Francesco, il mio ragazzo – dice Viola voltandosi verso Trilli.

- Ciao, Tiziana.

- Ciao – dice Francesco. Anche il suo tono è quello dell’autista.

- Devi sapere – continua Viola rivolgendosi sempre a Trilli – che qualche tempo fa la nostra amica ha fatto un paio di pompini a questo signorino qua. L’ho perdonata, anche perché non sapeva che fosse il mio ragazzo, nemmeno mi conosceva, figurati. E come saprai siamo anche molto amiche adesso. Ma le avevo detto che gliel’avrei fatta pagare una volta o l’altra. E’ arrivato il momento…

Trilli non sa nulla dell’antefatto, si volta verso di me con la faccia di una che chiede “ma questa matta dove l’hai raccattata?”, io le faccio un cenno come a dire di non farci molto caso, anche se resto un po’ inquieta.

- Lui invece – dice ancora Viola – è un po’ che la paga… ma stasera finisce tutto. Vero amore?

Francesco Uno non parla né annuisce. Non lo vedo, ma immagino il suo sguardo rassegnato. Io faccio finta di nulla ma un po’ vorrei sprofondare, per lui e per Trilli. Non so cosa cazzo voglia farmi fare Viola ma ho capito che la penitenza è già cominciata.

Finiamo in una pizzeria nemmeno troppo scaciata, ma decisamente cheap per il modo in cui ci siamo conciate. Trilli sta sul classico, con un vestito blu che conosco, calze in tinta e tacco stratosferico. Quando la vedo così non posso mai fare a meno di chiederle come cazzo facciano a non farle male i piedi. Viola sembra addirittura che debba sfilare su qualche red carpet, con il vestito nero con spalline sottilissime e scollatura non eccessiva ma abbastanza generosa, visto che lei qualcosa da mostrare ce l’ha. Anche il mio vestito è nero, con le maniche e la zona tra il seno e il collo in trasparenza. In compenso, è decisamente corto. Ai piedi ho un paio di clamorose Doctor Martens alte, tanto per sdrammatizzare un po’.

Chiacchieriamo, almeno noi tre. Francesco tace. Anche quando Trilli gli rivolge la parola si esprime a monosillabi prima che sia Viola a rispondere al posto suo. Finita la cena Viola propone di andare a bere una cosa, visto che è ancora presto. Presto per cosa non lo so, ma non fa nulla. Finiamo a Prati, in un locale. Viola manda Francesco Uno a parcheggiare la macchina. Mi rendo conto che di sabato sera, in quel quartiere, non troverà un parcheggio nel raggio di uno o due chilometri.

Ci sediamo e di fronte a un mojito, soprattutto visto che non c’è Francesco Uno, prendo coraggio.

- Non è che puoi andare in giro a dire a tutti che ho fatto un pompino a Francesco, con Trilli non succede nulla, però…

- Due – ride Viola – i pompini erano due…

- Cos’è questa penitenza? – chiede Trilli – e soprattutto, io che ci faccio qui?

- Per divertirti, amica mia – le risponde Viola – per divertirti… Andiamo a una festa. Quanto alla penitenza… pazienta ancora un po’…

- E’ LEI che deve pazientare? La penitenza la devo fare io! – protesto – che è sta festa?

Nulla, sta troia non vuole dirmi nulla. Cambia discorso, chiede a Trilli da quanto ci conosciamo, è evidente che si diverte a farmi stare sulle spine.

Quando Francesco Uno arriva è già passata mezz’ora. Come lo vede, Viola gli fa un segno seccato, come a dire “quanto ci hai messo?”.

- Dobbiamo andare o si fa tardi – dice – vai a prendere la macchina.

- Ma ho appena fatto un chilometro a piedi! – obietta timidamente Francesco Uno, che non si è nemmeno seduto.

- Vai – ripete Viola con un tono che non ammette repliche. E capisco che anche questo fa parte della penitenza di Francesco Uno.

- Certo devi esserti incazzata un bel po’, eh? – fa Trilli dopo che Francesco Uno è andato via.

- Acqua passata – risponde Viola – te l’avrà detto Annalisa quanto le voglio bene, no? Ma una promessa è una promessa…

Ci mettiamo ad aspettare Francesco Uno fuori dal locale. Ci fischiano proprio dalla macchina davanti alla sua. Ce lo meritiamo quel fischio, direi. Mentre avanziamo nel traffico del sabato sera Viola decide che è il momento di giocare a carte scoperte.

- Allora, la cosa funziona così. Andiamo a questa festa, io conosco bene la padrona di casa, è un’amica. Vedrete che casa… Comunque, Annalisa, qui sconterai la prima parte della tua penitenza.

- C’è pure una seconda parte?

- Sì ma la vedremo dopo. Ora dovrai concentrarti sulla prima. E parecchio, anche.

- E sarebbe?

- Una gara, una gara di soffoconi – risponde Viola.

- Co-oosa? – chiede Trilli che poi si volta a guardarmi. Stavolta sì che è allibita.

- Eddai, Viola – dico io convinta che stia scherzando.

- Ma che cazzo avete capito! – sbotta a ridere Viola – Non è quello che pensate! Però per essere una gara è una gara, e ti toccherà impegnarti parecchio, tesoro. Migliore è il piazzamento, minore sarà il secondo step della penitenza. Come tempo, voglio dire.

- Ma che tipo di gara è? – chiedo – che roba è?

Non è che sia allarmata, soprattutto dopo la risata di Viola. Ma le gare mi mettono sempre un po’ in agitazione. Sono competitiva, sapete. Ma Viola si limita a un “lo vedrai” che non mi tranquillizza per nulla.

Arriviamo alla festa, un palazzo antico nel pieno centro. In effetti l’ambiente è da mozzare il fiato, sia fuori che dentro. La padrona di casa, immagino la figlia dei padroni di casa, ci saluta con un sorriso bellissimo. E’ una ragazzona, mora, caruccia, non stupenda, due labbrone enormi e degli orecchini di smeraldo. Un po’ larga di fianchi e un sedere che si ferma un attimo prima di poter essere considerato un culone. Le tette non sono granché proporzionate. Ha un vestito, magnifico. Si chiama Camilla, è simpaticissima. Ci presenta un suo amico, che si chiama Giano, e io penso immediatamente alla cattiveria dei genitori. Ci presenta anche suo fratello. Il nome non lo capto, ma ne resto deliziata. Avrà sedici anni e un visino carino carino carino sotto i riccetti. Un classico CBCR. Nel salone, che potrebbe essere tranquillamente il campo di allenamento di una squadra di basket per quanto è grande, ci saranno una ventina di persone, forse di più. Senza contare le altre sicuramente sparse per la casa.

- Chi di voi è la concorrente? – chiede Giano guardando me e Trilli.

- Sarei io – rispondo.

- Ciao, sai di che si tratta?

- No, per nulla, so solo… ehm… il nome della gara.

Giano ride e si volta verso il salone annunciando ad alta voce:

- Oh, raga, qui c’è un’altra novizia dei soffoconi!

Risate sparse, qualche “ciao” indirizzato alla sottoscritta. Anche se l’ambiguità era voluta, l’idea di essere introdotta come una novizia dei soffoconi un po’ mi fa ridere, ma vabbè…

La gara, come mi spiega Giano, consiste in questo: quattro persone, due ragazzi e due ragazze. Non è che sia fondamentale ma stasera i concorrenti sono questi. Su un tavolo ci sono quattro bicchierini da grappa allineati, di quelli con il bulbo o come cazzo si chiama in basso. La gara è a chi riesce a bere da quelli. Poiché non mi sembra che ci siano amputati alle braccia in giro gli chiedo dove stia la difficoltà. Il difficile, spiega Giano, sta nel fatto che i bicchierini si mettono per terra e che bisogna bere senza usare le mani. Ah, ecco, mi pareva.

- E come bisogna stare? – chiedo.

- Come cazzo ti pare, basta che non tocchi il bicchiere con le mani.

Sono talmente idiota che non mi viene in mente di chiedere cosa ci sarà, dentro i bicchieri.

Si comincia. Viola mi incoraggia, Trilli mi guarda un po’ perplessa. Finalmente capisco cosa c’è nei bicchierini: Vov riscaldato, rum e panna. Liquida anziché montata. Non mi spaventa, ho bevuto di peggio. Giano sarà l’arbitro della competizione. Cerco Trilli con gli occhi e la vedo chiacchierare e sorridere con un tipo, è già a caccia. Viola invece mi fa l’occhiolino. Di Francesco Uno nessuna traccia, starà ancora cercando parcheggio.

I bicchierini vengono riempiti e sistemati sul parquet, me ne scelgo uno e mi ci inginocchio davanti. Mi appare immediatamente chiaro perché la chiamino gara di soffoconi, potevano chiamarla gara di pompini e sarebbe stato anche meno volgare, penso. Accanto a me si inginocchia proprio Camilla, mi sorride, mi strizza l’occhio e mi dice “facciamogliela vedere a sti due”. “Sti due” sono due ragazzi abbastanza anonimi che si piazzano davanti a noi. Uno deve essere completamente deficiente perché, anziché inginocchiarsi, si sdraia a pancia in sotto e, quando Giano dà il via, imbocca il suo shottino ma poi non sa come sollevarlo, prova a girarsi rapidamente sulla schiena ma il contenuto gli precipita quasi tutto sulla camicia bianca.

“Che schifo”, fa una ragazza alle mie spalle. Ma lo dice con un tono che non sembra per nulla schifato. Divertito, piuttosto. In effetti non è un bello spettacolo. Giano gli dice di togliersi la camicia e lui resta a torso nudo.

Io invece il mio l’ho fatto. Ho preso in bocca l’orlo del bicchierino proprio come farei con una cappella e poi mi sono tirata su. Il liquido mi è sceso caldo e denso fino allo stomaco e lì, cazzo, sembra mi ci sia esploso dentro. Ci siete andati leggeri con il rum, eh? Comunque penso che per il secondo giro dovrò affondarmi un po’ più dentro il bicchiere. Forza Annalisa, mi dico, hai preso certi cazzi in bocca…

Al secondo turno infatti faccio così. Anche l’imbranato ha capito che deve mettersi in ginocchio e stavolta beve senza sbrodolarsi. Solo Camilla non ce la fa. Il bicchierino le scivola tra le labbra e deve afferrarlo con le mani per evitare che cada a terra, il tutto sottolineato con un urletto.

- Forza Cami, togliti le scarpe e le calze – le dice Giano.

- Cazzo – impreca lei.

Cazzo, penso io, che mi rendo conto solo ora che la gara prevede anche uno strip a ogni passo falso. Facciamo altri due giri e mi rendo conto anche di un’altra cosa. Non si deve togliere qualcosa solo chi si rovescia addosso il bicchiere, ma anche chi arriva ultimo. Stavolta però sono i due maschietti che perdono. Prima quello che è rimasto senza camicia deve levarsi anche le scarpe e i calzini. Poi è il turno dell’altro, anche lui resta a piedi nudi.

Giano dice che è il momento di una pausa. A me già gira un po’ la testa e penso che tra cinque minuti sarà peggio. Mi siedo prendendomi le ginocchia tra le mani e respiro. Vedo che Trilli ora mi osserva seduta sulle ginocchia del tipo con cui parlava prima. E’ davvero un mistero. Io e Stefania, un’altra mia amica, lo chiamiamo “il terzo segreto di Trilli”. Tra noi, tra me, lei e Stefy, intendo, lei è certamente la più bruttina. Non la sto denigrando, lo dice lei stessa. Eppure, chissà com’è o come non è, lei in queste occasioni, diciamo così, mondane acchiappa sempre. E’ matematico, ci potete fare una puntata su GoldBet.

Ricominciamo e stavolta sono io che perdo. Ho avuto un attimo di esitazione a mandare tutto giù. Il rum mi sta ammazzando, mi brucia.

- Bene Annalisa – sentenzia Giano – togliti il reggiseno e le mutandine.

- Ehi! A lei hai fatto togliere le scarpe e le calze! – protesto indicando Camilla.

- La decisione dell’arbitro è insindacabile – ribatte Giano.

- E poi a Camilla la fica gliel’abbiamo vista tutti! – grida uno da qualche parte nel salone. Risate generali, ride anche Camilla. E’ chiaramente ubriaca anche lei.

Sono abbastanza furibonda. Non tanto perché mi vergogni a togliermi il perizoma e il reggiseno davanti a tutti. E’ evidente che qualche freno inibitorio è caduto, anzi mi metto a ridere a pensare a me stessa che si sfila le mutande da sotto il vestito davanti a tutta quella gente. Sono furibonda per l’ingiustizia nel trattamento. E perché penso che l’idea a Giano gliel’abbia suggerita Viola. Non ho alcuna prova, ma sono certa che è così. Mi alzo e per qualche istante tutto mi gira intorno, mi sfilo il perizoma ondeggiando un pochino accompagnata da un “oooooh” corale, lo appallottolo e lo lancio a Viola con uno sguardo carico di rimprovero. Lei lo afferra al volo sorridendo. Poi tocca al reggiseno, a fascia per fortuna. E qui ci metto un po’ di più ma alla fine lancio anche quello a Viola. Mi inginocchio al mio posto accompagnata da fischi e risate. Credo che non si veda nulla anche se non ne ho la certezza, perché il vestito è davvero corto. Con lo stesso tono di voce con cui aveva detto “che schifo” commentando il ragazzo che si era sbrodolato la camicia, la tipa dietro di me emette un “che troia” che nonostante tutto mi fa incazzare. Stai calma stronzetta che se poco poco mi viene da rimettere te sei la prima che vengo a cercare.

La gara riprende. I primi due che vengono eliminati sono quello che si era sporcato la camicia e Camilla. Entrambi devono restare senza indumenti per dieci secondi, rigorosamente contati da Giano, davanti a tutti. Quando il ragazzo si toglie le mutande evito di guardare. Non mi piace proprio, non deve essere un bello spettacolo. A Camilla, che perde per due volte di fila, invece tocca prima sfilarsi mutandine e reggiseno, poi il vestito, che si fa scendere alle caviglie rimanendo senza nulla addosso. Lei invece la guardo. Non ha un fisico granché proporzionato, ma mi sembra incredibilmente sodo. Palestra a manetta, penso tra me e me. Passano i dieci secondi e Camilla si rimette il vestito. E’ il momento di un’altra pausa. Giano ci dice che i finalisti siamo noi, io e l’altro ragazzo.

Barcollo verso l’uscita del salone lanciando un’occhiataccia a Viola, scorgo Trilli addossata a una parete che sta limonando con la sua conquista. Perché finisca in cucina non lo so nemmeno io. Non sapevo nemmeno dov’era la cucina. Deve essere stato l’istinto. Ci trovo Camilla. Ho ammirato la sua totale mancanza di imbarazzo nel mostrarsi. A me sarebbe bastato solo sapere di avere un fratellino lì a guardarmi per inibirmi completamente. Ma in effetti un fratellino non ce l’ho e quindi mi sa che sto sparando cazzate da ubriaca, quale in effetti sono. “Mangia un po’ di mollica di pane”, mi dice, e io so benissimo che questo trucchetto può al massimo farmi sentire un po’ meno bruciore allo stomaco, ma la verità è che comincio proprio a sentirmi ubriaca. A un certo punto della nostra conversazione entra un ragazzo che avevo notato tra quelli nel salone. Non è il mio tipo, ma comunque è un tipo. Si piazza dietro Camilla con fare un po’ da mollicone, a proposito di mollica, e le poggia le mani sui fianchi. Improvvisamente risale su e le abbranca le tette. Lei, anziché protestare, si adagia con la schiena sul suo petto. “Hai perso quindi adesso ti tocca” dice lui, mentre la ragazza si torce su sé stessa e gli accarezza il viso. Sorride, lo bacia. Sembra che ci sia un sacco di gente stasera che deve pagare pegno, ma se ho ben capito a lei non dispiace poi tanto avere perso. Mi sa che la storia che la fica gliel’abbiano vista tutti non è poi tanto una cazzata. Lui le impasta le tette e Camilla geme debolmente. Ok, è proprio andata. Io, nel frattempo, devo essere diventata di cristallo, pura trasparenza, perché né lei né lui mi si inculano, fanno proprio come se non ci fossi e non mi vedessero.

Ok, ho capito, me ne vado. Con la coda dell’occhio vedo il tipo che la piega sul marmo dell’isola che sta in mezzo alla cucina mentre Camilla lancia un urletto più che altro di sorpresa, di piacevole e alcolica sorpresa immagino. Penso ma daaaai, ma che cazzo, mica te la puoi scopare lì praticamente davanti a tutti, chiudo la porta scorrevole pensando che è perfettamente inutile, che in breve qualcuno la riaprirà e si troverà davanti quello spettacolo. Poi la troia ero io, eh?

La prima cosa che riesco a sventare, intanto, è che li sorprenda proprio il fratellino, che incrocio in un corridoio e che mi chiede “hai visto Camilla?”. Cavolo ma quant’è carino! Ogni volta che lo guardo mi sembra più carino. “Io la lascerei un po’ tranquilla”, gli rispondo. Poi gli chiedo se può indicarmi dove è il bagno. Oddio, UN bagno. A occhio e croce questa casa ce ne avrà venticinque.

Comunque, lo so che pensate che io sia una troietta, e fate bene, ma non è che potete pretendere che io sia di legno. Perché ciò che ho visto e sentito finora, insomma, come dire, un po’ di pensieri me li ha fatti venire. Ragion per cui faccio la scema, faccio finta di non capire e al bagno mi ci faccio accompagnare dal fratellino. Lo tiro dentro e chiudo la porta a chiave. Eccheccazzo: prima Trilli, poi Camilla… fate rimediare qualcosa anche a me, no?

Ho davanti questi riccetti, questi occhi scuri e tagliati con delle ciglia lunghissime, il naso sottile la bocca perfetta, questo viso glabro e asciutto, per nulla deturpato dall’espressione allibita con cui mi sta guardando. Anche io lo guardo e gli sorrido, cercando di tranquillizzarlo, di fargli capire che è tutto ok, anche se sospetto di avere invece un’espressione da troietta arrapata.

La sua, di espressione, si trasforma invece in imbarazzo e un po’ imbarazzata in realtà mi sento anche io. Le sue gote si arrossano leggermente e io penso ma daaaaaaiiii, se fai così sei ancora più carino, potrei svenire qui.

- Sei bellissimo – gli dico sorridendo e stringendomi nelle spalle.

Ok, l’ho preso e l’ho tirato qua dentro, ma ora che ci faccio? Potrei baciarlo, penso, e infatti mi butto addosso a lui e lo bacio, sperando di non puzzare troppo di alcol. Lui, sarà la sorpresa, non è che baci proprio benissimo ma chissenefrega. Mi stacco un po’ ansimante e gli dico “ciao, io sono Annalisa” e mi rituffo lingua in bocca. Dopo un po’ si stacca lui e mi risponde “lo so che sei Annalisa, io mi chiamo Marcello”. Non è proprio alle prime armi, comunque, vista la mano che mi spalma sul culo. O forse sì, boh. “Ti piaccio?”. Ma sì Annalisa, dai, falla un’altra domanda cretina, perché non gli chiedi come va a scuola? “Che classe fai?”. Ecco, appunto, ma che cazzo me ne frega di che classe fa? “Il quarto…”. Cazzo, però, sembri più piccolo, magari allora sai come si fa… “Ce l’hai la ragazza?”. Va bene, mi arrendo, sono ubriaca e non so che cazzo dirgli, vorrei solo continuare a baciarlo così. “Sì ce l’ho”, dice lui tutto concitato mentre ci baciamo e riprende a strusciare la mano sul sedere. “Ti ho vista quando ti sei tolta le mutandine, e poi quando ti sei inginocchiata…sei magnifica”. “Si vedeva?”. Non c’è bisogno di aggiungere cosa, no? “Solo se uno si abbassava…”. “E tu ti sei abbassato?”, chiedo sentendo un crampo alla fica all’idea che lui possa avermela vista. “Sì… non solo io però…”. Cazzo, adesso decollo. Mi sto limonando questo fantariccetto e l’immagine di una turba di maschi che si abbassano per spiarmi la fica da dietro anziché imbarazzarmi mi fa impazzire. Gli tolgo la mano dal sedere e me la porto davanti, tra le cosce. “La vuoi toccare?”. Lui non risponde nemmeno e non so se per istinto maschile o perché gli piace farlo mi infila un dito dentro. Dio mio quanto sono bagnata, penso trattenendo il respiro. Lui infila immediatamente un altro dito e stavolta devo soffocare il mio gemito sulla sua spalla, per evitare che qualcuno fuori ci senta. Mi distacco un po’ per osservarlo, ma lui distoglie lo sguardo, anche se non smette di frugarmi dentro. Mi devo mordere le labbra e chiudere gli occhi. “Vuoi scoparmi?”. Gli sussurro all’orecchio. “Sì”. Adesso sento il duro del suo cazzo attraverso i suoi pantaloni. Faccio quello che so fare meglio: mi inginocchio e glielo tiro fuori. Mi svetta davanti. Non è tanto grande, è liscio, non si vedono nemmeno le vene in rilievo. In compenso ha la consistenza di una pietra calda, è già lucido in punta e emana il classico odore che mi fa uscire fuori di senno. Non so quali siano le sue esperienze, ma di sicuro la sua ragazza non gli ha mai fatto un pompino de luxe come quello che mi appresto a fargli. Gli do una lunga, lenta slinguazzata per tutta l’asta e poi gioco un po’ con la cappella. Sì cazzo, quel sapore! Lui già ansima forte di suo, rantola letteralmente quando spalanco le fauci e me lo infilo tutto in bocca, non mi dà granché fastidio, solo un po’ di solletico verso le tonsille. Impazzisce quando mi sfilo molto ma molto lentamente. Del resto è quello che voglio: esasperarlo, farlo impazzire prima di rialzarmi e dargli la fica. Ripeto l’operazione due o tre volte alzando gli occhi verso di lui. I nostri sguardi si incrociano e, se io vedo il suo bel visino trasfigurato dal piacere. Gli sorrido tenendo il suo cazzo in bocca, è tutto ok, ragazzo, adesso mi tiro su e mi scopi. Solo che lui non regge. Lo sento pulsare e spingere avanti il bacino e allora penso che vabbè, sticazzi, è arrivato al punto di non ritorno. Lo afferro per le chiappe e lo tiro a me iniziando a pompare a occhi chiusi, stavolta. Mi ansima “sto venendo, sto venendo” e mi mette una mano sulla fronte come se volesse allontanarmi. Che c’è, la tua ragazza vuole che la avverta per scappare via prima che sia troppo tardi? Gli allontano la mano, mi stacco e lo fisso. “Dammi da bere”, gli dico, poi me lo conficco anche più dentro. Marcello crolla. Trema, si gonfia e mi esplode in bocca, con un altro rantolo, molto più lungo stavolta. Mica male, il ragazzo. Non ce la faccio a tenerla tutta dentro, ne devo ingoiare un bel po’, anche se non rinuncio a fargi vedere una cosa che, forse, vede per la prima volta in vita sua. E cioè lo spettacolo della sua crema che galleggia sulla mia lingua e i filamenti che si attaccano al palato. Tengo la bocca spalancata e sorridente, lo guardo negli occhi mentre lui sbuffa ancora con lo sguardo stravolto. Poi butto tutto giù il suo scarico bollente. Mi farà bene. Stiamo immobili per qualche secondo, è chiaro che non sa cosa dire né cosa fare. Ma per me c’è solo una cosa da dire e una cosa da fare in questo momento: “Aspetta che te lo pulisco”, gli cinguetto.

Mi sciacquo la bocca nel lavandino e lui mi chiede se mi fa schifo. Che tenero. Gli dico di no, ma che ho bisogno di avere la bocca pulita. Poi, con un po’ di cautela, usciamo e quasi subito incrocio Viola che sta ostentatamente ignorando Francesco Uno.

- Dov’eri finita? – chiede.

- A fare un pompino al fratellino di Camilla – le dico brusca.

- Dici sul serio?

- Sì.

- Ma è un ragazzino!

- Mica tanto, credevo anche io.

- Ti sei fatta un minore, andrai in galera – ride Viola.

- Manco per il cazzo che è un minore –rispondo - E’ solo imberbe e molto timido. Ma non è un Cresci Bene Che Ripasso. Ed è bellissimo. L’esatto opposto della sorella. L’ho lasciata che si stava facendo fottere in cucina.

- Sì, Camilla è proprio una vacca – ridacchia Viola.

- Non è che tu scherzi tanto – le rispondo sapendo che lei capisce benissimo a ciò che alludo, ossia alle sue serate a tre con una sua amica e un ragazzo che non è Francesco Uno. Ho una discreta voglia di trattarla male, visto lo scherzetto che mi ha preparato.

- No, guarda – ridacchia ancora lei per nulla colpita – né io né te possiamo competere, quella gioca proprio in un altro campionato… Strano, comunque, sono stata in cucina poco fa e non c’era nessuno…

- Beh non è che me ne freghi molto – taglio corto – ho una gara da finire, grazie a te.

Ritorno al mio posto ignorando il suo “come stai?” e mi rimetto in ginocchio, anche se il mio avversario ancora non si vede. Tutti si voltano a guardarmi e io mi sento bene. Giano richiama tutti, la gara deve riprendere. Mi volto e vedo Marcello dietro di me che mi guarda con quegli occhioni da cerbiatto, gli sorrido.

Si riparte e sono un fulmine. Il mio avversario deve togliersi camicia e pantaloni. Resta in boxer. Rivolgo un silenzioso complimento ai suoi pettorali e al modo in cui i peli gli si disegnano in mezzo. Non è oggettivamente nulla di che, ma dopo il pompino fatto al fratello di Camilla sono eccitata e quasi quasi mi verrebbe da dirgli perché non mi chiavi e facciamo a gara a chi viene prima? Sarò onesta, giuro, non fingo.

Naturalmente non succede nulla di tutto questo e i bicchierini vengono riempiti per l’ennesima volta e ci vengono rimessi davanti. Giano dà il via e io mi abbasso, ma arrivata quasi all’orlo mi fermo, ho un senso di nausea violentissimo al solo odore dell’alcol. Mi rialzo, chiudo gli occhi e allargo le braccia. Mi sono arresa, non ce la faccio. Non ce la posso fare. Cazzo, cazzo, cazzo. Mi gira tutto intorno per qualche secondo.

- Forza Annalisa – dice Giano senza pietà – ora tocca a te.

Annuisco facendo segno di lasciarmi stare immobile per qualche secondo ancora, mi rialzo a fatica. Qualcuno mi aiuta ma non so chi, tengo gli occhi serrati. Mi sbottono dietro il collo, mi calo la zip e scrollo giù il vestito, sempre accompagnata dal solito “oooooh” del cazzo. Non me ne frega nulla che mi vedano nuda per dieci secondi. Per me possono passare pure dieci minuti. Sento una voce, Viola probabilmente, che grida “metti giù quel telefono, stronzo!” e immediatamente dopo Giano che ruggisce un “testa di cazzo”, presumibilmente all’indirizzo del padrone del telefonino. Sento un altro che dice, come se si rivolgesse a un amico, sarà magra come un chiodo, ma guarda che culo. Vorrei sorridere, ma non so se ce la faccio. Parte anche qualche applauso. Mi sento male e mi sento bene. Ma soprattutto non me ne frega un cazzo di nulla.

Non ce la faccio nemmeno a chinarmi e a ritirarmi su il vestito. Sono Viola e Trilli che lo fanno per me e mi ricoprono. Apro gli occhi e vedo Trilli con accanto il suo nuovo manzo. Il suo nuovo fidanzato, come li chiama sempre lei. Tempo medio del fidanzamento: tre giorni. Poi sotto un altro. “Ma come cazzo fai”, le dico. Giano mi dà un bacio, gli sorrido e poi gli sussurro “li mortacci tua”.

- Dai tesoro, andiamo da me – mi dice Viola sorreggendomi – Francesco è andato a prendere la macchina.

- Ok – sospiro – è finita.

- E’ finita? – chiede Viola ridendo – Col cazzo che è finita!

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