Questa sera mi chiamo Giulia - 4

Scritto da , il 2019-08-23, genere etero

QUESTA SERA MI CHIAMO GIULIA - La portiera del passeggero accanto al guidatore si apre e dalla Tiguan color ruggine scende una ragazza bionda che ci sorride e fa un segno di saluto con la mano. Poi si infila di nuovo nella macchina ma sul sedile posteriore. Dico a Serena se vuole mettersi davanti ma lei mi risponde “no, meglio che vai tu”. Saliamo e ci scambiamo i bacetti di prammatica. Lapo mi domanda se non voglio togliermi il giaccone ma io gli faccio segno di no, sotto sono vestita leggera e ho voglia di riscaldarmi. In realtà tra le gambe sento benissimo l’eccitazione umida che il racconto di Serena su Li mi ha provocato e temo addirittura per i miei leggings. Anzi, le gambe le allargo anche un po’ per dare modo al riscaldamento interno di asciugarmi.

Viaggiamo nel buio sulle strade semideserte del San Silvestro. Ogni tanto la voce del navigatore ci rompe i coglioni ma Lapo ne ha bisogno. Sia perché il posto è lontano, a una cinquantina di chilometri, in Sabina. Sia perché non essendo di Roma non ha una idea ben chiara di come uscire dalla città per la via più breve.

Sul sedile posteriore ci sono, oltre a Serena, altre due ragazze. Una è Tiziana, Trilli, una mia amica. E’ con noi perché non sapeva cosa cazzo fare, stasera. Tre giorni fa ha lasciato il suo ragazzo. Non che sia particolarmente depressa, eh? Lei i ragazzi li cambia come le mutande e non è nemmeno ben chiaro che tipo di rapporti ci intrattenga dal punto di vista del sesso. E’ capace di stare con uno tre giorni e farci delle grandi scopate ma è capace anche di stare un mese con un altro e limitarsi a delle semplici pomiciate. Di sentimenti, lo capirete da soli, ce ne sono pochi. La durata dei suoi fidanzamenti dipende più che altro da quanto tempo riesce a stare con un tipo senza che gli venga a noia. E lei è una che si annoia facilmente.

Ma questa non è l’unica ragione per cui Trilli è qui. L’altra ragione è seduta accanto a lei, in mezzo, nonostante sia la più alta di noi tutte. E’ Kirsten, la ragazza danese di Lapo. E’ a Roma per le vacanze di Natale.

Serena non la sopporta tanto, è gelosa. Credo proprio che abbia una cotta per Lapo e che sogni una storia con lui. Le ho persino chiesto di dirmi con tutta sincerità se, a parte quella notte che siamo state insieme a lui, le abbia dato fastidio che poi ci abbia scopato da sola. Mi ha detto di no, ma non lo so se è davvero stata sincera. Con Kirsten si mantiene dentro i confini della correttezza, ma se debbo dire che tra le due sia scoppiata la scintilla… beh, ecco, proprio no.

La scintilla è invece scoppiata con Trilli. Siamo uscite una sera con lei e Lapo e sono diventate amicissime. Sono persino uscite a fare shopping insieme, una mattina e adesso stanno lì a parlare e a ridacchiare fitte fitte. In inglese, ovviamente.

Mi sono raccomandata con Serena di non fare la stronza con Kirsten. Lei si è pure un po’ offesa ma gliel’ho ripetuto. Mi dispiacerebbe. E’ una ragazza che è l’incarnazione della dolcezza. E’ appena un anno più piccola di tutti noi ma certe volte, in certe espressioni, sembra una ragazzina. Il soprannome più ovvio sarebbe Sirenetta, ma io la chiamo Bambi. Che, volendo, potrebbe stare per “bambina” ma anche per “bambolona”, visto che è una sventola sopra l’uno e ottanta, cioè quanto Lapo. Ma la verità è che ricorda proprio il personaggio di Bambi, con quegli occhioni e l’aria costantemente tra l’ingenuo e l’incredulo. Non che sia scema, tutt’altro. Ed è anche il contrario di quelle tipe tutte gnè-gnè. Solo che… ecco, non so come dire, è una di quelle ragazza che ti guardano e ti sorridono e sembrano dirti “mi piaci, mi fido di te, voglio essere tua amica”. Senza svenevolezze. Non so se mi sono spiegata.

E’ chiaramente innamorata di Lapo, basta vedere come lo guarda. E, sorpresa, Lapo sembra assolutamente perso per lei. Cioè, voglio dire, Lapo. Uno degli esseri più fedifraghi sulla faccia della terra, uno che credo nell’ultimo mese non si sia fatto solo me e Serena ma chiunque altra gli sia capitata a tiro. Perché per essere figo è figo e scopa come un dannato. All’inizio lo prendevo per il culo chiamandolo “macho man”, ma lo è davvero, cazzo, non si ferma mai e ha pure una certa dotazione.

Kirsten-Bambi è ospite di Lapo e dei suoi genitori. Lo so che vi sembrerà strano, ma da quando l’ho conosciuta ho una domanda che mi frulla per il cervello e che, per discrezione, non oso fare: ma dormite insieme? Oppure lei dorme nella stanza per gli ospiti? Non conosco così bene la casa di Lapo da sapere se c’è o meno una stanza per gli ospiti. Conosco il salone, la camera di Lapo, la camera da letto dei genitori e la cucina. In ognuna di queste stanze ho fatto sesso con lui, ci fosse o meno Serena. E poi il bagno, ovvio. Lì non ci ho fatto sesso ma la sera in cui ho conosciuto Lapo (dava una festa) ho beccato una ragazza che faceva un pompino a un tizio di nome Giampaolo. Vabbè, quest’ultima notazione non c’entra un cazzo con quello che volevo dirvi, me ne rendo conto.

La mia curiosità, un po’ indecente lo ammetto, nasce dal fatto che nel letto a una piazza e mezzo di Lapo ci sono finita pure io, e mi ha sbattuta come un polipo su uno scoglio. Con lei fa lo stesso? E come fanno a non farsi sentire dai suoi? Oppure ai suoi non gliene frega un cazzo? Che non combinino niente lo escludo, perché Kirsten-Bambi è davvero una bella ragazza. Magari un po’ facciosa ma è proprio bella. Forse scopano dopo che il padre e la madre di Lapo sono usciti per andare al lavoro, che ne so…

Ok, ok, lo so che è una curiosità del cazzo. Ma mi è venuta, che vi devo dire? Era giusto per ingannare un po’ il tempo mentre la macchina fila su un breve tratto di autostrada e poi si inerpica per strade buie passando per tre o quattro paesi illuminati dalle luci del Natale.

Le casse diffondono inopinatamente musica classica, Trilli e Bambi parlottano tra di loro e Serena cerca di rendersi interessante agli occhi di Lapo. Penso che manca solo Stefania e poi saremmo al completo. Ma oggi, per lei e per il suo ragazzo, è un giorno speciale. Si sono conosciuti e messi insieme (nonché trombato come animali in calore) esattamente una anno fa, alla festa di San Silvestro. Se ne sono andati a festeggiare sulla neve, giustamente.

Il posto in cui arriviamo è enorme, in aperta campagna. Lapo mi spiega che avrebbe dovuto essere un agriturismo con ristorante annesso. E si vede. E’ su più livelli, con un giardino che nonostante il buio si capisce che è parecchio grande e con diverse costruzioni collegate tra loro da corridoi in muratura o da semplici vialetti piastrellati ricoperti da delle tettoie. Il corpo centrale è completamente illuminato, il resto un po’ meno. Carino, tutto sommato, anche se la sala sembra più che altro un posto da banchetti di matrimonio, per quanto è grande. O almeno, lo sarebbe se ci fossero i tavoli. Serena aveva ragione, fa un freddo becco sia fuori che dentro e io sono vestita in modo troppo leggero. Tengo su il giaccone aspettando che l’ambiente si riscaldi. Chiedo a Lapo chi è che ha affittato questo posto, perché secondo me deve essere costato una tombola. Lui mi dice che nessuno ha affittato niente, perché è vero che avrebbe dovuto essere un agriturismo ma devono avere fatto qualche abuso e i locali sono sotto sequestro. Poiché il padre di Lapo è un imprenditore immobiliare immagino che sappia ciò che dice, anzi mi viene il sospetto che il posto lo abbia trovato lui. “No, ho solo buttato lì un’idea con un mio amico, poi non so cosa sia successo… fatto sta che siamo qui”. Gli dico che non penso che sia una cosa molto legale passare la notte di San Silvestro in un agriturismo sequestrato e mi risponde “no, infatti, è completamente illegale… ma vedrai che nessuno ci romperà il cazzo”.

Prima di metterci a nostro agio bisogna, come dice lui, registrarsi. Serena gli domanda registrarsi per fare cosa e il ragazzo che ci sta di fronte, seduto davanti ad un laptop, risponde “non è che sia obbligatorio, è per il gioco”. Che gioco è, gli chiedo. Dice che prenderà i nostri nomi e che verso le undici saranno sorteggiate delle coppie, a sorpresa. Un ragazzo e una ragazza che potrebbero anche non conoscersi. Anzi, che con tutta probabilità non si conoscono, visto che siamo tanti. La prima prova sarà una specie di caccia al tesoro e servirà per eliminare un po’ di gente. Poi, dopo la mezzanotte una gara di ballo a coppie e infine una cosa a sorpresa. Gli chiedo quale sia la sorpresa e lui risponde “se te lo dico che sorpresa è?”. Ok, hai ragione.

A me, a occhio, sembra tutto un po’ una stronzata, ma non mi va di dirglielo in modo così diretto. Anche perché il ragazzo è gentile e, comunque, il solo fatto di essersi impegnati a organizzare qualcosa merita almeno un po’ di garbo. Così gli dico che è da quando avevo otto anni che non faccio una caccia al tesoro. Mi dice che sarà una cosa un po’ particolare. Poi aggiunge con un sorriso “niente di strano, eh? e comunque te lo ripeto, non è mica un obbligo”. Serena mi fa ridendo “eddai, non fare la stronza come al solito”, io replico con un “ma chi ha detto niente?” che rappresenta, implicitamente, la mia iscrizione al gioco.

Il ragazzo chiede i nostri nomi e, quando arriva il mio turno, gli dico che mi chiamo Giulia. Lapo e le altre mi guardano un po’ sorpresi ma non dicono nulla. Kirsten mi sa che non ha capito, ma va bene lo stesso.

Non è che abbia intenzione di fare polemica, ma domando al ragazzo del computer perché i badge con i nomi scritti a pennarello da attaccarsi addosso siano riservati alle sole ragazze. Lui mi risponde che non ce ne sono a sufficienza per tutti. “Beh potevate darli solo ai ragazzi”, rispondo. Trilli mi porta via mentre le bofonchio “cazzo, ma non si può nemmeno fare una domanda?”. Lapo ride commentando “che scassacazzi…”.

– Non mi andava di dare il mio nome – dico a Serena che mi guarda interrogativa – e comunque, folks, questa sera mi chiamo Giulia anche per voi, d’accordo? Non voglio sentire volare un’Annalisa nemmeno per sbaglio.

Il nome Giulia non so perché l’ho scelto. E’ vero che mi è sempre piaciuto, ma purtroppo lo ricollego a una stronza che veniva con me al liceo. Si presentava tutti i giorni truccata e vestita come se, terminate le lezioni, dovesse andare a una sfilata di moda. Una volta ricordo che si presentò con un paio di pantaloni di Hermès che, da soli, dovevano valere quanto la metà dello stipendio del prof di greco. Non era sempre così, ma il livello, in genere, non scendeva di molto. Mai capito perché non frequentasse una scuola privata, anche se è noto che a Roma i licei pubblici sono migliori e, almeno questo, deponeva a favore dei suoi genitori. Il bello è che non solo era abbastanza figa, era anche brava a scuola. Se la tirava tantissimo. Ma non è questo il motivo per cui mi stava sul cazzo. Il motivo è che mi considerava, e non ne faceva mistero, una puttana che l’aveva data a tutta la scuola. Cosa peraltro sbagliata perché sì, in effetti, soprattutto all’ultimo anno ero una specie di macchina da pompini, ma per averla data, non l’avevo mai data a nessuno. Tuttavia i suoi “arriva la troia” o “questa è malata” carichi di disprezzo me li ricordo bene. Facevo finta di nulla e qualche volta gli sculettavo persino davanti, ma le avrei volentieri menato.

Stando così le cose, il perché abbia scelto il nome Giulia rappresenta un mistero persino per me. Ma ormai è andata e ho pure il badge da mettermi addosso appena tolto il giaccone. Boh, vabbè.

Lapo si presenta con un vassoio carico di bicchieri presi chissà dove. Mi fa “rilassati”. Prendo il bicchiere e lo mando giù quasi in un sorso solo. E’ incredibile come poco più di un’ora fa fossi uscita di casa con le mutandine bagnate e in mente una cosa sola e adesso tutta quella eccitazione sia sparita. Sono ritornata esattamente nella disposizione d’animo che avevo mentre finivo di fare le prove del mio outfit di fronte a Serena, anche un po’ incazzata a dire il vero. Me ne rendo conto da sola e mi domando chissà che cazzo mi è preso. Immediatamente dopo mi dico che sarà meglio cercare di divertirsi senza pensare a nulla.

Mi inserisco nel giro di quattro o cinque ragazzi mai visti prima che hanno dato il via alla danza delle canne. Chiedo “posso fare un tiro?” con la vocina e il tono di una bambina di dieci anni che chiede se può assaggiare un cono gelato. Me la passano, funziona sempre. Do un’aspirata così lunga che suscita un mormorio di protesta dal tipo che viene dopo di me. Trattengo il fumo per un po’ e poi lo butto fuori. Buona, non particolarmente forte. Quello che ci voleva, probabilmente.

C’è della musica che proviene dal salone principale. Raggiungo gli altri. Il combinato di canna e spritz mi ha un po’ sciolta, ma nulla di più. Lascio cadere borsa e giaccone nell’angolo di una enorme porta finestra, di quelle che si aprono facendole scorrere. E’ molto presto e probabilmente non c’è ancora tutta la gente che ci dovrebbe essere, ma nonostante ciò qualcuno abbozza un ballo. C’è un ragazzo che fa da dj, non so quanto improvvisato. Alterna musica un po’ di tutti i generi con un solo comune denominatore, il ritmo.

Ad un tratto mette su una canzone, anni ottanta o anni novanta, che riconosco subito perché era di quelle che mio padre metteva in macchina, almeno sino a quando io e Martina non siamo diventate grandi e ci siamo impossessate manu militari dell’impianto audio. Ho un momento di benessere struggente come a volte solo la nostalgia ti sa dare. Mi volto verso Kirsten e la vedo sorridente, felice e bellissima. La strappo a Lapo esortandola con un “come on, Bambi”, la prendo per mano e la porto a ballare. Si scatena come una ragazzina e anche io mi sento molto una ragazzina. E’ un momento perfetto che dura due o tre minuti, la canzone è molto corta. Lascio tornare Kirsten da Lapo dopo esserci date l’high five. Penso che mi piace proprio questa ragazza dallo sguardo ingenuo che sprizza gioia da tutti i pori. Vado dal dj e gli chiedo se la rimette. E’ un tipo molto figo e, all’apparenza, simpatico nonostante una improbabile camicia arancione. Un tipo, per essere chiari, che non mi creerebbe nessun problema se durante la serata decidesse di provarci un po’. Mi risponde che ha un sacco di altra bella roba da mettere e io gli dico che sì, lo immagino, ma che era tanto tempo che non la sentivo, quella canzone. Mi sorride scuotendo il capo e io, nonostante il suo sia un rifiuto o forse proprio per quello, lo trovo irresistibile. Insisto, faccio la gatta, gli dico “e daaai” con il sorriso migliore che ho. Lui continua a scuotere la testa ma si vede che questa schermaglia lo diverte. Vado a prendere due shottini e glieli porto per farceli insieme. Mi sono allontanata da lui sculettando. Certo, se è uno fissato con le tette non ho molte chance, ma è innegabile che il mio lato B abbia dei solidi argomenti, soprattutto stasera. Gli porgo il bicchiere sorridendo e lui ringrazia scuotendo ancora la testa e ridendo, dice che non riuscirò mai a corromperlo.

– Facciamo un patto? – gli domando.

– Che patto?

– Se entro la fine della festa la rimetti almeno tre volte… magari combiniamo qualcosina…

Attenzione, lo dico con l’aria ironica di chi promette una cosa sapendo che nessuno dei due prenderà sul serio la promessa. Anche se in cuor mio, riguardandolo meglio, penso che fargli “qualcosina”, tipo un pompino, non sarebbe male. Ma è un pensiero lontano, la serata è davvero appena agli inizi, l’eccitazione che avevo uscendo di casa si è placata e io in questo momento ho voglia di ballare, bere, fumare e stare bene. Lui mi guarda spalancando gli occhi tra il sorpreso e il divertito, io mi riallontano sculettandogli ancora davanti e voltandomi indietro una volta per sorridergli e aggiustarmi i capelli. Torno dagli altri ma non faccio nemmeno in tempo a rimettermi a sedere che sento ripartire la canzone di prima. Mi metto a ridere sguaiatamente e i miei amici devono pensare che sia già ubriaca. Afferro Kirsten per la mano e la faccio alzare, lei mi segue divertita e ricominciamo a scatenarci. Diamo davvero spettacolo e ci scompigliamo tutte. Mi pare anche di ricordare il nome della canzone, ora, una cosa tipo “Lifeboat party”. Quando la canzone finisce e riparte un attimo dopo capisco esattamente cosa sta facendo quel disgraziato.

“Cazzo, questo mi ha preso in parola”, penso tra le proteste della gente in sala e costringendo Kirsten a riprendere a ballare. Oddio, almeno all’inizio ballare è una parola grossa, visto che ride e basta facendo segno di voler smettere. La assoggetto alla mia volontà e ricominciamo a dare spettacolo. Quanto il brano finisce e riparte per la terza volta di fila si scatena il delirio collettivo, tra boati di disapprovazione, risate e insulti al dj. Forzo a ballare Kirsten ancora un po’, ma stavolta lei ride e basta, tutta rossa in viso. Con la coda dell’occhio vedo il dj rispondere indicandoci a un tizio che gli grida (a ragione, eh?) “ahò, hai rotto er cazzo!”. Come se volesse dire “ma dai, guardate che spettacolo”. E in effetti, sia pure in modo diverso da prima, lo siamo: io mi agito cercando di far ballare Kirsten, lei ride come una matta, la gente ci guarda, nessun altro balla.

Mi fermo e scoppio a ridere anche io abbracciando la ragazza di Lapo, anche se so di essere la sola a conoscere il significato del gesto che il dj faceva indicandoci. Non era “guardate che spettacolo”, era “sapeste cosa mi ha promesso questa”. Vado un po’ in confusione, un po’ parecchio. Comunque sia, l’applauso ce lo becchiamo. Torniamo da Lapo che ci guarda ridendo anche lui. Mi guardo in giro e vedo Serena che mi osserva perplessa mentre parla con una ragazza. Trilli è fuori dai radar. Kirsten mi dice continuando a ridere “Annalisa, you’re crazy” e si toglie il maglione cercando di respirare un po’, è accaldatissima. A momenti viene via anche il top bianco, mostrando per un secondo un reggiseno color pervinca. E, soprattutto, due tette che levati e che con la sua mania dei maglioni oversize finora avevo solo potuto intuire. Cazzo che perfezione sta tipa, da questo punto di vista mi ricorda enormemente la mia amica Stefania. Le rispondo ansimando ancora un po’ “tonight my name is Giulia” poi mi volto verso il banco mixer perché sento che la musica è ripartita e mi ricordo del dj. Avrà messo su qualche playlist del cazzo, perché lo vedo sotto un archetto che mi guarda e che mi fa l’occhiolino. Gli sorrido senza sapere bene che fare e torno a guardare i due fidanzati. Kirsten si è già abbandonata sulle ginocchia di Lapo e gli ha gettato le braccia al collo, lui le ha già infilato la lingua in bocca e le stringe una coscia. “Nessuno si faccia illusioni, lei è mia”, ecco cosa significa questo gesto. E con le parole non avrebbe potuto spiegarsi meglio.

Sono certa che anche Bambi ne è consapevole. La mia consapevolezza, invece, è un’altra: nonostante mi abbia scopata per un giorno intero con il suo cazzo da diciassette centimetri belli larghi, non mi ha mai fatto sentire così sua. Mi ha chiavata e mi ha usata come una mignotta, questo sì. Mi ha fatto godere per ore, letteralmente. Mi ha sodomizzata con brutalità facendomelo pure piacere. Ma non mi ha mai fatto sentire sua. E’ stata solo una bellissima ginnastica.

Lo avverto con una lucidità estrema, e l’unica parola che potrei usare per definire il mio stato d’animo in questo momento è “rammarico”, unito a un po’ di tristezza e a una punta di invidia. E mi vergogno pure un po’ a essere invidiosa di Bambi. Così mi volto un’altra volta verso il dj, che è lì che mi guarda, curioso più che ansioso di vedere se darò seguito alla mia promessa. Sicuramente starà pensando che sia una ragazzina che l’ha sparata grossa, ma vuole andare a vedere. In ogni caso, non è questo che mi spinge a raggiungerlo, non me ne frega un cazzo di dimostrare nulla né di smentire le sue opinioni. Ci vado più che altro per allontanarmi da quel quadretto romantico.

Dico a Lapo e alla sua bella “vado a cercare un bagno” ma non mi si filano di pezza, impegnati come sono a limonare. Raggiungo il dj che mi fa segno di seguirlo verso una zona via via più buia del casone. Gli domando “ma questo posto lo conosci?”, risponde “no”. “E allora dove cazzo mi porti?”. Non ottengo risposta. Arriviamo a una scala che conduce verso l’alto, mi afferra una mano e mi trascina su. Lo seguo ridacchiando come una cretina, come sempre. Apre una porta dietro la quale potrebbe esserci qualsiasi cosa. In realtà è una stanza vuota, illuminata appena dalle luci di fuori. Nella stanza c’è solo una specie di piccolo scrittoio, nemmeno una sedia. E quando richiude la porta ci accorgiamo che non c’è neanche la chiave. Per un attimo restiamo l’una di fronte all’altro a guardarci.

Non credo che mi abbia trascinata sin qui per raccontarmi la storia della sua vita, no? Un’idea me la sono fatta eccome. E mi piace pure, ve l’ho detto. Solo che… ecco… solo che è troppo presto. E quando gli ho detto “magari combiniamo qualcosina” non intendevo certo dire subito, ora, al piano di sopra. Intendevo dire magari più tardi, alla fine, vediamo se mi va, se non… oh, insomma, mi avete capita. E se non lo avete fatto, me so’ capita io.

– Che ci facciamo qui? – gli domando facendo la finta tonta.

– Beh, avevi fatto una promessa – risponde.

– Hai fretta? Avevi paura che sparissi come Cenerentola? Ahahahahahah – gli chiedo ridendo per stemperare un po’ la tensione. Ma il mio risolino, lo so io e lo sa lui, sa un po’ di isterico.

– Non potevo perdere tempo – risponde – tra un po’ arriva la mia ragazza…

Mi dico “porca vacca che sfiga”. Cioè, intendiamoci, è carino ma non è che mi ci volessi sposare. Però che ci fosse un’altra ragazza di mezzo non l’avevo proprio messo nel conto. Quindi, se si vuole fare qualcosa, qualsiasi cosa, bisogna farla adesso. E adesso, alla sottoscritta, come vi dicevo non è che vada tantissimo di fare qualche cosa. Lo so che vi sembrerà strano, conoscendomi. Ma non sono ancora sintonizzata su questa lunghezza d’onda. Ero sintonizzata più su qualcosa del tipo ballo, mi godo gli sguardi, fumo, mi faccio corteggiare, passare qualche mano furtiva addosso, rido, mi ubriaco, gioco. E poi si vede. Ora invece c’è questo qui che non lo so mica se si accontenta di una fugace limonata e di un numero di telefono (vero o falso che sia, devo ancora deciderlo).

Tuttavia, mentre penso tutto ciò, lui prende e mi bacia. Così, cotta e mangiata, senza una parola in più. Dopo qualche secondo di sorpresa (reale) e qualche altro secondo di ritrosia (simulata) mi dico “ok, vada per una limonata di intensità media”. Rispondo al bacio attorcigliando la lingua alla sua e strusciandomi fino a sentire le tettine indurirsi contro il suo petto. Sul ventre, la pressione di una carne che dentro i suoi pantaloni si sta gonfiando. A questo punto, mi dico, il livello della limonata può anche passare da “medio” a medio-alto”. Va bene, è fidanzato, e che problema c’è? Sono specializzata nell’essere lo strumento con il quale gli uomini mettono le corna alle proprie donne. Al piano di sotto c’è una ragazza danese che probabilmente si taglierebbe le vene, se solo sapesse. Dimmi che intenzioni hai, bel dj, e come pensi di realizzarle.

– Il “qualcosina” che volevi fare si limita al bacio? – è la prima cosa che mi domanda appena ci stacchiamo.

– Chi lo sa? – replico leccandogli un labbro e rimanendo incollata contro di lui.

– Quanti anni hai?

– Sedici – mento.

Cazzo, ho diciannove anni, non so nemmeno io perché gli dico questa stronzata. Come non so perché cazzo me l’abbia chiesto, cosa cazzo gliene freghi in questo momento. Sì d’accordo, me lo dicono tutti che sembro più piccola. Hai per caso delle remore a fare il porco con me?

– Come ti chiami?

– Questa sera mi chiamo Giulia, e questa sera tu ti chiami dj.

– Sei proprio carina, Giulia.

Sto per ringraziare con il mio classico “grazie, lo so” che in genere uso per mantenermi su una posizione di superiorità davanti ai miei corteggiatori. Tranne quei casi in cui non ho già deciso di consegnarmi come docile preda, ovvio. Però ancora una volta mi prende alla sprovvista e mi ribacia, con maggiore foga di prima. E lo fa infilandomi la mano nello scollo della camicia e stringendomi forte il seno e il capezzolo, per giunta.

Appena mi molla (perché è lui che mi deve mollare, la sua stretta è così forte che da sola non ce la faccio a divincolarmi) gli faccio “ehi, questa mano”, con un tono, diciamo così, di credibilità abbastanza bassa. Anche perché mentre mi stringeva la tetta ho tirato fuori una gemito da gattina neonata che certo non è quello che emetterebbe una ragazza indignata per l’oltraggio. Del resto, è difficile fare l’indignata quando ti senti squagliare in mezzo alle gambe. Perché sì, cazzo, contrariamente a ogni mia aspettativa è proprio questo che è accaduto, anche se cerco di non darlo a vedere.

– Dai, togliteli – mi dice tirandomi l’elastico dei leggings.

E meno male che non mi mette direttamente una mano in mezzo alle gambe. Perché in quel caso lui si sarebbe certamente accorto del mio stato e io sarei partita al volo, e a quel punto ci sarebbe stato poco da discutere.

– No, dai – rispondo – non mi va.

E il bello è che non mento. Nonostante abbia già iniziato a bagnarmi, non mi va di essere scopata. E che cavolo, siamo già passati alla scopata? Dovevamo pomiciare!

Lui però insiste, arrapatissimo. Ma se insistesse solo con le parole, poco male. No, mi palpa il culo, le tettine, si struscia. Anzi, mi struscia addosso il pacco sempre più voluminoso. Va bene, perché no? E’ illogico e contraddittorio, ma perché no? Voglio dire, fino a un po’ di tempo fa non mi andava, ma se mi tocca così e si struscia così… Cazzo, un po’ di voglia me l’ha messa. Se non altro di succhiarglielo.

– Se vuoi – gli sussurro – posso scendere al piano di sotto…

Sulle prime non capisce, forse pensa che voglia davvero ritornare nel salone, rimane spiazzato. Ma il mio sguardo ostentato sul suo pacco lo rimette in carreggiata.

– Con vero piacere – risponde. A suo modo è un gentiluomo.

Mi poggia le mani sulle spalle e mi accompagna nella discesa. Ma certo, bel ragazzo fidanzato, affare fatto. E con mucho gusto.

Davvero mucho gusto? Mah… non saprei. Non so bene cosa cazzo ho stasera, ma appena tocco il pavimento con le ginocchia quasi mi viene da ripensarci. Dal suo punto di vista è una fortuna che se lo tiri fuori alla svelta, senza darmi il tempo di ragionare. Svetta, è già duro e forse già umido in punta, anche se non riesco a vedere bene. Ma l’odore di maschio mi sembra inconfondibile e comincia a darmi alla testa. Come fa a sapere che non posso resistere a una cosa del genere? Come fa sapere che non mi posso tirare indietro, adesso?

– Hai un bel cazzo, dj – gli sussurro guardandolo dal basso verso l’alto mentre lui mi ha già praticamente poggiato la cappella sulle labbra.

E quindi ok, facciamolo questo pompino, anche se sarà davvero un pompino a perdere. Non che sia la prima volta che ne faccio uno, facciamo a capirci. E non sarà nemmeno, per dire, la decima. Solo che, come dire, almeno divertiamoci un po’. Mi dico: Annalisa, evita di fare la solita figura dell’affamata. Così alzo lo sguardo verso l’alto e mi sembra di vedere i suoi occhi stralunati nell’attesa di una mia mossa. Forse qualche sorella mi potrà capire, è quel momento. Quello in cui il lui di turno aspetta solo che io apra la bocca sul suo cazzo e lo accolga. Brucia dalla voglia. E io adoro vederlo bruciare dalla voglia. Lo lascio friggere per un bel po’, abbassandogli i pantaloni alle caviglie e baciandolo sul pube, sul ventre, sulle cosce. Sulle cosce per la verità lo lecco a lungo, arrivando a sfiorargli i testicoli, lo sento fremere. Va bene, d’accordo, tra un po’ arriva la tua ragazza. E anzi, magari hai paura che sia già arrivata e ti stia cercando. Ok, capisco. Capisco l’urgenza che mi vorrebbe comunicare quella mano sulla nuca, non sono scema. Ma fatti dare un’altra leccata alle palle, prima, ché questo sacchetto gonfio e morbido che avete tra le gambe mi fa impazzire.

Ma poi, quando anche fare la stronzetta non mi diverte più, lo spompino come so fare io. E deve proprio piacergli, lo sento da come si agita e ansima.

– Chi lo direbbe che sei così mignotta? – sospira.

Stranamente, la sua improvvisa volgarità mi urta. Non dico che mi offenda, ma quasi. Mi piace essere insultata, ma in questo momento è diverso. Non so bene come spiegarlo, ci provo. E’ come se lui mi avesse battezzata puttana sin dal primo momento che mi ha vista. Quando invece il gioco che mi piace è un altro: lo decido io quando essere la tua puttana, ok? Non è che puoi mettere la stessa canzone tre volte di fila e pensare “adesso sta troietta me la faccio”. Non mi vendo per tre canzoni. E quando ti ho detto “magari combiniamo qualche cosa” intendevo dire balliamo, limoniamo un po’ ridiamo e… e poi si vede. Questo intendevo, che cazzo ne sapevo che adesso arriva la tua ragazza e mi devo pure sbrigare a farti un pompino? Anzi, ora quasi quasi smetto.

No, ok, non smetto. Ma giusto perché mi afferra la nuca e me la spinge verso di sé per ficcarmelo dentro più a fondo. Giusto perché accompagna il mio conato con un rantolo strozzato.

A ogni accenno di tosse, a ogni conato, mi sforzo di ficcarmelo in gola il più possibile per fargli capire che non deve fermarsi, che mi piace così. Me lo devi dire adesso che sono una mignotta, stronzo. Perché adesso mi piace, lo voglio.

Non me lo dice, forse non gli va di ripetersi. Però mi dice altre cose che hanno esattamente quel significato. E va bene così. Mi dice “tu prendi cazzi dalle elementari per come lo succhi”, e immagino che sia un complimento. Aggiunge “chissà quanti ne spompini nei bagni della scuola”, e io prima penso che in effetti sì, pompini al liceo ne ho fatti, ma nei bagni mai, chissà perché. Poi mi chiedo come mai si sia fissato con questa cosa della scuola e solo allora mi ricordo che gli ho detto che ho sedici anni. Ma se lui si eccita con questa cosa della liceale beh, sticazzi, meglio. Voglio proprio che si ecciti fino a esplodere. Ragione per cui la mia risposta, considerata la situazione non può che essere “mmm… mmm” accompagnata da un lieve movimento in basso della testa.

Mi afferra per i capelli, quei capelli che prima mi ero aggiustata per lui. Lo strappo mi fa strillare, ma non sarebbe niente. E’ un dolore che adoro. Mi allarma però quello che vedo, ossia l’altra mano che comincia a segarselo furiosamente davanti al mio viso. Mi tuffo ad imboccarlo di nuovo quasi gridando “no, faccio io!”. E non perché prima, quando ero ancora a casa con Serena, avevo detto che stasera mi sarebbe piaciuto ingoiare. Ma sticazzi, ora in realtà mi starebbe più che bene che me la spruzzasse addosso. Solo che, cazzo, una volta che mi sono truccata fammici stare almeno un po’, no? Vuoi rovinare tutto e subito?

E’ una fortuna, perché riprende a scoparmi la testa e non si ferma nemmeno dopo avere liberato i suoi ingenti fiotti direttamente nel mio esofago. Ne fa così tanta che avrebbe potuto tranquillamente tracimare fuori e fare un casino, ma sapete com’è: sono brava e ho anche una certa esperienza in materia. Se me l’avesse schizzata in faccia, però, mi ci sarebbe voluta una doccia, ve lo assicuro.

Dopo che gli ho ripulito il cazzo e gliel’ho rimesso nei calzoni fa una cosa che, sinceramente, apprezzo. Ovvero, mi tira su e mi bacia. Incurante di tutto, anche che la sua ragazza in arrivo possa avvertire un sapore strano. Sta ricominciando a piacermi, il ragazzo.

– Sei una bella mignotta, Giulia.

– Già… – sorrido

– Mi dai il tuo numero?

– Perché?

– Per farmi dare l’altra cosa che mi hai promesso…

– E cosa ti ho promesso? – chiedo sinceramente stupita.

– Secondo me questa era una promessa – dice afferrandomi il sedere e tirandomi a sé, in modo da farmi sentire il suo pacco – il modo in cui mi hai sculettato davanti era anche più di una promessa…

– Ah sì, eh? – gli faccio cercando di nascondere almeno in parte il piacere che quella sua stretta mi provoca.

– Sì… dammi il tuo numero, voglio rivederti…

– Sei fidanzato, bel dj… e io ho appena pagato il mio debito…

Per un attimo si blocca, e temo che si incazzi. Arrivati a questo punto ammetto che mi dispiacerebbe. Poi però mi passa una carezza sul viso, senza astio. Semmai mi pare un suo modo di dire “peccato”. Sa che a volte va bene e a volte no. E del resto si è già beccato un signor pompino. Io invece mi sono già beccata una bella sequela di insulti e una copiosa sborrata in bocca. E sono appena le nove e mezza di sera. Sto veglione è cominciato bene…

Prima di andarsene non insiste più di tanto. E anche questo mi piace. Mi piacerebbe forse di più se richiudesse la porta alle sue spalle, invece di lasciarmi nella penombra con una tetta di fuori, le labbra che sanno del suo sperma e un senso di fradicio giù in basso. Nel corridoio è buio e non c’è nessuno. Ma il solo fatto che qualcuno possa passare e mi possa vedere così mi fa sentire davvero troia al quadrato.

A sto punto il bagno dovrò cercarlo davvero, per darmi una sistemata e controllare che lì al cavallo dei leggings non abbia fatto un macello. E’ davvero imbarazzante quanto mi sia bagnata a succhiargli il cazzo.

Mi risistemo un po’ e scendo nel salone. Passo vicino a Lapo che mi chiede dove ero finita. A ringraziare il dj per prima, gli dico. E mi passo la lingua sulle labbra con l’espressione di una ragazzina che ha appena fatto una birichinata. Lui mi lancia uno sguardo che traduco come se intendesse “no, dai, hai cominciato subito a fare la zoccola?”.

– Ahahahahah – gli rido in faccia – non potendolo fare a te… No, no, scherzavo, ci ho limonato un pochino e basta…E’ pure fidanzato…

– Come se te ne fregasse qualcosa – ribatte con un sorrisino.

– Ma no, lo sai che sono una brava ragazza.


CONTINUA

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