Monella!

Scritto da , il 2018-10-27, genere saffico

Con un ultimo paio di carezze vengo, e ancora ansimante mi piego sulle ginocchia. Alzo gli occhi e vedo il suo sguardo che, dall’alto delle cosce divaricate, mi osserva compiaciuta e mi sussurra a fil di labbra: Monella!
Penso che evidentemente è il mio destino: compiacere donne mature inginocchiandomi fra le loro gambe.

Ne sono ipnotizzata; la gonna lunga al ginocchio è leggermente risalita, e io, incuneata in ginocchio là sotto, non riesco a staccare gli occhi da quella striscia di pelle biancastra fra l’orlo dell’autoreggente e il bordo delle mutandine che le solca l‘inguine.
La pelle è percorsa da un reticolo di venuzze azzurre, che a dispetto del seno alto e sodo e del volto dai lineamenti giovanili ne rivelano l'esatta età; ma questo non la rende ai miei occhi meno attraente, anzi, è proprio il tipo di ambiguità che stuzzica la mia curiosità e accende il mio desiderio.
Sento la sua voce parlarmi e cerco di staccarmi dalle mie fantasie per abbozzare una risposta credibile; immagino mi stia dicendo che neanche questo modello va bene e se ho qualcos'altro da suggerirle. Nessun problema, anzi, purché la gonna torni a risalire, mi sottopongo volentieri al supplizio di un’altra decina di minuti di fantasticherie.
Alla fine la scelta cade sul modello Monella, che quest’anno va alla grande: decolletes con tacco vertiginoso, un plateau quasi invisibile ma che contribuisce a slanciare la figura, rivestite in tartan, un tessuto scozzese a quadri rossi e neri che fanno eleganza e trasgressione in egual misura.
Un pizzico di follia è proprio ciò che serve per enfatizzare e valorizzare la sua figura di donna matura, penso, rendendomi conto della mia assenza di obiettività; ma davvero, abbinate al vestito nero che indossa, le scarpe le stanno d'incanto. Così, con mio estremo dispiacere, devo rialzarmi e dare l’addio a quella visione paradisiaca.
Posso pagare in contanti? Certo, nessun problema.

La porta si apre con uno scatto metallico, ed io entro titubante. Lei è lì, in accappatoio. Si avvicina e mi sfiora le labbra con un leggero bacio. Si slaccia la cintura e l’indumento le scivola dalle spalle appallottolandosi a terra. Rimane vestita solo delle scarpe Monella mentre i suoi capezzoli gonfi stanno già puntando nella mia direzione. Avevo capito giusto.

Al momento di pagare aveva avuto una leggera incertezza, come una resistenza a lasciare le banconote. Avevo alzato gli occhi ai suoi in un muto interrogativo, ma dopo un breve attimo carico di elettricità aveva poggiato il contante sul bancone ed era uscita dal negozio.
A fine giornata, contando l’incasso, notai una banconota con appuntato sopra, in grafia frettolosa, un numero di cellulare; collegai mentalmente la scritta con quel muto momento di impasse senza però comprenderne appieno il significato. Fra mille dubbi e incertezze, mandai un messaggio al numero, scrivendo semplicemente “Monella?”; dopo pochi attimi avevo avuto in risposta un cognome, un orario e l’indirizzo al quale ora mi trovavo.

Mi prende per la mano, e tacchettando mi precede in salotto, le scarpe alte che sottolineano il gioco delle natiche. Evidentemente l’azione di rifacimento si è fermata alla vita, piatta e tonica come quella di una sedicenne, e non è scesa più in basso. La miscela di onesta maturità e giovinezza artificiale, dove la seconda, lungi dal nasconderla, esalta per contrasto la prima in una rinnovata sincerità, mi riempie di tenerezza e mi eccita in un modo indicibile.
La donna si distende su un divano, divarica le gambe e io istintivamente mi inginocchio là in mezzo, quasi a riproporre un déjà vu o più semplicemente la mia quotidianità lavorativa. Mi afferra la nuca e delicatamente porta il mio volto al suo sesso, già fradicio. La mia prima passata di lingua, dall’ano lungo le labbra fino alla clitoride le strappa un sospiro di piacere. Alzo gli occhi e la vedo intenta ad accarezzarsi i capezzoli, la testa ansimante rovesciata all’indietro; poi sento le sue gambe scavalcarmi le spalle e tirarmi a sé, con i tacchi delle scarpe che mi pungolano i fianchi e mi tengono stretta in quella posizione.
Allungo una mano al mio sesso, anch’esso già umido, poi affondo la faccia nel suo e da lì in poi è solo piacere, fino alla fine, fino a quando, con un ultimo paio di carezze vengo, e ancora ansimante mi piego sulle ginocchia.

Per tutta la primavera e l’estate successive ci vediamo con una certa regolarità, e lei, sempre vestita esclusivamente dalle scarpe Monella, mi guida alla scoperta di situazioni ed esperienze che non solo non avevo mai immaginato di fare o farmi fare, me neppure sapevo esistessero.
Fino ad un giorno, era autunno avanzato, quando il suo abbigliamento cambiò; le decolletes, effettivamente non più adatte alla stagione, erano state sostituite da una paio di tronchetti, sempre in tartan rosso e nero, che le fasciavano la caviglia e risalivano le gambe fino all’attaccatura del polpaccio.
Non avendola notata in negozio, fingendo di metterle il broncio, scherzosamente la accusai di avermi tradito; lei, sorridendo di rimando, mi disse che c’erano tradimenti che escludevano e altri che includevano. Rimasi un attimo perplessa sul significato da dare a quelle parole quando il campanello suonò, e dopo il consueto scatto metallico che ben conoscevo entrò una ragazza piuttosto graziosa e con un bel caschetto di capelli neri alla Valentina.
La donna si avvicinò ad entrambe, poggiò un bacio leggero prima sulle labbra della ragazza, poi sulle mie, come di consueto fece scivolare l’accappatoio, e dopo averci prese per mano, ci precedette in salotto.

Come al solito mi inginocchio fra le sue cosce, Valentina invece, sotto sue indicazioni, si siede a cavalcioni sulla sua pancia e mentre struscia il sesso sull’addome viene guidata, con la consueta sollecitazione alla nuca, verso i suoi capezzoli, che comincia a succhiare avidamente.
Alzo gli occhi e anziché il suo volto ansimante noto la linea curva del dorso di Valentina, che dalla nuca scende lungo le spalle, i fianchi ed arriva al solco delle natiche, dove fa capolino un bocciolo di carne rosata. Allungo il collo per leccarlo, cosa che induce Valentina ad interrompere per un breve attimo il suo lavorio sui capezzoli. Dopo aver divaricato meglio le gambe per facilitarmi il compito, Valentina torna ad accanirsi sul suo seno ed io ricomincio a leccarla fino a quando mi pare ben lubrificata; allora vi introduco un dito in profondità, strappandole un mugugno di piacere, mentre i petali del bocciolo aderiscono alla mia penetrazione e ne accompagnano i movimenti.
Ma ben presto i tacchi della donna mi richiamano all’ordine, reclamando per la padrona la giusta dose di piacere. Senza ritrarre il dito, faccio appena in tempo a raggiungere con una mano il mio sesso che la donna mi tira a sé; e per tutte tre, così intrecciate, da lì fino alla fine, è solo piacere.

Alla fine, a fil di labbra, la donna ci sussurra: Monelle!

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