Il collare - Cap.5

Scritto da , il 2018-05-07, genere zoofilia

Il modo in cui Sveta aveva reagito al fatto, mi aveva lasciato perplesso e deluso.
Speravo però,che fosse solo una reazione momentanea, che appena successo fosse solo ancora troppo scioccata per prendere provvedimenti, quindi il giorno dopo attesi pazientemente che accadesse qualcosa.

In fondo, dopo aver fatto passare qualche giorno, Laura mi aveva portato dal veterinario.
Pensavo quindi fosse logico aspettarsi qualcosa di simile.
Non successe nulla questa volta.

Sveta si comportava esattamente come prima, neache fossi stato io a immaginare tutto.
Niente sguardi sospettosi, niente diffidenza: giocava con, me mi carezzava, mi dava da mangiare.
Tutto come esattamente come prima.
Poi capii.

Che stupido che ero stato a pensare che una ragazza, una donna, come lei non ne avesse viste di tutte i colori in vita sua.
Davvero avevo creduto che potesse rischiare quel fantastico posto di lavoro, così ben retribuito, solo per aver dovuto fare una sega ad un cane?
Sicuramente le era già capitato di peggio...
Ero al punto di partenza, perche lei lì, in quella gabbia dorata, ci voleva rimanere, a differenza di me.

Fra l'altro, stringerle la gola tra le mascelle, mi aveva fatto capire quanto mi sarebbe stato impossibile mordere qualcuno, se ancora avessi avuto dubbi a riguardo.
L'unico che avrebbe mai potuto suscitarmi il giusto stato d'animo per fare una cosa del genere era Manetti, l'ottimo Manetti, che probabilmente in quello stesso momento si stava sollazzando allegramente con mia moglie.
Ma lui non c'era, non poteva aiutarmi.

Così arrivò Halloween.
Quel giorno, per tutto il pomeriggio Sveta fù occupata con il bambino, portandolo prima di cena, anche a fare un piccolo giro del vicinato in cerca di dolcetti, in puro stile Yankee.
Anche Martina festeggiò quella sera, sempre nella sua solita, personalissima maniera.

Aveva messo un costume da strega, con tanto di cappello a punta e scopa di saggina.
Il tacco dodici e le autoreggenti a vista sembravano una sua aggiunta.
L'aveva presa proprio sul serio, arrivando perfino a tingersi i capelli di questo bizzarro nero melanzana, che su di lei faceva più un effetto 'club prive' che ' serata di Halloween in famiglia'.
Una strega decisamente sexy dunque, quasi al limite del porno-soft.

Era stata capace di ricevere i bambini dei vicini così conciata, scatendando le occhiate di desiderio o riprovazione da parte dei genitori che li accompagnavano, a seconda che fossero papà o mamme.

Tornati Jermy e Sveta, una volta messo a letto il bambino, aveva poi cominciato a farsi selfie e bere vino, andando rapidamente sù di giri.
La sua occupazione preferita.

Contagiata dalla sua vivacità, persino la giovane colf ucraina aveva acconsentito a bere un bicchiere.
Le si leggeva in faccia però, come Martina le facesse quasi pena; la ragazza sapeva che anche stasera Alberto avrebbe fatto tardi, come praticamente quasi tutte le altre volte, e non voleva esserci quando la signora se fosse accorta, quindi mi prese per il collare, diede una calorosa buona notte e si congedò, portandomi con se al piano superiore.

Anche quando rimanemmo soli, notai per l'ennesima volta come Sveta non sembrasse proprio per nulla intimidita da Ged.
Diavolo di donna, aveva letto perfettamente il mio bluff, quasi come se sapesse meglio di me quali carte avevo in mano.
Ero solo un altro maschio arrapatato dopotutto...

Mi chiuse in camera come al solito senza imbarazzo alcuno, prima di ritirasi, immagino, nella sua stanza.
Erano le nove e mezza circa.

Alle undici insoddisfatto e pensieroso, decisi di provare ad uscire.
C'ero già riuscito una volta, la sera che mi ero risvegliato in questo corpo, poi non ci avevo più provato.
Mi infastidiva come per Sveta fosse tutto normale, volevo, dovevo, assolutamente provocare una reazione, se volevo che Ged venisse spedito dal veterinario.

Il corridoio era buio, riflettei che non sapevo quale fosse la sua stanza.
Dopo un attimo di esitazione, decisi di lasciarmi guidare dal mio naso.
Era meno preciso di quello di Nerone, notai con disappunto per la prima volta, anche se non di molto, eppure la differenza la percepivo chiaramente.
Nonostante ciò, mi condusse rapidamente al piano di sotto, di fronte una porta chiusa.

Nessun rumore proveniva dall'interno, e, guardando dallo serratura, sembrava fosse tutto buio all'interno.
Era quello che mi aspettavo.
Quello che invece mi sorprese, fu trovare la porta chiusa a chiave.
Altro che, la ragazza sapeva come badare a se stessa.
Mi fermai a scodinzolare abbacchiato lì davanti per qualche minuto.

Quando stavo per ritornarmene della mia camera, notai la luce venire dal piano inferiore.
Tesi l'orecchio.
Nulla.

Scesi, il soggiorno era illuminato dalla luce soffusa di una lampada a piantana, sembrava deserto però.
La traccia odorosa del profumo di Martina aggrediva le mie sensibilissime narici, come al solito.
Era incredibile quanto profumo mettesse quella femmina a volte, spesso capitava che ci volessero ore prima che si dileguasse da un ambiente.

Trottai verso la cucina, deciso a trarre qualche vantaggio, seppur minimo, da questo brandello di libertà che mi ero procurato.
Aprii il frigo senza troppa fatica, afferrando un'incartata di prosciutto particolarmente profumanta.

"Albertooo ... finalmenthe... mhh..."

Lasciai cadere il pacchetto a terra trasalendo di colpo.
Mi affacciai esitante al soggiorno, era da li che era venuta la voce.

Subito notai Martina distesa sul divano.
Era tutta avvolta nel mantello del suo costume, le faceva da coperta.
Il cappello, schiacciato sotto la testa, il bicchiere vuoto, appoggiato a terra.
La bottiglia, vuota anch'essa, faceva bella mostra di se sul tavolino al lato del divano.

Mi avvicinai, sembra buffo dirlo, cercando di fare meno rumore possibile.
Avevo già intuito come Martina, nella spesso squallida solitudine della sua vita dorata, avesse avuto una spiccata predilezione per l'acool quale metodo per anestetizzare la sua anima.
Non mi era mai capitato di vederla in quello stato, però.

Guardandola così, indifesa, ronfare sonoramente mi fece venire un idea.
Forse avevo trovato qualcosa di interessante da fare...

La annusai con circospezione, non essendo sicuro di come potesse reagire e di quanto fosse effettivamente ubriaca.
Il suo profumo mi respingeva, sembrava che tutto il costume ne fosse impregnato, assieme ad un odore che credo fosse quello della naftalina misto a muffa.

Feci per addentare il mantello, ma mi bloccai.
Una breve, furiosa, battaglia ebbe luogo dentro la mia testa in quel microsecondo di esitazione.

Ripensai a quello che avevo fatto con Sveta, al fatto che non mi sentissi in grado di mordere nessuno...
Che bravo...
Però forse Martina era il bersaglio giusto, l'anello debole...
Di certo sembrava la persona che più di tutte in casa fosse predisposta ad essere spaventata da Ged, nelle giuste condizioni.
Già, le giuste condizioni... Quali potevano mai essere?

Non vado fiero di quello che successe dopo.

Strattonai il mantello, venne via con estrema facilità, dacchè il laccio attorno al collo della ragazza era già stato sciolto precedentemente, probabilmente da lei stessa nel tentativo di mettersi più comoda.
Il costume in se, privato di quella protezione, era veramente succinto e provocante .

Infilai immediatamente il muso sotto la corta gonna, tra le cosce.
Ah, si, quello era un odore che mi piaceva, l'odore di femmina.
Sentii mugolare Martina sommessamente, ma visto che il mio obbiettivo era quello di farmi buttare fuori di casa, non ci badai poi tanto.

Mi ero dato una scusa perfetta...
Perfetta per approfittare appieno dell'impunità che mi dava quella mia condizione...
Perfetta per abbracciare quel lato animale che mi era cresciuto dentro, all'ombra del mangiare le cose da terra, dello stare nudo per tutto il tempo, del farmi il bidet con la mia stessa lingua.

Cercani addentare gli slip di Martina, ma da quella posizione non mi riusciva.
Mi ritrassi, le leccai la faccia, cercando di capire che margine di manovra avessi, quanto capisse di quello che succedeva.
Il trucco da strega era un po' sfatto, il pesante strato di mascara attorno agli occhi le si era sciolto sulle gote, doveva aver pianto...
Solo il rossetto viola, lucido, sembrava ancora perfetto, sapeva di frutta.

"Mmmm...Albertoh..."

Balzai sul divano.
Se uno scienziato avesse osservato la scena, avrebbe sicuramente preteso di studiare quel cane al termine di tutto...
Presi nella mia bocca una delle sue caviglie, sentivo la fibbia delle scarpe di vernice contro la lingua, la fibra delle calze impigliarsi nei denti.

Tirai, prestando la massima attenzione che il piedino di Martina non subisse danni tra le poderose mascelle di Ged durante quell'operazione.
Non fù così difficile, era una scricciolo quella ragazza e la stoffa sintetica del costume scivolava a meraviglia sul divano.
Mollai la presa, balzai giù sul costoso tappeto persiano, poi ricominciai a tirare, da terra questa volta.

Terminata l'opera, guardai con soddisfazione il bel sedere tondo di Martina sporgere oltre il bracciolo del divano, coperto solo da uno striminizito tanga nero.
Ce l'avevo proprio davanti al muso.
Il vestino era rimasto quasi tutto arriccianto sotto il suo seno, dall'altro lato del bracciolo.
La carne lattea, liscia, delle cosce infilate dentro le autoreggenti nere, erano decorate con dei piccoli pipistrelli notai.

Leccai quelle natiche, bianche uova di struzzo, fino a renderle lucide di saliva.
La pelle di Martina aveva un sapore buonissimo in quel punto, quasi totalmente scevro dal profumo con cui si innaffiava il collo tutte le mattine.
La sentivo ridere e soffiare tra se, nel sonno, quasi le stessi facendo il solletico.

Provai a sfilarle gli slip.
L'elastico era una sottilissima striscia di tessuto, praticamente filo interdentale per la bocca di Ged.
Sentivo ogni piccolo pelo sulla pelle di lei, l'osso piatto del coccige, ma addentarlo pareva impossibile.

Dopo diversi tentativi a vuoto, ci riuscii quasi per caso, tuttavia non senza involontariamente graffiare la delicata pelle della mia bella padrona.
Il sapore metallico del sangue mi invase la bocca, un vero e proprio shock.

Presi le distanze e constatai come fosse davvero solo un graffio quello che le avevo fatto, un microscopico taglietto appena sopra la natica destra, nuda, bellissima, tanto che lei nemmeno se ne era accorta.

Mi rituffai in quella meraviglia, lasciando che la muscolosa lingua di Ged esplorasse ogni anfratto di quel sesso curato e già deliziosamente umido.
Di certo stava pensando ad Alberto, la bella Martina.

I suoi soffi si fecero più rochi, di tanto in tanto tratteneva il respiro, rilasciandolo d'un colpo qualche secondo dopo.
Con malizia tutt'altro che canina, guidai la lingua tra i petali carnosi, spingendola con forza come fosse un cazzo senziente dentro di lei.

"Mmmm... non ti fermare ..."

Irrigidii quel liquido fascio di muscoli meglio che potei, ne feci uno statuffo.
Martina sussultava e gemeva ad ogni spinta, la ruvida superficie della lingua di Ged si strofinava, grattava quasi, contro le pareti della sua intimità fin nel profondo, provocando un profluvio di umori che si mischiavano alla spessa saliva canina.
Venne, sentii il suo corpo tendersi come un arco e poi scoccare.

Piccoli brividi ancora la scuotevano, ansimava, quando mi scostai da lei.
Il sesso, poco fa solo un piccolo bocciolo, stretto e geloso di se, era fiorito,sbociato in una, rossa, soffice, opulenta rosa, bramosa di sguardi e certamente di altro.
La stazza di Ged rese facile approfittarne.

Mi sollevai sulle zampe posteriori, cercado di muovere quel corpo pesante con il massimo della delicatezza.
Potevo schiacciarla Martina col mio peso.
Sentivo il cazzo gonfio, dolente, un'urgenza esasperante.
Il piccolo sedere sodo della ragazza, umido di umori e saliva mi provocava, la fresca pelle, liscia e sfuggente mi sfiorava la punta, incitandomi a spingere, ad abbandonarmi all'istinto animale.

Non cedetti, non ancora almeno.
Sapevo di aver bisogno di essere lucido in quel momento.
Martina sotto di me respirava faticosamente, il corpo di Ged chiaramente le pesava.
Mi tirai sù, puntellandomi con le zampe anteriori sulla sua schiena nuda, quasi a mimare grottescamente un uomo.
Sapevo di essere vicino, sentivo il calore radiare da quel buchino caldo è umido, ma dovevo stare attento.

Spinsi, finalmente.
Sentii il cazzo puntarsi nel solco di quello che ero certo fossero le sue labbra.
Con faticosissima lentezza, spinsi ancora, non volevo rischiare, ora che c'ero quasi, di sgusciare fuori invece che dentro.

Martina era stretta, inconcepibilmente stretta, tanto che in un primo momento temetti (si fa per dire ...) di aver aggiunto altra perversione a quella bestialità che stavo commettendo, violando quel suo marmoreo culetto a mandolino.
Presi a spingere con più convizione, incurante dei grugniti di sforzo che uscivano dalla sua bocca.

Non avevo minimamente considerato la possibilità che la notevole mascolinità di Ged potesse essere più di quanto una femmina umana, una donna, potesse effettivamente accettare dentro di se.
Martina poi era di corporatura esile, la vita stretta, affusolata.
Sentivo la sua carne compatta schiudersi, addattarsi laboriosamente ad ogni spinta, tanto da evocare un'analogia così aberrante da non poter essere riferita.

La scopai, si, questo feci con lei, veramente per la prima volta da quando ero un cane.
Lo feci in gran parte come uomo, e per sufficiente tempo da poterlo veramente apprezzare, soffermandomi perfino a rfilettere su quanto fossi fortunato, perchè una bellezza di questo livello, avrei dovuto rubare, ammazzare, certamente mentire, per averla in qualunque altra situazione.
Lo feci comunque anche come cane, con una instancabilità, un foga, che un uomo mai avrebbe saputo pareggiare.

Martina, ignara di chi, o meglio cosa, ci fosse alle sue spalle, ebbe pure la sua parte di piacere, una volta che il suo corpo si fù adattata all'enorme attrezzo di Ged.
Venne rumorosamente, e poi, eccitato dal suo amplesso, venni io.
Lo spruzzo potente, caldo, mi parve quasi di sentirlo colpire le pareti del suo grembo, tanto fù violento.

Un cupo latrato eccheggio per tutto il salone.
Mi uscì naturale, non mi trattenni.

"Ged?" Mugnugnò Martina, ancora sotto l'effetto dell'alcool, eppure sveglia.

Sentii il rumore della chiave girare nella toppa proprio in quell'istante.
Resitetti a stendo all'impulso di andare nel panico, ma sapevo di non poter andare da nessuna parte.
E poi, era quello che volevo, no?

Alberto non poteva credere ai suoi occhi.
Chiamò il nome di sua moglie, una specie di gorgoglio soffocato più che altro, la quale, stordita, ancora non si era reasa conto della situazione.
Gli rispose con parole dolci, da amante soddisfatta di fresco, poi scorse il muso ansante di Ged far capolino da sopra la sua spalla, sentì il pelo canino contro la pelle nuda del suo sedere, della schiena.

Inorridita, incredula, cacciò un urlo che scosse perfino il compassato Alberto.
Tentò di divincolarsi.
Non volevo farle male, lasciai che il peso di Ged facesse tutto il lavoro.
Chiamò il marito, allora, piagniucolando in modo isterico.

Io attendevo, sentivo sua la fica, già di per sè stretta, irrigidirsi per la paura, stringersi attorno al mio cazzo con un laccio emostatico.
Alberto mi fù addosso in un lampo, mai l'avrei detto, ma un ringhio sommesso bastò per farlo desistere subito.
Martina si dibatteva, non sapevo come farle capire che era meglio per tutti e due che si mettesse l'anima in pace, per ora almeno.
Mi allungai sul suo collo, vincedo la resistenza per il suo insopportabile profumo, e me lo lasciai scivolare tra le mascelle come avevo fatto con Sveta.

Si calmò istanteamente.
Sentivo il corpo sottile scosso da piccoli fremiti, il battito forsennato del suo cuore.
Mi eccitò terribilmente tenerla ferma in quel modo.
Sentii il desiderio, il bisogno quasi, di spingere ancora, nonstante non sentissi quasi più il cazzo da quanto era diventata stretta.

Lei guaì neanche l'avessi morsa, ancora chiamando il nome del marito in soccorso, mentre si contorceva preda di un ennesimo, poderoso quanto umiliante orgasmo.

Proprio allora notai Sveta.
Se ne stava in pigiama, con gli occhi sgranati e la mano a coprisi la bocca, scioccata, sulla scala dall'altra parte della sala.

Poi arrivò l'acqua.
Fredda, anzi, ghiacciata.
Alberto, con tutta la sua proverbiale calma, era nel frattempo corso in cucina e, una volta riempita un a pentola d'acqua di rubinetto, era tornato a rovesciarmela addosso.
A rovesciarcela, per essere precisi.

Guaii sorpreso, proprio come la povera Martina, a cui l'acqua ghiacciata diede il copo di grazia.
Perse conoscenza credo.
Io fui libero, quasi grato, di sfilarmi e corsi in un angolo della stanza.

Per quanto poco probabile come eventualità, non volevo suscitare reazioni violente in Alberto, quindi mi acquattai in segno di sottomissione.

L'uomo aveva lo sguardo allucinato, la pentola vuota ancora in mano.
Guardava la giovane moglie riversa a faccia in giù sul divano, una quantità di denso di sperma canino le colava tra le cosce, giù lungo le autoreggenti nere, così come sulla stoffa del bracciolo del divano, fin sul tappeto costato svariate migliaia di euro.

Il suo cervello, dopo aver fatto la sua parte nell'emergenza, sembrava ora incapace di fare i conti con quello che aveva davanti.

Fù Sveta allora a soccorre Martina.
Accorse al suo fianco, dandole per prima cosa qualche buffetto per riscuoterla.
Potrei giurare che sotto l'apparente, e quantomai dovuta, partecipazione per la sua padrona, ci fosse un'ombra di divertita soddisfazione a vederla in quello stato.

Realizzando che nessuno sembrava intenzionato a dire o fare qualcosa nei mie confronti, imboccai la porta, rimasta aperta dall'arrivo di Alberto, e uscii in giardino.
Trascorsi lì la notte, indisturbato a guardar le stelle.

Il mattino dopo mi risvegliai, un cappio mi stringeva il collo.
Un tipo corpulento, con una tuta grigia ed un buffo berreto da macchinista d'altri tempi, ne reggeva il manico.
Ringhiai.
Sentii una puntura, poi tutto divenne buio.

Non so di preciso cosa successe a Ged, in seguito feci ricerche ma non riuscii a risalire al canile in cui venne portato, data la reticenza della coppia a rivangare quell'evento.
Mentirei se negassi l'eventualità possa essere stato castrato o, peggio ancora, soppresso.
Quel che è certo, è che quel cane pagò per le mie colpe.

Avrei pagato anche io comunque, solo che ancora non lo sapevo...

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