Il tocco del mister - parte 2

di
genere
gay

L'indomani Michele arrivò al campo con un quarto d'ora di anticipo.

Fabio era già lì, stava sistemando i coni per gli esercizi. Lo salutò con un cenno della testa. Michele sentì subito quella spinta dentro, un bisogno di fare bene, di non deludere. Non era solo per il calcio. Era per quello sguardo calmo che il mister gli posava addosso, come se lo misurasse davvero.

L'allenamento fu lungo, più del solito. Fabio li fece correre, poi lavorare sui cross, poi sui tiri in porta. Michele ci mise tutto se stesso. Correva più forte, saltava più in alto, colpiva il pallone con rabbia precisa. Ogni volta che Fabio correggeva qualcuno, Michele tratteneva il fiato, sperando che non fosse lui. Quando invece il mister gli diceva "bene" o "così, bravo", sentiva un calore rapido salirgli dal petto alle guance. Non capiva perché gli importasse tanto. Voleva solo che Fabio lo vedesse, che lo considerasse uno su cui contare.

Alla fine, mentre gli altri se ne andavano chiacchierando, Michele si avvicinò.

"Mister, se vuole...posso restare un po'. Per lavorare ancora sui cross. O sui colpi di testa".

Fabio lo guardò un attimo, come valutando. Poi annuì.

"Va bene. Dieci minuti. Poi basta, che domani si riparte".

Rimasero soli sul campo. Fabio gli lanciava il pallone dalle fasce, Michele si staccava e colpiva di testa. Ogni volta che centrava la porta, Fabio faceva un piccolo cenno di approvazione. Michele sudava, i muscoli gli bruciavano, ma non voleva fermarsi. Voleva che quel "bravo" arrivasse ancora, più forte, più chiaro.

Quando entrarono nello spogliatoio, era già tardi. Il sole già era calato.

Si cambiarono in silenzio, all'inizio. Michele si tolse la maglietta fradicia, i pantaloncini, restò in mutande un attimo prima di sfilare anche quelle. Fabio faceva lo stesso, con la solita calma. Il suo corpo era ancora caldo dall'allenamento, la pelle madida di sudore.

Mentre si dirigevano verso le docce, Fabio parlò per primo.

"Ce l'hai una ragazza, Michele?"

Michele arrossì subito, ma finse di no.

"No...non proprio".

Fabio rise piano, una risata bassa, senza scherno.

"Peccato. Con questi allenamenti ti spompi troppo. Poi quando ti capita l'occasione, rischi di non avere più energie per...sai com'è".

Michele deglutì. Sentì il sangue affluire in basso, un calore familiare che cominciava a premere.

"Non è che... capita spesso", mormorò.

Fabio si fermò un attimo, lo guardò con un mezzo sorriso.

"E tu? Quante volte l'hai fatto?"

Michele abbassò lo sguardo sulle piastrelle.

"Qualche volta...con una ragazza, l'anno scorso. Ma solo... pomiciate. E un po' di toccate. Niente di più".

Fabio annuì, come se fosse la cosa più normale del mondo.

"Normale. Alla tua età si comincia così. Io alla tua età già... be', lasciamo stare".

Entrarono nelle docce. L'acqua partì calda, il vapore salì subito denso, avvolgendo tutto in una nebbia pesante.

Michele sentì l'erezione arrivare forte, improvvisa, come il giorno prima. Stavolta non provò nemmeno a nasconderla del tutto. Si mise leggermente di lato, ma lasciò che si vedesse. Gli piaceva, in un modo confuso e bruciante, che Fabio la notasse. Che vedesse che il suo corpo reagiva, che era vivo, che era maschio.

Fabio, sotto il suo getto, aveva il pene già un po' gonfio, barzotto, pesante tra le cosce pelose. Il pelo nero e folto gli copriva il pube come una macchia scura, fitta, selvaggia, che si diradava appena lungo l'asta.

"Comunque mi sa che mi sbagliavo", disse Fabio, con tono leggero. "Ti alleni come un matto, ma a quanto pare le energie ti avanzano lo stesso".

Michele rise nervoso. Il suo pene era ora dritto, teso, la cappella arrossata che luccicava sotto l'acqua.

Fabio continuò, insaponandosi il petto ampio, le mani che scivolavano lente tra i peli neri.

"È normale, sai. Alla tua età ti viene duro per niente. Ti svegli già così, no? E se non ti sfoghi, poi stai male tutto il giorno".

Michele annuì, la voce rauca.

"Sì...capita"."Non devi vergognartene. Un maschio ha i suoi bisogni. Io stesso, se sto troppo senza...mi tocca arrangiarmi. Altrimenti perdi lucidità, non ragioni più bene".

Michele sentì il cuore battere forte. Tolse le mani da davanti, lasciò il pene in vista, pulsare libero. Lo insaponò piano, ma ogni tocco era una scarica.

Chiuse gli occhi per lo shampoo, il sapone che gli colava sul viso. Quando li riaprì, guardò verso Fabio.

Il mister era lì, l'acqua che scorreva sul torso solido, sul ventre, sul pube nero e abbondante. Il pene ora era completamente eretto, potente, impressionante. Spesso, lungo, di un colore olivastro caldo, con vene gonfie che correvano lungo l'asta come corde sotto la pelle tesa. La cappella larga, rosa e vivida sporgeva orgogliosa, lucida d'acqua e sapone, il meato urinario aperto e visibile, quasi invitante. Pendeva leggermente verso il basso per il peso, nonostante la durezza, oscillando piano ad ogni movimento della mano di Fabio. Quella mano grande scivolava lenta, dalla base fino alla punta, stringendo appena, facendo gonfiare ulteriormente le vene, facendo emergere la cappella ancora di più. Il pelo folto alla base lo incorniciava come una corona scura, rendendolo ancora più maschio, più adulto, più dominante.

Michele non ci pensò due volte. Prese il suo, più piccolo, più liscio, più giovane, e iniziò a toccarsi. Lento all'inizio, poi più deciso, il respiro che si faceva corto. Erano uno di fronte all'altro, separati solo dal vapore e dall'acqua che scorreva, gli sguardi che si incrociavano senza vergogna.

Fabio riprese a parlare, la voce più bassa, quasi un sussurro sotto il rumore dell'acqua.

"Vedi? Anche a me capita. Se non mi do una regolata ogni tanto, poi non controllo più niente. Serve sfogarsi...recuperare il controllo".

Le sue dita stringevano l'asta spessa, la facevano scivolare su e giù con calma esperta, la cappella che spariva e riappariva nella mano, lucida, gonfia. Ogni movimento era lento, sicuro, come se stesse mostrando, senza dirlo, cosa significava essere un uomo fatto.

Michele accelerò, ipnotizzato da quella visione. Il suo pene pulsava forte nel pugno, ma sembrava piccolo, fragile, rispetto a quello del mister. Sentiva l'orgasmo arrivare troppo presto, incontrollabile. Venne con un gemito soffocato, schizzi bianchi e rapidi che si persero nell'acqua, sul pavimento. Il corpo gli tremò, le ginocchia quasi cedettero.

Subito dopo arrivò l'imbarazzo, forte, bruciante. Aveva durato niente. Davanti a lui, che invece era ancora lì, duro, calmo, potente.

Michele si scusò, con fare colpevole. Fabio sorrise, senza cattiveria.

"Tranquillo. È normale alla tua età...capita di partire in quarta".

Si sciacquò, chiuse l'acqua.

"Pulisciti bene prima di uscire, eh".

Uscì per primo, l'asciugamano intorno ai fianchi.

Michele restò sotto l'acqua ancora un po', la testa bassa. Si sentiva piccolo, umiliato. Aveva voluto impressionarlo, mostrare di essere un uomo. Invece era venuto come un ragazzino, con un cazzo più piccolo, durando pochissimo.

Quando uscì, Fabio non c'era più nello spogliatoio. Il suo borsone però era ancora sulla panca, la porta dell'ufficio attiguo socchiusa. Michele pensò che forse il mister si era chiuso lì dentro per non stare con lui, imbarazzato o contrariato per quello che era successo.

Si vestì in fretta, uscì a raccogliere i coni e i palloni, come sempre. Quando ebbe finito, passò davanti all'ufficio. Voleva almeno salutare, dire qualcosa.

Sentì due voci. Quella bassa di Fabio e una femminile.

"Ma dai, ti sei fatto aspettare...pensavo non venissi più", disse la ragazza in tono di sfida.

"Colpa di un ragazzo. Allenamento extra. Ma ora sono tutto tuo", rispose Fabio.

Era Marika, la sorella maggiore di Giuseppe, uno della squadra. Vent'anni, procace, sempre con magliette aderenti e sorridente.

Michele si fermò. Capì che avevano un appuntamento, che lei era venuta a prenderlo lì.

Ripensò alle parole di Fabio, "serve sfogarsi per recuperare il controllo". Forse non parlava di lui, ma di sé. Di quando si masturbava per durare di più con una donna.

Si sentì stupido, ancora più imbarazzato. Aveva frainteso tutto. Eppure il pene gli si induriva di nuovo nei pantaloni, solo al pensiero.

Le voci tacquero all'improvviso. Seguì un silenzio pesante, interrotto solo da un respiro più profondo, da un piccolo suono umido, ritmico.

Michele non riuscì a resistere. Si avvicinò piano alla porta socchiusa, il cuore che gli martellava nelle tempie. Sporse appena la testa, quel tanto che bastava per vedere senza essere visto.

Fabio era seduto sulla vecchia sedia girevole della scrivania, ancora completamente nudo, la pelle umida e lucida dopo la doccia. Le gambe muscolose larghe, i piedi nudi piantati sul pavimento. Il suo pene era di nuovo durissimo, svettava verso l'alto, olivastro e venoso, la cappella gonfia che luccicava di saliva. Il pelo nero e folto alla base era bagnato, appiccicato.

Marika era inginocchiata tra le sue cosce. La testa si muoveva lenta, su e giù, con un ritmo costante, esperto. Le sue labbra avvolgevano l'asta spessa, scivolavano fino a metà, poi tornavano su, lasciando dietro una scia lucida. Ogni tanto si fermava sulla cappella, la succhiava con un piccolo schiocco umido, la lingua che roteava visibile intorno al meato. Fabio aveva una mano posata leggera sui suoi capelli, non spingeva, guidava appena, mentre l'altra era abbandonata sul bracciolo. La testa leggermente all'indietro, gli occhi semichiusi, un respiro basso e profondo che gli gonfiava il petto peloso.

Michele sentì una fitta al basso ventre, un calore insostenibile. Il suo pene, ancora sensibile dopo l'orgasmo di prima, premeva dolorosamente contro la stoffa. Avrebbe voluto toccarsi, lì, in piedi, ma non osava muoversi. Rimase fermo, ipnotizzato da quella scena: l'uomo che ammirava, che lo aveva fatto venire con uno sguardo e qualche parola, ora si faceva succhiare da una ragazza come se fosse la cosa più naturale del mondo. E lui, Michele, era fuori, a spiare, piccolo, escluso, eccitato fino a tremare.

Un piccolo gemito basso sfuggì a Fabio, quasi un grugnito. Marika accelerò appena, la testa che saliva e scendeva più decisa, la mano che ora stringeva la base del pene, torcendola piano.

Fu allora che Michele alzò lo sguardo e incrociò, nello specchio appeso alla parete di fronte, gli occhi di Fabio.

Il mister lo stava guardando. Non sorpreso. Non arrabbiato. Ma diverso, adesso. Uno sguardo dominante, voluttuoso, carico di una sicurezza animale che Michele non gli aveva mai visto. Gli occhi scuri, semichiusi, lo trafissero come una sfida silenziosa. All’inizio Michele sentì solo paura. Pensò che sarebbe stato svergognato, rimproverato, cacciato via per sempre.

Un sguardo che lo inchiodò lì, senza parole, mentre la bocca di Marika continuava a lavorare sul suo sesso duro.

Michele sentì il sangue gelarsi e bruciarsi insieme. Non riusciva a muoversi. Non riusciva a distogliere gli occhi.

Fabio non disse nulla. Non distolse lo sguardo. Anzi, si fece più comodo sulla sedia, allargò ulteriormente le gambe robuste. Portò lentamente le braccia in alto, intrecciò le mani dietro la nuca, mostrando senza pudore le ascelle bagnate e i peli folti e impiastricciati.

Marika continuava a succhiare da sola, con avidità, ma Fabio prese il controllo. Una mano scese dai capelli della ragazza, la posò decisa sulla nuca. Spinse piano, poi più forte, guidandola in un ritmo profondo, deciso. La testa di Marika affondava fino in fondo, la gola che si tendeva, piccoli suoni umidi e soffocati che riempivano la stanza. Fabio mosse il bacino in avanti, come se stesse scopando davvero quella bocca calda, lenta e potente, godendosi ogni centimetro.

Il suo respiro si fece animalesco, profondo, rauco. Il petto peloso si alzava e abbassava con forza, i muscoli delle cosce si tendevano a ogni spinta. Il pene olivastro spariva quasi del tutto tra le labbra di Marika, la cappella gonfia che premeva in fondo alla gola, per poi riemergere lucido di saliva.

E tutto questo mentre teneva gli occhi fissi su Michele, nello specchio.

Non c’era solo dominio in quello sguardo. C’era anche una complicità oscura, un invito silenzioso, come se stesse mostrando al ragazzo esattamente cosa significava essere un uomo, prendere ciò che voleva, godere senza freni.

Un sorriso beffardo, lento, gli incurvò le labbra. Piccolo, quasi impercettibile, ma sufficiente a far sentire Michele piccolo, nudo, sbagliato.

Michele non ragionava più. Era totalmente paralizzato, il pene che gli pulsava dolorosamente nei pantaloni, il basso ventre in fiamme.

Il respiro di Fabio si fece sempre più pesante, spezzato. Le sopracciglia si corrugarono, il viso si contrasse in espressioni feroci, primitive. Spinse una volta, due, più forte. La mano sulla nuca di Marika si irrigidì.

Poi, con un grugnito basso, gutturale, venne.

Guardò fisso negli occhi Michele, senza battere ciglio, mentre il corpo gli si tendeva, i muscoli delle cosce tremavano, il bacino spingeva in avanti un’ultima volta.

Michele sentì un calore improvviso, incontrollabile, esplodergli nel basso ventre. Venne nelle mutande senza toccarsi, un orgasmo breve, violento, umiliante. Il liquido caldo gli bagnò l’interno delle cosce, il respiro gli si spezzò in gola.

Non aspettò altro e fuggì.

(Continua)
scritto il
2025-12-29
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