Il tocco del mister - parte 1

di
genere
gay

La voce girava da qualche giorno. Stavano rimettendo in piedi la squadra del paese per il campionato provinciale. Terza categoria.

Michele l'aveva sentita al bar, tra un caffè e una sigaretta. Aveva appena compiuto diciott'anni, ma non sembrava ancora un uomo fatto e finito. Il viso conservava un'aria da ragazzo. Guance appena delineate, pelle non più morbida ma ancora lontana dal rigore adulto. Gli occhi erano vivaci, eppure incerti. Il corpo invece raccontava altro. Spalle larghe, muscoli definiti da ore in palestra. Indossava una maglietta attillata che ne mostrava gli sforzi senza vanità, come un tentativo istintivo di sembrare più grande. Nei gesti restava qualcosa di trattenuto, un imbarazzo rapido che lo tradiva. Era nel mezzo della transizione. Non più ragazzo, non ancora uomo.

A settembre avrebbe iniziato la quinta superiore. Non sapeva se poi avrebbe continuato con l'università o cercare lavoro. La squadra gli sembrò un modo per non pensarci. Allenamenti, compagni, qualcosa da fare il pomeriggio invece di restare in giro o chiuso in camera.

Il mister, Fabio, era tornato da Catania dopo un matrimonio finito male. Aveva giocato da ragazzo, ma le possibilità di carriera non erano mai arrivate. Ora viveva da solo e lavorava saltuariamente per il Comune.

Al bar, quella mattina, stava in piedi con le mani appoggiate sul bancone. Un uomo di quarant'anni dall'aspetto robusto ma non ingombrante, camicia azzurra un po' sgualcita e braccia forti. La barba, folta ma curata, incorniciava un viso solcato da qualche ruga d'espressione. Parlava con voce bassa e calma, senza forzare mai il tono. Non aveva nulla dell'ex sportivo tronfio. Sembrava uno che aveva imparato a stare al suo posto senza farlo pesare.

Diceva che serviva un posto dove i ragazzi potessero stare senza perdersi, fare gruppo, sentirsi parte di qualcosa.

Alla prima riunione c'erano una quindicina di volti noti. Coetanei di Michele, fratelli minori, qualcuno tornato da fuori. Fabio parlava piano, con le mani intrecciate.

"Non prometto niente", disse. "Né vittorie né miracoli. Ma se ci state, si lavora".

Michele lo ascoltava da fondo sala, in silenzio. Non era sicuro di voler stare, ma non voleva restare fuori.

Quando uscì, Fabio gli fece cenno.

"Tu che classe fai?", chiese.
"Quinta", rispose Michele.
"Allora sei ancora in tempo per capire dove vuoi andare", concluse il mister.

Michele annuì. Non sapeva se fosse vero, ma gli piacque sentirlo dire.

Gli allenamenti iniziarono due giorni dopo.

Il campo era quello vecchio dietro la chiesa, erba rada e porte arrugginite, ma bastava. Fabio arrivava sempre per primo, già con il fischietto al collo e una borsa piena di palloni consumati. Non urlava mai, correggeva con poche parole precise.

I primi giorni furono duri. Michele correva, sudava, sentiva i polmoni brucire. Ma gli piaceva quella fatica pulita, senza pensieri.

Negli spogliatoi, dopo, l'aria era densa di sudore, vapore e sapone economico. I ragazzi scherzavano, si prendevano in giro, si davano pacche sulle spalle nude. Michele rideva, ma restava un po' in disparte. Si cambiava in fretta, teneva lo sguardo basso quando gli altri si giravano nudi senza imbarazzo.

Fabio invece si cambiava con calma. Si toglieva la maglietta bagnata lentamente, come se non ci fosse fretta. Il torso era solido, segnato da anni di partite e di vita. Petto ampio, peli neri folti e lunghi che partivano dalle ascelle scure e scendevano fino all'ombelico, proseguendo in una linea dritta verso il basso. Le gambe robuste erano coperte dallo stesso pelo nero, denso sulle cosce e più rado sui polpacci. Quando si girava, il sedere appariva sodo, muscoloso, con peli che si infittivano nella piega.

Una sera, dopo un allenamento sotto la pioggia leggera di fine settembre, quasi tutti se n'erano andati in fretta. Michele era rimasto a raccogliere i coni, come gli aveva chiesto Fabio. Lo spogliatoio era vuoto.

Michele si sedette sulla panca, la maglietta fradicia appiccicata alla pelle. La spalla destra gli faceva male, un crampo sordo dopo gli ultimi sprint. Se la massaggiò con la mano, facendo una smorfia.

Fabio lo vide. Gli si avvicinò senza dire niente, si chinò leggermente. Gli posò due dita sulla spalla indolenzita, premendo con decisione ma senza fretta. Il tocco fece male subito, un bruciore acuto. Michele alzò gli occhi, lo guardò con espressione supplice, quasi a chiedere di smettere. Fabio non mollò. Lo fissò dritto, calmo.

"Qui", disse con la voce bassa e ferma. "Rilassati. Senti".

Michele inspirò a fondo. Fabio era lì, chinato su di lui, così vicino che il suo respiro caldo gli sfiorava la pelle. L'allenamento quel giorno era stato intenso e il sudore fresco del mister stillava ancora, irrorava la sua pelle calda, liberando un odore denso, vero, di uomo adulto.

L'odore di Fabio avvolse Michele, come una coperta pesante, una presenza che non concede vie di fuga ma che, paradossalmente, tiene al sicuro.

Michele lo ricevette come un'invasione. All'inizio lo subì, quasi si ritrasse dentro di sé. Poi dovette inspirare di nuovo, e accadde qualcosa di strano. Un'esperienza nuova, liminale, in cui disgusto e desiderio riuscivano a sfiorarsi, mentre qualcosa di originario si risvegliava senza chiedere il permesso alla testa, stordendo i sensi e la lucidità di Michele.

Fabio mantenne la pressione. Poi, piano, il muscolo cedette, il crampo si sciolse, il dolore svanì lasciando solo calore. Fabio sorrise appena, un sorriso piccolo e soddisfatto. Ritrasse la mano, prese l'asciugamano e si diresse verso le docce.

Michele restò seduto un altro po', la spalla ancora calda sotto la pelle, il respiro corto. Quel tocco sicuro che aveva trasformato il dolore in sollievo, quello sguardo fermo, quell'odore forte lo avevano mandato in tilt. Non capiva perché gli piacesse essere toccato così dal mister, perché quello sguardo lo facesse sentire visto. Lo spaventava, quella reazione nuova del corpo. Eppure una parte di lui non voleva che finisse.

Poi si alzò, lo seguì.

Fabio era già sotto il getto, la schiena rivolta verso l'ingresso. L'acqua gli scivolava lenta lungo la nuca, tra le scapole larghe, si perdeva nella curva del sedere sodo. I peli neri bagnati aderivano alla pelle, luccicavano. Il vapore saliva denso, rendeva l'aria pesante, quasi difficile da respirare.

Michele si tolse i vestiti fradici con movimenti incerti. Entrò nella zona docce, scelse il getto più lontano. L'acqua bollente gli colpì le spalle, gli scese sul petto, gli bruciò piacevolmente la pelle fredda. Chiuse gli occhi un attimo. Quando li riaprì, il ricordo di quello sguardo, di quella voce, di quell'odore gli si appiccicò addosso insieme al vapore. Sentì il calore scendere lento nel ventre, il pene gonfiarsi, indurirsi senza che potesse fermarlo. Provò a girarsi di lato, a coprirsi con la mano tremante, a insaponarsi il collo come se niente fosse.Il suo corpo era più liscio, più giovane. Pelo chiaro appena accennato sul petto e sulle gambe, quasi cancellato dall'acqua. Ascelle e pube con peli corti, curati, biondo scuro. Il sedere tonico, maschile, chiappe glabre tranne una leggera peluria intorno all'ano. Il pene, di dimensione normale, ora era dritto, teso, la cappella arrossata scoperta dal prepuzio corto. Lo scroto contratto, i testicoli piccoli tirati su.

Fabio si girò piano. L'acqua gli ruscellava sul petto ampio, appiattiva i peli neri folti e lunghi, li faceva brillare. Alzò le braccia per passarsi il sapone sulle ascelle, mostrando ciuffi scuri e densi. Il movimento fece tendere i muscoli delle spalle, del torace. Più in basso, il pube nero e abbondante incorniciava il pene spesso e grosso anche da flaccido, il prepuzio carnoso che lo copriva quasi del tutto. I testicoli grandi dondolavano pesanti nello scroto pieno, rilassato dal calore.

Le mani di Fabio scivolavano lente sul petto, sul ventre, sul pelo bagnato. Lo sguardo gli cadde su Michele, si fermò sul suo corpo teso, sull'erezione che non riusciva più a nascondere. Non distolse gli occhi subito. Restò lì un secondo, calmo, quasi a misurare quella reazione giovane.

"Ti alleni bene", disse. La voce, più bassa del solito, era quasi coperta dal rumore dell'acqua. "Hai forza nelle gambe. Ma tieni le spalle troppo rigide quando corri".

Michele annuì, sentiva la gola secca.
"Ci provo", riuscì a dire.

Fabio fece un passo verso di lui, l'acqua che scorreva tra i loro corpi senza toccarsi. Allungò la mano bagnata, gli sfiorò di nuovo la spalla destra. Le dita calde, ruvide, premettero piano sulla pelle.

"Qui", disse. "Rilassati. Senti".

Il tocco durò più a lungo stavolta.

Michele sentì il calore della mano irradiarsi, l'erezione pulsare forte, quasi dolorosamente. Fabio abbassò lo sguardo, la vide. Non ritrasse la mano immediatamente. Le dita scivolarono di un niente, quasi una carezza involontaria, prima di fermarsi.

"A diciott'anni è normale", mormorò.

La voce era rauca ora, senza ironia, senza imbarazzo. "Succede. Respira". "Succede anche a me quando non mi sfogo per qualche giorno", aggiunse poi, piano, quasi tra sé.

Lasciò andare la spalla, tornò sotto il suo getto. L'acqua gli scorreva sul petto, sul ventre, sul pube. Il pene, che prima pendeva pesante, ora era appena barzotto, gonfio, un po' più lungo, come se anche il suo corpo avesse risposto a quel momento.

Michele restò fermo, l'acqua che gli martellava la nuca, le spalle, il sesso teso. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie. Per la prima volta il suo corpo reagiva così forte, così incontrollabile, e proprio sotto lo sguardo del mister. Non capiva perché gli piacesse essere guardato, toccato da lui. Lo spaventava, quel calore che non riusciva a fermare. Eppure gli piaceva anche, quel senso di essere visto davvero, di essere corretto, guidato.

Si girò verso il muro, appoggiò una mano alle piastrelle fredde. Lasciò che l'acqua gli scorresse addosso a lungo, cercando di calmare il respiro, il battito, la confusione che gli era scoppiata dentro.

Quando uscirono, era già buio. Fabio chiuse il cancello del campo, le chiavi che tintinnavano.

"Domani riprendiamo con i cross", disse. "Tu fai il centravanti, vediamo come te la cavi di testa", concluse congedandolo.

Michele annuì. Salì in motorino, il casco che gli stringeva la testa. Mentre guidava verso casa, sentiva ancora quel tocco sulla spalla, quella voce bassa, quell'odore che gli era rimasto attaccato alla pelle.

Non sapeva cosa fosse. Paura, confusione, qualcosa di nuovo che lo attirava. Ma sapeva che il giorno dopo sarebbe tornato.

(Continua).
scritto il
2025-12-28
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