Una Mamma affamata 9

di
genere
incesti

I giorni successivi passarono con una calma illusoria. Lucia tornò alla sua routine: l'espresso mattutino amaro che le restava sulla lingua, il bucato che frusciava sullo stendino sotto un sole implacabile. Franco si immerse nel suo lavoro tra l' ufficio e la casa in righe di codici, con gli schermi che brillavano fino a tarda notte nelle notti umide e solitarie. Al tavolo da pranzo disordinato , si passavano i piatti di pasta senza mai toccarsi, evitando con attenzione i lividi nascosti sotto le maniche della camicia di Franco. Eppure, il silenzio era un filo sfilacciato. Due volte, Franco notò il pollice di Lucia sospeso sull'icona di WhatsApp, un lampo di qualcosa di inespresso nei suoi occhi scuri prima che riponesse il telefono.

Giovedì, Franco si appoggiò al bancone della cucina mentre Lucia affettava i pomodori, il coltello che colpiva il legno con colpi secchi e ritmici.
"Ci sono novità oggi?", chiese con un tono rilassato, fissando il suo profilo. "Il tuo amico barbuto ti ha inviato qualche messaggio interessante!?" Lucia si fermò, la lama sospesa. Un sorriso lento e consapevole le curvò le labbra mentre si voltava, il succo di pomodoro le macchiava le dita come sangue liquido. "Oh, caro", mormorò, portando una fetta alla bocca e succhiandone lentamente il succo dal bordo. "La gelosia è una maschera che non ti si addice." Il suo sguardo si abbassò intenzionalmente sul rigonfiamento che si stava formando nei suoi jeans. "Anche se mette in risalto altre cose."

Franco si irrigidì. "*Sono solo curioso di sapere se ti ha insegnato qualche nuovo trucco per affrontare la tempesta.*" Si avvicinò, invadendo il suo spazio, cogliendo il leggero profumo floreale del suo shampoo mescolato al sudore e al basilico. Lucia rise dolcemente, inumidendosi le labbra. "*I tuoni sono più silenziosi ultimamente*", sussurrò, sfiorandogli la coscia con la mano, le nocche che toccavano la sua lunghezza indurita attraverso il denim. "*Forse perché qualcuno mi ha... distratto.*" Premette il palmo della mano contro di lui, stringendo leggermente le dita. "*Ivan però mi ha mandato un messaggio. Mi ha chiesto se la pelle diventa ancora scivolosa quando è bagnata.*" Franco trattenne il respiro. "*E tu hai risposto?*" Il pollice di Lucia tracciò il contorno teso del suo pene. "*Gli ho detto che avrei dovuto provarlo di nuovo.*" Si sporse in avanti, il suo respiro caldo sull'orecchio. "*Vuoi aiutarmi a rovinare un'altra gonna?*"

Franco le afferrò il polso, bloccandolo contro il bancone. Il succo di pomodoro le imbrattò la pelle. "*Fare un test per lui?*" La sua voce si abbassò fino a diventare un rauco rauco . Lucia si inarcò contro di lui, i seni premuti contro il suo petto. "*Per la scienza,*" sussurrò, premendo il fianco contro la sua mano intrappolata. "*È molto... insistente. Ha anche mandato una foto.*" Le nocche di Franco sbiancarono. "* Cosa !?*" La mano libera di Lucia scivolò giù per la gola, sopra la clavicola, verso il rigonfiamento del seno sotto il sottile vestito di cotone. "*Indovina.*" La punta del suo dito tracciò lentamente la scollatura. "*Mani grosse. Nocche ruvide... che stringono qualcosa di grosso e venoso.*" I fianchi di Franco scattarono in avanti involontariamente. "*Mostramelo.*"

Lucia sorrise con un'ironia sottile. "*Eliminalo.*" Si liberò, afferrando una fetta di pomodoro. "*La gelosia ti rende prevedibile, Franco.*" Succhiò la polpa dalla fetta, il succo rosso le colava lungo le labbra. "*Mi ha invitato a prendere un caffè.*" Franco si bloccò. "*Dove?*" Lucia si asciugò il mento leccandosi lentamente le labbra. "*Vicino alla sua officina. Dice che ripara motociclette. Selle in pelle... perfette per andare in moto.*" Si avvicinò, il vestito umido che sfiorava i suoi jeans. "*Mi ha chiesto se mi piaceva l'odore di olio e sudore.*" Il palmo della sua mano si appiattì di nuovo contro la sua erezione. "*Gli ho detto... Preferisco l'odore della gelosia.*"

Franco le afferrò la vita. "*Non lo incontrerai.*"
Lucia inarcò un sopracciglio, imperturbabile. "*È un ordine?*" Le sue dita giocherellavano con l'orlo della sua camicia, le unghie che graffiavano lentamente il collo.
Franco emise un sospiro di sollievo. "*Non voglio condividerti con un altro uomo.*" Un calore gli divampò nelle viscere: rabbia e disperazione si intrecciarono. "*Soprattutto non con un meccanico unto che si eccita mandando messaggi a donne sposate.*"

La risata di Lucia era un suono morbido e avvolgente. "Oh, per te è accettabile condividermi con Lorenzo?" "È curioso come la tua morale cambi quando la gelosia ti punge, amore mio." La sua lingua sfiorò il lobo dell'orecchio. "Ma va bene cosi." Lo spinse indietro con decisione, sistemandosi il vestito. "Lasciami ora!. Vorrei finire di preparare il pranzo."

Il pomeriggio seguente, la porta della camera da letto di Franco si aprì all'improvviso. Lucia si appoggiò allo stipite, e la luce del sole fece brillare i cerchietti dorati alle sue orecchie mentre annunciava con gioia: "*Tesoro, domani sera uscirò con le mie amiche. Sabrina sta organizzando una festa per sole ragazze a casa sua.*"
Le dita di Franco si fermarono sulla tastiera. Sabrina? Non aveva mai udito quel nome pronunciato da Lucia prima d'ora. Si voltò sulla sedia, alzando le sopracciglia. "*Mamma*", disse con tono sarcastico e allungato, "*mi stai chiedendo il permesso di uscire?*"
Lucia era ancora appoggiata allo stipite della porta. "Non desidero che tu provi qualche tipo di gelosia, amore mio", sussurrò, mentre giocherellava con l'orlo della sua gonna. "Se vuoi... puoi venire a prendermi alle 2 di notte". I suoi occhi scuri brillavano di malizia. "Se ti senti geloso, ti fornisco pure l'indirizzo".

"Sabrina,"" ripeté con calma, gustando il suono di quel nome misterioso. "È curioso che non l'abbia mai menzionata prima." I suoi occhi si posarono sulle unghie dei piedi di Lucia, che si contorcevano sul pavimento di legno. "Qual è il suo cognome? Dove si tiene la festa?"
La risata di Lucia risuonò come un eco di vento in mezzo a una tempesta. "*Tante domande.*" Fece un passo in avanti, sua gonna che le sfiorava le cosce. "*Sabrina Bianchi. Vive vicino alla vecchia fabbrica tessile.*" La punta del suo dito tracciò il contorno della scrivania. "*Sei già geloso?*"

Franco sorrise, cercando di apparire disinteressato. "*Niente affatto.*" Si girò nuovamente verso il monitor, il bagliore che nascondeva la tensione nella mascella. "*Divertiti con i tuoi... amici.*" La pausa era intenzionale, carica di acidità. Dietro di lui, l'ombra di Lucia si allungava sul pavimento.

Espirò bruscamente, a metà strada tra una risata e un tono provocatorio. "*Se sei così sospettoso, allora puoi venire con me*", rispose, mentre il sandalo strisciava sul legno avvicinandosi. L'aroma del suo profumo – qualcosa di intenso, di gelsomino e di inganno – gli aleggiò sulla spalla. Franco continuò a digitare, con le dita rigide sui tasti.

Il suo schermo rifletteva la silhouette di Lucia mentre si chinava verso di lui, sfiorandogli l'orecchio con le labbra. "O sei troppo occupato a far finta che non ti importi?" I suoi denti gli pizzicavano il lobo dell'orecchio con una tale intensità da fargli provare dolore. Franco scostò la testa di scatto, con le dita sospese a metà codice. "Preferisco stare in pace", borbottò, fissando il monitor luminoso. "Vorrei completare i miei progetti." La bugia aveva un sapore stantio. Progetti. Come se potesse davvero concentrarsi con lei lì, che gli respirava sul collo, sussurrando inviti al disastro.

Lucia espirò – un suono drammatico e ferito – e si raddrizzò. "*Bene*", canticchiò, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno al dito. "*Non dire che non mi sono offerta.*" I suoi sandali ticchettarono sul parquet mentre si dirigeva lentamente verso la porta, i fianchi che ondeggiavano come un metronomo che contava alla rovescia verso il caos. Si fermò sulla soglia, una mano sullo stipite, la luce del sole che le illuminava i capelli scompigliati. "*Okay, tesoro*", si gettò alle spalle, con la voce che grondava veleno sdolcinato. "*Ti lascio in pace.*" La porta si chiuse alle sue spalle con uno scatto definitivo.

Franco guardava lo schermo vuoto, le sue dita danzavano senza scopo sulla tastiera. Il cursore lampeggiava, beffardo. Sabrina Bianchi.!! La vecchia fabbrica tessile. Serrò la mascella. Da qualche parte nella casa, i passi di Lucia si allontanavano, il suo profumo si diffondeva come una provocazione.

Il sabato sera arrivò con la silenziosa tensione di una molla pronta a scattare. Franco si appoggiò alla porta della cucina, con le braccia incrociate, mentre osservava Lucia uscire dalla sua camera da letto. La camicetta di seta color smeraldo le si adattava alle curve come un liquido, mentre i pantaloni neri le avvolgevano ogni centimetro di cosce e fianchi. I suoi tacchi a spillo risuonavano minacciosi sulle piastrelle, ogni passo una provocazione ben studiata.

"Da come sei vestita", disse Franco in modo secco, "capisco che è una festa, riservata alle donne."

Lucia si fermò a metà passo, la seta color smeraldo brillava sotto la luce del corridoio mentre si girava. Un sorriso lento e consapevole si formò sulle sue labbra. "Hai ragione, caro", mormorò, sistemando con cura il risvolto del suo cappotto leggero. "Stare tra amiche è davvero piacevole."

Le dita di Franco si conficcarono nello stipite della porta. "Amiche", ripeté, seguendo con lo sguardo il modo in cui la seta si tendeva sui suoi capezzoli, già rigidi sotto il tessuto sottile. "Strano come le tue *amiche* improvvisamente richiedano un trucco che richiede due ore e un profumo così forte da soffocare un cavallo."

Lucia si fermò, con uno stiletto sospeso a metà passo. Lentamente, si voltò, i suoi occhi scuri scintillanti come ossidiana levigata. "Oh, *tesoro*", mormorò, avvicinandosi finché il suo respiro non gli scaldò le labbra. "Preferiresti che profumassi di detersivo per bucato e di rimpianto?" Le sue dita sfiorarono la fibbia della sua cintura, un sussurro di contatto. "O forse..." La sua lingua schizzò fuori, inumidendosi il labbro inferiore. "...come il tuo sperma?"

La gola di Franco si contrasse. "Divertiti, mamma", disse con voce roca.

Il sorriso di Lucia si arricciò come fumo. "Lo farò", mormorò, avvicinandosi abbastanza perché il suo profumo – gelsomino e qualcosa di più scuro – gli scendesse lungo la gola. La punta del suo dito gli tracciò la linea rigida della mascella. "Soprattutto sapendo quanto ti *fa male, vedermi uscire cosi con le mie amiche*."

Franco la osservava dalla finestra mentre lei si muoveva lungo il vialetto, i fianchi che si muovevano sotto la seta, i tacchi a spillo che battevano sull'asfalto come colpi di pistola. Le luci dei freni del taxi coloravano le sue gambe di rosso scarlatto prima che lei scomparisse all'interno.

Un'ora e quarantatré minuti dopo – non che li stesse contando – il suo telefono vibrò. La notifica di WhatsApp lampeggiava come un filo elettrico:
**Stai bene, tesoro?**

Franco espirò dal naso, picchiettando i tasti con più forza del necessario prima di scrivere una risposta: **Sì, mamma. E tu?**

I tre puntini danzavano. E danzavano.

Poi… *ping*. La foto si caricava con una determinazione crudele. Franco trattenne il respiro. Eccola lì, sullo sfondo di luci al neon brillanti, ciocche dei suoi capelli di solito impeccabili attaccate alle guance arrossate. La seta color smeraldo era aperta quel tanto che bastava per rivelare il pizzo nero che le copriva il seno – lo stesso reggiseno che le aveva strappato di dosso martedì scorso. Le sue labbra brillavano di un colore vinoso, leggermente dischiuse. *Ti stai divertendo con le ragazze?* digitò, poi cancellò, con le dita tremanti. *Sembra affollato la*, inviò l'sms, notando l'avambraccio sfocato vicino alla sua spalla, troppo spesso per essere quello di una donna.

**Stavo solo ballando!** Lucia rispose immediatamente, seguita da un altro *ping*. Questa volta, l'inquadratura era più bassa: il pizzo era ora teso su un capezzolo sporgente, l'orlo della maglietta si sollevava per mostrare una fetta di pancia. **Si sta scaldando qui 😉**

Il cuore di Franco batteva forte in gola. Digitò, cancellò, poi si sforzò di scrivere: **Sembra di sì.** Il suo pollice si sollevò sulla tastiera prima di aggiungere: **Dov'è Sabrina?**

I tre puntini tremolarono... poi svanirono. Silenzio. Fissò l'immagine congelata di Lucia - quel maledetto pizzo nero, la cavità della sua gola viscida di sudore - finché lo schermo non si spense. L'orologio segnava la mezzanotte passata. Lorenzo russava al piano di sotto, ignaro. Franco camminava avanti e indietro, il parquet che scricchiolava sotto il suo peso. Il suo telefono vibrò di nuovo all'1:37.
Il messaggio è stato caricato: *Scusa, caro, le ragazze vogliono sempre parlare di come fare sempre cose carine.*
Il pollice di Franco aleggiava sullo schermo, il bagliore che disegnava ombre sotto la sua mascella serrata. Belle cose. Come il modo in cui il suo rossetto era sbavato all'angolo nell'ultima foto, come se qualcuno l'avesse morso via. Digitò lentamente: *Che tipo di belle cose?*

La risposta giunse immediatamente: un messaggio vocale. Il respiro di Lucia divenne percepibile prima che il suo sussurro si propagasse attraverso l'altoparlante: *Sai... il solito.* Una pausa colma di risate soffocate, seguita da un respiro profondo. *Aiutarsi a vicenda con... le cerniere. Condividere i drink.* Un'altra pausa, interrotta da un suono umido, troppo intenzionale per essere casuale. *Sabrina mi sta insegnando nuovi trucchi.*
Le nocche di Franco si fecero bianche attorno al telefono. *Quali trucchi?* digitò, premendo con forza sullo schermo del telefono.

La sua risposta era una foto: le labbra rosse di Lucia che si avvolgevano attorno al collo di una bottiglia di birra, i suoi occhi scuri fissi sulla fotocamera dello smartphone. La didascalia diceva: *Come aprire le cose senza le mani.*
Il bordo della bottiglia brillava sotto le luci al neon, bagnato dalla sua bocca. Franco ingrandì: era un'impronta digitale quella che macchiava la condensa? Troppo grande per essere la sua. Il battito del suo cuore rimbombava nelle orecchie mentre digitava: *Sembra che ti stiano aiutando.*

Tre puntini danzarono. Poi... più nulla.

Il pollice di Franco si muoveva sullo schermo, come una falena intrappolata nella fredda luce del suo telefono.
L'immagine di sua madre si fissò nella sua mente: le labbra rosse di Lucia che stringevano quella bottiglia, l'ombra della mano di qualcuno appena fuori dal campo visivo.
Sotto la cintura il suo cazzo batteva colpi furiosi, un animale in gabbia che voleva uscire a tutti i costi. Un calore denso, appiccicoso, gli saliva dalle palle fino alla gola, mescolando rabbia e voglia in un nodo impossibile da sciogliere. Infilò la mano nei jeans con un gesto rabbioso, quasi volesse strappare via il desiderio insieme alla pelle. Trovò la carne bollente, tesa fino a far male, la cappella già bagnata, scivolosa. Non funzionò.!
La stretta non fece altro che intensificare la sua eccitazioni come una scarica elettrica: la gola di Lucia che ingoiava il collo della bottiglia, le impronte digitali dello sconosciuto brillanti sul vetro umido. Improvvisamente Franco chiuse il pugno attorno al suo membro dolorante e, senza pensarci due volte, scivolò il palmo sulla pelle tesa, su e giù, sempre più veloce, come se volesse punirlo e premiare allo stesso istante.

Venne con forza, a denti stretti, il suo piacere esplose sullo schermo del telefono, dove il suo sorriso beffardo si mescolava al disordine. Il piacere lo travolse come una mazzata, lasciandolo tremante, svuotato, ansimante. Rimase lì, il pugno ancora stretto attorno al cazzo che pulsava debolmente negli ultimi spasmi, il seme che gli colava tra le dita, sul lenzuolo, sul telefono, sul suo stesso orgoglio.
La vergogna gli bruciava dentro, ma sotto di essa pulsava qualcosa di più oscuro, più affamato. L'orologio segnò le 3:27 del mattino quando il suo telefono squillò: il nome di Lucia lampeggiava come un avvertimento. *Tesoro, puoi venire a prendermi?* Il messaggio era innocuo. L'ora non era.

Franco afferrò le chiavi della macchina uscì di casa senza nemmeno infilarsi la giacca. Le gomme stridettero sull’asfalto screpolato alle 3:41 in punto, mentre accostava davanti alla vecchia tessitura. L’edificio era un cadavere di cemento: vetri rotti, saracinesche divorate dalla ruggine, l’aria che puzzava di umido e di anni buttati via. Poi notò un movimento: Lucia apparve da un ingresso laterale di un palazzo, illuminata dal bagliore di un’insegna al neon mezza spenta.
Camminava lentamente, quasi danzando, i tacchi che ticchettavano stonati sul cemento. La camicetta di seta smeraldo era abbottonata irregolarmente: due bottoni mancavano del tutto, un terzo pendeva da un filo, la stoffa aperta quel tanto che bastava a scoprire la curva interna di un seno; Il cappotto era abbandonato sul braccio come una pelle appena tolta. Barcollò leggermente, canticchiando una melodia stonata, il mascara che colava in ombre sotto gli occhi socchiusi.

La portiera dell'auto emise un cigolio mentre lei si infilava all'interno, si lasciò cadere sul sedile con un sospiro lungo, soddisfatto. La macchina si riempì immediatamente dell'odore di gin scadente, Marlboro, e poi quell’odore più fondo, più animalesco: sesso, sudore maschile, sperma rappreso.
"Grazie, amore", gracchiò, con la gola raschiata e la testa che pendeva contro il sedile. Le sue labbra, ora senza rossetto, apparivano gonfie: quella inferiore aveva un taglietto all’angolo da cui stillava una perla di sangue. Le nocche di Franco divennero bianche sulla leva del cambio. "Sembri distrutta, cazzo", borbottò, staccandosi dal marciapiede.

Lucia rise, un suono basso, di gola, mentre con la punta delle dita si accarezzava distrattamente la scollatura aperta. . "Sabrina sa come organizzare delle feste... incredibile", biascicò, mentre la seta color smeraldo si apriva per rivelare il pizzo sottostante, strappato da una spallina. Un livido fresco sul suo seno sinistro, con i segni dei denti ben visibili sulla pelle. Il cappotto che aveva in grembo emanava un odore di olio motore e fumo di sigaro. Franco allargò le narici. "Strano", borbottò, "hai dimenticato di menzionare che i fratelli di Sabrina erano invitati."

Gli occhi di Lucia si aprirono larghi, brillando di un divertimento malizioso. "Oh, caro", sospirò, stiracchiando le gambe con un'espressione divertita. "Non lo sapevi? I fratelli di Sabrina sono... dei padroni di casa molto pratici." Si voltò, rabbrividendo di nuovo – in modo eccessivamente teatrale – prima di massaggiarsi il collo. Lo sguardo di Franco si posò sui segni arrossati che le circondavano il polso come una manetta. Il suo piede si fermò bruscamente a un semaforo rosso, facendoli sobbalzare in avanti.

Lucia ridacchiò, con una risata bassa e gutturale, sfiorandosi il livido sopra il seno con le dita. "Fai attenzione, tesoro", mormorò, inclinando la testa per mostrare i segni d'amore che le adornavano la gola. "Non vorrei che Lorenzo notasse i graffi sulla sua macchina." Franco strinse la mascella. "Che diavolo hai combinato, mamma?"

Le sue ciglia si mossero mentre emetteva un sospiro di soddisfazione. "Sabrina ha dei fratelli *così* talentuosi." Ruotò pigramente il polso nell'aria, e quel movimento fece contorcere lo stomaco di Franco – lo stesso polso che aveva premuto sul materasso di Lorenzo la settimana scorsa, ora segnato dalle impronte rosse della presa di qualcun altro. "Marco... o era Matteo? – aveva una bocca simile a un aspirapolvere", pensò, leccandosi il labbro tagliato. "E il suo amico... Paolo, giusto !? Mani grandi, quelle mani da meccanico che lasciano il segno, ruvide, proprio come piacciono a me.

Continua...
scritto il
2025-12-01
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