Una Mamma affamata 3

di
genere
incesti

Franco non sussultò. Si appoggiò al bancone, incrociando le braccia, con uno sguardo fisso e inquietantemente sereno. "Debolezza?" La sua voce era bassa, decisa. "Non era debolezza, mamma. Era Desiderio." Si allontanò dal bancone, accorciando la breve distanza tra loro. Il suo dito seguì la linea rossa sbiadita lasciata dal pizzo del corsetto sulla sua spalla nuda. "Hai urlato in quella stanza vuota per mesi. Ti ho sentito." Fece una pausa, permettendo all'accusa di pesare. "E Lorenzo? Non l'ha ignorato. Ha chiuso con assi quelle maledette finestre."

Lucia sussultò, stringendo ancora di più le braccia. "È tuo padre..."

"E tu sei mia madre", ribatté Franco, avvicinandosi. La luce fluorescente della cucina colpì il leggero velo di sudore che gli si stava ancora asciugando sulla fronte. "E per otto mesi ti ha trattata come un mobile. Stasera?" Indicò bruscamente il mucchio di biancheria intima abbandonata. "Stasera ti sei sentita viva. Vista. Non dirmi che *quella* era una follia."
Lo sguardo di Lucia si diresse rapidamente verso il corridoio, come se stesse aspettando l'ombra di Lorenzo. "Era così. Mi è sembrato... indispensabile. Primordiale. Ma Franco, le conseguenze...!!"

"Conseguenze?!" esclamò Franco, con un tono affilato nella voce. Indicò il suo telefono, ancora spento dopo il messaggio di Lorenzo. "L'unica cosa che preoccupa Lorenzo è il suo conto al bar. Ti ha lasciata in balia della negligenza." Le afferrò il mento con decisione, costringendola a tornare a fissarlo. "Credi che se ne accorgerebbe se indossassi quel corsetto domani? O se decidessi di non metterlo affatto?"

Lucia si ritirò bruscamente, sopraffatta dalla stanchezza e dal panico crescente. "Franco, ti prego", sussurrò con voce roca. "Sei mio figlio e non voglio discutere adesso." Si strinse più forte, tremando per il freddo inaspettato della cucina. "Desidero solo... voglio farmi una doccia." Si voltò di scatto, evitando il suo sguardo penetrante, e si diresse rigidamente lungo il corridoio verso la camera da letto principale. Il suono della porta che si chiudeva dietro di lei risuonò come un colpo di pistola nell'appartamento silenzioso.

Franco rimase immobile accanto al bancone, mentre l'odore persistente di sesso e disperazione aleggiava nell'aria. Fissò il corsetto abbandonato, un ammasso spiegazzato di pizzo umido sul pavimento piastrellato. Era la prova. Lo allontanò con un calcio violento, il tessuto scivolò verso la porta del corridoio. La mascella le si contrasse. Aveva bisogno di aria, non di questo appartamento soffocante, impregnato del profumo di sua madre e della negligenza di suo padre. Afferrò le chiavi. La porta d'ingresso si chiuse sbattendo dietro di lui, vibrando attraverso le pareti di gesso scadente.

La mattina seguente, Lucia si alzò con cautela dalla sua camera. Franco era seduto al tavolo della cucina, piegato su un laptop, con le cuffie ai piedi. Il vapore si alzava da una tazza lasciata lì. Si avvicinò silenziosamente alla macchina del caffè, evitando di incrociare lo sguardo. I suoi movimenti apparivano rigidi e calcolati. "Buongiorno", sussurrò, un saluto delicato e formale, diretto alla macchina lucida.

Franco non alzò lo sguardo. Un brusco cenno del capo. "Buongiorno." Le sue dita tamburellavano rapidamente sui tasti. Il silenzio si fece più denso, denso e gelido. La macchina del caffè gorgogliò, un suono stridente e forte nel silenzio. Lucia versò il caffè, la mano che le tremava leggermente, il liquido bollente schizzò sul bancone. Lo asciugò velocemente, evitando il punto sul granito dove i suoi seni avevano premuto freddamente contro la pietra. Prese la tazza e si ritirò sul divano del soggiorno, rannicchiandosi nell'angolo più lontano dalla porta della cucina. Il vapore dalla sua tazza si alzò, spettrale nell'aria gelida.

Trascorsero tre giorni. Orbitavano l'uno attorno all'altro come satelliti cauti, seguendo traiettorie meticolosamente pianificate per evitare collisioni. "Passami il sale", mormorava Franco durante la cena, con lo sguardo fisso sul piatto. "Ecco", rispondeva Lucia, facendolo scivolare sul tavolo senza toccargli le dita. Brevi scambi funzionali – "La posta è arrivata", "Il bucato è fatto" – fungevano da ponti freddi e fragili sopra l'abisso di ciò che era accaduto.
Lorenzo rimase ignaro a tutto ciò. L'appartamento sembrava una mostra museale di fallimenti domestici, con il fantasma del piacere di Franco sulla coscia interna di Lucia come artefatto più corrosivo.

Il sabato mattina appariva fragile, con un'illuminazione scarsa. Lorenzo si abbuffò di uova strapazzate, gli occhi fissi sulla pagina sportiva.
Lucia mescolava il caffè, il cucchiaino tintinnava come un metronomo che segnava il conto alla rovescia del terrore. Franco era seduto rigido di fronte a lei, mentre scorreva frammenti di codice sul suo telefono. Il silenzio era opprimente, denso come panna acida lasciata fuori tutta la notte.

"Stasera esco", dichiarò Lucia all'improvviso. La sua voce risuonò in modo innaturale e forte contro il ronzio del frigorifero. Lorenzo grugnì, girando pagina. "Con le ragazze. Ci stiamo aggiornando." Non specificò quali ragazze. Franco non alzò lo sguardo. Il suo pollice si fermò sullo schermo per un attimo, le nocche che si sbiancavano attorno al dispositivo, prima di riprendere il suo scorrimento meccanico. Lorenzo si limitò a fare un gesto di disprezzo con la mano, con l'uovo aggrappato al pollice.

"Va bene. Come preferisci, divertiti pure", borbottò, con lo sguardo fisso sui risultati delle partite di calcio. "Non svegliarmi al tuo ritorno." Spostò il piatto, il suono acuto che risuonava nel silenzio, e si avviò pesantemente verso il bagno. Lucia lo osservò allontanarsi, il consueto dolore del distacco che le penetrava nelle ossa. Franco rimase immobile, una statua plasmata dalla tensione. Solo un leggero tremore alla mascella lo tradì. Sorseggiò il caffè freddo in un colpo solo e si alzò.

"Lavoro", borbottò, senza neppure guardarla, afferrando le chiavi. Questa volta, la porta d'ingresso si chiuse dolcemente, lasciando Lucia sola con l'eco dei rumori della casa.

Quella sera, Lucia si trovava davanti allo specchio a figura intera della sua camera da letto, illuminata da una luce soffusa dall'alto. Si sistemò la camicia di raso leopardata sui fianchi, sentendo il tessuto fresco e scivoloso sulla pelle. La profonda scollatura a V era più audace di qualsiasi cosa avesse indossato negli ultimi anni. La gonna nera attillata le abbracciava le cosce, fermandosi a metà coscia, e le calze nere trasparenti le sembravano una ribellione segreta. Indossò i tacchi a spillo, diventando subito più alta e affilata. Infine, indossò l'elegante cappotto nero, stringendolo bene in vita.

"Pare che questa sera tu stia per andare a un provino per diventare modella", la voce di Franco ruppe il silenzio dalla porta. Si appoggiò allo stipite, con le braccia incrociate, gli occhi scuri e misteriosi. Non le aveva più parlato come si deve da quando avevano fatto sesso sul bancone della cucina.
Lucia sobbalzò, la mano fredda sulla fibbia della cintura del cappotto. Incrociò il suo sguardo nello specchio, con un'espressione provocatoria. "È solo una cena con Carla e Sofia." La sua voce era delicata. Il tessuto leopardato brillava sotto la luce soffusa,la gonna aderente più di quanto avesse immaginato.

Franco si allontanò dallo stipite della porta, facendo il suo ingresso nella stanza. L'aroma del suo profumo costoso sovrastava ogni altro odore presente. "Vestita *in questo modo*? Per Carla?" La sua risata fu breve e tagliente. "Indossa un cardigan con peli di gatto." Si fermò a pochi centimetri da lei, il suo riflesso minaccioso accanto al suo. I suoi occhi si soffermarono lentamente sul suo riflesso: la scollatura profonda, la vita sottile, le calze trasparenti che si mostravano sotto l'orlo della gonna. "Cerchi di attirare l'attenzione di qualcuno stasera !?" -disse Franco ridendo.

Lucia si girò all'improvviso, il tessuto leopardato brillava sotto la luce. "Non farlo", lo avvertì con tono teso. "Non ricominciare." Le sue nocche erano pallide mentre stringeva la cintura del cappotto. "Esco. Per dimenticare. Per provare qualcosa di diverso da... questa tomba opprimente." Indicò bruscamente la stanza.
Franco non si tirò indietro. Fece un passo in avanti, invadendo il suo spazio. "Dimenticare?" Il suo sguardo scese intenzionalmente sulla profonda V della sua camicia, poi tornò a fissare i suoi occhi. "O ricordare a qualcun altro?" La sua voce era bassa. "Quella gonna ti copre a malapena. Quei tacchi? Stai praticamente facendo pubblicità.

Lucia trattenne il respiro. "Smettila," sibilò, voltandosi nuovamente verso lo specchio, mentre armeggiava con l'orecchino. Il suo riflesso rivelava l'immobilità predatoria di Franco dietro di lei. "Stasera mi vesto per me stessa. Per ritrovare la mia sicurezza. Qualcosa che Lorenzo non mi ha mai fatto sentire..." La sua voce si spense.

Franco si avvicinò, il suo riflesso inghiottì il suo. Allungò la mano, senza toccarla, ma accarezzando l'aria accanto alla profonda scollatura della sua camicia leopardata. "Sicura di sé?" La sua voce era bassa e rauca. "O disperata?" Le sue nocche sfiorarono il raso vicino alla clavicola. "Questa scollatura grida 'guardami'. E quella gonna?" Il suo sguardo abbassò si significativamente. "Grida 'toccami'. Chi speri esattamente che risponda?"

Lucia si voltò di scatto, con la stampa leopardata che brillava intensamente. I suoi occhi scintillavano. "Geloso ?" La parola squarciò l'aria densa, affilata e inaspettata. Un sorriso amaro e sarcastico le deformò le labbra. "Il mio piccolo è geloso perché andrò a trovare i miei amici?" Inclinò la testa, con un'espressione di sfida cruda. "È così? Teme che qualcun altro possa vedere ciò che *tu* hai visto? Che possa toccare ciò che *tu* hai toccato?" Fece un passo verso di lui, costringendolo a indietreggiare leggermente, con i tacchi a spillo che risuonavano come colpi di pistola sul parquet. "O forse non sopporti l'idea che io esca da quella porta senza il *tuo* permesso?"

Franco si fermò. Quella risposta lo colpì con la forza di un pugno. Aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente. Le parole si intrecciarono nella sua gola – negazione, rabbia, possesso – ma non riuscì a far emergere nulla di sensato. Poteva solo osservare, stordito dalla brutale e seducente della sua provocazione. Le sue nocche, che pochi istanti prima stringevano il telaio della porta, si rilassarono. La certezza predatoria svanì, sostituita da un barlume di vulnerabilità sconcertante. La guardò, completamente in silenzio.

Lucia non attese una risposta. Il suo silenzio rappresentava la sua vittoria. Un sorriso trionfante e amaro le piegò le labbra mentre passava accanto a lui, la manica leopardata che gli sfiorava l'avambraccio. Il profumo che indossava – gelsomino e un tocco più scuro, muschiato – lo avvolse. "Non aspettarmi sveglio", lanciò dietro la spalla, con una voce che trasudava una sicurezza che Franco non percepiva da anni. I tacchi a spillo colpivano le assi del pavimento del corridoio come segni di punteggiatura intenzionali, netti e definitivi. *Clic. Clic. Clic.* Ogni passo sottolineava il movimento dei suoi fianchi sotto la gonna aderente, la visione della parte superiore trasparente della calza che brillava sotto l'orlo mentre il cappotto si allargava leggermente. Rimase fermo, osservando l'elegante cappotto nero svanire lungo il corridoio verso la porta d'ingresso.

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scritto il
2025-10-23
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