Lia e Luca. Senza di me.

di
genere
corna

Questo racconto è il terzo capitolo di
"Io, Lia e Luca al matrimonio" .
Prima di leggere questo racconto che segue è opportuno leggere il primo capitolo ed il secondo, per poterne capire le dinamiche.

La porta del salotto si aprì con un leggero scricchiolio, e Lei entrò senza nemmeno togliersi le scarpe, i tacchi alti che battevano sul parquet con un ritmo deciso. L’aria era carica di tensione, come se ogni molecola fosse elettrificata dall’attesa di qualcosa che stava per accadere. Io ero seduto sul divano, le dita che tamburellavano nervosamente sul bracciolo, mentre dai pantaloni si intravedeva già il rigonfiamento inconfondibile di un’eccitazione che non riuscivo a controllare. Non avevo bisogno di voltarsi per sapere che Lia era in cucina, impegnata a sistemare le ultime cose prima di cena, il clinking delle stoviglie che arrivava attutito, quasi come un sottofondo musicale a quella scena che stava per prendere vita.
“Rick, devo parlarti,” disse Luca, la voce bassa ma ferma, “Vado a Milano per quattro giorni con i clienti del nord,” esordì, incrociando le braccia “Vorrei che Lia venisse con me.”
Le parole caddero nell’aria come pietre in uno stagno, creando cerchi concentrici di eccitazione che si allargavano sempre di più. Io sentii il sangue ribollire nelle vene, il cazzo che cominciava a pulsare con insistenza contro la cerniera dei jeans. Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo. Non era solo l’idea di Lia in viaggio con Luca, ma il pensiero di ciò che avrebbe potuto accadere lì, tra le mura di un albergo milanese, tra incontri di lavoro e pause caffè che si sarebbero trasformate in qualcosa di molto più intimo. “Mi eccito solo a pensarlo,” sibilai, la voce roca, le dita che si strinsero a pugno sul bracciolo, le unghie che affondavano nel tessuto.
Fu in quel momento che Lia fece il suo ingresso. Non aveva bisogno di annunciare la sua presenza: il profumo dolce e speziato del suo shampoo arrivò prima di lei, seguito dal suono dei suoi passi felpati sul pavimento. Indossava quei jeans attillati che sembravano dipinti sulla sua pelle, il tessuto così sottile da lasciar intravedere il solco tra le natiche ogni volta che si muoveva, e una camicetta di seta color avorio che si aggrappava ai seni pieni, i bottoni superiori slacciati appena quel tanto che bastava per scorgere il pizzo nero del reggiseno. Il suo corpo era una promessa vivente, una tentazione che ne io ne Luca avremmo mai potuto resistere. “Allora?” chiese, la voce vellutata ma carica di una sfida che non lasciava spazio a fraintendimenti. Si fermò davanti a me, le labbra leggermente dischiuse, la lingua che guizzò fuori per inumidirle in un gesto che era tutto fuorché innocente.
"Voglio che mi raccontiate tutto. Per filo e per segno,” dissi, la voce che tremava leggermente nonostante cercassi di mantenere un tono fermo. Mi sporsi in avanti, gli occhi che bruciavano mentre percorrevano il corpo di Lia, soffermandomi sui seni, sulla vita stretta, sui fianchi che sembravano fatti apposta per essere afferrati. “E con documentazione fotografica annessa,” aggiunsi, una risata bassa e roca che mi sfuggì dalle labbra. Non era una richiesta, ma un ordine. Un ordine che sapevo sarebbe stato eseguito alla lettera, perché Lia amava quel gioco quanto me. Forse anche di più.
Lia sorrise, un sorrisetto malizioso che le incurvò le labbra e le fece brillare gli occhi di una luce pericolosa. “Non ti deluderemo, tesoro,” mormorò, avvicinandosi ancora di più, tanto che potei sentire il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle. Si chinò leggermente, offrendomi una vista mozzafiato della scollatura, dove la seta della camicetta si apriva come un invito. “Ti manderò tutto. Ogni dettaglio. Ogni gemito. Ogni… tocco,” sussurrò, la voce che si abbassava in un bisbiglio che sembrava carezzare l’orecchio interno.
Luca non rimase a guardare. Si avvicinò alle spalle di Lia, le mani che si posarono sui suoi fianchi con possessività, le dita che si allargarono per abbracciare la curva dei suoi glutei attraverso il tessuto sottile dei jeans. “Non preoccuparti, Rick. Lia sarà in buone mani,” disse, la voce profonda. Le sue dita si mossero lentamente, massaggiando, stringendo, come se volesse già marchiare quella carne come sua. “E ti prometto che non mancheranno… souvenir.”
Chiusi gli occhi per un istante, immaginando già tutto. Lia in un albergo di lusso, vestita solo di lingerie nera, le gambe aperte su un letto sfatto, mentre Luca la fotografava da ogni angolazione. O peggio—meglio—Lia in un ufficio, la gonna sollevata, le mutandine abbassate, mentre un estraneo, un cliente la guardava con occhi famelici, le dita che si avvicinavano, pronte a esplorare ciò che non gli apparteneva. Il pensiero mi fece gemere, il cazzo che ora premeva dolorosamente contro i jeans, la punta già umida di pre-eiaculato. “Cazzo, sì,” ansimai, aprendo gli occhi e fissando prima Lia, poi Luca. “Voglio tutto. Ogni foto. Ogni video. Voglio sentire i suoi gemiti mentre mi siedo qui, solo, a immaginarvi”
Lia rise, una risata bassa e sensuale che le fece vibrare il petto. “Ti faremo impazzire, amore,” promise, staccandosi da Luca solo per avvicinarsi ancora di più a me, le dita che si posarono sul mio ginocchio, risalendo lentamente, minacciose, verso l’inguine. “E quando tornerò…” si interruppe, la voce che si spezzava in un sospiro quando le sue dita sfiorarono il rigonfiamento nei miei pantaloni “…ti racconterò ogni dettaglio. Mentre tu sarai in ginocchio. E io deciderò se lasciarti venire o no.”
Tre giorni dopo, il rumore del motore dell’auto di Luca che si accendeva risuonò come un tuono nel silenzio del mattino. Lia uscì di casa con la valigia in mano, i tacchi che battevano sul selciato con un ritmo che sembrava un countdown. Indossava un tailleur grigio antracite che le aderiva al corpo come una seconda pelle, la gonna che si fermava appena sopra il ginocchio, abbastanza corta da lasciar intravedere le cosce snelle ogni volta che si muoveva. La camicetta bianca era abbottonata fino in cima ma tradiva un seno molto rigoglioso, ed io sapevo cosa nascondeva sotto: un completo di lingerie nera, reggiseno e perizoma, che avevo scelto personalmente per lei la sera prima, le dita che tremavano mentre glielo facevo indossare, immaginando già gli sguardi degli altri su quel corpo perfetto.
“Ci vediamo domenica,” disse Lia, avvicinandosi a me per un ultimo bacio. Non fu un bacio casto. Le sue labbra si aprirono, la lingua che si insinuò nella mia bocca con una fame che lo fece gemere. Io sentii le sue mani affondare nei capelli di lei, tirandola più vicina, come se volesse fondersi con lei, assorbirne il sapore, il profumo, la promessa di ciò che sarebbe successo nei giorni a venire. Quando ci staccammo, eravamo entrambi senza fiato, le labbra di Lia lucide, ed io annebbiato dal desiderio.
“Non deludermi,” sussurrai, la voce roca, le dita che si strinsero sui fianchi di lei prima di lasciarla andare.
Lia sorrise, un sorriso che era una lama affilata, tagliente. “Oh, amore ” disse, salendo in auto accanto a Luca, che la guardava come se fosse il pasto più prelibato che avesse mai visto. “Ti prometto farò molto la monella.”
L’auto partì, lasciandomi solo sul marciapiede, il cazzo duro come il marmo, le mani che tremavano per l’eccitazione. Mi voltai e rientrò in casa, sapendo già che i prossimi giorni sarebbero stati un’inferno di attesa, di fantasie, di immagini che si sarebbero susseguite nella sua mente come un film porno in loop. Mi sedetti sul divano, entrassi il telefono dalla tasca e aprii la chat con Lia. 
Non ebbi bisogno di aspettare a lungo. Il primo messaggio arrivò meno di un’ora dopo: una foto di Lia in macchina, la gonna sollevata fino alla vita, le mutandine nere di pizzo scostate, le dita di Luca che le accarezzavano il clitoride gonfio, le labbra di lei dischiuse in un gemito silenzioso. Ansimai, il cazzo che pulsava dolorosamente, la mano che si abbassò automaticamente sulla patta dei pantaloni, strofinando, stringendo, cercando un sollievo che sapevo non sarebbe arrivato così presto.

Il secondo giorno di viaggio, Luca portò Lia nell'ufficio milanese del vecchio clientone, un certo signor Giusti, un uomo con gli occhi come quelli di un falco e le mani già pronte a toccare. L'ufficio era un trionfo di vetri e acciaio, con quel profumo inebriante di potere e soldi che faceva girare la testa a Lia.
Lei camminava in quella sala riunioni con il suo vestito azzurro che si incollava al culo a ogni passo, le tette che ballavano sotto la stoffa sottile. La sua andatura era studiata, un'esibizione di femminilità che non lasciava scampo.
"La tua nuova collaboratrice è proprio una bella manza, Luca" disse Giusti, fissando le cosce di Lia mentre si sedeva. La sua voce roca, carica di malizia, tradiva i suoi pensieri.
Il pranzo di lavoro fu un continuo di complimenti velati, di sorrisi che non arrivavano agli occhi, di mani che "casualmente" sfioravano il braccio di Lia ogni volta che le passava il sale. La tensione era palpabile, un gioco pericoloso tra desiderio e potere.
Quando finalmente uscirono, Giusti accompagnò Luca verso l'ascensore, lasciando Lia pochi passi indietro. "Dimmi la verità, Luca" sussurrò il vecchio con la sua voce roca, "questa mammellona te la scopi anche o te la porti solo in giro a farci rizzare i cazzi a noi clienti?"
Luca ridacchiò, lanciando un'occhiata a Lia che stava sistemando la giacca. "Guarda che nelle trattative non ci si raccontano tutte le verità" rispose con malizia, mentre Lia arrossiva sentendo ogni parola, ma facendo finta di non aver sentito. Sapeva che era parte del gioco, un gioco che la eccitava e la spaventava allo stesso tempo.
Giusti, mentre stringeva la mano a Lia per salutarla, lasciò che le sue dita nodose scivolassero deliberatamente sul suo sedere, premendo con una familiarità che fece sobbalzare la ragazza. "È stato un piacere, dottoressa" sussurrò l'uomo, il suo sguardo che si tuffava nella scollatura di Lia come un animale affamato, fissando quella pelle abbronzata e il reggiseno che a malapena conteneva le sue curve. Lia arrossì, sentendo quel contatto indecente che la eccitava nonostante tutto.
Appena la porta dell'ascensore si chiuse, scattò uno sguardo infuocato tra loro. "Hai sentito cosa ha detto quel porco?" ansimò Luca, stringendosi la patta gonfia. La sua eccitazione era evidente, il suo desiderio incontrollabile.
"Sì... mi chiamava mammellona" disse Lia, mordendosi il labbro, già completamente persa. Il suo sguardo era acceso, i suoi occhi brillavano di desiderio. "E tu cosa gli hai fatto capire?"
Luca, con un sorriso malizioso, rispose: "Gli avrei voluto dire che sei la mia troia... la mia mammellona personale", afferrandole i capelli e baciandola appassionatamente. Il bacio fu intenso, selvaggio, un'esplosione di passione repressa.
Il viaggio in taxi fu una sofferenza, non vedevano l'ora di arrivare, avevano voglia l'uno dell'altra. Ogni sguardo, ogni tocco, era un'anticipazione del piacere che li attendeva.
Entrati in hotel, Lia come sempre catalizzava su di sé gli sguardi di tutti i presenti. La sua presenza era magnetica, un'esplosione di sensualità che attirava l'attenzione di tutti.
Appena varcata la porta della suite, Luca spinse Lia contro la vetrata che si affacciava su altri palazzi. "Ora mi prenderò il tuo culo" disse con fermezza, tirandole su il vestito e giù il perizoma mentre lei si appoggiava al vetro freddo. Le sue mani le aprirono i glutei con forza, sputandoci sopra prima di penetrarla nell'ano con uno, poi due dita e subito dopo un colpo secco che strappò a Lia un urlo fortissimo.
Luca le afferrò i fianchi con forza brutale, schiacciandola contro il vetro della finestra; il suo cazzo le sfondò il culo con una violenza che la fece urlare, ogni colpo più profondo del precedente. Lia era piegata in due, le mani appiattite contro il vetro freddo, le tette che nel frattempo lui aveva spogliato, sbattevano contro la superficie trasparente in modo osceno.
"Guarda come ti scopo questo culo da troia" le disse, afferrandole i capelli e costringendola a guardare il riflesso dei loro corpi uniti. Le sue mammelle ondeggiavano selvaggiamente, strisciavano sul vetro mentre lui la penetrava senza pietà. Da un palazzo di fronte, una silhouette si muoveva dietro una tenda - qualcuno stava sicuramente guardando questo spettacolo indecente, quelle tette che ballavano esposte a chiunque si potesse affacciare.
Dopo l'ultima spinta profonda, Luca la trascinò in bagno, spingendola sulle ginocchia davanti al water. "Apri quella bocca da zoccola" ordinò, e mentre lei obbediva con occhi ebbi di piacere, lui le sborrò in faccia con getti caldi e copiosi che le imbrattarono gli occhi, il naso, le labbra. Lia gemette, la lingua che cercava di raccogliere ogni goccia di quel seme.
Poi, con un gesto ancora più forte, Luca iniziò a pisciarle addosso. Il getto caldo le colò sui capelli, le scivolò sul viso imbrattato di sperma, le inondò le tette lucide e gonfie. La sua umiliazione era la sua eccitazione, la sua sottomissione il suo piacere.
La telefonata serale arrivò mentre ero seduto nel mio salotto vuoto, il telefono che mi bruciava nella mano. L'attesa era stata snervante, l'ansia di sapere cosa fosse successo mi aveva divorato.
"Pronto Rick..." la voce di Lia era roca, eccitata. "Oggi è successo di tutto..." comincia a raccontare, e quando arriva al finale nella stanza d'albergo la sua voce si fa più bassa, più intensa. "Luca mi ha scopata forte... così forte che pensavo di svenire..." sussurra, e io sento il rumore delle sue dita che si muovono tra le sue gambe. L'immagine di lei, in quel momento, mi fece impazzire.
Luca prese il telefono. "Ha urlato come una pazza quando le ho sborrato in faccia..." disse con voce alterata dall'alcool e dall'eccitazione, "poi l'ho pisciata tutta, come la troia che è..."
Mi masturbai fortissimo mentre eravamo al telefono, l'eccitazione che mi percorreva come una scarica elettrica. La loro audacia, la loro passione, mi avevano completamente conquistato. Poi ci lasciammo con l'accordo di sentirci più tardi, con la promessa di altri dettagli piccanti.
Si fece sera, e l'attesa mi divorava. Sapevo che Lia sarebbe uscita, che avrebbe cercato l'attenzione, che avrebbe alimentato il fuoco della loro trasgressione.
Lia scese nella hall, uscendo dall'ascensore con quell'abbigliamento da pura provocazione. La gonna di pelle nera così corta che si intravedevano le cosce potenti a ogni passo, i tacchi alti che le facevano oscillare il culo in modo ipnotico. La camicia leopardata era in seria difficoltà nel contenere quel seno stretto in un reggiseno push-up che spingeva le sue tette verso l'alto in un décolleté scandaloso.
Gli sguardi nella hall la divoravano - uomini che si strozzavano con il cocktail, donne che la guardavano con disappunto dettato dalla gelosia. La sua presenza era un'affermazione di potere, una sfida alle convenzioni.
Presero un taxi che li portò in una zona di locali, e per tutto il tragitto il tassista non riuscì a staccare gli occhi dallo specchietto. Era un uomo sulla sessantina con le mani sudate sul volante, che non riusciva a staccare gli occhi dal sedere di Lia che scendeva dal taxi.
Luca fece per pagare la corsa con un sorriso complice, ma fu Lia a prendere l'iniziativa. "Lasci che paghi io" disse con voce suadente, avvicinandosi al finestrino aperto.
Si sporse in modo calcolato, così tanto che le sue tette enormi, strette nel reggiseno leopardato, quasi sbattessero sul viso del tassista. L'uomo trattenne il respiro, gli occhi spalancati mentre il suo sguardo si tuffava in quel décolleté abbondante. Lia mosse le banconote con lentezza voluta, facendo oscillare il seno a pochi centimetri dalla sua faccia. "Tenga... e tenga pure il resto" sussurrò, lasciando l'uomo sicuramente con il cazzo di marmo nei pantaloni.
Il tassista borbottò un grazie strozzato, Luca la guardò con occhi pieni di lussuria, sapendo che questa era solo l'antipasto di una serata che prometteva di essere selvaggia. Lia si allontanò dal taxi con un'andatura esagerata, sapendo che l'uomo la stava ancora fissando attraverso lo specchietto retrovisore.
Scelsero un locale abbastanza movimentato. La musica pulsava, le luci colorate creavano un'atmosfera di eccitazione.
Lia entrò con quell'andatura da dea peccaminosa, i tacchi che scandivano ogni passo sul pavimento di cemento. Gli sguardi la seguivano come falchi - uomini che dimenticavano i drink nelle mani, donne che la scrutavano con un misto di invidia e disgusto. Lei sculetta deliberatamente, facendo oscillare quel sedere racchiuso nella gonna di pelle finché non raggiunsero un tavolo in un angolo semi-oscuro.
Dopo pochi minuti si alzò per il buffet, strisciando tra la folla con calcolata lentezza. Nella ressa, sentì un pacco duro premersi contro il suo culo. Rimase immobile un attimo, poi si voltò con finta disapprovazione. "Scusi!" Le disse un uomo con voce che tremava appena, mentre lei tornava al tavolo, con le guance arrossate.
"Mi hanno appena sfiorato il culo con un cazzo duro" sussurrò a Luca, accavallando le gambe, la gonna che si sollevava pericolosamente. Lui le posò una mano sulla coscia mentre il mio telefono vibrò con il suo messaggio: "Rick... in hall tutti mi mangiavano con gli occhi... il tassista quasi mi leccava le tette dal finestrino... e qui al bar un tipo mi ha sfregato il cazzo sul culo... sto impazzendo dalla voglia, mi sento dentro un film di Tinto Brass..."
Le scrissi: "Sei andata ad accompagnare Luca per lavoro o a fare la troia con tutti?" La mia gelosia, mista all'eccitazione, era palpabile.
Lei mi rispose: "Voglio esagerare in questi giorni... a più tardi", corredato da una foto della camicia che quasi esplodeva con le tettone trattenute a stento. La foto mostrava il suo riflesso nello specchio del bagno del locale - la camicia leopardata era scollata al punto che si intravedevano i seni quasi completamente nudi, il reggiseno che lottava per contenere quelle tette gonfie e pesanti.
Poco dopo, un altro messaggio di Luca: "La situazione sta diventando incontrollabile. Ogni uomo che la guarda la eccita di più. Ha già bevuto tre cocktail e sta flirtando spudoratamente col barista che avrà non più di 20 anni... Questa serata finirà in modo scoppiettante."
Il locale si era svuotato, solo qualche avventore rimasto in angoli lontani mentre i camerieri iniziavano a pulire. Lia era seduta sull'alto sgabello al bancone, le gambe scoperte accavallate in modo che la gonna di pelle si fosse sollevata fino a mostrare l'inizio delle cosce. Il giovane barista, un ragazzo con i capelli ricci e gli occhi pieni di desiderio, non riusciva a nascondere la sua erezione mentre puliva i bicchieri. "Sei la donna più sexy che abbia mai visto" le disse, sfregandosi il cavallo dei pantaloni contro il bancone, "quel seno... è incredibile, sembra la camicia stia per esplodere..."
Lia sorseggiò il suo cocktail, lasciando che la camicia si aprisse ulteriormente. "A vent'anni pensi di poter osare con una donna come me?" gli sussurrò, facendo scivolare il dito fino a sbottonare un ulteriore bottone ed esponendo il reggiseno strabordante. Luca osservava dalla sua sedia, una mano che gli massaggiava il cazzo attraverso i pantaloni mentre le sorrideva.
Il barista si sporse oltre il bancone, le sue dita che la sfioravano. L'attrazione era palpabile, un'energia che riempiva l'aria.
Gli proposero di andare in hotel con loro, lui ovviamente accettò e al loro arrivo in hotel li osservarono salire in 3 in ascensore, lei praticamente nuda... ovviamente capirono cosa sarebbe successo. L'anticipazione era alle stelle, la promessa di un'esperienza indimenticabile. Attendevano che lui finisse, e si avviarono verso l'hotel.
L'atrio dell'hotel era illuminato da luci basse, pochi ospiti notturni seduti in poltrone di pelle. Lia si staccò dal gruppo e si diresse verso il bancone della reception, i tacchi che echeggiavano sul marmo lucido, catturando l'attenzione dei pochi presenti.
La sua camicia era sbottonata fino al reggiseno, rivelando il reggiseno leopardato che lottava per contenere le sue curve. I due uomini rimasero davanti agli ascensori - Luca con un sorriso complice, Marco che arrossiva e fissava il pavimento, le mani in tasca per nascondere l'erezione che gli deformava i pantaloni.
"Buonasera, la chiave per la 312 per favore" disse Lia al receptionist con voce suadente, appoggiandosi al bancone in modo che il suo décolleté fosse a livello dei suoi occhi. L'uomo, sulla cinquantina con gli occhi stanchi, non riuscì a evitare di fissare quella pelle abbronzata e quei seni premuti contro il reggiseno. Le sue dita tremarono leggermente mentre le passava il keycard.
"Grazie, gentilissimo" sussurrò Lia, lasciandosi sfuggire un sorriso malizioso, le sue dita che sfioravano le sue quando prese la carta. Prima di allontanarsi, si sistemò i capelli con movimenti lenti, inarcando la schiena in modo che i suoi seni sembrassero ancora più prominenti. Il receptionist deglutì visibilmente, aggiustandosi gli occhiali mentre la guardava tornare verso gli ascensori.
Marco fissava le sue scarpe, le orecchie rosse mentre Lia si avvicinava a lui con movimenti felini. "Che succede" sussurrò, avvicinandosi così tanto che i suoi seni quasi toccarono il suo petto. "Non mi dici quanto sono sexy?" Le sue dita gli sollevarono il mento, costringendolo a guardarla negli occhi. Il ragazzo deglutì, le parole che gli morivano in gola.
Luca premette il bottone del terzo piano con un ghigno. "Lascialo stare, è timido" disse, ma Lia non demorse. Le sue mani scesero lungo il petto di Marco, sentendo il cuore che gli batteva all'impazzata. "Quando entriamo in camera" gli sussurrò all'orecchio, leccandogli il lobo, "voglio che tu mi dica esattamente cosa vorresti farmi..."
L'ascensore si fermò con un ding. Marco era paralizzato, il suo cazzo così duro da fargli male, mentre Lia gli prese la mano e la guidò verso la sua coscia nuda sotto la gonna. "Tranquillo" gli disse con voce materna ma gli occhi da predatrice, "penso che ci divertiremo molto."
Lia si fermò appena fuori dall'ascensore e con gesto teatrale si tolse prima la camicia, lasciandola cadere a terra, poi slacciò il reggiseno leopardato che finì sul mucchio di stoffa. I suoi seni pesanti e perfetti rimbalzarono liberi, i capezzoli scuri già duri per l'eccitazione. "Che ne dite del panorama?" rise, girando su se stessa per mostrare ogni curva mentre avanzava lungo il corridoio a seno nudo.
Marco rimase immobile, la bocca semiaperta mentre fissava quelle tette che oscillavano ad ogni passo di Lia. "Cazzo..." riuscì a sussurrare, la mano che si strofinava inconsciamente sul cavallo dei pantaloni. Luca invece estrasse il telefono e iniziò a filmare, un sorriso di possessività sul volto. "Vai avanti, porca" la incitò, "mostrati a tutto il piano."
Lia camminò lentamente, i tacchi che affondavano nel tappeto, le braccia aperte come un'attrice sul palco. Quando passò davanti a una porta, si fermò e si palpa i seni, gemendo piano per il piacere. "La 312 è lì in fondo, ancora tutto il corridoio da percorrere, speriamo non mi scopra nessuno" disse maliziosa indicando con il mento, "chi arriva ultimo non scopa stasera."
I due uomini la seguirono come ipnotizzati, Marco che non riusciva a staccare gli occhi da quel corpo che fino a poco prima aveva solo immaginato quando l'ha vista entrare nel bar. La loro avventura era appena iniziata, un viaggio nel piacere e nella trasgressione che li avrebbe portati oltre ogni limite.

CONTINUA.
riccardottantadue@gmail.com
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2025-11-06
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