Io, Eva
di
Van88
genere
etero
Il battito della musica non era un suono. Era una vibrazione nel mio stomaco, un martello pneumatico nel petto che spazzava via ogni traccia della timida Eva di provincia. Stasera ero a Berlino, ero libera, e volevo spingermi oltre ogni confine. Il vestito era una seconda pelle, o meglio, una non-pelle. Sotto, nulla. Avevo deciso di non indossare le mutande. Quella sera, non volevo essere me, avrei accettato chiunque.
Mentre ballavo, lasciai che la stoffa si arrotolasse: ero esposta, un'esca, un faro.
Il primo ragazzo mi prese di sorpresa, ma in un modo che desideravo. Mi strinse contro di lui, la penetrazione fu immediata. Nessun preliminare, solo urgenza, e la pista che vibrava sotto i piedi. Ero stretta, in piedi, sentendo i suoi ansimi caldi sul collo. I miei gemiti si mescolarono al thump-thump della techno, una piccola, segreta colonna sonora di piacere. Quando venne dentro di me, caldo e denso, un sussulto mi attraversò. Non l'avevo mai permesso a nessuno, ma in quell'atto di totale abbandono, c’era una libertà che non conoscevo. Lo lasciai andare e il suo posto fu subito preso dal secondo, un'altra iniezione di piacere anonimo che serviva solo ad accrescere la mia fame.
Poi lo vidi. Pochi istanti dopo avrei scoperto il suo nome: Serkan. I nostri sguardi si incrociarono, e non fu un flirt, fu una dichiarazione. I suoi occhi non erano affamati come quelli degli altri, erano calmi, e quella calma era più eccitante di qualsiasi fretta.
Mi fece un cenno, un ordine senza parole, indicandomi il privé.
Quasi ipnotizzata lo seguii in un'oasi di velluto rosso e ombra. Mi spinse sul divanetto, e io crollai. Non fu gentile e gliene fui grata.
Non mi tolse il vestito, lo sollevò e basta. Mi divaricò le gambe e la sua penetrazione fu lenta all'inizio, un avvertimento, poi improvvisamente profonda. Mi prese le gambe, me le tirò al petto. Non parlava, ma ogni spinta era una frase: tu sei mia. Cercavo di resistere, di eguagliare la sua potenza, ma lui era un muro. Mi concentrai sul dolore dolce dei miei muscoli che si tendevano e sul ritmo incalzante che lui imponeva. La sua pelle aveva un odore di spezie e pulito. Quando finì, mi lasciò un attimo, gocciolante, ma non si allontanò. I miei occhi erano chiusi.
Non mi diede il tempo di respirare. La seconda volta fu più violenta, più impaziente. Era come se volesse cancellare ogni residuo della ragazza che ero stata. Le sue mani erano forti sui miei fianchi. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, non per sofferenza, ma per l'intensità della sensazione che mi stava scuotendo. Venne di nuovo, lasciandomi spossata.
"Ti prego, dammi un attimo," ansimai. Lo implorai, la mia voce come un lamento.
Lui si fermò, mi guardò da sopra, il suo viso in ombra. "Lo vuoi davvero, Eva? Vuoi davvero che mi fermi?" La sua voce mi schiaffeggiò. Sapevo che lo capiva. Non volevo tregua, volevo la resa. Scossi la testa.
Mi prese, mi girò a pecorina e mi penetrò di nuovo in modo da farmi sentire la sua piena forza, spingendo fino a toccare un punto che non sapevo esistesse. Era una distruzione, un annullamento di me stessa. Mi aggrappai al divanetto per non cedere. Quando mi venne di nuovo dentro, fui pervasa da un calore potente che mi lasciò tremante e vuota di ogni pensiero, ma decisamente piena di altro.
Serkan si alzò. Il mio corpo era indolenzito, la mia pelle calda e bagnata. Stava per andarsene. Non potevo permetterlo. In un gesto che non controllai, presa da una lussuria folle, allungai la mano, afferrando il suo polso come una catena. "E se non mi bastasse?"
Si fermò di colpo sbalordito, eccitato e sorpreso.
Mi sollevò come se non avessi peso e mi portò in trionfo attraverso la folla, che si aprì come l'acqua. Mi depositò sul cubo della pista, dove la luce era più forte.
Lì, in mezzo a tutti, mi prese. Era l'esposizione totale, l'atto definitivo di liberazione. Mi sentii venerata e profanata insieme. L'imbarazzo non esisteva, c'era solo l'elettricità dello sguardo altrui che si sommava al piacere.
Il beat incalzava accompagnando i colpi che Serkan mi infliggeva. I miei gemiti coperti dalla musica. Poi, successe l'impossibile.
La musica si spense. Solo un istante, ma proprio nel momento in cui un orgasmo mi sconquassò le viscere. Un'esplosione che non era solo fisica, ma esistenziale. Sentii la mia anima staccarsi da terra, purificata, liberata da anni di provincia e di ipocrisia. La musica ripartì, come se il mondo avesse aspettato il mio climax per ricominciare a girare.
Serkan venne un attimo dopo, in un orgasmo coperto dalla musica e uscì da me subito dopo. Mi lasciò lì, in alto, con le gambe ancora molli e la mia nudità inondata di luce e umidità.
Mi guardò. Non c'era giudizio, solo riconoscimento.
"Benvenuta a Berlino."
E poi se ne andò, scomparendo nella folla, lasciandomi gocciolante, le cosce tutte appicicose del suo sperma, in bela vista, ma non mi importava, non più. Ero felice e libera.
Mentre ballavo, lasciai che la stoffa si arrotolasse: ero esposta, un'esca, un faro.
Il primo ragazzo mi prese di sorpresa, ma in un modo che desideravo. Mi strinse contro di lui, la penetrazione fu immediata. Nessun preliminare, solo urgenza, e la pista che vibrava sotto i piedi. Ero stretta, in piedi, sentendo i suoi ansimi caldi sul collo. I miei gemiti si mescolarono al thump-thump della techno, una piccola, segreta colonna sonora di piacere. Quando venne dentro di me, caldo e denso, un sussulto mi attraversò. Non l'avevo mai permesso a nessuno, ma in quell'atto di totale abbandono, c’era una libertà che non conoscevo. Lo lasciai andare e il suo posto fu subito preso dal secondo, un'altra iniezione di piacere anonimo che serviva solo ad accrescere la mia fame.
Poi lo vidi. Pochi istanti dopo avrei scoperto il suo nome: Serkan. I nostri sguardi si incrociarono, e non fu un flirt, fu una dichiarazione. I suoi occhi non erano affamati come quelli degli altri, erano calmi, e quella calma era più eccitante di qualsiasi fretta.
Mi fece un cenno, un ordine senza parole, indicandomi il privé.
Quasi ipnotizzata lo seguii in un'oasi di velluto rosso e ombra. Mi spinse sul divanetto, e io crollai. Non fu gentile e gliene fui grata.
Non mi tolse il vestito, lo sollevò e basta. Mi divaricò le gambe e la sua penetrazione fu lenta all'inizio, un avvertimento, poi improvvisamente profonda. Mi prese le gambe, me le tirò al petto. Non parlava, ma ogni spinta era una frase: tu sei mia. Cercavo di resistere, di eguagliare la sua potenza, ma lui era un muro. Mi concentrai sul dolore dolce dei miei muscoli che si tendevano e sul ritmo incalzante che lui imponeva. La sua pelle aveva un odore di spezie e pulito. Quando finì, mi lasciò un attimo, gocciolante, ma non si allontanò. I miei occhi erano chiusi.
Non mi diede il tempo di respirare. La seconda volta fu più violenta, più impaziente. Era come se volesse cancellare ogni residuo della ragazza che ero stata. Le sue mani erano forti sui miei fianchi. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, non per sofferenza, ma per l'intensità della sensazione che mi stava scuotendo. Venne di nuovo, lasciandomi spossata.
"Ti prego, dammi un attimo," ansimai. Lo implorai, la mia voce come un lamento.
Lui si fermò, mi guardò da sopra, il suo viso in ombra. "Lo vuoi davvero, Eva? Vuoi davvero che mi fermi?" La sua voce mi schiaffeggiò. Sapevo che lo capiva. Non volevo tregua, volevo la resa. Scossi la testa.
Mi prese, mi girò a pecorina e mi penetrò di nuovo in modo da farmi sentire la sua piena forza, spingendo fino a toccare un punto che non sapevo esistesse. Era una distruzione, un annullamento di me stessa. Mi aggrappai al divanetto per non cedere. Quando mi venne di nuovo dentro, fui pervasa da un calore potente che mi lasciò tremante e vuota di ogni pensiero, ma decisamente piena di altro.
Serkan si alzò. Il mio corpo era indolenzito, la mia pelle calda e bagnata. Stava per andarsene. Non potevo permetterlo. In un gesto che non controllai, presa da una lussuria folle, allungai la mano, afferrando il suo polso come una catena. "E se non mi bastasse?"
Si fermò di colpo sbalordito, eccitato e sorpreso.
Mi sollevò come se non avessi peso e mi portò in trionfo attraverso la folla, che si aprì come l'acqua. Mi depositò sul cubo della pista, dove la luce era più forte.
Lì, in mezzo a tutti, mi prese. Era l'esposizione totale, l'atto definitivo di liberazione. Mi sentii venerata e profanata insieme. L'imbarazzo non esisteva, c'era solo l'elettricità dello sguardo altrui che si sommava al piacere.
Il beat incalzava accompagnando i colpi che Serkan mi infliggeva. I miei gemiti coperti dalla musica. Poi, successe l'impossibile.
La musica si spense. Solo un istante, ma proprio nel momento in cui un orgasmo mi sconquassò le viscere. Un'esplosione che non era solo fisica, ma esistenziale. Sentii la mia anima staccarsi da terra, purificata, liberata da anni di provincia e di ipocrisia. La musica ripartì, come se il mondo avesse aspettato il mio climax per ricominciare a girare.
Serkan venne un attimo dopo, in un orgasmo coperto dalla musica e uscì da me subito dopo. Mi lasciò lì, in alto, con le gambe ancora molli e la mia nudità inondata di luce e umidità.
Mi guardò. Non c'era giudizio, solo riconoscimento.
"Benvenuta a Berlino."
E poi se ne andò, scomparendo nella folla, lasciandomi gocciolante, le cosce tutte appicicose del suo sperma, in bela vista, ma non mi importava, non più. Ero felice e libera.
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