La signora delle pulizie
di
Kendall
genere
dominazione
La signora delle pulizie
Premessa.
Questo breve racconto nasce dal mio desiderio di veder realizzata nella fantasia una di quelle situazioni che nella realtà non capitano mai, quelle in cui le proprie aspirazioni più strane e più nascoste trovano modo di realizzarsi davvero.
La vicenda ruota attorno ad un’inclinazione sessuale del personaggio maschile in cui mi proietto e di quello femminile costruito sulla base di una donna che ho conosciuto.
Il tipo di sessualità di cui si parla tocca le dinamiche di dominazione fisica e mentale ma ne attenua le tinte grazie al feeling sentimentale che si instaura tra i due protagonisti.
La lotta erotica a ruoli invertiti con la donna indiscussa dominatrice e il maschio che viene umiliato fisicamente ma riabilitato nel finale come partner indispensabile cerca di spostare il contesto dalla pura dominazione one up-one down ad un altro in cui il forte e il debole, l’alto e il basso, il grande e il piccolo si fondono nel piacere sessuale condiviso.
Spero di essere riuscito nel mio tentativo.
L’incontro.
La signora delle pulizie era stata assunta da poco da una cooperativa che serviva il condominio in cui vivevo. Anche se all’inizio non lo sapevo, aveva 52 anni all’anagrafe, ma il suo volto ne dimostrava molti di meno: la pelle era chiara e liscia, non aveva rughe sotto agli occhi né capelli bianchi che erano invece di un biondo tendente al castano. Li portava abbastanza corti così da mettere in evidenza un collo ben piantato.
Aveva un portamento sicuro e camminava con passo atletico lasciando trasparire lo spirito di una donna determinata. Non era appariscente né forse voleva esserlo. Lo sguardo era fiero, il volto duro, spigoloso, bello a suo modo ma poco incline al sorriso. Gli occhi verdi e gelidi ponevano una sorta di barriera impalpabile con chi si trovava a parlare con lei.
Veniva, faceva le pulizie delle scale, del cortile e, talvolta, anche della cantina dove spesso la si poteva incrociare. Infatti, nel nostro edificio di 24 appartamenti si accedeva alla zona cantine scendendo dalle scale o entrando direttamente dai box: due bui corridoi lungo uno dei quali si trovava lo sgabuzzino delle scope. Non dava confidenza a nessuno. Era molto schiva. Si vestiva in modo un po’ trasandato, tradendo umili origini.
Non potevi capire immediatamente che fisico avesse perché indossava sempre larghi indumenti da lavoro. Però si vedeva subito che era piuttosto alta: a spanne mi sembrava almeno sul metro e 83-85. Quando la vidi entrare con la scopa e il secchio in mano la prima volta non feci caso alla stazza di quella donna. Coperta dalla vestaglia di lavoro, sembrava una persona robusta sì ma non quanto scoprii successivamente.
Io abitavo da solo al secondo piano. Ero in affitto e stavo molto in casa perché il mio lavoro a distanza di redattore per riviste medico-scientifiche mi obbligava a farlo. Ogni tanto uscivo a prendere una boccata d’aria e, per questo, la incontravo spesso. Ricordo che era fine settembre quando prese servizio dopo due settimane di assenza. “Buongiorno… buongiorno”. Si sentiva che proveniva da un paese dell’est europeo.
Nonostante i frequenti incroci, mai un sorriso neanche di circostanza. Insomma, si faceva i fatti suoi. Aveva sempre lo sguardo basso intenta a pulire, con movimenti lenti quasi stanchi. Non sembrava molto portata alla fatica fisica né che le importasse socializzare con qualcuno. Ma mi sbagliavo in entrambe i casi…
Fu infatti quel giorno di fine settembre che feci una grande scoperta che mi costrinse a cambiare idea e costituì l’inizio di un’esperienza fantastica. Dovevo scendere in cantina a rimettere a posto una valigia e un ventilatore che non sarebbe più servito, trovandoci a fine stagione. Dovendo fare alla svelta, non mi ero curato di vestirmi: maglietta estiva, calzoncini corti e ciabatte per fortuna ancora senza calze. Quando arrivai alla porta, vidi che era già aperta. Entrai silenziosamente sopra pensiero, percependo il solito senso di umidità da cantina che inspiegabilmente avevo sempre associato a situazioni erotiche. Svoltai l’angolo che apriva la visuale sul lungo corridoio sotterraneo e vidi la signora che stava sistemando le scope nell’armadietto. Svoltai a sinistra nell’altro corridoio e andai depositare la valigia, lasciando socchiusa la porta della mia cantina. Poi tornai indietro per risalire e prendere il ventilatore. La signora non c’era più. Forse aveva finito e se ne era andata.
Ridiscesi di nuovo e depositai il ventilatore. Quando risvoltai l’angolo per uscire rimasi di stucco. La signora delle pulizie era ritornata in cantina ma si era tolta la vestaglia ed era rimasta in canottiera, mostrando due braccia da scaricatore di porto. Stava spostando sopra ad un armadietto alto un metro e mezzo una serie di piastrelle da giardino 50 x 50. Erano state lasciate lì da un anno e nessuno le aveva più mosse perché estremamente pesanti. La donna aveva spalle larghe e un seno non esagerato ma, a dispetto dell’età, ancora sodo perché non si muoveva quando si abbassava piegandosi sulle ginocchia. Me ne resi conto perché la vedevo di profilo.
Rimasi subito colpito dalla facilità con cui prendeva le piastrelle con le mani e le issava sull’armadietto. Vedevo quei muscoli tendersi e sollevare il carico senza particolare sforzo. Cominciai a deglutire. Come avevo fatto a non accorgermene prima? Io che avevo sempre avuto un debole per le donne alte, grosse e forti fisicamente. Ora mi trovavo lì in un contesto che per qualche motivo mi aveva sempre ispirato sessualmente, unico spettatore di una prodezza fisica eccitante, per lo meno per me.
L’impatto
Vedendola inginocchiata, mi avvicinai e dissi: “Buongiorno, ha bisogno di aiuto?” La signora, che apparentemente non mi aveva sentito arrivare, senza scomporsi né girarsi, proseguì nel suo lavoro di accumulo piastrelle e, stando inginocchiata, mi rispose: “Buongiorno, no grazie.” Le metteva una sopra alle altre. Ne aveva accumulate a gruppi di 5 o 6. Saranno pesate 30 chili a gruppo se non di più. Pensai che dovesse avere una forza incredibile per sollevare quei pesi senza neanche sbuffare un po’!
Rimasi fermo giusto il tempo di vederla che si rialzava per spostare altri carichi. Ergendosi in piedi si voltò verso di me. Indossava scarpe basse, eppure mi vidi sovrastare in altezza di 10-15 cm e trafiggere con uno sguardo freddo e scrutatore. Stimai il suo peso: tra i 90 e i 100 chili, sicuramente. Come ho detto, ero in maglietta e calzoni corti e chiunque si sarebbe accorto della mia struttura fisica: 63 kg, con ossa da ragazzina e muscolatura appena abbozzata di cui a volte mi ero vergognato ma che, in presenza di donne che emanavano potenza muscolare era invece fonte di una sottile ma potente eccitazione.
Il suo sguardo si diresse verso di me ed ebbi la sensazione di essere radiografato. Me ne resi conto dal leggero abbozzo di sorriso delle sue labbra e dalla luce che emanò improvvisamente dai suoi occhi.
Improvvisamente, sentii la sua voce. Parlava correttamente ma con un marcato accento dell’Europa dell’Est: “Lei è una persona gentile ma io sono molto forte (e nel dirlo flesse i bicipiti, mostrando una massa di almeno 40 cm di muscoli del tutto naturali e non costruiti). Ho lavorato per tanti anni in campagna come contadina. Spostavo cose pesanti e sono diventata forte e muscolosa”. Ascoltando quelle parole, io mi sentivo tra l’eccitato e l’imbambolato e non replicai. Allora, lei mi squadrò bene, fece un altro sorrisetto e mi gelò penetrandomi con lo sguardo e con un’affermazione tagliente: “Tu invece sei un uomo con pochi muscoli e vedo che hai le mani piccole.” Nel pronunciare queste parole mi prese la mano destra e la confrontò con la sua: aveva dita nodose da muratore ma con unghie smaltate e ben curate; spuntavano di almeno 3 cm dalle mie mentre il mio palmo copriva solo due terzi del suo. Prese il mio pollice e lo paragonò al suo: sembravo io la donna e lei l’uomo… tanta era la differenza. Mise il suo mignolo vicino al mio pollice. Erano praticamente grossi uguale. “Tu poco uomo.” E dicendo questo riprese a sollevare le piastrelle senza più considerarmi.
La sfida
Rimasi un po’ offeso dalle sue parole sprezzanti ma al tempo stesso eccitato dal trovarmi di fronte ad una di quelle donne che avevo sempre sognato di incontrare. Non sapevo cosa fare. La signora indossava pantaloni larghi da lavoro e mi chiesi se avesse avuto cosce muscolose e polpacci poderosi come aveva avambracci, bicipiti e spalle. Lei sembrò leggermi nel pensiero perché, sempre senza voltarsi, la vidi sfilarsi i pantaloni, rimanere in mutande per qualche istante e infilarsi dei larghi calzoncini da pugile che aveva appoggiato in precedenza sulle piastrelle. Cosce, polpacci e caviglie erano proprio come me le aspettavo: di grandi dimensioni ma senza un filo di grasso come se fosse una ragazza di vent’anni. A vedere i suoi polpacci saranno stati anch'essi almeno 40 cm di circonferenza, le sue cosce almeno 70 e anche le sue caviglie parlavano di solidità e potenza. Non vidi subito i piedi ma avrà calzato un 43 o 44.
Io esitavo a spostarmi e, con un moto di orgoglio maschile ripresi a parlare, non sapendo neanche da dove provenissero le mie parole: “E chi ti dice che io sia poco uomo?” La donna si fermò, si voltò rimanendo inginocchiata, si rialzò e, dopo aver posato le ultime piastrelle, fissandomi negli occhi, si avvicinò nuovamente a me. La guardavo dal basso in alto mentre lei mi guardava dall'alto in basso con uno sguardo diverso dal precedente. Stavolta leggevo in lei della malizia.
“Vuoi fare la lotta con me? Vuoi provare quanto sono forte?”
Io ero sempre più pietrificato, eccitato e imbarazzato dal fatto di trovarmi in una di quelle situazioni che avevo sempre sognato ma in un posto dove poteva arrivare chiunque da un momento all’altro.
“Dove?” risposi – Non qui. Qualcuno potrebbe vederci.
“Nella tua cantina. Ho visto che dentro è grande.”
Pazzesco! La signora, in realtà, aveva già messo gli occhi su di me e non è escluso che la situazione delle piastrelle l'avesse creata lei stessa per attirarmi in un gioco che forse desiderava da tempo…
La cantina
La mia cantina si trovava decentrata rispetto alle altre: occorreva andarci apposta. Per accedervi bisognava percorrere tutto il corridoio girare l'angolo aprire una porta e scendere ancora di un livello. Si trattava di un vano ricavato per deposito e poi riconvertito in vano-cantina; era molto ampio e ci avevo messo varie cose tra cui anche un bilanciere con dei pesi e una panca che però non usavo da tempo…
La signora, in effetti mi aveva visto entrare nel vano la prima settimana in cui aveva preso servizio. Mi ricordai anche che in quell'occasione aveva sbirciato dentro chiedendomi se quello fosse uno spazio da pulire. Quindi aveva visto cosa c'era dentro (libri e scaffali ma anche il bilanciere, i pesi e la panca) e, come scoprii dopo, aveva ipotizzato che un uomo della mia costituzione che fa pesi e non mette su muscoli ama le donne come lei. Non era solo forte; era anche molto intelligente.
“OK!”, dissi. “Andiamo!” … Mi sembrava di essere in un film porno e mi sentivo attore e spettatore allo stesso tempo. Ne avevo visti un sacco di video in cui amazzoni forti e potenti sottomettevano uomini più deboli e ne godevano sessualmente. Ma quelli erano attori invece adesso era tutto reale. Non mi sembrava possibile.
“Io chiudo la porta principale della cantina da dentro e poi vengo.” E nel dirlo mi resi conto che la donna si stava eccitando e voleva creare un contesto di totale intimità e libertà d'azione. Al tempo stesso quella voglia dichiarata di chiuderci dentro invece di inquietarmi mi esaltava perché sembrava come un altro tassello del puzzle che si stava componendo da solo.
Mentre mi recavo verso la mia cantina, mi resi conto non solo del pene indurito ma di tutto una sensazione di eccitante aspettativa: finalmente avevo trovato una donna che voleva le stesse cose che volevo io fin da ragazzo ma che non avevo mai avuto la possibilità di realizzare. La signora mi aveva adocchiato da tempo mentre faceva le pulizie e desiderava lottare con me sapendo di essere più forte.
Con la velocità della luce, mille pensieri e fantasie si accavallavano nella mia mente: stavo per iniziare a lottare con un quintale di muscoli femminili che volevano fare la stessa cosa col mio corpo? Davvero stava per succedere? Sarebbe stata complementare ai miei desideri? Avrebbe davvero raggiunto l'orgasmo dominandomi con la forza dei suoi muscoli? Avrei finalmente vissuto la situazione che vagheggiavo fin da quando ero adolescente: godere insieme ad un’amazzone che mi tiene prigioniero con la forza dei suoi muscoli? Avremmo avuto un orgasmo simultaneo e infinito? Mi sembrava tutto un sogno.
Feci velocemente spazio tra le cianfrusaglie accumulate in cantina, ricavando 4 metri per 4 circa. Tirai giù una specie di tappetino da judo (così me lo avevano descritto) rifilatomi dal venditore del bilanciere e attesi il suo ingresso. Entrò e richiuse lei stessa la porta con la chiave interna non appena si accorse della sua presenza. Eravamo completamente isolati dal mondo esterno doppiamente chiusi a chiave in un contesto al tempo stesso claustrofobico ed esplosivo. Ora era di fronte a me, in canottiera senza reggiseno e con dei calzoncini da pugile così larghi che sembravano una minigonna ma erano capaci di valorizzare le dimensioni armoniche e sensuali delle sue gambe.
Mi dissi: “Ma sì, sono le 8 del mattino, quasi tutti condomini sono al lavoro e la mia cantina è come un bunker isolato.” Era il momento ideale, il posto giusto, il coronamento di un sogno. Ma non era un sogno solo per me. Inaspettatamente, con una voce dolce e pacata, sorretta da uno sguardo non più scostante, disse: “Io ho sempre cercato uomini come te con cui lottare ma, quando li ho trovati, sono scappati. Sono scappati perché, quando faccio la lotta, provo piacere sessuale e non sono più capace di controllare la mia forza.”
Eccitato dalle sue parole intervenni: “ Io non scapperò!” Rispose: “Sì, sento che non scapperai. Tu vuoi lottare con me: lo capisco dai tuoi occhi.”
Era anche una donna sensibile se aveva saputo notare questo particolare. Era vero: i miei occhi erano un desiderio fatto pupilla. E così risposi: “Anch’io ho sempre desiderato incontrare una donna come te, ma le donne grandi e grosse non mi hanno mai guardato forse perché a loro non piacciono gli uomini più piccoli e più magri.” Comunque, io mi chiamo Franco. Ho 49 anni e non sono sposato.
“Io sono Tania. Ho 52 anni e sono moldava… ero sposata tanto tempo fa.
Prove di forza
Non compresi appieno quello che aveva detto a proposito del controllo della forza. Ero super-eccitato e basta. Non diedi peso alle sue parole perché non vedevo l’ora di iniziare la sfida ed esordii con la prima proposta: “Io dico che ti batto a braccio di ferro”.
Lei capì che poteva essere un buon inizio e rispose: “Prova!” Presi due seggioline e un tavolino da campeggio e ci mettemmo uno di fronte all’altra. Neanche da vicino mostrava la sua età. Lo sguardo non era più gelido. Si era come trasformata. Ci posizionammo in modo che le due gambe sotto al tavolino si toccassero. Io mi tolsi le ciabatte e con i miei polpacci mi adagiai sui suoi scoprendo che anche lei era scalza. Osservai la pianta dei piedi che era larga e le dita piegate sul pavimento: dita elastiche che spingevano forti sul terreno; unghie smaltate. Di fronte al mio 42 ebbi la conferma di un 43-44 pianta larga. Sembrava proprio che ogni parte del suo corpo di donna fosse più grossa delle mie di uomo, facendo evidenziare una decisa dominanza fisica da parte sua: una vera amazzone dell’est il cui DNA unito al lavoro nei campi aveva forgiato un fisico femminile speciale. Ma come poteva essere sotto le mutande? Mi venne un dubbio atroce che subito scacciai pensando che la sua voce era femminile al 100%. Comunque, ormai ero lì, ben intenzionato a scoprire anche cosa c’era sotto all’ombelico.
I nostri sguardi si incrociarono. La signora delle pulizie si era trasformata in una disponibile guerriera amazzone tutta per me. La cantina era una bolla fuori dal tempo e un destino curioso mi aveva preparato un bel regalo di compleanno per il giorno dopo (infatti sono nato il 29 settembre). Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra. La osservai mentre il suo pollice stringeva il mio facendomi male senza che lei se ne accorgesse. La presa della sua mano era d’acciaio e la mia mano da preadolescente scompariva nella sua. Gli occhi comunicavano desiderio puro di confronto fisico. Sorrise emanando calma. Aveva una risata contagiosa che mostrava dei bei denti dritti. Due fossette sugli zigomi me la facevano sembrare come una persona che sta per gustare qualcosa di buono. Attorno agli occhi un accenno di rughe di espressione ma niente di più.
La sfida iniziò. Cominciai a spingere. Niente. Non la muovevo di un centimetro. Dopo un minuto di miei inutili sforzi, Tania aprì la mano offrendomi solo il pollice. Io feci altrettanto ma lei scosse il capo dicendo di no. Voleva che io usassi la mia intera mano contro il suo solo pollice. Cinsi il grosso pollice nodoso nel mio palmo mentre lei teneva il suo aperto per farmi capire che avrebbe usato solo la forza del dito. Cominciai a spingere. Niente. Non si muoveva niente. Lei mi guardava sorridente e con calma e lentezza mi piegò il braccio senza mai cambiare espressione del viso: “Il mio dito è troppo forte per la tua mano.” E inaspettatamente mi prese la stessa mano e iniziò a succhiare il mio pollice respirando eccitata e guardandomi fissa negli occhi. Poco dopo mi mostrò il palmo della sua mano e mi disse:” Bacia.” Io ubbidii senza esitare e mentre lo facevo lei si eccitò ancora di più. Improvvisamente, mi tirò a sé per la maglietta e introdusse la sua lingua nella mia bocca: “Vediamo chi ha la lingua più forte?” Non feci in tempo a capire cosa intendesse che un bacio sensuale mi fece girare la testa. Sentivo la sua lingua che spingeva sulla mia. Lo faceva lentamente come se volesse dirmi che era più potente di me anche con la lingua.
Ad un certo punto, mi mancò il fiato e riuscii a stento a staccarmi perché con l’altra mano mi stava comprimendo la testa contro la sua. Sorrise e mi propose l’altro braccio: “Tu con due mani … io con una.” Ci impiegò pochi secondi a piegarmi. Poi mi propose mignolo contro mignolo. Quella fu la prova più veloce: visto che il suo mignolo era grande come il mio pollice: non c’era partita. Vinceva sempre lei e pure con un sorriso finale di sensuale soddisfazione.
Per qualche istante ci guardammo senza parlare. Lei era in attesa di qualche mia iniziativa. Poi mi venne l’idea di fare una prova di forza con le gambe. La conosceva bene anche lei questa prova: seduti uno di fronte all’altra, le mie gambe inserite nelle sue, dovevo cercare di divaricarle. Tutto inutile. Anzi, nelle gambe era ancora più forte: le mie sembravano stuzzicadenti rispetto alle sue. Erano assolutamente femminili e non costruite come quelle che hanno certe culturiste bombate con gli anabolizzanti. Erano calde e armoniche perché formatesi in campagna attraverso sforzi naturali dovuti al duro lavoro da contadina. Quando toccò a lei divaricare le mie disse, evidenziando per la prima volta il piacere di sentirsi superiore: “Non ho fatto neanche fatica. Tu sei davvero troppo debole per il mio corpo”. E in quel momento capii che la sfida stava per trasformarsi: il suo desiderio voleva di più e il mio anche.
Sollevamenti e schiacciamenti
Mi fece cenno di alzarmi in piedi e di mettermi davanti a lei. Era monumentale. Peccato non avere avuto specchi in cantina per poter vedere i nostri due corpi a confronto. Mi venne spontaneo cercare di sollevarla. Le cinsi il sedere e lo sentii sodo. Era un sedere voluminoso rispetto alla mia capacità di cingerlo ma non era affatto grasso; anzi era turgido, quasi di marmo. Le sue natiche erano sode come lo erano quei tronchi che aveva al posto delle gambe. Cercai di sollevarla, ma inutilmente. Non ci riuscivo ad alzarla.
Ad un certo punto, sorridendo, mi guardò e disse: “103”.
Compresi: “chili?”
“Sì. E tu? Indovino?”
Improvvisamente, mi sentii sollevare da sotto le ascelle e portato prima all’altezza del suo volto e poi ancor più in alto con una manovra che fece appoggiare il mio membro indurito prima sul suo petto e poi sopra la sua faccia.
“Tu tra i 60 e 65 chili.”
“Esatto! …63.”
Come tutta risposta, con un rapido movimento delle braccia mi rigirò, poi afferrò con una mano un inguine e con l’altra il collo e mi ritrovai sollevato sopra di lei. Ero diventato il suo bilanciere e stava facendo flessioni come si usa per allenare le spalle. La sentii contare: 1, 2, 3… Arrivò a 8 e poi si bloccò. O, meglio, mi bloccò al soffitto. Essendo a testa in giù, non mi ero reso conto che ad ogni flessione lo sfioravo con la schiena, ma all’ultimo movimento aveva deciso di tenermi appiccicato ad esso. Io guardavo in giù e Tania con straordinaria elasticità del collo mi fissava beffarda. Ero scomodo e non stavo certo provando piacere ma lei si che lo provava: si stava eccitando. Sentivo quanto premeva il mio corpo contro il soffitto e come lei gemeva di sottile soddisfazione.
Tutto d’un tratto mi ritrovai a terra sempre di fronte a lei, ma non era ancora finita. La cantina aveva una parete liscia libera. Mi fece cenno di togliermi la maglietta mentre lei rimase a seno nudo. La vidi venirmi contro mentre gonfiava il petto quasi per giocare. Ma non stava giocando. Con le tette che sembravano fatte anche loro di muscoli cominciò a spingermi verso la parete liscia. Io avevo smesso di parlare. Provavo cosa vuol dire essere in balia di una forza femminile superiore, ma non c’era affatto il piacere che mi ero prefigurato: un conto è l’orgasmo di chi si masturba vedendo un filmato di dominazione e un altro viverlo sul serio. Mi ero forse infilato in una situazione sbagliata?
Ormai ero appiccicato al muro. Le sue mani immobilizzavano le mie, le sue gambe spingevano le mie, la sua pancia schiacciava la mia e la parete dietro di me era dura come una roccia. Mi sentii nuovamente sollevare: il mio volto era nuovamente all’altezza del suo e i miei piedi non toccavano terra. Allargò le braccia tenendomi schiacciato e sollevato solo con la forza del suo busto.
E lì finalmente qualcosa cambiò: “Baciami!”, disse. E di nuovo infilò la sua lingua nella mia bocca. Fu una sensazione splendida: il suo ventre cominciò a sfregarsi contro il mio mentre con le mani libere mi graffiava dolcemente i fianchi. Mi teneva sollevato e appeso al muro con la sola forza degli addominali e intanto limonava e mi graffiava con delicatezza. Era una macchina del piacere. E infatti, ebbe il suo primo orgasmo che sembrò non finire mai e terminò con un urlo che emise direttamente nella mia gola irrorandola di saliva in ogni dove. Io arrivai ad eccitarmi fino ad un buon livello ma non raggiunsi l’orgasmo e mi ritrovai deposto a terra un po’deluso mentre lei, appoggiata su di me, si riprendeva dal piacere goduto.
Le accarezzavo le braccia mentre pensavo che la cosa fosse finita lì e, già un po’ stanco per le compressioni subite, stavo per sfilarmi e ricompormi, quando lei mi bloccò dicendo: “Adesso facciamo davvero la lotta? Non vuoi più? Io ho appena iniziato!”
Mani di ferro
Incredibile! Per lei questo era stato solo un assaggio! Mi venne un’idea: “Vuoi bere qualcosa? Qui ho qualche coca cola. Accettò. Si aprì una lattina e la scolò in pochi secondi lasciandomi esterrefatto. Mi venne vicino e proruppe in un rutto fragoroso che mi investì il volto mentre io sorseggiavo la mia bibita. Stava emergendo la sua parte bestiale e si stava rieccitando: “Io ti avevo detto prima come sono quando faccio la lotta:”
Cominciai a capire. “Ma cosa vuoi fare adesso?” dissi io, cercando di riattivare il mio desiderio che si era spento dopo il suo orgasmo…
“Adesso che ho bevuto la coca cola mi verrà voglia di pisciare. Dopo voglio pisciarti addosso e provare piacere sessuale!” Lo disse con uno sguardo luciferino che contrastava con la pacatezza mostrata in precedenza. Sbigottito, risposi: “No, veramente a me queste cose non piacciono. A me piac…”
“Non feci in tempo a finire la frase. Tania prese una delle mele che avevo in una cassetta e cominciò a stringerla con le dita di una mano, mentre mi guardava con uno sguardo di sfida. Con l’altra mano si tirò giù le mutande (mostrandomi tra l’altro che era donna al 100%) e poi tirò giù le mie prendendomi il pene tra le mani. Più stringeva la mela e più mi tirava col pene verso il suo ventre. Poi, ad un certo punto, le sua dita iniziarono ad affondare nella mela bucandola e facendo uscire del liquido. Questo atto di forza ebbe un effetto travolgente su di me: più la mela si spappolava e più mi eccitavo percependo la potenza di quelle dita. Vedendomi eccitato anche lei aumentava la pressione sulla mela guardandomi maliziosamente negli occhi. Stavo per venire proprio mentre la mela si frantumò in mille pezzi. Lei mollò il mio pene e cominciò a sfregarsi le parti intime con i pezzi di mela e raggiunse il secondo orgasmo anch’esso rumoroso e senza fine. Pure stavolta rimasi a bocca asciutta e la cosa cominciava a stufarmi. Oltre tutto, essere bloccato mentre stai per venire è sempre piuttosto frustrante. Un po’ stizzito dissi: “Be’, se sei soddisfatta, possiamo and...”
Ma ancora una volta mi bloccò: “No, tu non vai via ... Io ho finito il mio turno di pulizie e sono libera. Voglio provare ancora piacere. Ancora! Adesso è troppo poco.”
“Troppo poco? Ma sei venuta due volte!”
Ora sembrava anche incazzata. Prese una lattina di coca cola. La mise tra le ginocchia e cominciò a stringere fino a farla scoppiare. “Ora tu fai la lotta con me e io ti schiaccerò come questa lattina!”
E così fui trascinato sul tappetino per il terzo tempo della seduta. Eravamo in piedi uno di fronte all’altra. Ad un certo punto, alzò in alto le due braccia e mi fece capire che voleva che infilassi le mie dita nelle sue per una prova di forza, quella che in gergo si chiama “fingerlock”. Non potei fare altro. Cominciò a stringere, stringere, stringere e a ridere, ridere, ridere. Poi iniziò a piegarmi le mani all’indietro. Più me le piegava mettendomi in ginocchio e più si eccitava. Mi piegò le braccia dietro alla schiena. Mi sentii sollevare con una mano mentre l’altra mi prese nuovamente il pene. Si accorse che era indurito abbastanza e disse: “Ora te lo infilo nella mia figa.” E così fece. Appena fui… dentro, lei allargò le gambe quasi fosse un lottatore di Sumo e cominciò muoversi avanti e indietro dondolandomi con forza e dolcezza. Sentivo le sue mani sulle mie natiche che mi tenevano sospeso in aria. Ancora una volta infilò la sua lingua nella mia bocca. MI dondolava e mi baciava e io sentivo il piacere che arrivava, arrivava, arrivava. Si dimostrò talmente attenta al mio processo di orgasmo che seppe modulare i movimenti per portarmi poco alla volta al culmine. Finalmente, arrivò il mio momento e provai un piacere incredibile mai vissuto prima. Sembrava non finire mai e mi stupii che il mio corpo potesse godere così a lungo. Nel frattempo, anche lei raggiunse il suo terzo orgasmo. Un minuto prima che io venissi, mi accorsi infatti che il suo respiro era sempre più intenso, i suoi occhi erano chiusi come se stesse usando anche un po’ di fantasia per aiutarsi. Ma ero troppo in bambola per poter capire finchè il terzo urlo disumano indicò l’avvenuto orgasmo. Eravamo venuti quasi insieme!
Lotta a tutto campo
L’urlo mi fece ricordare di trovarmi nella cantina di un condominio a fare sesso con la donna delle pulizie. E se qualcuno l’avesse sentita urlare?
Questo pensiero interruppe inopinatamente l’onda del piacere e mi riportò al presente. Dissi: ”E’ stato bellissimo, Tania. Sei una forza della natura!” La risposta fu sorprendente: “Ma io ho più voglia di prima e non abbiamo ancora fatto la lotta.” Mentre mi riprendevo a fatica da ciò che avevo vissuto, ebbi la prontezza di spirito di dire: “Ma vuoi ancora pisciarmi addosso?” “No. L’ho detto solo per eccitarti. So che ad alcuni uomini piace.” Proseguii: “No. A me no. Invece è piaciuto quello che hai fatto alla mela.”
Senza replicare, si diede una pulita alle parti intime con dei fazzoletti imbevuti che aveva nella borsa di lavoro e li porse anche a me. Poi si posizionò in mezzo al tappetino e mi invitò al vero e proprio incontro di lotta. Mi avvertì: “Se sei in difficoltà, batti la mano per terra.” Non compresi ma mi posizionai di fronte a lei nuovamente. Tania era ancora incredibilmente fresca e vogliosa. Io invece ero un po’ stanco e sudato anche perché la cantina, pur essendo fresca, non aveva finestre ma solo una grata che dava su quel pezzo di corridoio che scendeva fino alla mia cantina.
Il quarto tempo fu straordinario. Eravamo ormai tutte e due completamente svestiti. Lei si era seduta sulle ginocchia in mezzo al tappetino e io, senza parlare, feci altrettanto. Le nostre rotule si toccavano. I nostri occhi si fissavano l'un l'altro. Non capivo bene cosa volesse fare, ma era come se mi stesse invitando senza parlare a creare una nuova atmosfera rispetto ai minuti precedenti. Era come se mi invitasse a concentrarmi e a mettermi sulla sua lunghezza d'onda. Passarono alcuni minuti in cui i nostri sguardi si fondevano e si perdevano nell'osservazione prolungata delle rispettive orbite oculari. Io mi sentivo sempre più calmo e rilassato e mi chiedevo perché mai Tania volesse questo.
Ad un certo punto, prese la parola: “Ti stai chiedendo perché stiamo seduti così? Forse ti sei dato la risposta da solo.”
“Vuoi che io mi sintonizzi con il tuo desiderio.”
Tania si aprì ad un sorriso straordinario: “Sì e sei il primo uomo che lo ha capito. Io e te siamo due corpi …” Non le veniva la parola perché non aveva la piena padronanza della lingua e allora le venni in soccorso: “Complementari?”
“Esatto! Tu godi se una donna come me, più alta, più grossa è più forte prova piacere sessuale a schiacciarti con la forza e io provo piacere quando sento e vedo che un uomo come te gode ad essere schiacciato da una come me.”
“Allora un incontro all’ultimo sangue senza limiti?”, dissi io.
“Sì, voglio la stessa cosa… Difenditi!
Al termine di quella esclamazione mi saltò addosso e col peso del suo corpo mi stese all'indietro schiacciandomi sul materassino. Da quel momento mi fece provare un numero innumerevole di posizione di lotta in cui io finivo sempre per essere bloccato da gambe, piedi, cosce o avambracci. Poi mi ritrovai disteso a terra con le braccia allungate all’indietro completamente immobilizzato. Il suo petto schiacciava il mio, il suo volto era sopra di me che mi fissava con un’aria feroce e le sue gambe erano avvinghiate alle mie. Ogni tanto dava forza alla pressione con gli addominali e io mi sentivo schiacciato a terra quasi senza riuscire a respirare. Non provavo certo piacere in quel momento ma ero sicuro che poco alla volta i suoi movimenti lo avrebbero innescato.
Mi venne spontaneo provocarla: “Adesso ti ribalto e ti do una bella lezione”! Non me ne resi conto ma quella provocazione risvegliò la sua parte bestiale, quella che pur essendo la più nascosta corrispondeva forse al suo vero essere: un’amazzone assetata di piacere sessuale.
Scoppiò in una risata che aveva sicuramente anche una certa componente sadica (del resto, la lotta erotica non è altro che una forma di aggressività contenuta e sublimata). Dopodiché, mi disse: “Apri la bocca!” Io ubbidii e la vidi abbassare il capo, raccogliere la saliva come se volesse sputare, e far scendere la saliva nella mia gola, mentre contemporaneamente si sfregava contro di me eccitandosi sempre di più. Io quasi mi ingozzai trangugiando la sua saliva, ma il movimento che stava facendo per eccitarsi col ventre stimolò anche il mio di piacere. Così la sua saliva dentro nella bocca ebbe un effetto afrodisiaco.
Immediatamente dopo, pose gli indici delle sue mani sui palmi delle mie e mi ordinò perentoriamente di spingere. Anche in questo frangente la forza delle mie esili braccia non ebbe alcun effetto. Mentre continuava a sfregarsi, disse con una voce chiaramente alterata per il piacere: “Sono talmente più forte di te che ti schiaccio a terra con solo due dita.” Io continuavo nei miei tentativi di ribaltare la situazione ma quelle ossa fatte di ferro e quei polsi di 20 cm di circonferenza erano inamovibili.
Con un balzo felino e lasciando la presa sulle mani, mi saltò sul petto mettendo la mia testa proprio di fronte al suo boschetto mentre con le gambe immobilizzava i miei avambracci. L'odore delle sue parti intime bagnate erano proprio davanti alla mia bocca.
“Lecca!” disse con decisione.
“No, Questo non lo faccio”, replicai io. “Questo non mi piace”.
Non rispose al mio rifiuto ma cominciò a stringere la mia testa tra le cosce. Lo faceva ritmicamente lasciandomi il tempo di riprendere fiato e colorito normale ma avevo proprio l'impressione che quando stringeva forte il mio volto diventasse paonazzo.
Ad un certo punto, fui costretto a battere a terra come mi aveva detto perché mi stava mancando il fiato. Lei lasciò la presa e cambiò strategia: accompagnò le strette con la parola.
“Hai visto che non puoi fare niente contro di me. Sono più forte (e, intanto stringeva e mollava)... Ho più muscoli di te (stringeva e mollava)… Le mie ossa sono il doppio delle tue (stringeva e mollava)… Posso fare quello che voglio di te (stringeva e mollava)… Ti posso spaccare le ossa con una mano (stringeva e mollava)… e tu proverai sempre piacere mentre ti domino con la forza dei miei muscoli…
Ad ogni frase che pronunciava, sentivo che la mia volontà diventava sempre più labile e ad un certo punto fui trascinato in un turbine psicofisico. Ero come ipnotizzato dalle sue parole e dai suoi movimenti ai quali si aggiunse quello definitivo: con una delle due mani mi fece irrigidire il pene. Cominciai a sentire piacere, un piacere ancora più diverso dei precedenti perché legato ad una specie di sottomissione psichica nei suoi confronti. Questo processo raggiunse il culmine nel momento in cui Tania mi ripropose l'ordine che mi aveva impartito in precedenza: “Lecca!” È così cominciai a leccarle la figa. Non lo avevo mai fatto con nessuno, ma in quel momento si creò un'associazione tra il piacere che stavo provando è quello che stavo facendo con la lingua. La sua mano mi stava lavorando con lentezza in modo da non farmi venire troppo alla svelta, mentre il movimento della mia lingua stava avendo un successo sensazionale: la sua eccitazione raggiunse vette altissime. Me ne resi conto dai movimenti forsennati del suo corpo. Al culmine dell’eccitazione balzò indietro, si infilò il mio pene nel suo corpo e cominciò a cavalcarmi buttando nuovamente la sua lingua nella mia bocca per un bacio conclusivo.
Venimmo insieme. Il mio pene emise inaspettatamente altro sperma mentre la sua lingua spostava la mia lasciandomi quasi senza possibilità di respirare. Stavolta il suo orgasmo si concluse con un grido di soddisfazione che si mischiò per la prima volta al mio… dopodiché si accasciò sopra di me baciandomi sul collo: “Sei stato fantastico!” Io sotterrato dal suo quintale di muscoli compresi che, esattamente come me, al termine della fantasia sessuale ritornava a se stessa. Le nostre fantasie erano complementari. Il destino ci aveva fatto incontrare per poterle concretizzare. Era accaduto!
Conclusione
Dieci minuti dopo ci eravamo rivestiti e senza troppe parole avevamo ripreso le nostre identità pubbliche e riacquistato un contegno normale. Riaprimmo la porta della cantina. Fuori era tutto buio. Il nostro bunker dove avevamo dato spazio alle nostre private ma in fondo innocue perversioni era rimasto inviolato. Avevamo vissuto un’esperienza indimenticabile.
“Ci vediamo ancora la settimana prossima?”
“No… purtroppo torno in Moldavia.!”
“Nooooo! Non è possibile. Ti ho appena conosciuta e…”
“Per questo, ho fatto di tutto per attirare la tua attenzione. Sapevo di dover partire e che tu potevi essere l’uomo ideale per certe cose. Ho visto i pesi nella tua cantina e ho pensato che un uomo che fa i pesi e rimane con pochi muscoli ama le donne grosse e forti come me.”
“Hai avuto ragione, ma adesso te ne vai…”
“Ti prometto che tornerò.”
E così facendo, mi sollevò ancora una volta per il bacio più lungo e passionale che io abbia mai fatto. Durò diversi minuti e anche in questo frangente la “signora delle pulizie” non fece alcuna fatica a tenermi sollevato per aria e a mostrarmi come la sua lingua fosse più potente della mia.
Se fosse stato per lei, avrebbe ricominciato da capo a lottare con me…
Premessa.
Questo breve racconto nasce dal mio desiderio di veder realizzata nella fantasia una di quelle situazioni che nella realtà non capitano mai, quelle in cui le proprie aspirazioni più strane e più nascoste trovano modo di realizzarsi davvero.
La vicenda ruota attorno ad un’inclinazione sessuale del personaggio maschile in cui mi proietto e di quello femminile costruito sulla base di una donna che ho conosciuto.
Il tipo di sessualità di cui si parla tocca le dinamiche di dominazione fisica e mentale ma ne attenua le tinte grazie al feeling sentimentale che si instaura tra i due protagonisti.
La lotta erotica a ruoli invertiti con la donna indiscussa dominatrice e il maschio che viene umiliato fisicamente ma riabilitato nel finale come partner indispensabile cerca di spostare il contesto dalla pura dominazione one up-one down ad un altro in cui il forte e il debole, l’alto e il basso, il grande e il piccolo si fondono nel piacere sessuale condiviso.
Spero di essere riuscito nel mio tentativo.
L’incontro.
La signora delle pulizie era stata assunta da poco da una cooperativa che serviva il condominio in cui vivevo. Anche se all’inizio non lo sapevo, aveva 52 anni all’anagrafe, ma il suo volto ne dimostrava molti di meno: la pelle era chiara e liscia, non aveva rughe sotto agli occhi né capelli bianchi che erano invece di un biondo tendente al castano. Li portava abbastanza corti così da mettere in evidenza un collo ben piantato.
Aveva un portamento sicuro e camminava con passo atletico lasciando trasparire lo spirito di una donna determinata. Non era appariscente né forse voleva esserlo. Lo sguardo era fiero, il volto duro, spigoloso, bello a suo modo ma poco incline al sorriso. Gli occhi verdi e gelidi ponevano una sorta di barriera impalpabile con chi si trovava a parlare con lei.
Veniva, faceva le pulizie delle scale, del cortile e, talvolta, anche della cantina dove spesso la si poteva incrociare. Infatti, nel nostro edificio di 24 appartamenti si accedeva alla zona cantine scendendo dalle scale o entrando direttamente dai box: due bui corridoi lungo uno dei quali si trovava lo sgabuzzino delle scope. Non dava confidenza a nessuno. Era molto schiva. Si vestiva in modo un po’ trasandato, tradendo umili origini.
Non potevi capire immediatamente che fisico avesse perché indossava sempre larghi indumenti da lavoro. Però si vedeva subito che era piuttosto alta: a spanne mi sembrava almeno sul metro e 83-85. Quando la vidi entrare con la scopa e il secchio in mano la prima volta non feci caso alla stazza di quella donna. Coperta dalla vestaglia di lavoro, sembrava una persona robusta sì ma non quanto scoprii successivamente.
Io abitavo da solo al secondo piano. Ero in affitto e stavo molto in casa perché il mio lavoro a distanza di redattore per riviste medico-scientifiche mi obbligava a farlo. Ogni tanto uscivo a prendere una boccata d’aria e, per questo, la incontravo spesso. Ricordo che era fine settembre quando prese servizio dopo due settimane di assenza. “Buongiorno… buongiorno”. Si sentiva che proveniva da un paese dell’est europeo.
Nonostante i frequenti incroci, mai un sorriso neanche di circostanza. Insomma, si faceva i fatti suoi. Aveva sempre lo sguardo basso intenta a pulire, con movimenti lenti quasi stanchi. Non sembrava molto portata alla fatica fisica né che le importasse socializzare con qualcuno. Ma mi sbagliavo in entrambe i casi…
Fu infatti quel giorno di fine settembre che feci una grande scoperta che mi costrinse a cambiare idea e costituì l’inizio di un’esperienza fantastica. Dovevo scendere in cantina a rimettere a posto una valigia e un ventilatore che non sarebbe più servito, trovandoci a fine stagione. Dovendo fare alla svelta, non mi ero curato di vestirmi: maglietta estiva, calzoncini corti e ciabatte per fortuna ancora senza calze. Quando arrivai alla porta, vidi che era già aperta. Entrai silenziosamente sopra pensiero, percependo il solito senso di umidità da cantina che inspiegabilmente avevo sempre associato a situazioni erotiche. Svoltai l’angolo che apriva la visuale sul lungo corridoio sotterraneo e vidi la signora che stava sistemando le scope nell’armadietto. Svoltai a sinistra nell’altro corridoio e andai depositare la valigia, lasciando socchiusa la porta della mia cantina. Poi tornai indietro per risalire e prendere il ventilatore. La signora non c’era più. Forse aveva finito e se ne era andata.
Ridiscesi di nuovo e depositai il ventilatore. Quando risvoltai l’angolo per uscire rimasi di stucco. La signora delle pulizie era ritornata in cantina ma si era tolta la vestaglia ed era rimasta in canottiera, mostrando due braccia da scaricatore di porto. Stava spostando sopra ad un armadietto alto un metro e mezzo una serie di piastrelle da giardino 50 x 50. Erano state lasciate lì da un anno e nessuno le aveva più mosse perché estremamente pesanti. La donna aveva spalle larghe e un seno non esagerato ma, a dispetto dell’età, ancora sodo perché non si muoveva quando si abbassava piegandosi sulle ginocchia. Me ne resi conto perché la vedevo di profilo.
Rimasi subito colpito dalla facilità con cui prendeva le piastrelle con le mani e le issava sull’armadietto. Vedevo quei muscoli tendersi e sollevare il carico senza particolare sforzo. Cominciai a deglutire. Come avevo fatto a non accorgermene prima? Io che avevo sempre avuto un debole per le donne alte, grosse e forti fisicamente. Ora mi trovavo lì in un contesto che per qualche motivo mi aveva sempre ispirato sessualmente, unico spettatore di una prodezza fisica eccitante, per lo meno per me.
L’impatto
Vedendola inginocchiata, mi avvicinai e dissi: “Buongiorno, ha bisogno di aiuto?” La signora, che apparentemente non mi aveva sentito arrivare, senza scomporsi né girarsi, proseguì nel suo lavoro di accumulo piastrelle e, stando inginocchiata, mi rispose: “Buongiorno, no grazie.” Le metteva una sopra alle altre. Ne aveva accumulate a gruppi di 5 o 6. Saranno pesate 30 chili a gruppo se non di più. Pensai che dovesse avere una forza incredibile per sollevare quei pesi senza neanche sbuffare un po’!
Rimasi fermo giusto il tempo di vederla che si rialzava per spostare altri carichi. Ergendosi in piedi si voltò verso di me. Indossava scarpe basse, eppure mi vidi sovrastare in altezza di 10-15 cm e trafiggere con uno sguardo freddo e scrutatore. Stimai il suo peso: tra i 90 e i 100 chili, sicuramente. Come ho detto, ero in maglietta e calzoni corti e chiunque si sarebbe accorto della mia struttura fisica: 63 kg, con ossa da ragazzina e muscolatura appena abbozzata di cui a volte mi ero vergognato ma che, in presenza di donne che emanavano potenza muscolare era invece fonte di una sottile ma potente eccitazione.
Il suo sguardo si diresse verso di me ed ebbi la sensazione di essere radiografato. Me ne resi conto dal leggero abbozzo di sorriso delle sue labbra e dalla luce che emanò improvvisamente dai suoi occhi.
Improvvisamente, sentii la sua voce. Parlava correttamente ma con un marcato accento dell’Europa dell’Est: “Lei è una persona gentile ma io sono molto forte (e nel dirlo flesse i bicipiti, mostrando una massa di almeno 40 cm di muscoli del tutto naturali e non costruiti). Ho lavorato per tanti anni in campagna come contadina. Spostavo cose pesanti e sono diventata forte e muscolosa”. Ascoltando quelle parole, io mi sentivo tra l’eccitato e l’imbambolato e non replicai. Allora, lei mi squadrò bene, fece un altro sorrisetto e mi gelò penetrandomi con lo sguardo e con un’affermazione tagliente: “Tu invece sei un uomo con pochi muscoli e vedo che hai le mani piccole.” Nel pronunciare queste parole mi prese la mano destra e la confrontò con la sua: aveva dita nodose da muratore ma con unghie smaltate e ben curate; spuntavano di almeno 3 cm dalle mie mentre il mio palmo copriva solo due terzi del suo. Prese il mio pollice e lo paragonò al suo: sembravo io la donna e lei l’uomo… tanta era la differenza. Mise il suo mignolo vicino al mio pollice. Erano praticamente grossi uguale. “Tu poco uomo.” E dicendo questo riprese a sollevare le piastrelle senza più considerarmi.
La sfida
Rimasi un po’ offeso dalle sue parole sprezzanti ma al tempo stesso eccitato dal trovarmi di fronte ad una di quelle donne che avevo sempre sognato di incontrare. Non sapevo cosa fare. La signora indossava pantaloni larghi da lavoro e mi chiesi se avesse avuto cosce muscolose e polpacci poderosi come aveva avambracci, bicipiti e spalle. Lei sembrò leggermi nel pensiero perché, sempre senza voltarsi, la vidi sfilarsi i pantaloni, rimanere in mutande per qualche istante e infilarsi dei larghi calzoncini da pugile che aveva appoggiato in precedenza sulle piastrelle. Cosce, polpacci e caviglie erano proprio come me le aspettavo: di grandi dimensioni ma senza un filo di grasso come se fosse una ragazza di vent’anni. A vedere i suoi polpacci saranno stati anch'essi almeno 40 cm di circonferenza, le sue cosce almeno 70 e anche le sue caviglie parlavano di solidità e potenza. Non vidi subito i piedi ma avrà calzato un 43 o 44.
Io esitavo a spostarmi e, con un moto di orgoglio maschile ripresi a parlare, non sapendo neanche da dove provenissero le mie parole: “E chi ti dice che io sia poco uomo?” La donna si fermò, si voltò rimanendo inginocchiata, si rialzò e, dopo aver posato le ultime piastrelle, fissandomi negli occhi, si avvicinò nuovamente a me. La guardavo dal basso in alto mentre lei mi guardava dall'alto in basso con uno sguardo diverso dal precedente. Stavolta leggevo in lei della malizia.
“Vuoi fare la lotta con me? Vuoi provare quanto sono forte?”
Io ero sempre più pietrificato, eccitato e imbarazzato dal fatto di trovarmi in una di quelle situazioni che avevo sempre sognato ma in un posto dove poteva arrivare chiunque da un momento all’altro.
“Dove?” risposi – Non qui. Qualcuno potrebbe vederci.
“Nella tua cantina. Ho visto che dentro è grande.”
Pazzesco! La signora, in realtà, aveva già messo gli occhi su di me e non è escluso che la situazione delle piastrelle l'avesse creata lei stessa per attirarmi in un gioco che forse desiderava da tempo…
La cantina
La mia cantina si trovava decentrata rispetto alle altre: occorreva andarci apposta. Per accedervi bisognava percorrere tutto il corridoio girare l'angolo aprire una porta e scendere ancora di un livello. Si trattava di un vano ricavato per deposito e poi riconvertito in vano-cantina; era molto ampio e ci avevo messo varie cose tra cui anche un bilanciere con dei pesi e una panca che però non usavo da tempo…
La signora, in effetti mi aveva visto entrare nel vano la prima settimana in cui aveva preso servizio. Mi ricordai anche che in quell'occasione aveva sbirciato dentro chiedendomi se quello fosse uno spazio da pulire. Quindi aveva visto cosa c'era dentro (libri e scaffali ma anche il bilanciere, i pesi e la panca) e, come scoprii dopo, aveva ipotizzato che un uomo della mia costituzione che fa pesi e non mette su muscoli ama le donne come lei. Non era solo forte; era anche molto intelligente.
“OK!”, dissi. “Andiamo!” … Mi sembrava di essere in un film porno e mi sentivo attore e spettatore allo stesso tempo. Ne avevo visti un sacco di video in cui amazzoni forti e potenti sottomettevano uomini più deboli e ne godevano sessualmente. Ma quelli erano attori invece adesso era tutto reale. Non mi sembrava possibile.
“Io chiudo la porta principale della cantina da dentro e poi vengo.” E nel dirlo mi resi conto che la donna si stava eccitando e voleva creare un contesto di totale intimità e libertà d'azione. Al tempo stesso quella voglia dichiarata di chiuderci dentro invece di inquietarmi mi esaltava perché sembrava come un altro tassello del puzzle che si stava componendo da solo.
Mentre mi recavo verso la mia cantina, mi resi conto non solo del pene indurito ma di tutto una sensazione di eccitante aspettativa: finalmente avevo trovato una donna che voleva le stesse cose che volevo io fin da ragazzo ma che non avevo mai avuto la possibilità di realizzare. La signora mi aveva adocchiato da tempo mentre faceva le pulizie e desiderava lottare con me sapendo di essere più forte.
Con la velocità della luce, mille pensieri e fantasie si accavallavano nella mia mente: stavo per iniziare a lottare con un quintale di muscoli femminili che volevano fare la stessa cosa col mio corpo? Davvero stava per succedere? Sarebbe stata complementare ai miei desideri? Avrebbe davvero raggiunto l'orgasmo dominandomi con la forza dei suoi muscoli? Avrei finalmente vissuto la situazione che vagheggiavo fin da quando ero adolescente: godere insieme ad un’amazzone che mi tiene prigioniero con la forza dei suoi muscoli? Avremmo avuto un orgasmo simultaneo e infinito? Mi sembrava tutto un sogno.
Feci velocemente spazio tra le cianfrusaglie accumulate in cantina, ricavando 4 metri per 4 circa. Tirai giù una specie di tappetino da judo (così me lo avevano descritto) rifilatomi dal venditore del bilanciere e attesi il suo ingresso. Entrò e richiuse lei stessa la porta con la chiave interna non appena si accorse della sua presenza. Eravamo completamente isolati dal mondo esterno doppiamente chiusi a chiave in un contesto al tempo stesso claustrofobico ed esplosivo. Ora era di fronte a me, in canottiera senza reggiseno e con dei calzoncini da pugile così larghi che sembravano una minigonna ma erano capaci di valorizzare le dimensioni armoniche e sensuali delle sue gambe.
Mi dissi: “Ma sì, sono le 8 del mattino, quasi tutti condomini sono al lavoro e la mia cantina è come un bunker isolato.” Era il momento ideale, il posto giusto, il coronamento di un sogno. Ma non era un sogno solo per me. Inaspettatamente, con una voce dolce e pacata, sorretta da uno sguardo non più scostante, disse: “Io ho sempre cercato uomini come te con cui lottare ma, quando li ho trovati, sono scappati. Sono scappati perché, quando faccio la lotta, provo piacere sessuale e non sono più capace di controllare la mia forza.”
Eccitato dalle sue parole intervenni: “ Io non scapperò!” Rispose: “Sì, sento che non scapperai. Tu vuoi lottare con me: lo capisco dai tuoi occhi.”
Era anche una donna sensibile se aveva saputo notare questo particolare. Era vero: i miei occhi erano un desiderio fatto pupilla. E così risposi: “Anch’io ho sempre desiderato incontrare una donna come te, ma le donne grandi e grosse non mi hanno mai guardato forse perché a loro non piacciono gli uomini più piccoli e più magri.” Comunque, io mi chiamo Franco. Ho 49 anni e non sono sposato.
“Io sono Tania. Ho 52 anni e sono moldava… ero sposata tanto tempo fa.
Prove di forza
Non compresi appieno quello che aveva detto a proposito del controllo della forza. Ero super-eccitato e basta. Non diedi peso alle sue parole perché non vedevo l’ora di iniziare la sfida ed esordii con la prima proposta: “Io dico che ti batto a braccio di ferro”.
Lei capì che poteva essere un buon inizio e rispose: “Prova!” Presi due seggioline e un tavolino da campeggio e ci mettemmo uno di fronte all’altra. Neanche da vicino mostrava la sua età. Lo sguardo non era più gelido. Si era come trasformata. Ci posizionammo in modo che le due gambe sotto al tavolino si toccassero. Io mi tolsi le ciabatte e con i miei polpacci mi adagiai sui suoi scoprendo che anche lei era scalza. Osservai la pianta dei piedi che era larga e le dita piegate sul pavimento: dita elastiche che spingevano forti sul terreno; unghie smaltate. Di fronte al mio 42 ebbi la conferma di un 43-44 pianta larga. Sembrava proprio che ogni parte del suo corpo di donna fosse più grossa delle mie di uomo, facendo evidenziare una decisa dominanza fisica da parte sua: una vera amazzone dell’est il cui DNA unito al lavoro nei campi aveva forgiato un fisico femminile speciale. Ma come poteva essere sotto le mutande? Mi venne un dubbio atroce che subito scacciai pensando che la sua voce era femminile al 100%. Comunque, ormai ero lì, ben intenzionato a scoprire anche cosa c’era sotto all’ombelico.
I nostri sguardi si incrociarono. La signora delle pulizie si era trasformata in una disponibile guerriera amazzone tutta per me. La cantina era una bolla fuori dal tempo e un destino curioso mi aveva preparato un bel regalo di compleanno per il giorno dopo (infatti sono nato il 29 settembre). Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra. La osservai mentre il suo pollice stringeva il mio facendomi male senza che lei se ne accorgesse. La presa della sua mano era d’acciaio e la mia mano da preadolescente scompariva nella sua. Gli occhi comunicavano desiderio puro di confronto fisico. Sorrise emanando calma. Aveva una risata contagiosa che mostrava dei bei denti dritti. Due fossette sugli zigomi me la facevano sembrare come una persona che sta per gustare qualcosa di buono. Attorno agli occhi un accenno di rughe di espressione ma niente di più.
La sfida iniziò. Cominciai a spingere. Niente. Non la muovevo di un centimetro. Dopo un minuto di miei inutili sforzi, Tania aprì la mano offrendomi solo il pollice. Io feci altrettanto ma lei scosse il capo dicendo di no. Voleva che io usassi la mia intera mano contro il suo solo pollice. Cinsi il grosso pollice nodoso nel mio palmo mentre lei teneva il suo aperto per farmi capire che avrebbe usato solo la forza del dito. Cominciai a spingere. Niente. Non si muoveva niente. Lei mi guardava sorridente e con calma e lentezza mi piegò il braccio senza mai cambiare espressione del viso: “Il mio dito è troppo forte per la tua mano.” E inaspettatamente mi prese la stessa mano e iniziò a succhiare il mio pollice respirando eccitata e guardandomi fissa negli occhi. Poco dopo mi mostrò il palmo della sua mano e mi disse:” Bacia.” Io ubbidii senza esitare e mentre lo facevo lei si eccitò ancora di più. Improvvisamente, mi tirò a sé per la maglietta e introdusse la sua lingua nella mia bocca: “Vediamo chi ha la lingua più forte?” Non feci in tempo a capire cosa intendesse che un bacio sensuale mi fece girare la testa. Sentivo la sua lingua che spingeva sulla mia. Lo faceva lentamente come se volesse dirmi che era più potente di me anche con la lingua.
Ad un certo punto, mi mancò il fiato e riuscii a stento a staccarmi perché con l’altra mano mi stava comprimendo la testa contro la sua. Sorrise e mi propose l’altro braccio: “Tu con due mani … io con una.” Ci impiegò pochi secondi a piegarmi. Poi mi propose mignolo contro mignolo. Quella fu la prova più veloce: visto che il suo mignolo era grande come il mio pollice: non c’era partita. Vinceva sempre lei e pure con un sorriso finale di sensuale soddisfazione.
Per qualche istante ci guardammo senza parlare. Lei era in attesa di qualche mia iniziativa. Poi mi venne l’idea di fare una prova di forza con le gambe. La conosceva bene anche lei questa prova: seduti uno di fronte all’altra, le mie gambe inserite nelle sue, dovevo cercare di divaricarle. Tutto inutile. Anzi, nelle gambe era ancora più forte: le mie sembravano stuzzicadenti rispetto alle sue. Erano assolutamente femminili e non costruite come quelle che hanno certe culturiste bombate con gli anabolizzanti. Erano calde e armoniche perché formatesi in campagna attraverso sforzi naturali dovuti al duro lavoro da contadina. Quando toccò a lei divaricare le mie disse, evidenziando per la prima volta il piacere di sentirsi superiore: “Non ho fatto neanche fatica. Tu sei davvero troppo debole per il mio corpo”. E in quel momento capii che la sfida stava per trasformarsi: il suo desiderio voleva di più e il mio anche.
Sollevamenti e schiacciamenti
Mi fece cenno di alzarmi in piedi e di mettermi davanti a lei. Era monumentale. Peccato non avere avuto specchi in cantina per poter vedere i nostri due corpi a confronto. Mi venne spontaneo cercare di sollevarla. Le cinsi il sedere e lo sentii sodo. Era un sedere voluminoso rispetto alla mia capacità di cingerlo ma non era affatto grasso; anzi era turgido, quasi di marmo. Le sue natiche erano sode come lo erano quei tronchi che aveva al posto delle gambe. Cercai di sollevarla, ma inutilmente. Non ci riuscivo ad alzarla.
Ad un certo punto, sorridendo, mi guardò e disse: “103”.
Compresi: “chili?”
“Sì. E tu? Indovino?”
Improvvisamente, mi sentii sollevare da sotto le ascelle e portato prima all’altezza del suo volto e poi ancor più in alto con una manovra che fece appoggiare il mio membro indurito prima sul suo petto e poi sopra la sua faccia.
“Tu tra i 60 e 65 chili.”
“Esatto! …63.”
Come tutta risposta, con un rapido movimento delle braccia mi rigirò, poi afferrò con una mano un inguine e con l’altra il collo e mi ritrovai sollevato sopra di lei. Ero diventato il suo bilanciere e stava facendo flessioni come si usa per allenare le spalle. La sentii contare: 1, 2, 3… Arrivò a 8 e poi si bloccò. O, meglio, mi bloccò al soffitto. Essendo a testa in giù, non mi ero reso conto che ad ogni flessione lo sfioravo con la schiena, ma all’ultimo movimento aveva deciso di tenermi appiccicato ad esso. Io guardavo in giù e Tania con straordinaria elasticità del collo mi fissava beffarda. Ero scomodo e non stavo certo provando piacere ma lei si che lo provava: si stava eccitando. Sentivo quanto premeva il mio corpo contro il soffitto e come lei gemeva di sottile soddisfazione.
Tutto d’un tratto mi ritrovai a terra sempre di fronte a lei, ma non era ancora finita. La cantina aveva una parete liscia libera. Mi fece cenno di togliermi la maglietta mentre lei rimase a seno nudo. La vidi venirmi contro mentre gonfiava il petto quasi per giocare. Ma non stava giocando. Con le tette che sembravano fatte anche loro di muscoli cominciò a spingermi verso la parete liscia. Io avevo smesso di parlare. Provavo cosa vuol dire essere in balia di una forza femminile superiore, ma non c’era affatto il piacere che mi ero prefigurato: un conto è l’orgasmo di chi si masturba vedendo un filmato di dominazione e un altro viverlo sul serio. Mi ero forse infilato in una situazione sbagliata?
Ormai ero appiccicato al muro. Le sue mani immobilizzavano le mie, le sue gambe spingevano le mie, la sua pancia schiacciava la mia e la parete dietro di me era dura come una roccia. Mi sentii nuovamente sollevare: il mio volto era nuovamente all’altezza del suo e i miei piedi non toccavano terra. Allargò le braccia tenendomi schiacciato e sollevato solo con la forza del suo busto.
E lì finalmente qualcosa cambiò: “Baciami!”, disse. E di nuovo infilò la sua lingua nella mia bocca. Fu una sensazione splendida: il suo ventre cominciò a sfregarsi contro il mio mentre con le mani libere mi graffiava dolcemente i fianchi. Mi teneva sollevato e appeso al muro con la sola forza degli addominali e intanto limonava e mi graffiava con delicatezza. Era una macchina del piacere. E infatti, ebbe il suo primo orgasmo che sembrò non finire mai e terminò con un urlo che emise direttamente nella mia gola irrorandola di saliva in ogni dove. Io arrivai ad eccitarmi fino ad un buon livello ma non raggiunsi l’orgasmo e mi ritrovai deposto a terra un po’deluso mentre lei, appoggiata su di me, si riprendeva dal piacere goduto.
Le accarezzavo le braccia mentre pensavo che la cosa fosse finita lì e, già un po’ stanco per le compressioni subite, stavo per sfilarmi e ricompormi, quando lei mi bloccò dicendo: “Adesso facciamo davvero la lotta? Non vuoi più? Io ho appena iniziato!”
Mani di ferro
Incredibile! Per lei questo era stato solo un assaggio! Mi venne un’idea: “Vuoi bere qualcosa? Qui ho qualche coca cola. Accettò. Si aprì una lattina e la scolò in pochi secondi lasciandomi esterrefatto. Mi venne vicino e proruppe in un rutto fragoroso che mi investì il volto mentre io sorseggiavo la mia bibita. Stava emergendo la sua parte bestiale e si stava rieccitando: “Io ti avevo detto prima come sono quando faccio la lotta:”
Cominciai a capire. “Ma cosa vuoi fare adesso?” dissi io, cercando di riattivare il mio desiderio che si era spento dopo il suo orgasmo…
“Adesso che ho bevuto la coca cola mi verrà voglia di pisciare. Dopo voglio pisciarti addosso e provare piacere sessuale!” Lo disse con uno sguardo luciferino che contrastava con la pacatezza mostrata in precedenza. Sbigottito, risposi: “No, veramente a me queste cose non piacciono. A me piac…”
“Non feci in tempo a finire la frase. Tania prese una delle mele che avevo in una cassetta e cominciò a stringerla con le dita di una mano, mentre mi guardava con uno sguardo di sfida. Con l’altra mano si tirò giù le mutande (mostrandomi tra l’altro che era donna al 100%) e poi tirò giù le mie prendendomi il pene tra le mani. Più stringeva la mela e più mi tirava col pene verso il suo ventre. Poi, ad un certo punto, le sua dita iniziarono ad affondare nella mela bucandola e facendo uscire del liquido. Questo atto di forza ebbe un effetto travolgente su di me: più la mela si spappolava e più mi eccitavo percependo la potenza di quelle dita. Vedendomi eccitato anche lei aumentava la pressione sulla mela guardandomi maliziosamente negli occhi. Stavo per venire proprio mentre la mela si frantumò in mille pezzi. Lei mollò il mio pene e cominciò a sfregarsi le parti intime con i pezzi di mela e raggiunse il secondo orgasmo anch’esso rumoroso e senza fine. Pure stavolta rimasi a bocca asciutta e la cosa cominciava a stufarmi. Oltre tutto, essere bloccato mentre stai per venire è sempre piuttosto frustrante. Un po’ stizzito dissi: “Be’, se sei soddisfatta, possiamo and...”
Ma ancora una volta mi bloccò: “No, tu non vai via ... Io ho finito il mio turno di pulizie e sono libera. Voglio provare ancora piacere. Ancora! Adesso è troppo poco.”
“Troppo poco? Ma sei venuta due volte!”
Ora sembrava anche incazzata. Prese una lattina di coca cola. La mise tra le ginocchia e cominciò a stringere fino a farla scoppiare. “Ora tu fai la lotta con me e io ti schiaccerò come questa lattina!”
E così fui trascinato sul tappetino per il terzo tempo della seduta. Eravamo in piedi uno di fronte all’altra. Ad un certo punto, alzò in alto le due braccia e mi fece capire che voleva che infilassi le mie dita nelle sue per una prova di forza, quella che in gergo si chiama “fingerlock”. Non potei fare altro. Cominciò a stringere, stringere, stringere e a ridere, ridere, ridere. Poi iniziò a piegarmi le mani all’indietro. Più me le piegava mettendomi in ginocchio e più si eccitava. Mi piegò le braccia dietro alla schiena. Mi sentii sollevare con una mano mentre l’altra mi prese nuovamente il pene. Si accorse che era indurito abbastanza e disse: “Ora te lo infilo nella mia figa.” E così fece. Appena fui… dentro, lei allargò le gambe quasi fosse un lottatore di Sumo e cominciò muoversi avanti e indietro dondolandomi con forza e dolcezza. Sentivo le sue mani sulle mie natiche che mi tenevano sospeso in aria. Ancora una volta infilò la sua lingua nella mia bocca. MI dondolava e mi baciava e io sentivo il piacere che arrivava, arrivava, arrivava. Si dimostrò talmente attenta al mio processo di orgasmo che seppe modulare i movimenti per portarmi poco alla volta al culmine. Finalmente, arrivò il mio momento e provai un piacere incredibile mai vissuto prima. Sembrava non finire mai e mi stupii che il mio corpo potesse godere così a lungo. Nel frattempo, anche lei raggiunse il suo terzo orgasmo. Un minuto prima che io venissi, mi accorsi infatti che il suo respiro era sempre più intenso, i suoi occhi erano chiusi come se stesse usando anche un po’ di fantasia per aiutarsi. Ma ero troppo in bambola per poter capire finchè il terzo urlo disumano indicò l’avvenuto orgasmo. Eravamo venuti quasi insieme!
Lotta a tutto campo
L’urlo mi fece ricordare di trovarmi nella cantina di un condominio a fare sesso con la donna delle pulizie. E se qualcuno l’avesse sentita urlare?
Questo pensiero interruppe inopinatamente l’onda del piacere e mi riportò al presente. Dissi: ”E’ stato bellissimo, Tania. Sei una forza della natura!” La risposta fu sorprendente: “Ma io ho più voglia di prima e non abbiamo ancora fatto la lotta.” Mentre mi riprendevo a fatica da ciò che avevo vissuto, ebbi la prontezza di spirito di dire: “Ma vuoi ancora pisciarmi addosso?” “No. L’ho detto solo per eccitarti. So che ad alcuni uomini piace.” Proseguii: “No. A me no. Invece è piaciuto quello che hai fatto alla mela.”
Senza replicare, si diede una pulita alle parti intime con dei fazzoletti imbevuti che aveva nella borsa di lavoro e li porse anche a me. Poi si posizionò in mezzo al tappetino e mi invitò al vero e proprio incontro di lotta. Mi avvertì: “Se sei in difficoltà, batti la mano per terra.” Non compresi ma mi posizionai di fronte a lei nuovamente. Tania era ancora incredibilmente fresca e vogliosa. Io invece ero un po’ stanco e sudato anche perché la cantina, pur essendo fresca, non aveva finestre ma solo una grata che dava su quel pezzo di corridoio che scendeva fino alla mia cantina.
Il quarto tempo fu straordinario. Eravamo ormai tutte e due completamente svestiti. Lei si era seduta sulle ginocchia in mezzo al tappetino e io, senza parlare, feci altrettanto. Le nostre rotule si toccavano. I nostri occhi si fissavano l'un l'altro. Non capivo bene cosa volesse fare, ma era come se mi stesse invitando senza parlare a creare una nuova atmosfera rispetto ai minuti precedenti. Era come se mi invitasse a concentrarmi e a mettermi sulla sua lunghezza d'onda. Passarono alcuni minuti in cui i nostri sguardi si fondevano e si perdevano nell'osservazione prolungata delle rispettive orbite oculari. Io mi sentivo sempre più calmo e rilassato e mi chiedevo perché mai Tania volesse questo.
Ad un certo punto, prese la parola: “Ti stai chiedendo perché stiamo seduti così? Forse ti sei dato la risposta da solo.”
“Vuoi che io mi sintonizzi con il tuo desiderio.”
Tania si aprì ad un sorriso straordinario: “Sì e sei il primo uomo che lo ha capito. Io e te siamo due corpi …” Non le veniva la parola perché non aveva la piena padronanza della lingua e allora le venni in soccorso: “Complementari?”
“Esatto! Tu godi se una donna come me, più alta, più grossa è più forte prova piacere sessuale a schiacciarti con la forza e io provo piacere quando sento e vedo che un uomo come te gode ad essere schiacciato da una come me.”
“Allora un incontro all’ultimo sangue senza limiti?”, dissi io.
“Sì, voglio la stessa cosa… Difenditi!
Al termine di quella esclamazione mi saltò addosso e col peso del suo corpo mi stese all'indietro schiacciandomi sul materassino. Da quel momento mi fece provare un numero innumerevole di posizione di lotta in cui io finivo sempre per essere bloccato da gambe, piedi, cosce o avambracci. Poi mi ritrovai disteso a terra con le braccia allungate all’indietro completamente immobilizzato. Il suo petto schiacciava il mio, il suo volto era sopra di me che mi fissava con un’aria feroce e le sue gambe erano avvinghiate alle mie. Ogni tanto dava forza alla pressione con gli addominali e io mi sentivo schiacciato a terra quasi senza riuscire a respirare. Non provavo certo piacere in quel momento ma ero sicuro che poco alla volta i suoi movimenti lo avrebbero innescato.
Mi venne spontaneo provocarla: “Adesso ti ribalto e ti do una bella lezione”! Non me ne resi conto ma quella provocazione risvegliò la sua parte bestiale, quella che pur essendo la più nascosta corrispondeva forse al suo vero essere: un’amazzone assetata di piacere sessuale.
Scoppiò in una risata che aveva sicuramente anche una certa componente sadica (del resto, la lotta erotica non è altro che una forma di aggressività contenuta e sublimata). Dopodiché, mi disse: “Apri la bocca!” Io ubbidii e la vidi abbassare il capo, raccogliere la saliva come se volesse sputare, e far scendere la saliva nella mia gola, mentre contemporaneamente si sfregava contro di me eccitandosi sempre di più. Io quasi mi ingozzai trangugiando la sua saliva, ma il movimento che stava facendo per eccitarsi col ventre stimolò anche il mio di piacere. Così la sua saliva dentro nella bocca ebbe un effetto afrodisiaco.
Immediatamente dopo, pose gli indici delle sue mani sui palmi delle mie e mi ordinò perentoriamente di spingere. Anche in questo frangente la forza delle mie esili braccia non ebbe alcun effetto. Mentre continuava a sfregarsi, disse con una voce chiaramente alterata per il piacere: “Sono talmente più forte di te che ti schiaccio a terra con solo due dita.” Io continuavo nei miei tentativi di ribaltare la situazione ma quelle ossa fatte di ferro e quei polsi di 20 cm di circonferenza erano inamovibili.
Con un balzo felino e lasciando la presa sulle mani, mi saltò sul petto mettendo la mia testa proprio di fronte al suo boschetto mentre con le gambe immobilizzava i miei avambracci. L'odore delle sue parti intime bagnate erano proprio davanti alla mia bocca.
“Lecca!” disse con decisione.
“No, Questo non lo faccio”, replicai io. “Questo non mi piace”.
Non rispose al mio rifiuto ma cominciò a stringere la mia testa tra le cosce. Lo faceva ritmicamente lasciandomi il tempo di riprendere fiato e colorito normale ma avevo proprio l'impressione che quando stringeva forte il mio volto diventasse paonazzo.
Ad un certo punto, fui costretto a battere a terra come mi aveva detto perché mi stava mancando il fiato. Lei lasciò la presa e cambiò strategia: accompagnò le strette con la parola.
“Hai visto che non puoi fare niente contro di me. Sono più forte (e, intanto stringeva e mollava)... Ho più muscoli di te (stringeva e mollava)… Le mie ossa sono il doppio delle tue (stringeva e mollava)… Posso fare quello che voglio di te (stringeva e mollava)… Ti posso spaccare le ossa con una mano (stringeva e mollava)… e tu proverai sempre piacere mentre ti domino con la forza dei miei muscoli…
Ad ogni frase che pronunciava, sentivo che la mia volontà diventava sempre più labile e ad un certo punto fui trascinato in un turbine psicofisico. Ero come ipnotizzato dalle sue parole e dai suoi movimenti ai quali si aggiunse quello definitivo: con una delle due mani mi fece irrigidire il pene. Cominciai a sentire piacere, un piacere ancora più diverso dei precedenti perché legato ad una specie di sottomissione psichica nei suoi confronti. Questo processo raggiunse il culmine nel momento in cui Tania mi ripropose l'ordine che mi aveva impartito in precedenza: “Lecca!” È così cominciai a leccarle la figa. Non lo avevo mai fatto con nessuno, ma in quel momento si creò un'associazione tra il piacere che stavo provando è quello che stavo facendo con la lingua. La sua mano mi stava lavorando con lentezza in modo da non farmi venire troppo alla svelta, mentre il movimento della mia lingua stava avendo un successo sensazionale: la sua eccitazione raggiunse vette altissime. Me ne resi conto dai movimenti forsennati del suo corpo. Al culmine dell’eccitazione balzò indietro, si infilò il mio pene nel suo corpo e cominciò a cavalcarmi buttando nuovamente la sua lingua nella mia bocca per un bacio conclusivo.
Venimmo insieme. Il mio pene emise inaspettatamente altro sperma mentre la sua lingua spostava la mia lasciandomi quasi senza possibilità di respirare. Stavolta il suo orgasmo si concluse con un grido di soddisfazione che si mischiò per la prima volta al mio… dopodiché si accasciò sopra di me baciandomi sul collo: “Sei stato fantastico!” Io sotterrato dal suo quintale di muscoli compresi che, esattamente come me, al termine della fantasia sessuale ritornava a se stessa. Le nostre fantasie erano complementari. Il destino ci aveva fatto incontrare per poterle concretizzare. Era accaduto!
Conclusione
Dieci minuti dopo ci eravamo rivestiti e senza troppe parole avevamo ripreso le nostre identità pubbliche e riacquistato un contegno normale. Riaprimmo la porta della cantina. Fuori era tutto buio. Il nostro bunker dove avevamo dato spazio alle nostre private ma in fondo innocue perversioni era rimasto inviolato. Avevamo vissuto un’esperienza indimenticabile.
“Ci vediamo ancora la settimana prossima?”
“No… purtroppo torno in Moldavia.!”
“Nooooo! Non è possibile. Ti ho appena conosciuta e…”
“Per questo, ho fatto di tutto per attirare la tua attenzione. Sapevo di dover partire e che tu potevi essere l’uomo ideale per certe cose. Ho visto i pesi nella tua cantina e ho pensato che un uomo che fa i pesi e rimane con pochi muscoli ama le donne grosse e forti come me.”
“Hai avuto ragione, ma adesso te ne vai…”
“Ti prometto che tornerò.”
E così facendo, mi sollevò ancora una volta per il bacio più lungo e passionale che io abbia mai fatto. Durò diversi minuti e anche in questo frangente la “signora delle pulizie” non fece alcuna fatica a tenermi sollevato per aria e a mostrarmi come la sua lingua fosse più potente della mia.
Se fosse stato per lei, avrebbe ricominciato da capo a lottare con me…
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