Mario sessantenne – Nadia La donna del CAF
di
Mario1960
genere
tradimenti
Mario sessantenne – Nadia La donna del CAF
Il CAF è pieno di vecchi che si lamentano, fogli che non finiscono più e l’aria stantia di ufficio di periferia. Io sbuffo, con la cartellina del 730 sotto il braccio, seduto ad aspettare il mio turno.
Accanto a me si siede una donna sui trent’anni, forse poco più. Mora, capelli raccolti in uno chignon disordinato, occhiali da sole grandi che si leva appena si siede. Ha un vestitino leggero, niente di vistoso, ma le cosce sono due calamite e il seno le tende il tessuto in modo che ogni respiro lo fa sembrare più grande.
Squilla il suo telefono. Risponde senza abbassare la voce.
«Sì, sono al CAF… Madonna, che palle. Sto qui da ore.» Fa una pausa, poi sbotta: «No, non mi scopa più. Ti giuro. Lui pensa solo ai cani. Sempre con quei cazzo di dogo argentini. È infrocito per i cani, capisci? Io a letto potrei pure non esistere.»
Io abbasso il giornale, un sorrisetto sulle labbra.
Lei continua, senza rendersi conto che tutti sentono: «Sono due mesi che non mi tocca. Due mesi! Io ci provo, mi metto la camicia da notte, niente. Solo i cani, sempre i cani. La notte dormono pure nel letto con noi, ti rendi conto? Io lì con la figa che brucia e lui che coccola i cani.»
Mi viene da ridere. Una risata bassa, cattiva. Lei mi sente, mi lancia un’occhiata veloce, arrossisce ma non smette. «Sì, hai ragione… lo so che finirò per farmi scopare da qualcun altro. Tanto così non si può vivere.»
Riattacca. Silenzio. Io mi giro verso di lei, il sorriso stampato. «Scusa, ma se parli così forte, non è che serva origliare. Ho sentito tutto.»
Lei spalanca gli occhi, imbarazzata. «Oddio… mi scusi, non pensavo…»
«No, no,» la interrompo, «non devi scusarti. Anzi. Mi hai fatto sorridere. Infrocito per i cani, hai detto? È nuova questa.»
Ride pure lei, nervosa, ma rilassata. «Eh, ma è la verità. Io non ce la faccio più.»
Io la guardo dritta, la voce bassa: «Con una figa come la tua, io ti scannerei ogni sera, altro che cani.»
Lei resta di sasso. «Come ha detto?»
«Hai capito bene,» ribatto. «Non ti conosco, ma si vede lontano un chilometro che sei una donna che ha bisogno di cazzo, non di guinzagli.»
Si morde il labbro, l’imbarazzo che si mescola a un lampo negli occhi. «Lei è… diretto.»
«Alla mia età non si gira intorno. Dico quello che penso. E quello che penso è che sei seduta qui a sprecarti per uno che ti lascia asciutta.»
Lei abbassa lo sguardo, sorride. «Non è bello parlare così di mio marito.»
«No?» Mi piego verso di lei. «E allora perché cinque minuti fa dicevi all’amica che non ti scopa più?»
Arrossisce. Non risponde subito. Poi sospira. «È vero. Non ce la faccio più. Ho ventotto anni, mica sessanta. Non voglio invecchiare così.»
Io rido. «Eppure uno di sessanta qui accanto ce l’hai, e non mi sembra proprio stanco. Anzi.»
La mia mano si appoggia al bracciolo, vicino alla sua. Le dita quasi si sfiorano. Lei non si sposta. Mi guarda un attimo, curiosa, eccitata.
«Lei è proprio un tipo senza vergogna,» sussurra.
«Io? No. È che quando vedo una donna con la figa arrugginita, mi viene voglia di lucidarla.»
Ride, scuote la testa. «Lei è pazzo.»
«Forse. Ma dimmi la verità: da quanto non godi come si deve?»
Abbassa lo sguardo. «Troppo.»
Io mi sporgo ancora un po’. «Se ti va, dopo il CAF ti offro un caffè. E poi magari ti faccio vedere come lavora uno che non ha i cani nel letto.»
Lei non risponde subito. Ma gli occhi la tradiscono: brillano, curiosi.
Il numeretto del CAF scatta, ma io resto seduto. Lei pure. Ci guardiamo un attimo, poi le dico piano: «Allora? Lo prendi questo caffè con me, o torni a casa a fare le coccole ai cani di tuo marito?»
Lei arrossisce, ma sorride. «Lei è tremendo.»
«Io? Io sono sincero. Sei tu che sei messa male, troia.»
«Troia?» finge di offendersi, ma le brilla l’occhio.
«Eh sì. Se parli così davanti a tutti, vuol dire che hai la figa che piange.»
Scoppia a ridere, si copre la bocca con la mano. «Ma lei è… è senza freni.»
«Sessant’anni, signora. Alla mia età non ho più tempo per fare il galantuomo. Ti vedo, mi piaci, ti voglio. Punto.»
Si alza, prende la borsetta. «Va bene. Andiamo a questo caffè. Ma solo un caffè, eh.»
«Sì, sì… un caffè.»
Usciti dall’ufficio ci fermiamo al bar all’angolo. Lei ordina un macchiato, io un nero bollente. Ci sediamo a un tavolino appartato.
«Allora, dimmi come ti chiami.»
«Nadia,» risponde, sorseggiando.
«Nadia… bel nome. Io sono Mario.»
«Piacere.»
Io la guardo fisso, senza mascherare niente. «Sai che hai due tette da paura sotto quel vestito?»
Lei sussulta, arrossisce. «Ecco, ci risiamo. Non perde occasione.»
«No, perché sarebbe da criminali non dirlo. Le vedo, mi immagino le mani sopra. E mi parte il cazzo.»
Ride, ma scuote la testa. «Non posso credere di stare qui a sentire queste cose.»
«Eppure non ti sei alzata per andartene.»
«…Vero.»
Beviamo. Il silenzio è carico. Io appoggio una mano sulla sua coscia, sopra il vestito. Non mi ferma. La sfioro piano, risalgo.
«Mario… siamo in un bar,» mormora.
«E allora? Non hai detto che tuo marito pensa solo ai cani? Meglio che ti scaldi io.»
Le dita arrivano all’orlo del vestito. Lei respira forte, si stringe le cosce, ma non si scosta.
«Madonna… ma che mi sta succedendo?» sussurra.
«Ti sta succedendo che sei viva. Ti stai ricordando cos’è il cazzo.»
Finito il caffè, si alza di scatto. «Dai, portami via di qui.»
«Dove?»
«Non lo so. Non a casa mia. Lui c’è. Portami dove vuoi, basta che non ci vedano.»
Io sorrido, sento il sangue che mi pulsa in basso. «Va bene, andiamo da me. Ho un divano che non vede l’ora di sentire la tua fica.»
Lei ride, nervosa, ma annuisce. «Sei un maiale.»
«E tu una troia. Ci compensiamo.»
In macchina non parla quasi. Si morde il labbro, guarda fuori. Io ogni tanto le metto una mano sulla coscia, la stringo. Lei non si scosta.
Arrivati sotto casa, la prendo per il braccio. «Vieni.»
Sale le scale veloce, col vestito che le ondeggia sulle cosce. Io dietro, già duro.
Entriamo. Chiudo la porta a chiave. «Adesso non scappi più.»
Lei si appoggia al muro, ride nervosa. «Mario… non posso crederci. Io qui con te…»
Io le sollevo il vestito senza dire niente. «Eccoti qui. Mutandine nere… già bagnate. Vergogna.»
Lei geme piano. «È vero. Sono bagnata come una troia.»
Le tiro via le mutande, le metto la mano in mezzo alle gambe. Calda, fradicia. Lei si piega, ansima. «Dio… mi stai accendendo.»
«E questo è solo l’inizio.»
La spingo contro il muro, il vestito alzato, le mutandine già buttate via. Le dita affondano nella figa calda, fradicia. Nadia geme, si aggrappa alle mie spalle. «Madonna… è da mesi che non mi tocca nessuno…»
Io rido, le sussurro all’orecchio: «E allora ti ci butto dentro tutto il veleno che hai perso. Così torni a ricordarti cos’è un uomo.»
La porto di peso verso il divano, la butto giù, le gambe che si aprono da sole. Il vestito lo strappo quasi, i bottoni che saltano. Seno pieno, tette bianche che traboccano dal reggiseno. Lo strappo anche quello. Lecca le mie labbra con un filo di voce: «Sei un animale.»
«E tu una troia repressa. Ora ti libero io.»
Abbasso i pantaloni, il cazzo duro che le punta la pancia. Lei sgrana gli occhi, sorride come una bambina che aspetta il regalo. «Finalmente…»
Lo appoggio sulla figa e scivola subito per quanto è bagnata. Le spingo dentro piano all’inizio, lei urla, la testa che si piega indietro. «Ahhhh… sì! Dio, sì!»
Io affondo di colpo, fino al fondo. Lei si contorce, le unghie mi graffiano le spalle. «Mi spacchi! Ma non fermarti!»
Comincio a pomparla, duro, senza pietà. Ogni colpo fa schioccare le sue cosce contro le mie. Lei geme, urla, si morde il labbro, poi mi guarda negli occhi. «Mio marito non mi ha mai scopata così… mai!»
Rido, con il fiato grosso. «Normale. Quello preferisce i cani. Io preferisco aprire la figa delle donne come te.»
«Sporco… sei sporco!» geme, ma si stringe di più a me. «Non smettere… fammi venire!»
Le alzo le gambe sulle spalle, entro ancora più fondo. Lei urla, le tette che rimbalzano, i capezzoli duri come chiodi. Mi fermo un attimo, glieli afferro e glieli stringo forte, quasi a farle male. Lei geme ancora più forte. «Sì, così! Schiacciami, fammi male!»
«Troia affamata,» ansimo, «due mesi senza cazzo e ora sembri una vacca in calore.»
«È vero! Sono una troia!» urla. «Scopami più forte! Fammi dimenticare quel coglione!»
Le do colpi sempre più violenti, fino a che il divano scricchiola sotto il peso. Lei morde un cuscino, ma poi mi guarda, con gli occhi persi. «Sborra dentro, ti prego! Voglio sentire che mi riempi!»
Io ringhio: «Vuoi che ti faccia quello che tuo marito non ha mai avuto le palle di fare?»
«Sì, sì! Riempimi tutta!»
Il piacere mi esplode nella pancia, il cazzo che pulsa. Spingo ancora due volte e scarico tutto dentro di lei, un getto caldo che la fa urlare come se la stessero squarciando. Lei si inarca, viene insieme a me, le gambe che tremano, le unghie che mi graffiano la schiena.
Resto dentro un attimo, ansimando. Poi mi tiro fuori: lo sperma cola subito dalla sua figa aperta, un rivolo bianco che le bagna le cosce. Lei ride, esausta, con il petto che le sale e scende. «Dio… era una vita che non godevo così.»
Io mi sistemo i pantaloni, la guardo soddisfatto. «E tutto perché hai sposato uno che scopa i cani invece della moglie.»
Lei ride ancora, scuote la testa. «Sei un vecchio porco, Mario.»
«E tu una troia che non sapeva più di esserlo. Ti ho risvegliata.»
Si sdraia sul divano, i capelli sciolti, il corpo nudo e ancora sporco del mio seme. «Non sarà l’ultima volta. Se lui continua a dormire coi cani, io verrò a farmi scopare da te.»
Io sorrido, accendendomi una sigaretta. «Quando vuoi, Nadia. A casa mia il guinzaglio non lo porto. Qui c’è solo cazzo.»
Il CAF è pieno di vecchi che si lamentano, fogli che non finiscono più e l’aria stantia di ufficio di periferia. Io sbuffo, con la cartellina del 730 sotto il braccio, seduto ad aspettare il mio turno.
Accanto a me si siede una donna sui trent’anni, forse poco più. Mora, capelli raccolti in uno chignon disordinato, occhiali da sole grandi che si leva appena si siede. Ha un vestitino leggero, niente di vistoso, ma le cosce sono due calamite e il seno le tende il tessuto in modo che ogni respiro lo fa sembrare più grande.
Squilla il suo telefono. Risponde senza abbassare la voce.
«Sì, sono al CAF… Madonna, che palle. Sto qui da ore.» Fa una pausa, poi sbotta: «No, non mi scopa più. Ti giuro. Lui pensa solo ai cani. Sempre con quei cazzo di dogo argentini. È infrocito per i cani, capisci? Io a letto potrei pure non esistere.»
Io abbasso il giornale, un sorrisetto sulle labbra.
Lei continua, senza rendersi conto che tutti sentono: «Sono due mesi che non mi tocca. Due mesi! Io ci provo, mi metto la camicia da notte, niente. Solo i cani, sempre i cani. La notte dormono pure nel letto con noi, ti rendi conto? Io lì con la figa che brucia e lui che coccola i cani.»
Mi viene da ridere. Una risata bassa, cattiva. Lei mi sente, mi lancia un’occhiata veloce, arrossisce ma non smette. «Sì, hai ragione… lo so che finirò per farmi scopare da qualcun altro. Tanto così non si può vivere.»
Riattacca. Silenzio. Io mi giro verso di lei, il sorriso stampato. «Scusa, ma se parli così forte, non è che serva origliare. Ho sentito tutto.»
Lei spalanca gli occhi, imbarazzata. «Oddio… mi scusi, non pensavo…»
«No, no,» la interrompo, «non devi scusarti. Anzi. Mi hai fatto sorridere. Infrocito per i cani, hai detto? È nuova questa.»
Ride pure lei, nervosa, ma rilassata. «Eh, ma è la verità. Io non ce la faccio più.»
Io la guardo dritta, la voce bassa: «Con una figa come la tua, io ti scannerei ogni sera, altro che cani.»
Lei resta di sasso. «Come ha detto?»
«Hai capito bene,» ribatto. «Non ti conosco, ma si vede lontano un chilometro che sei una donna che ha bisogno di cazzo, non di guinzagli.»
Si morde il labbro, l’imbarazzo che si mescola a un lampo negli occhi. «Lei è… diretto.»
«Alla mia età non si gira intorno. Dico quello che penso. E quello che penso è che sei seduta qui a sprecarti per uno che ti lascia asciutta.»
Lei abbassa lo sguardo, sorride. «Non è bello parlare così di mio marito.»
«No?» Mi piego verso di lei. «E allora perché cinque minuti fa dicevi all’amica che non ti scopa più?»
Arrossisce. Non risponde subito. Poi sospira. «È vero. Non ce la faccio più. Ho ventotto anni, mica sessanta. Non voglio invecchiare così.»
Io rido. «Eppure uno di sessanta qui accanto ce l’hai, e non mi sembra proprio stanco. Anzi.»
La mia mano si appoggia al bracciolo, vicino alla sua. Le dita quasi si sfiorano. Lei non si sposta. Mi guarda un attimo, curiosa, eccitata.
«Lei è proprio un tipo senza vergogna,» sussurra.
«Io? No. È che quando vedo una donna con la figa arrugginita, mi viene voglia di lucidarla.»
Ride, scuote la testa. «Lei è pazzo.»
«Forse. Ma dimmi la verità: da quanto non godi come si deve?»
Abbassa lo sguardo. «Troppo.»
Io mi sporgo ancora un po’. «Se ti va, dopo il CAF ti offro un caffè. E poi magari ti faccio vedere come lavora uno che non ha i cani nel letto.»
Lei non risponde subito. Ma gli occhi la tradiscono: brillano, curiosi.
Il numeretto del CAF scatta, ma io resto seduto. Lei pure. Ci guardiamo un attimo, poi le dico piano: «Allora? Lo prendi questo caffè con me, o torni a casa a fare le coccole ai cani di tuo marito?»
Lei arrossisce, ma sorride. «Lei è tremendo.»
«Io? Io sono sincero. Sei tu che sei messa male, troia.»
«Troia?» finge di offendersi, ma le brilla l’occhio.
«Eh sì. Se parli così davanti a tutti, vuol dire che hai la figa che piange.»
Scoppia a ridere, si copre la bocca con la mano. «Ma lei è… è senza freni.»
«Sessant’anni, signora. Alla mia età non ho più tempo per fare il galantuomo. Ti vedo, mi piaci, ti voglio. Punto.»
Si alza, prende la borsetta. «Va bene. Andiamo a questo caffè. Ma solo un caffè, eh.»
«Sì, sì… un caffè.»
Usciti dall’ufficio ci fermiamo al bar all’angolo. Lei ordina un macchiato, io un nero bollente. Ci sediamo a un tavolino appartato.
«Allora, dimmi come ti chiami.»
«Nadia,» risponde, sorseggiando.
«Nadia… bel nome. Io sono Mario.»
«Piacere.»
Io la guardo fisso, senza mascherare niente. «Sai che hai due tette da paura sotto quel vestito?»
Lei sussulta, arrossisce. «Ecco, ci risiamo. Non perde occasione.»
«No, perché sarebbe da criminali non dirlo. Le vedo, mi immagino le mani sopra. E mi parte il cazzo.»
Ride, ma scuote la testa. «Non posso credere di stare qui a sentire queste cose.»
«Eppure non ti sei alzata per andartene.»
«…Vero.»
Beviamo. Il silenzio è carico. Io appoggio una mano sulla sua coscia, sopra il vestito. Non mi ferma. La sfioro piano, risalgo.
«Mario… siamo in un bar,» mormora.
«E allora? Non hai detto che tuo marito pensa solo ai cani? Meglio che ti scaldi io.»
Le dita arrivano all’orlo del vestito. Lei respira forte, si stringe le cosce, ma non si scosta.
«Madonna… ma che mi sta succedendo?» sussurra.
«Ti sta succedendo che sei viva. Ti stai ricordando cos’è il cazzo.»
Finito il caffè, si alza di scatto. «Dai, portami via di qui.»
«Dove?»
«Non lo so. Non a casa mia. Lui c’è. Portami dove vuoi, basta che non ci vedano.»
Io sorrido, sento il sangue che mi pulsa in basso. «Va bene, andiamo da me. Ho un divano che non vede l’ora di sentire la tua fica.»
Lei ride, nervosa, ma annuisce. «Sei un maiale.»
«E tu una troia. Ci compensiamo.»
In macchina non parla quasi. Si morde il labbro, guarda fuori. Io ogni tanto le metto una mano sulla coscia, la stringo. Lei non si scosta.
Arrivati sotto casa, la prendo per il braccio. «Vieni.»
Sale le scale veloce, col vestito che le ondeggia sulle cosce. Io dietro, già duro.
Entriamo. Chiudo la porta a chiave. «Adesso non scappi più.»
Lei si appoggia al muro, ride nervosa. «Mario… non posso crederci. Io qui con te…»
Io le sollevo il vestito senza dire niente. «Eccoti qui. Mutandine nere… già bagnate. Vergogna.»
Lei geme piano. «È vero. Sono bagnata come una troia.»
Le tiro via le mutande, le metto la mano in mezzo alle gambe. Calda, fradicia. Lei si piega, ansima. «Dio… mi stai accendendo.»
«E questo è solo l’inizio.»
La spingo contro il muro, il vestito alzato, le mutandine già buttate via. Le dita affondano nella figa calda, fradicia. Nadia geme, si aggrappa alle mie spalle. «Madonna… è da mesi che non mi tocca nessuno…»
Io rido, le sussurro all’orecchio: «E allora ti ci butto dentro tutto il veleno che hai perso. Così torni a ricordarti cos’è un uomo.»
La porto di peso verso il divano, la butto giù, le gambe che si aprono da sole. Il vestito lo strappo quasi, i bottoni che saltano. Seno pieno, tette bianche che traboccano dal reggiseno. Lo strappo anche quello. Lecca le mie labbra con un filo di voce: «Sei un animale.»
«E tu una troia repressa. Ora ti libero io.»
Abbasso i pantaloni, il cazzo duro che le punta la pancia. Lei sgrana gli occhi, sorride come una bambina che aspetta il regalo. «Finalmente…»
Lo appoggio sulla figa e scivola subito per quanto è bagnata. Le spingo dentro piano all’inizio, lei urla, la testa che si piega indietro. «Ahhhh… sì! Dio, sì!»
Io affondo di colpo, fino al fondo. Lei si contorce, le unghie mi graffiano le spalle. «Mi spacchi! Ma non fermarti!»
Comincio a pomparla, duro, senza pietà. Ogni colpo fa schioccare le sue cosce contro le mie. Lei geme, urla, si morde il labbro, poi mi guarda negli occhi. «Mio marito non mi ha mai scopata così… mai!»
Rido, con il fiato grosso. «Normale. Quello preferisce i cani. Io preferisco aprire la figa delle donne come te.»
«Sporco… sei sporco!» geme, ma si stringe di più a me. «Non smettere… fammi venire!»
Le alzo le gambe sulle spalle, entro ancora più fondo. Lei urla, le tette che rimbalzano, i capezzoli duri come chiodi. Mi fermo un attimo, glieli afferro e glieli stringo forte, quasi a farle male. Lei geme ancora più forte. «Sì, così! Schiacciami, fammi male!»
«Troia affamata,» ansimo, «due mesi senza cazzo e ora sembri una vacca in calore.»
«È vero! Sono una troia!» urla. «Scopami più forte! Fammi dimenticare quel coglione!»
Le do colpi sempre più violenti, fino a che il divano scricchiola sotto il peso. Lei morde un cuscino, ma poi mi guarda, con gli occhi persi. «Sborra dentro, ti prego! Voglio sentire che mi riempi!»
Io ringhio: «Vuoi che ti faccia quello che tuo marito non ha mai avuto le palle di fare?»
«Sì, sì! Riempimi tutta!»
Il piacere mi esplode nella pancia, il cazzo che pulsa. Spingo ancora due volte e scarico tutto dentro di lei, un getto caldo che la fa urlare come se la stessero squarciando. Lei si inarca, viene insieme a me, le gambe che tremano, le unghie che mi graffiano la schiena.
Resto dentro un attimo, ansimando. Poi mi tiro fuori: lo sperma cola subito dalla sua figa aperta, un rivolo bianco che le bagna le cosce. Lei ride, esausta, con il petto che le sale e scende. «Dio… era una vita che non godevo così.»
Io mi sistemo i pantaloni, la guardo soddisfatto. «E tutto perché hai sposato uno che scopa i cani invece della moglie.»
Lei ride ancora, scuote la testa. «Sei un vecchio porco, Mario.»
«E tu una troia che non sapeva più di esserlo. Ti ho risvegliata.»
Si sdraia sul divano, i capelli sciolti, il corpo nudo e ancora sporco del mio seme. «Non sarà l’ultima volta. Se lui continua a dormire coi cani, io verrò a farmi scopare da te.»
Io sorrido, accendendomi una sigaretta. «Quando vuoi, Nadia. A casa mia il guinzaglio non lo porto. Qui c’è solo cazzo.»
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