La vendetta di Mario
di
Mario1960
genere
corna
La vendetta di Mario
Avevo quarant’anni, allora. Quarant’anni di cazzo sempre in tiro, di sudore addosso, di mani callose e nervi tesi. Marta, mia moglie, ne aveva trentanove: figa ancora fresca, culo alto, seni pieni. Una che davanti agli altri faceva la moglie perbene, ma io lo sapevo: era una troia. Solo che non pensavo fino a quel punto.
Perché scopare un altro ci può anche stare. Lo fanno tutti, io per primo. Ma infilarselo in casa, nel nostro letto, e per di più quel ragazzino di merda che aveva sposato sua sorella… quello no. Quella fu la coltellata. Sergio, ventotto anni, sposato con Sandra, la sorellina di Marta, ventisei anni appena. Lui con la faccia da bravo ragazzo e il cazzo già in mezzo alle gambe di mia moglie.
Li beccai per caso. Tornai prima da lavoro, sudato come un cane, e appena entrai sentii l’odore. Non di cucina, non di detersivo. Odore di scopata. Di figa bagnata e di cazzo caldo. Quell’odore che ti riempie il naso e ti fa capire subito che due si stanno aprendo e richiudendo come animali.
Il corridoio era silenzioso, solo il rumore dei loro respiri. E la voce di Marta. Quella voce che conoscevo, ma più sporca, più bassa.
«Sì… scopami forte, così…»
Cristo, mi prese allo stomaco. Apro la porta piano e me li trovo davanti. Marta a quattro zampe, il culo bianco, aperto, che si muoveva avanti e indietro. Sergio dietro, con il cazzo piantato dentro, le palle che sbattevano sul suo culo a ogni colpo. Lei che gemeva come non l’avevo mai sentita con me. Lui che sudava e spingeva come un ossesso.
Mi fermai un secondo, a guardare. Non so se fossi più pieno di rabbia o di sangue nel cazzo. Perché la verità è questa: vederla lì, la mia troia di moglie, che si faceva aprire dal marito di sua sorella, mi disgustava e mi eccitava insieme. Volevo spaccargli la faccia e nello stesso tempo tirarmi fuori il cazzo e infilarlo dentro anch’io.
«Figli di puttana!» urlai, e loro saltarono come due gatti.
Sergio scivolò fuori di colpo, il cazzo ancora duro e lucido di figa. Marta si buttò sul letto, il lenzuolo che non copriva un cazzo, le tette di fuori, le cosce ancora bagnate. Mi guardava piangendo, ma erano lacrime false. Perché lo vedevo: il corpo le tremava ancora di voglia, la fica le pulsava. Era una cagna colta sul fatto, e basta.
«Mario… non è come pensi…» provò a dire.
«Non è come penso?» le ringhiai. «Ti stavi facendo spaccare il buco dal marito di tua sorella, troia!»
Sergio balbettava, infilava i jeans alla cieca. «Scusami, io… non volevo…»
«Non volevi un cazzo. L’avevi dentro, non lo puoi negare.»
Se ne andò a testa bassa, senza avere il coraggio di guardarmi. Rimasi io con Marta. Lei sul letto, a piangere, con la figa ancora aperta e lucida. Io in piedi, con il cazzo che mi pompava nei pantaloni e la rabbia che mi faceva tremare le mani.
Non le dissi niente. Non la toccai. La guardai solo. E in quella testa che mi ribolliva, tra disgusto e sangue che batteva in basso, mi venne l’idea. La vendetta. Non gridata, non minacciata. Una vendetta silenziosa, sporca. Marta si era fatta il marito di sua sorella? Bene. Io mi sarei fatto sua sorella.
Sandra. Ventisei anni. La piccola. Quella con l’aria ingenua, con gli occhi grandi che abbassava quando parlava con me. Una che sembrava non sapere neanche cos’era il peccato. Ma io l’avevo già vista un paio di volte, quando al pranzo di famiglia mi guardava le mani, quando si mordeva il labbro senza accorgersene. Io certe cose le sento. Lei non lo sapeva, ma era già pronta.
Mi accesi una sigaretta, buttai il fumo in faccia a Marta e me ne andai in cucina. Dentro di me la decisione era presa. Non servivano parole. Non servivano minacce.
Avrei scopato Sandra. E sarebbe stato il colpo più sporco e più giusto della mia vita.
Non dissi un cazzo a Marta, ma dentro di me il piano era già scritto.
Sandra. La sorellina. Ventisei anni, sposata a quel coglione che avevo appena visto con il cazzo infilato dentro mia moglie. Occhi grandi, pelle bianca, un’ingenuità da verginella che faceva ridere chiunque l’avesse guardata più di due secondi. Ma io no. Io certe cose le vedevo: le guance che le si accendevano quando mi avvicinavo troppo, la lingua che le bagnava le labbra mentre abbassava lo sguardo. La classica brava ragazza che dentro ha una troia nascosta e non vede l’ora che qualcuno gliela tiri fuori.
E quel qualcuno sarei stato io.
Non dovetti nemmeno faticare. Bastò aspettare. Due settimane dopo, una sera, Marta mi dice che va a trovare una sua amica. Io annuisco, fingo di non saper nulla. Nel frattempo, chiamo Sandra, con la scusa di passare un documento a suo marito. «Sergio non c’è, è fuori con gli amici,» mi risponde. «Se vuoi, passa lo stesso, glielo do io.»
Cristo, la fortuna a volte ti scivola addosso come una fica bagnata.
Suono al campanello, mi apre lei. Vestitino leggero, gambe nude, piedi scalzi. Niente trucco, i capelli raccolti di fretta. La guardo e penso: questa non sa ancora che tra un’ora si ritroverà con la bocca piena del mio cazzo.
«Entra pure,» dice con la voce incerta.
Entro. L’appartamento è piccolo, odora di detersivo e di fiori secchi. Lei si siede sul divano, io resto in piedi. La guardo. Abbassa lo sguardo, gioca con le mani. È tesa, si sente che non è abituata a stare sola con me. E questo mi eccita ancora di più.
«Allora,» dico, buttando la busta su un tavolo, «Sergio ti ha lasciato sola, eh?»
«Sì… capita,» mormora.
«Bel marito di merda,» sputo. «Lascia a casa una moglie così… io non ti lascerei mai sola, credimi.»
Alza gli occhi, sorride timida. E lì capisco che ho vinto.
Mi avvicino, mi siedo accanto a lei. Le prendo la mano. «Sai, Sandra,» le dico con la voce bassa, «tu sei diversa da Marta. Lei ormai… è tutta chiacchiere, tutta scena. Tu invece sei vera.»
Lei arrossisce, si scosta un po’, ma non toglie la mano. Io gliela stringo più forte, poi scivolo col palmo sulla sua coscia. Sento la pelle calda, liscia. Lei trattiene il fiato.
«Mario… non dovremmo…»
«Non dovremmo un cazzo,» le sibilo. «Tu lo sai che ti guardo da tempo. E lo so che mi guardi anche tu. Non fare la finta ingenua. Ti piaccio, vero?»
Le infilo la mano sotto il vestitino, arrivo alle mutandine. Sono sottili, bianche, già umide. La ragazza che arrossiva ai pranzi di famiglia era bagnata come una troia solo perché le avevo messo una mano addosso.
Lei geme piano, chiude gli occhi. «Mario… ti prego…»
«Ti prego cosa? Che smetta? O che continui?»
Spingo due dita sotto le mutandine, le passo tra le labbra gonfie della figa. È calda, scivolosa. Lei piega la testa indietro, morde il labbro. Io rido. «Altro che brava ragazza. Sei una piccola troia anche tu.»
La sdraio di colpo sul divano, mi metto sopra. Le tiro via le mutandine con uno strappo. La figa è giovane, stretta, tutta lucida. Mi viene voglia di leccarla finché non urla. Mi abbasso, ci infilo la faccia. Lei geme, prova a spingermi via, ma con le mani mi prende i capelli e mi tira ancora più giù. La lingua le scivola dentro, succhio forte, lei esplode in un gemito che non ha nulla della sorellina timida: è un urlo da troia scoperta.
Mi tiro su, mi slaccio i pantaloni, tiro fuori il cazzo. Duro, gonfio, pulsante. Lo prendo in mano, lo passo sulle sue labbra. «Apri,» le ordino.
Lei esita un secondo, poi apre la bocca. Le spingo dentro la cappella, le tengo la testa. Le faccio ingoiare tutto. Il cazzo le scivola in gola, lei tossisce, ma non si ferma. Le lacrime agli occhi, la saliva che cola sul mento. Io la tengo ferma e glielo sbatto giù fino alla gola.
«Brava troietta,» ringhio. «Così si succhia un cazzo.»
Quando sono sul punto di esplodere, la tiro su, la giro a pancia in giù sul divano. Le apro le gambe, la penetro con un colpo secco. Lei urla, mi graffia i cuscini. È stretta come una morsa, la figa le pulsa intorno al mio cazzo. Spingo più forte, le sbatto il bacino contro, le chiappe rosse sotto le mie mani.
«Dio, Mario!» geme. «Mi spacchi!»
«E ti spacco, sì. Ti apro in due, piccola troia. Tuo marito non ti ha mai scopata così, vero?»
«No… no!» ansima, e più lo dice più si bagna.
Le afferro i capelli, tiro forte, la piego indietro mentre la scopo come una bestia. Le sbatto i colpi dentro finché non urla, finché non si arrende del tutto. Poi la giro, la guardo in faccia: è stravolta, sudata, con gli occhi persi.
«Adesso sai com’è avere un uomo vero dentro,» le dico, spingendo ancora.
Lei geme, mi graffia la schiena. «Non fermarti… ti prego…»
Non mi fermo finché non esplodo dentro di lei, con uno schianto che mi svuota le palle e mi fa tremare tutto il corpo. Sandra urla insieme a me, viene come una furia, la figa che mi stringe fino all’ultimo getto.
Rimango sopra di lei, ansimante. La guardo. Non è più la sorellina ingenua: è un’altra troia che ho marchiato col mio cazzo.
E dentro, mentre mi tiro fuori e la vedo col culo ancora aperto e le cosce bagnate, sento solo una cosa: vendetta compiuta.
Quando rientrai a casa avevo ancora addosso l’odore di Sandra. La fica giovane, bagnata, il sapore della sua saliva in gola. Mi sentivo svuotato e pieno allo stesso tempo. Marta non c’era. Meglio così. Mi feci una doccia veloce, mi vestii e tirai fuori una valigia. Ci buttai dentro le mie cose senza badare troppo: due camicie, pantaloni, rasoi, il necessario. Non era scappare, era andarmene. La valigia la piazzai accanto alla porta, ben visibile, come un pugno nell’occhio. Poi mi sedetti in cucina, una sigaretta in bocca e la bottiglia di rosso sul tavolo. E aspettai.
Verso le dieci sentii la chiave girare. Marta entrò con la sua faccia di sempre, quella che voleva sembrare normale. Quando vide la valigia, sbiancò.
«Che succede?» chiese con la voce incerta.
La guardai negli occhi, buttai fuori il fumo. «Succede che me ne vado.»
«Come… te ne vai?»
«Hai capito bene. Finito il teatrino, Marta. Io vado a vivere da tua sorella.»
Si portò le mani alla bocca, come se avessi bestemmiato. «Cosa? Ma sei impazzito?»
Sorrisi storto. «Impazzito no. Anzi, più lucido che mai. Lo sai che ho visto tutto, Marta. Tu e Sergio. Il tuo cazzo di amante che ti apriva in due sul nostro letto. Non servono scuse. Non servono pianti. Ma io non sono un cornuto qualsiasi. Io non la lascio così.»
«Mario, ti prego… non… non puoi…»
«Non posso? È già fatto.» Le puntai il dito addosso. «Ho detto a Sandra tutto. Ogni dettaglio. Le ho raccontato come suo maritino ti inculava come una troia. Lo sai cosa ha fatto? Lo ha sbattuto fuori di casa. Gli ha messo le valigie in macchina e gli ha detto di non farsi più vedere.»
Marta tremava, le lacrime le scendevano, ma erano lacrime sporche, da paura e rabbia. «Tu… tu non puoi essere così cattivo…»
Mi alzai, le andai vicino. «Cattivo? No, Marta. Vendicativo. E sai il meglio? Sandra non si è limitata a cacciare Sergio. Sandra si è aperta a me. Sì, la tua sorellina ingenua. L’ho avuta. L’ho scopata come nessuno l’aveva mai scopata. E adesso ci vado a vivere. Hai capito bene: tua sorella ha preso il posto tuo.»
Lei sgranò gli occhi, scosse la testa. «No… no, non è vero…»
Le presi il viso con una mano, la costrinsi a guardarmi. «Vuoi i dettagli? Te li do. Tua sorella mi ha succhiato il cazzo come una pompinara. Me l’ha preso fino in gola, con le lacrime agli occhi. Poi le ho aperto la figa sul divano, e mi ha implorato di non fermarmi. Era bagnata come una cagna in calore. Sandra, la tua sorellina. Adesso lo sai.»
Marta urlò, un urlo strozzato, più di rabbia che di dolore. Mi graffiò un braccio, ma non servì a nulla. Io risi in faccia a quella disperazione.
«Tu mi hai reso cornuto. Io ti ho reso niente. Perché adesso non hai più un marito, non hai più una sorella, e non hai più rispetto. Sei solo una troia che si è fatta fottere dal ragazzo di vent’anni più giovane. E io adesso vado a fottermi tua sorella tutte le notti. Così impari.»
Presi la valigia, la trascinai verso la porta. Marta singhiozzava, seduta a terra, le mani nei capelli. Io non mi voltai. Aprii, uscii e chiusi dietro di me.
Sul pianerottolo accesi un’altra sigaretta. Il fumo mi riempì i polmoni, forte, aspro. Pensai a Sandra che mi aspettava a casa sua, nuda sotto le lenzuola. E sorrisi.
Avevo quarant’anni, allora. Quarant’anni di cazzo sempre in tiro, di sudore addosso, di mani callose e nervi tesi. Marta, mia moglie, ne aveva trentanove: figa ancora fresca, culo alto, seni pieni. Una che davanti agli altri faceva la moglie perbene, ma io lo sapevo: era una troia. Solo che non pensavo fino a quel punto.
Perché scopare un altro ci può anche stare. Lo fanno tutti, io per primo. Ma infilarselo in casa, nel nostro letto, e per di più quel ragazzino di merda che aveva sposato sua sorella… quello no. Quella fu la coltellata. Sergio, ventotto anni, sposato con Sandra, la sorellina di Marta, ventisei anni appena. Lui con la faccia da bravo ragazzo e il cazzo già in mezzo alle gambe di mia moglie.
Li beccai per caso. Tornai prima da lavoro, sudato come un cane, e appena entrai sentii l’odore. Non di cucina, non di detersivo. Odore di scopata. Di figa bagnata e di cazzo caldo. Quell’odore che ti riempie il naso e ti fa capire subito che due si stanno aprendo e richiudendo come animali.
Il corridoio era silenzioso, solo il rumore dei loro respiri. E la voce di Marta. Quella voce che conoscevo, ma più sporca, più bassa.
«Sì… scopami forte, così…»
Cristo, mi prese allo stomaco. Apro la porta piano e me li trovo davanti. Marta a quattro zampe, il culo bianco, aperto, che si muoveva avanti e indietro. Sergio dietro, con il cazzo piantato dentro, le palle che sbattevano sul suo culo a ogni colpo. Lei che gemeva come non l’avevo mai sentita con me. Lui che sudava e spingeva come un ossesso.
Mi fermai un secondo, a guardare. Non so se fossi più pieno di rabbia o di sangue nel cazzo. Perché la verità è questa: vederla lì, la mia troia di moglie, che si faceva aprire dal marito di sua sorella, mi disgustava e mi eccitava insieme. Volevo spaccargli la faccia e nello stesso tempo tirarmi fuori il cazzo e infilarlo dentro anch’io.
«Figli di puttana!» urlai, e loro saltarono come due gatti.
Sergio scivolò fuori di colpo, il cazzo ancora duro e lucido di figa. Marta si buttò sul letto, il lenzuolo che non copriva un cazzo, le tette di fuori, le cosce ancora bagnate. Mi guardava piangendo, ma erano lacrime false. Perché lo vedevo: il corpo le tremava ancora di voglia, la fica le pulsava. Era una cagna colta sul fatto, e basta.
«Mario… non è come pensi…» provò a dire.
«Non è come penso?» le ringhiai. «Ti stavi facendo spaccare il buco dal marito di tua sorella, troia!»
Sergio balbettava, infilava i jeans alla cieca. «Scusami, io… non volevo…»
«Non volevi un cazzo. L’avevi dentro, non lo puoi negare.»
Se ne andò a testa bassa, senza avere il coraggio di guardarmi. Rimasi io con Marta. Lei sul letto, a piangere, con la figa ancora aperta e lucida. Io in piedi, con il cazzo che mi pompava nei pantaloni e la rabbia che mi faceva tremare le mani.
Non le dissi niente. Non la toccai. La guardai solo. E in quella testa che mi ribolliva, tra disgusto e sangue che batteva in basso, mi venne l’idea. La vendetta. Non gridata, non minacciata. Una vendetta silenziosa, sporca. Marta si era fatta il marito di sua sorella? Bene. Io mi sarei fatto sua sorella.
Sandra. Ventisei anni. La piccola. Quella con l’aria ingenua, con gli occhi grandi che abbassava quando parlava con me. Una che sembrava non sapere neanche cos’era il peccato. Ma io l’avevo già vista un paio di volte, quando al pranzo di famiglia mi guardava le mani, quando si mordeva il labbro senza accorgersene. Io certe cose le sento. Lei non lo sapeva, ma era già pronta.
Mi accesi una sigaretta, buttai il fumo in faccia a Marta e me ne andai in cucina. Dentro di me la decisione era presa. Non servivano parole. Non servivano minacce.
Avrei scopato Sandra. E sarebbe stato il colpo più sporco e più giusto della mia vita.
Non dissi un cazzo a Marta, ma dentro di me il piano era già scritto.
Sandra. La sorellina. Ventisei anni, sposata a quel coglione che avevo appena visto con il cazzo infilato dentro mia moglie. Occhi grandi, pelle bianca, un’ingenuità da verginella che faceva ridere chiunque l’avesse guardata più di due secondi. Ma io no. Io certe cose le vedevo: le guance che le si accendevano quando mi avvicinavo troppo, la lingua che le bagnava le labbra mentre abbassava lo sguardo. La classica brava ragazza che dentro ha una troia nascosta e non vede l’ora che qualcuno gliela tiri fuori.
E quel qualcuno sarei stato io.
Non dovetti nemmeno faticare. Bastò aspettare. Due settimane dopo, una sera, Marta mi dice che va a trovare una sua amica. Io annuisco, fingo di non saper nulla. Nel frattempo, chiamo Sandra, con la scusa di passare un documento a suo marito. «Sergio non c’è, è fuori con gli amici,» mi risponde. «Se vuoi, passa lo stesso, glielo do io.»
Cristo, la fortuna a volte ti scivola addosso come una fica bagnata.
Suono al campanello, mi apre lei. Vestitino leggero, gambe nude, piedi scalzi. Niente trucco, i capelli raccolti di fretta. La guardo e penso: questa non sa ancora che tra un’ora si ritroverà con la bocca piena del mio cazzo.
«Entra pure,» dice con la voce incerta.
Entro. L’appartamento è piccolo, odora di detersivo e di fiori secchi. Lei si siede sul divano, io resto in piedi. La guardo. Abbassa lo sguardo, gioca con le mani. È tesa, si sente che non è abituata a stare sola con me. E questo mi eccita ancora di più.
«Allora,» dico, buttando la busta su un tavolo, «Sergio ti ha lasciato sola, eh?»
«Sì… capita,» mormora.
«Bel marito di merda,» sputo. «Lascia a casa una moglie così… io non ti lascerei mai sola, credimi.»
Alza gli occhi, sorride timida. E lì capisco che ho vinto.
Mi avvicino, mi siedo accanto a lei. Le prendo la mano. «Sai, Sandra,» le dico con la voce bassa, «tu sei diversa da Marta. Lei ormai… è tutta chiacchiere, tutta scena. Tu invece sei vera.»
Lei arrossisce, si scosta un po’, ma non toglie la mano. Io gliela stringo più forte, poi scivolo col palmo sulla sua coscia. Sento la pelle calda, liscia. Lei trattiene il fiato.
«Mario… non dovremmo…»
«Non dovremmo un cazzo,» le sibilo. «Tu lo sai che ti guardo da tempo. E lo so che mi guardi anche tu. Non fare la finta ingenua. Ti piaccio, vero?»
Le infilo la mano sotto il vestitino, arrivo alle mutandine. Sono sottili, bianche, già umide. La ragazza che arrossiva ai pranzi di famiglia era bagnata come una troia solo perché le avevo messo una mano addosso.
Lei geme piano, chiude gli occhi. «Mario… ti prego…»
«Ti prego cosa? Che smetta? O che continui?»
Spingo due dita sotto le mutandine, le passo tra le labbra gonfie della figa. È calda, scivolosa. Lei piega la testa indietro, morde il labbro. Io rido. «Altro che brava ragazza. Sei una piccola troia anche tu.»
La sdraio di colpo sul divano, mi metto sopra. Le tiro via le mutandine con uno strappo. La figa è giovane, stretta, tutta lucida. Mi viene voglia di leccarla finché non urla. Mi abbasso, ci infilo la faccia. Lei geme, prova a spingermi via, ma con le mani mi prende i capelli e mi tira ancora più giù. La lingua le scivola dentro, succhio forte, lei esplode in un gemito che non ha nulla della sorellina timida: è un urlo da troia scoperta.
Mi tiro su, mi slaccio i pantaloni, tiro fuori il cazzo. Duro, gonfio, pulsante. Lo prendo in mano, lo passo sulle sue labbra. «Apri,» le ordino.
Lei esita un secondo, poi apre la bocca. Le spingo dentro la cappella, le tengo la testa. Le faccio ingoiare tutto. Il cazzo le scivola in gola, lei tossisce, ma non si ferma. Le lacrime agli occhi, la saliva che cola sul mento. Io la tengo ferma e glielo sbatto giù fino alla gola.
«Brava troietta,» ringhio. «Così si succhia un cazzo.»
Quando sono sul punto di esplodere, la tiro su, la giro a pancia in giù sul divano. Le apro le gambe, la penetro con un colpo secco. Lei urla, mi graffia i cuscini. È stretta come una morsa, la figa le pulsa intorno al mio cazzo. Spingo più forte, le sbatto il bacino contro, le chiappe rosse sotto le mie mani.
«Dio, Mario!» geme. «Mi spacchi!»
«E ti spacco, sì. Ti apro in due, piccola troia. Tuo marito non ti ha mai scopata così, vero?»
«No… no!» ansima, e più lo dice più si bagna.
Le afferro i capelli, tiro forte, la piego indietro mentre la scopo come una bestia. Le sbatto i colpi dentro finché non urla, finché non si arrende del tutto. Poi la giro, la guardo in faccia: è stravolta, sudata, con gli occhi persi.
«Adesso sai com’è avere un uomo vero dentro,» le dico, spingendo ancora.
Lei geme, mi graffia la schiena. «Non fermarti… ti prego…»
Non mi fermo finché non esplodo dentro di lei, con uno schianto che mi svuota le palle e mi fa tremare tutto il corpo. Sandra urla insieme a me, viene come una furia, la figa che mi stringe fino all’ultimo getto.
Rimango sopra di lei, ansimante. La guardo. Non è più la sorellina ingenua: è un’altra troia che ho marchiato col mio cazzo.
E dentro, mentre mi tiro fuori e la vedo col culo ancora aperto e le cosce bagnate, sento solo una cosa: vendetta compiuta.
Quando rientrai a casa avevo ancora addosso l’odore di Sandra. La fica giovane, bagnata, il sapore della sua saliva in gola. Mi sentivo svuotato e pieno allo stesso tempo. Marta non c’era. Meglio così. Mi feci una doccia veloce, mi vestii e tirai fuori una valigia. Ci buttai dentro le mie cose senza badare troppo: due camicie, pantaloni, rasoi, il necessario. Non era scappare, era andarmene. La valigia la piazzai accanto alla porta, ben visibile, come un pugno nell’occhio. Poi mi sedetti in cucina, una sigaretta in bocca e la bottiglia di rosso sul tavolo. E aspettai.
Verso le dieci sentii la chiave girare. Marta entrò con la sua faccia di sempre, quella che voleva sembrare normale. Quando vide la valigia, sbiancò.
«Che succede?» chiese con la voce incerta.
La guardai negli occhi, buttai fuori il fumo. «Succede che me ne vado.»
«Come… te ne vai?»
«Hai capito bene. Finito il teatrino, Marta. Io vado a vivere da tua sorella.»
Si portò le mani alla bocca, come se avessi bestemmiato. «Cosa? Ma sei impazzito?»
Sorrisi storto. «Impazzito no. Anzi, più lucido che mai. Lo sai che ho visto tutto, Marta. Tu e Sergio. Il tuo cazzo di amante che ti apriva in due sul nostro letto. Non servono scuse. Non servono pianti. Ma io non sono un cornuto qualsiasi. Io non la lascio così.»
«Mario, ti prego… non… non puoi…»
«Non posso? È già fatto.» Le puntai il dito addosso. «Ho detto a Sandra tutto. Ogni dettaglio. Le ho raccontato come suo maritino ti inculava come una troia. Lo sai cosa ha fatto? Lo ha sbattuto fuori di casa. Gli ha messo le valigie in macchina e gli ha detto di non farsi più vedere.»
Marta tremava, le lacrime le scendevano, ma erano lacrime sporche, da paura e rabbia. «Tu… tu non puoi essere così cattivo…»
Mi alzai, le andai vicino. «Cattivo? No, Marta. Vendicativo. E sai il meglio? Sandra non si è limitata a cacciare Sergio. Sandra si è aperta a me. Sì, la tua sorellina ingenua. L’ho avuta. L’ho scopata come nessuno l’aveva mai scopata. E adesso ci vado a vivere. Hai capito bene: tua sorella ha preso il posto tuo.»
Lei sgranò gli occhi, scosse la testa. «No… no, non è vero…»
Le presi il viso con una mano, la costrinsi a guardarmi. «Vuoi i dettagli? Te li do. Tua sorella mi ha succhiato il cazzo come una pompinara. Me l’ha preso fino in gola, con le lacrime agli occhi. Poi le ho aperto la figa sul divano, e mi ha implorato di non fermarmi. Era bagnata come una cagna in calore. Sandra, la tua sorellina. Adesso lo sai.»
Marta urlò, un urlo strozzato, più di rabbia che di dolore. Mi graffiò un braccio, ma non servì a nulla. Io risi in faccia a quella disperazione.
«Tu mi hai reso cornuto. Io ti ho reso niente. Perché adesso non hai più un marito, non hai più una sorella, e non hai più rispetto. Sei solo una troia che si è fatta fottere dal ragazzo di vent’anni più giovane. E io adesso vado a fottermi tua sorella tutte le notti. Così impari.»
Presi la valigia, la trascinai verso la porta. Marta singhiozzava, seduta a terra, le mani nei capelli. Io non mi voltai. Aprii, uscii e chiusi dietro di me.
Sul pianerottolo accesi un’altra sigaretta. Il fumo mi riempì i polmoni, forte, aspro. Pensai a Sandra che mi aspettava a casa sua, nuda sotto le lenzuola. E sorrisi.
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