Il Dott. Bianchi
di
ottinton palent
genere
dominazione
La giornata in reparto era stata massacrante. Alice sognava solo una doccia bollente per lavare via il sudore la stanchezza, ma le tubature avevano subito un guasto. Uscì com’era: i capelli appiccicati di fatica, la pelle umida, l’odore acre del turno addosso.
Alla fermata pioveva a dirotto. Una berlina scura si accostò, il finestrino si abbassò. Al volante il dottor Bianchi che con sorriso sicuro esordì: «Sembri un pulcino bagnato. Vuoi un passaggio?» chiese con un tono che voleva essere galante, ma che aveva in sé qualcosa di predatorio. Nel reparto Bianchi si muoveva con sicurezza: scapolo quarantenne, un sorriso ironico sempre pronto e quegli occhi predatori che sapevano soffermarsi un attimo di troppo. Non si limitava a dirigere i lavori: commentava, ammiccava, lanciava battute che lasciavano a mezz’aria un retrogusto allusivo, che scivolavano sempre dove non dovevano.
Alice esitò. Lo conosceva bene: un uomo che divorava le allieve con lo sguardo — e non solo —. Un porco ma affascinante. Le tornò alla mente l’episodio di qualche settimana prima: lui si era chinato accanto a lei fingendo di voler controllare lo schermo del computer. In realtà, si era fermato appena un istante di troppo, inclinando appena il viso, per inspirare a pieni polmoni dal suo cavo ascellare umido di sudore. Un gesto impercettibile agli altri, ma lei l’aveva colto. Alice si era irrigidita, sorpresa e imbarazzata. Ma quel gesto, anziché disgustarla, le aveva lasciato addosso un brivido segreto. Era fatto così, Bianchi: maschera di educazione e modi brillanti, ma sguardi che scivolavano sempre dove non dovevano. Le parole che lasciava cadere con leggerezza, come se fossero scherzi innocenti, ma che invece erano lame ben affilate, Con Alice, poi, sembrava divertirsi più che con le altre. Le sue attenzioni erano costanti, persino sfacciate. Nonostante tutto questo, anzi soprattutto per questo accettò il passaggio e quello che comportava, come se una parte di lei, quella che non mostrava a nessuno, fosse attratta da quel gioco torbido, spinta da una curiosità che le pulsava nelle vene come febbre.
Guidò in silenzio, con un sorriso ferino. «So che le docce erano fuori uso» mormorò. «Meglio così. Mi piacciono gli odori veri: ascelle, piedi, figa calda. Dimmi… là sotto ti tieni liscia o coi riccioli?»
Lei abbassò lo sguardo, stringendo le cosce.
Arrivarono al suo appartamento: pochi mobili, un letto sfatto, una lampada accesa. Lui la spogliò febbrilmente. Le ascelle umide di sudore, i riccioli scuri sopra la fessura lucida, il seno piccolo ma sodo. «Perfetta» ringhiò. Poi le affondò il volto tra le gambe, aspirando l’odore. «Puzzi di femmina calda. Sei il mio pasto.»
La girò, la piegò sul letto. Affondò nella sua figa umida. Un pensiero molesto si formò nella mente di lei, nonostante l’emozione stesse per travolgerla
«Non posso… ho dimenticato…di prendere la pillola, questo mese, tu non indossi preservativi.» «Nessun problema, si cambia programma ed è anche meglio.
Le mani dure le serrarono i fianchi. Con un colpo secco la piegò sul materasso, il culo in alto, i glutei divaricati. Le legò le braccia dietro la schiena, Sapeva com’è comportarsi con un culetto così stretto: leccò lo sfintere, lo allargò con le dita, lo lubrificò col gel. La cappella calda e lucida si posò contro il suo ano serrato.
«No, ti prego… non lì…» gemette.
Ma lui spinse. Il buco si spalancò a fatica, lacerato. «Ahi!» gridò lei, mordendo il lenzuolo.
«Zitta. Stringi bene e ingoia il mio cazzo nel tuo culo. Sei il mio pasto fresco. Amo nutrirmi di carne giovane. Il tuo culo è il mio banchetto.» La carne le si apriva intorno al suo sesso che entrava, lento ma implacabile. Sentiva ogni millimetro forzarla, allargarla. Lacrime le colavano, ma insieme un calore bruciante le colava dalla figa, bagnandole le cosce.
« Diavolo, sei stretta…» ansimava Bianchi, affondando sempre più. «Un ano vergine… prelibato.»
Ogni spinta era un colpo che le scuoteva la pancia, le viscere. Il dolore si mescolava a una corrente oscura che le faceva vibrare i capezzoli duri, la figa che colava copiosa.
«Ti piace, Alice, sentirti riempita dietro?» ringhiava. «Guarda come sgoccioli davanti, mentre ti scopo il culo.»
Lei singhiozzava, scossa, ma venne. Un orgasmo torbido, cattivo, le esplose dentro, proprio mentre lui la penetrava più a fondo, battendole le natiche col bacino. Non c’era dolcezza in Bianchi, ma solo desiderio di nutrirsi di quella carne giovane.
Ogni spinta le incendiava la spina dorsale, ma era piacere nero, rovente. I capezzoli le si indurivano, il ventre pulsava. Venne senza accorgersene, urlando nel materasso. La ragazza sentì lo sperma riversarsi nelle sue viscere, colare lento quando lui si ritrasse, lasciandola aperta, segnata.
Il dottore si accese una sigaretta, guardandola dall’alto, sfinita, la faccia ancora schiacciata sul letto.
«Ora fatti pure una doccia calda, te la sei meritata. Poi vattene», disse glaciale. «Ma ricordati: la prossima volta, vieni da me sporca. È un piacere in più.»
Alice sotto i getti caldi si riprese. Uscì nella pioggia, umiliata, il buco del culo pulsante… eppure con il cuore in fiamme, intrappolata in quel gorgo oscuro che l’aveva conquistata..
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