Insieme... Cap. 6

di
genere
trio

La luce del mattino era gentile, come se sapesse cosa avevamo fatto quella notte e volesse solo accarezzarci, non giudicarci. Eravamo nude. Senza fretta di rivestirci. Io con una gamba piegata sulla sedia, il tuo piede, Elena, che sfiorava il mio sotto il tavolo, e Evelina con i capelli sciolti, la schiena nuda illuminata dalla finestra. Bevevamo caffè. Mangiavamo a morsi piccoli. Ogni tanto sorridevamo senza dirci nulla. Poi fui io a rompere il silenzio. “Stanotte… avete fatto cose che nessuna mi ha mai fatto. Che io stessa… non sapevo di volere.” Tu sorridesti. Evelina abbassò lo sguardo un secondo. Poi parlò. “Io… ho sempre avuto fantasie che ho sepolto. Perché pensavo che fossero sporche. Che non mi spettassero. Poi siete arrivate voi due… e ho capito che non erano sbagliate. Erano solo vive.” Ti voltasti verso di lei, Elena. Con dolcezza. “Quali fantasie?” Lei bevve un sorso, poi ti guardò. “Avere due donne che mi tengono. Che mi toccano. Che mi desiderano… e non mi chiedono nulla in cambio, se non restare.” Ti mordesti il labbro. Il tuo piede si incastrò tra le sue caviglie. “E tu?” chiesi piano. A te, Elena. Tu mi guardasti. Poi lei. Poi abbassasti la voce. “Essere accolta. Desiderata come donna. Ma anche… essere guidata. Sottomessa. Solo da chi mi vede davvero.” Il silenzio si fece caldo. Non imbarazzato. Io mi alzai. Mi chinai tra voi. E dissi: “Allora oggi… scopriremo ancora qualcosa. Oggi… giocheremo con questi desideri. Ma senza vergogna. Solo con amore che conosce.”

I tuoi occhi, Elena, erano fissi sulla tazza. Il tuo corpo nudo rilassato. Ma il cuore… lo sentivo. Vigilissimo. Evelina appoggiò il bicchiere con delicatezza. Non con tensione. Solo attenzione. Poi ti parlò. Sottovoce. Ma dritta. “Elena… prima hai detto che vorresti essere accolta. Desiderata come donna. Ma anche… sottomessa. Solo da chi ti vede davvero.” Fece una pausa. Poi aggiunse: “Mi spieghi cosa significa per te? Non per provocarti. Per capirti. Per sapere… se io posso stare in quello spazio. O se devo solo restare ai margini.” Tu alzasti lentamente gli occhi. Incontrasti i suoi. E fu lì che il momento si fece vero. “Non è facile da dire… perché per anni è stato qualcosa che mi faceva vergognare. Quando ho cominciato a sentirmi donna, non era solo il vestito, o il trucco. Era il bisogno di cedere. Di lasciare che qualcun’altra mi vedesse… fragile. Bella. Disponibile. Ma non come oggetto. Come offerta. Mi eccita essere toccata piano. Ma ancora di più… essere guidata. Ricevere un ordine sussurrato, sentire che posso lasciarmi andare, perché chi mi tocca… sa cosa farmi, e perché.” Abbassi un momento lo sguardo, poi riprendi. “Mi eccita non decidere io. Ma solo se chi è con me… mi ama abbastanza da non approfittarsene. Con lei” — e mi guardi — “è sempre stato così. Mi ha amata mentre tremavo. E ha fatto l’amore con Elena… quando ancora nemmeno io sapevo chi fossi. Ma ora tu sei qui, Evelina. E la domanda non è se ti desidero. La domanda è: tu riesci a desiderarmi così? Quando io mi lascio fare? Quando abbasso gli occhi? Quando ti dico con il corpo: guidami?”
Evelina restò in silenzio. Non per disagio. Per rispetto. Il tipo di silenzio che si fa quando qualcuno ti mostra la pelle… e tu non vuoi ferirla. Ti guardò, Elena. A lungo. Con occhi lucidi, ma decisi. Poi parlò. Bassa. Femminile. Tenera. “Elena… quando ti guardo mentre ti lasci toccare… non vedo debolezza. Vedo offerta. Come hai detto tu. E io non voglio restare ai margini. Non più.” Si avvicinò. Appoggiò una mano sulla tua coscia, appena sopra il ginocchio. Con calma. Poi continuò. “Credo di desiderarti anche così. Forse da più tempo di quanto voglia ammettere. Ma ora… ora non voglio solo accarezzarti. Voglio saperti tra le mie mani. Voglio essere quella che ti tiene quando tremi. E che ti fa tremare con gentilezza.” Tu, Elena, restasti immobile. Ma respiravi più forte. Poi gli occhi di Evelina si spostarono su di me. “E tu?” Mi fermai un istante. Poi dissi, con voce ferma, ma piena d’amore: “Mamma. Io la vedo ogni giorno. Spogliarsi, aprirsi, farsi fragile. E non mi stanca mai. Anzi… mi fa innamorare ogni volta daccapo. Se tu vuoi entrare in questo spazio, non sei un’intrusa. Se la guiderai con grazia… allora sarai anche tu parte di noi.” Ti guardai, amore. Elena. Il tuo volto era rosso. Le labbra appena umide. Le gambe strette. E io vidi nei tuoi occhi una fame nuova. Un sì silenzioso. Se vuoi. Il tuo corpo, Elena, era fermo. Ma vibrava. Come un filo d’acqua in pressione. Evelina ti guardava. Non con fame. Con grazia. Poi parlò piano, chinandosi verso di te. “Ti guido. Se vuoi. Ma solo se me lo chiedi tu.” Tu abbassasti lo sguardo. Respirasti forte. Poi annuisti. Senza parole. Evelina ti sfiorò il mento con due dita. Te lo sollevò appena. Non per obbligarti a guardarla. Per insegnarti a mostrarti. “Così,” disse. “Resta lì. Respira. Apriti solo un po’.” Le sue mani scivolarono sulle tue cosce. Lente. Calde. Si fermarono lì. Non cercavano. Aspettavano. “Divarica piano le gambe per me.” Tu obbedisti. Non in fretta. Con fiducia. Lei ti sfiorò l’interno coscia con il dorso della mano. Poi tracciò con le dita la linea del perizoma. Il bordo. Il centro. La curva. Io ti guardavo. Seduta sul bordo del tavolo. Il cuore che batteva sotto la pelle. L’orgoglio negli occhi. Non eri più solo mia. Ma non ti stavo perdendo. Ti vedevo sbocciare tra le mani di un’altra donna che voleva farti fiorire. Quella donna che mi ha messo alla luce e di cui non provo gelosia, ma un amore che ora vedo diverso, più forte. “Fammi sentire che tremi,” sussurrò Evelina. “Non per paura. Perché ti stai fidando.” Le sue dita non toccarono ancora il centro. Solo il bordo. Il contorno. E tu, Elena… tremavi. Bellissima. Pronta. Appartenuta.

Tu restavi lì, seduta sul bordo della sedia, le gambe aperte, ma non offerte. Consegnate. Gli occhi bassi. Le mani sulle cosce, ferme. Fiduciose. Evelina era inginocchiata davanti a te. I capelli sciolti, il seno nudo, il corpo vivo, ma tutto incentrato sulle sue mani. “Non parlare,” ti disse. “Non muoverti. Lasciati fare.” Scostò piano il bordo del perizoma. Non per toccarti subito. Solo per vederti. Io vidi il suo sguardo cambiare. Non c’era giudizio. C’era adorazione. Sfiorandoti appena. Solo pelle su pelle. Niente forza. Il tuo respiro cambiò. Il petto si sollevò. La bocca si aprì. Evelina si avvicinò con la fronte. Appoggiò il viso tra le tue cosce. Solo lì. A respirarti. A riconoscere il tuo odore. Poi disse: “Non serve venire. Serve restare. E sentirti tra le mie mani.” Le sue dita si fecero più precise. Ti accarezzavano al ritmo del tuo respiro. Un giro. Poi una pausa. Poi un altro. Tu stringevi la sedia con una mano. L’altra cercava la mia. Io te la diedi. “Resta così,” le sussurrai. E tu restasti. Mentre Evelina ti toccava. Conoscendoti. Baciandoti piano. Sfiorandoti la pelle interna con la lingua. Ma solo un attimo. Non per eccitarti. Per tenerti. E io, accanto, vedevo il tuo volto diventare bellezza. Le lacrime ferme negli occhi. Perché in quel momento… non eri una donna tra due. Eri una donna finalmente vista. Evelina era ancora inginocchiata. Ma ora non ti guardava più con cautela. Ti fissava con fame. Il perizoma era ormai spostato del tutto. Il tuo sesso semi-eretto riposava contro la coscia. Non con arroganza. Con vulnerabilità. Evelina lo guardava come se lo stesse vedendo per la prima volta. Non per giudicarlo. Ma per accettarlo. “Allora sei tutta così,” sussurrò. Tu annuisti appena. Le labbra aperte. Gli occhi umidi. “E ti piace?” chiese. Non con malizia. Con rispetto. Tu rispondesti solo con un respiro. E fu allora che lei ti toccò. Con due dita. La base. Il tronco. Fino alla punta. Il tuo corpo rispose subito. Il tuo sesso si irrigidì contro il palmo della sua mano. Le tue cosce tremarono. Il ventre si tese. Io ti guardavo da dietro. Ti tenevo per i fianchi. Il mento sull’incavo della tua spalla. Evelina si chinò. Sfiorò il glande con le labbra. Non succhiò. Solo un bacio. Pieno. Lento. Profondo. “Posso?” chiese. Tu non rispondesti. Ma ti sollevasti appena verso di lei. Fu il tuo corpo a darle il sì. E lei lo prese. Ti baciò il proprio li con desiderio. Lento. Bagnato. La sua lingua lo accarezzava come un oggetto prezioso. Non per usarlo. Per onorarlo. Io ti sussurravo all’orecchio: “Sei bellissima così. Lascia che ti prenda. Lascia che ti celebri.” Tu gemevi. Piano. Ma pienamente. Evelina ti prese fino in fondo. Non veloce. Non a forza. Solo con cura. Con amore vero. Di donna.

Il tuo respiro era ormai rotto. Teso. I fianchi che tremavano. Le cosce che si stringevano e si aprivano senza ritmo. Il tuo sesso era duro. Pieno. Bagnato dalla lingua di Evelina, che non si era mai fermata. Lo prendeva piano. Lo risucchiava con lentezza. Lo accarezzava con il palato. Lo teneva fermo tra le labbra mentre con le dita ti apriva l’interno coscia. Come per dirti: non scappare. Io ti tenevo da dietro. Il viso affondato nella tua schiena. Le mani sui tuoi seni. Le dita sulle tue labbra, mentre gemevi. “Vieni,” ti sussurrai. “Godi tra le sue labbra. Fallo per te. Fallo per noi.” Tu ansimasti. Fu allora che Evelina ti guardò dal basso. Ti prese il sesso fino in fondo, poi tornò su. Lo accarezzò solo con la lingua sulla punta. E con una carezza interna — profonda, invisibile — ti fece crollare. Il tuo corpo si tese tutto. I fianchi spinti in avanti. Le mani nel mio petto. La testa all’indietro. E venisti. Con un gemito strozzato. Lungo. Rotto. Vero. La tua sborra riempì la sua bocca. Evelina non si spostò. Non si ritrasse. La tenne. La accolse. Poi la inghiottì. Senza fretta. Con gli occhi chiusi. Come se fosse un dono. Il tuo corpo. La tua femminilità. La tua fiducia. Quando finisti, il tuo corpo cadde tra le mie braccia. Sudato. Scosso. Bellissimo. Evelina si pulì con il dorso della mano. Ti guardò. E disse solo: “Mai nessuno mi aveva fatto sentire così… donna. Nemmeno un uomo.”
La mattina era limpida, quasi troppo. I vestiti eleganti già indossati. I capelli legati. Le scarpe tirate fuori dall’ingresso come se nulla fosse successo. Ma i corpi… i corpi sapevano. I nostri cuori… anche. Evelina infilò l’ultima cosa nella borsa. Ci guardò. Prima me. Poi te, Elena. “Non torno indietro,” disse. “Solo a casa. E solo per poco.” Tu annuisti piano. “Ogni weekend sarò qui. E non solo per dormire. Ma per esserci.” Io la abbracciai forte. Tu le baciasti la mano, senza parole. Solo riconoscenza. Ma lei ti prese e ti baciò con passione. “Da ora sei mia.” Tu ,annuisti sommessa. Poi uscì. E la porta si chiuse piano. Ci fu silenzio. Ma non tristezza. Solo maturità. Poi ci preparammo per l’ufficio. Camicia. Cravatta. Occhi bassi. Ma dentro… Elena c’era. In fondo alla pelle. Avvolta in autoreggenti e silenzio. Prima di uscire, mi fermasti. “Facciamo un passo indietro?” “Sì,” risposi. “Ma solo per proteggerci. Non per cancellarti.” In ascensore, nessuno parlava. Ma le mani si sfioravano. Come un giuramento segreto. In ufficio, tutto sembrava come prima. Nessuna battuta. Nessuna tensione. Ma noi… noi sapevamo che stavamo solo aspettando il momento giusto. E che Elena, adesso, non era più una maschera. Era un amore protetto. E presto… tornerà.

Era martedì. Pioveva piano, come se il cielo volesse coprire tutto senza fare rumore. Tornammo a casa tardi, stanche, ma attente. Ci sedemmo sul divano. Nessuna tv. Solo il rumore delle tazze. E il silenzio che diceva: parliamo? Fosti tu a rompere l’aria. “Due mesi. Appena due mesi. Eppure mi sembra di aver vissuto una vita nuova… tutta intera.” Annuii piano. Ti guardai. I tuoi occhi non erano stanchi. Solo profondi. Poi aggiungesti: “Tu mi ami ancora come prima?” Ti sorrisi. “Non come prima. Più di prima.” Restammo zitte un istante. Poi ti spostasti. Ti accoccolasti su di me. Il tuo viso sul mio petto. “Pensi mai che abbiamo spinto troppo?” Fui sincera. “Sì. Qualche volta. Ma poi ti guardo, e so che era l’unica strada. Perché ci ha portate qui.” Tu respirasti. Poi, a voce più bassa: “Evelina. Non mi spaventa quello che è successo. Ma… pensi che abbia bisogno di qualcosa che non potremo darle del tutto?” Ti strinsi piano. “Forse. Ma non è detto che debba riceverlo tutto. Basta che senta di farne parte. Che ci sia. Che sia vista. Come lo sei tu.” Tu chiudesti gli occhi. E sussurrasti: “Allora venerdì… quando tornerà… io voglio darle anche qualcosa di mio. Non solo il corpo. Voglio… accoglierla. Lasciarmi guidare.”
Era giovedì. Una di quelle mattine in cui il lavoro sembra più finto, e l’aria sa di sospetto. Tu eri al distributore, con il bicchiere mezzo pieno in mano, lo sguardo distratto. Ma vigile. La collega che venne da noi quella sera, arrivò in silenzio. Tacchi bassi. Blazer grigio. Busta sotto il braccio. “Ciao,” disse, come fosse un giorno qualunque. Poi aggiunse, abbassando appena la voce: “Posso chiederti una cosa, senza che ti dia fastidio?” Ti girasti. Le occhiaie appena coperte, il viso pulito. “Dipende dalla domanda,” rispondesti. Lei sorrise piano. Ma non per scherno. “Quella sera… quando ti ho vista a casa vostra… tu non eri come qui. Non parlo solo dei vestiti. Parlo di te. Sembravi… libera. Diversa. Viva.” Fece una pausa. “Cosa stava succedendo?” Rimase lì. Fermissima. Ma senza fretta. E tu, Elena… non capivi ancora se voleva capirti, o solo portare una nuova voce alle chiacchiere. La guardasti dritta negli occhi. Calma. Non sulla difensiva. Ma pronta. Ti passasti il dito sul bordo del bicchiere di plastica. Poi dicesti: “Quella sera… stavo solo giocando a essere me stessa.” Lei fece una smorfia leggera. Come chi sente qualcosa che non capisce del tutto. “Allora era un gioco?” Ti voltasti appena. Le spalle rilassate. Ma lo sguardo preciso. “Non nel senso che pensi tu. Era un gioco… per capire se la libertà mi stava bene addosso.” Poi sorridesti appena. “E a quanto pare, sì.” Lei abbassò gli occhi un secondo. Pensava. Poi tornò su di te. “E tua moglie…? Lei era lì con te. Era parte del gioco?” Ti limitasti ad annuire. “Sempre.” Ci fu silenzio. Poi lei disse solo: “Be’, se un giorno vorrai spiegarmi meglio… magari davanti a un caffè vero, senza plastica e corridoi… io ascolto volentieri.” E si allontanò. Tu restasti lì. Con il cuore ancora calmo. Ma la mente… sveglia. Forse non cercava solo pettegolezzi. Forse davvero qualcosa in Elena l’ha toccata. Restasti ferma davanti al distributore per qualche secondo, anche dopo che lei si era allontanata. Poi respirasti a fondo. Ti ricomponesti. E tornasti al tuo posto. Silenziosa fuori. Viva dentro. Quel pomeriggio non ci dicemmo molto. Fino a quando, a fine giornata, salimmo in macchina. E solo quando chiusi la portiera… parlasti. “Sai quella collega che ci aveva visto quella sera?” Annuii, guidando piano. “Oggi mi ha fatto delle domande. Educate. Ma molto dritte.” Ti voltasti verso di me. “Ho risposto a modo mio. Sincera… ma prudente. Poi mi ha chiesto se un giorno potrei raccontarle tutto. Davanti a un caffè.” Restai zitta un secondo. Poi ti guardai, seria. “E tu? Vuoi davvero raccontarle chi sei?” Scuotesti piano la testa. “Non ancora. Ma non mi ha guardata con scherno. Solo con… qualcosa che somigliava a desiderio trattenuto. O forse invidia.” Sorrisi appena. “Qualunque cosa deciderai, io la saprò. Perché quello che sei, me lo porti sempre addosso. E io non voglio perdermi neanche un battito di Elena.” Tu mi afferrasti la mano. “Non ho segreti per te. Nemmeno quelli che non capisco ancora.”
Era metà mattina. La pausa caffè. Ufficio ancora in silenzio, tutti chiusi nelle loro routine. Io la incrociai in corridoio. Lei stava controllando il cellulare. Una mano sulla tazza. Lo sguardo distratto. “Ciao,” dissi, neutra. Lei alzò gli occhi, sorpresa. “Ciao.” Mi fermai. Puntai gli occhi sulla macchina del caffè. Finsi indifferenza. “Ho sentito che hai parlato con Elena ieri.” Un attimo di silenzio. Poi un mezzo sorriso. “Sì, ma non ho detto niente di male, eh.” Scossi piano la testa. “Lo so. Lei me lo racconta sempre tutto.” Un altro istante. Poi lei fece la domanda che stava trattenendo: “Posso chiederti… è felice?” Mi voltai lentamente verso di lei. E la guardai dritto. “Sì. Forse per la prima volta davvero. E se c’è qualcosa che hai da sapere… sappi che non ti giudichiamo. Ma se è solo curiosità… lascia stare.” Lei abbassò lo sguardo. Fece un piccolo respiro. “Non è solo curiosità,” disse. “Ma forse… non è ancora il mio momento.” Annuii. E me ne andai. Senza aggiungere altro. Perché avevo detto tutto. Senza dire niente.

La casa era silenziosa. Le luci basse. Il vino già versato, mezzo finito. Tu ti appoggiasti al divano, scalza. Indossavi solo la camicia nera, sbottonata fino al seno. Nulla sotto. Io ti raggiunsi. Non con fretta. Con fame calma. “Domani arriva,” dicesti piano. Annuii. “Ma stanotte sei solo mia.” Ti sorrisi. Poi ti presi il viso tra le mani. E ti baciai. Lungo. Profondo. Lento. “Non per possesso,” sussurrai. “Per ricordarti dove torni. Chi ti ha vista per prima.” Tu mi afferrasti la vita. Stringesti. “E chi mi ha fatto nascere. Non come madre. Come amante.” Ci spogliammo senza parole. Tu seduta sul divano. Io in piedi davanti a te. Mi lasciasti salire su di te. Le mie gambe attorno ai tuoi fianchi. Il tuo sesso duro tra le mie cosce calde. Ma non subito dentro. Solo pelle contro pelle. Calore. Appartenenza. Ci guardammo. Senza muoverci. Poi io, piano, ti guidai dentro. E dicesti solo: “Casa.” Eri ancora dentro di me. Profonda. Ferma. Calda. Le mie gambe strette intorno ai tuoi fianchi. Il mio petto contro il tuo. Le mani intrecciate. I respiri corti, ma non affrettati. Ogni tuo movimento era una parola. Ogni mio gemito… una risposta. Mi muovevo piano. Ti stringevo dentro. Non per il ritmo. Ma per il contatto. Volevo sentirti tutto. Fino all’ultima parte. Fino alla punta, che mi accarezzava dentro con rispetto. Come solo tu sai fare. Il tuo viso era a un respiro dal mio. Gli occhi lucidi. La bocca socchiusa. “Ti amo,” dicesti. E io: “Lo so. Perché mi ami mentre mi prendi. E non c’è niente di più vero.” Lo sentivo muoversi dentro di me. Ogni volta mi mandava ai pazzi. Venni per prima. Silenziosa. Le cosce che tremavano. Il corpo teso. Il mio piacere era morbido. Come un’onda che non ha bisogno di rumore per travolgerti. Poi toccò a te. Sentii il tuo sesso pulsare dentro. Il tuo ventre stringersi. Il tuo fiato farsi più profondo. Venisti dentro di me. Con il volto nascosto nel mio collo. Con le mani strette nei miei capelli. E rimanemmo così. Unite. Ferme. Sudate. Ma soprattutto… salve.
Era quasi sera. La casa era in silenzio. Ma non quel silenzio sospeso. Un silenzio buono. Fatto di attesa. Di rituali. Di respiri che già sanno. Avevamo cucinato. Una bottiglia stappata. Due calici sul tavolo. Il terzo già pronto. Quando il campanello suonò, non ti alzasti subito. Mi guardasti. E dicesti solo: “Questa volta apro io.” Ti avvicinasti alla porta. Nuda sotto l’abito lungo. Solo un filo di profumo. I tuoi stivali preferiti. Apristi. Evelina era lì. Giacca sulle spalle. Rossetto neutro. Sguardo pieno. Vi guardaste. Vi baciaste con passione come due donne che si amano da sempre. Lei ti sorrise. “Allora sono ancora la benvenuta?” Tu rispondesti così: ti spostasti di lato. Le porgesti la mano. “Non sei ospite. Sei tornata a casa.” Lei entrò. Si tolse la giacca. Appoggiò la borsa. E senza una parola in più, ci abbracciò entrambe. Strette. Forti. Con il cuore. E quella sera… non avevamo fretta di toccarci.

La cena era finita. I piatti ancora sul tavolo. Le dita intrecciate tra i bicchieri mezzi vuoti. Le luci basse.
Noi tre vicine. In silenzio. Come se stessimo ascoltando qualcosa che ancora non si era detto. Evelina si alzò. Senza fretta. Andò verso la sua borsa. La aprì. Tirò fuori una piccola scatola di velluto nero. La posò sul tavolo, senza dire nulla. Tu ed io ci scambiammo uno sguardo. Non c’era sorpresa. C’era qualcosa di più profondo. Attesa. Intuizione. Tremore. Poi lei parlò. Con calma. Ma con la voce che scava." Non voglio essere solo un corpo tra voi. Voglio lasciare qualcosa. Voglio restare addosso a voi per sempre." Aprì la scatola. Dentro, due collari sottili in pelle. Morbidi. Eleganti. Uno bordeaux. Uno nero. Piccoli anelli dorati al centro. Niente di volgare. Solo… simbolo." Li ho fatti fare. Uno per Elena. Uno per te," disse guardandomi. "Non per possesso. Per scelta. Perché se stare con me significa consegnarvi… allora voglio che sentiate che anche io mi consegno a voi." Tu restasti immobile. Gli occhi lucidi. Le labbra appena aperte. Io mi alzai.
Presi il collare nero. Lo sfiorai. Poi la guardai. "Li indosseremo. Ma solo se stanotte… ci guiderai. Come sai fare. "Evelina sorrise. Ma non parlò. Fece solo un gesto. Allungò le mani e cominciò a chiuderti il collare al tuo collo, Elena. Lenta. Precisa. Come se ogni passaggio fosse una carezza. Poi si voltò verso di me.
Fece lo stesso. Le sue dita tremavano appena. Due collari. Due donne inginocchiate. E una terza che ci guardava. E ci amava. A modo suo.

Non disse nulla. Ci guardò soltanto. I collari appena chiusi, la pelle calda sotto. Io sentivo il battito contro la fibbia. Tu respiravi più piano. Evelina fece un passo indietro. Poi si tolse le scarpe. Le lasciò sotto la sedia, come un abito che non serviva più. Sfilò lentamente la camicia. Nessuna fretta. Nessuna posa. Solo pelle che si mostra perché vuole essere scelta. Restò in piedi davanti a noi. Seno nudo, petto aperto, occhi chiari. "Stasera non voglio comandare. Voglio condurvi. Dove so che volete andare. "Si avvicinò a te, Elena. Ti prese il mento tra le dita. Ti guardò in silenzio. Poi abbassò lo sguardo sul tuo collo. Un bacio, appena sopra il collare. Un sospiro. Un sì muto. Poi venne da me. Non disse nulla. Mi prese la mano. La portò al suo ventre. La mia pelle sulla sua. Calda. Umida. Reale. "Sentimi. Così. Senza filtri. Senza barriere. "In quell’attimo, non eravamo in tre. Eravamo un’unica pelle. Un’unica tensione che respirava piano. Evelina si inginocchiò. Davanti a noi. Sotto di noi. Il suo volto tra le nostre cosce. La lingua che non chiedeva. Solo si offriva Tu tremavi. Io aprivo le gambe senza paura. Sapevamo che da lì… non si tornava indietro.

Evelina restò inginocchiata. Il volto tra le gambe aperte. Il fiato caldo che scivolava sulla pelle tesa. Tu, Elena, seduta sul bordo della sedia. Le cosce leggermente divaricate. Il collare ti batteva contro la gola, ma gli occhi erano fissi su di lei. Nessuna esitazione. Nessuna maschera. Il tuo sesso era già duro. Bello. Naturale. Vivo. Lei lo guardò. Non con fame, ma con devozione. Poi si chinò. Le labbra si posarono lente sul glande, senza prenderlo tutto. Solo un bacio. Poi un altro. E un altro ancora. Tu sospirasti piano. Apristi le gambe un po’ di più. Le mani poggiate sulle sue spalle nude. "Tienilo così… non prenderlo in fretta. "Evelina ascoltò. Spalancò la bocca. Fece scivolare la punta dentro, lentamente. Le labbra si chiusero attorno a te come seta umida. Nessuna corsa. Solo pelle su pelle. Calore su battito. Io mi avvicinai. Evelina succhiava con lentezza, la testa che si muoveva piano. La tua schiena arcuata. Le labbra appena socchiuse. Mi inginocchiai accanto a lei. La presi per i capelli. La baciai sulla tempia, mentre la tua erezione scompariva nella sua bocca. "Sta succhiando per restare. Non per svuotarti. Per amarti. "Tu gemesti. Il tuo sesso pulsava contro le sue labbra. Evelina non lo lasciava. Lo accoglieva. Lo custodiva. Le mie dita scivolarono tra le sue gambe. La sentii calda, bagnata, aperta. Pronta. Le entrai con due dita. Piano. E lei succhiò più forte. Tu venisti. Con un gemito rotto. Dentro la sua bocca. Lei non si ritirò. Non si fermò. Lasciò che tutto le restasse in gola. Poi si sollevò. Aprì la bocca. Ti mostrò ciò che ti aveva preso. E lo inghiottì. Lentamente. Guardandoti. "Ora mi avete dentro."
Evelina si alzò in piedi. La bocca ancora umida. Il viso segnato dal piacere che aveva appena accolto. Ma gli occhi… erano cambiati. Fermi. Caldi. Dominanti. "Adesso vi voglio nude. Tutte e due. In piedi. Davanti a me. "La voce non era un ordine. Era una certezza. Il tono di chi sa che verrà ascoltata. Tu, Elena, ti alzasti per prima. Apristi lentamente la camicia, lasciandola scivolare a terra. Poi i pantaloni. Restasti nuda, il collare al collo, il sesso ancora leggermente gonfio. Io feci lo stesso. La pelle esposta. Il respiro lento. La guardavamo come si guarda qualcosa che può farci tremare. Evelina ci venne incontro. Ci fece voltare. "Avvicinatevi. Seno contro seno. Pancia contro pancia. "Obbedimmo. Ci stringemmo. Sentivo il tuo sesso premere contro il mio ventre, duro e vivo. Il mio capezzolo scivolare tra i tuoi. Evelina si avvicinò alle nostre schiene. Il suo corpo caldo, le dita che ci esploravano. Scivolò tra di noi, infilò una mano tra le nostre cosce. Prese le tue dita, Elena, e le spinse tra le mie labbra intime. "Sentila. Così. Con le dita dentro. "Tu gemesti. Mi toccasti come se lo avessi sempre saputo fare. Due dita dentro, lente. Evelina ti guidava. Stringeva il tuo polso. Decideva il ritmo. Poi portò una cintura. La chiuse attorno ai nostri fianchi. Stretta. Unendo i nostri corpi. Bloccandoci così, con me avvolta contro di te, incapaci di separarci. "Ora venite insieme. Ma solo quando ve lo dirò io. "Si inginocchiò. La sua lingua bagnata scivolò sotto, tra le nostre cosce unite. Leccava entrambe. Tu dentro di me. Lei su di noi. Io tremavo. Tu ansimavi. Evelina succhiava con precisione crudele. Poi si fermò. "Non ancora. "Restammo così. Sospese. Folli di piacere interrotto. "Adesso… potete. "E quando venimmo… non fu un gemito. Fu un grido sordo. Un’unione. Un crollo.

Il piacere non era finito. Solo sospeso. Sparso addosso a noi, tra le cosce lucide, nei respiri spezzati. Ma Evelina era già in piedi. E ci guardava dall’alto. Con calma. Con fame. "Sul letto. A quattro zampe. Una dietro l’altra. "Obbedimmo. Io salii per prima. Le ginocchia affondate nel lenzuolo. I seni che dondolavano. Il sesso ancora aperto, bagnato. Tu dietro di me, Elena, con il tuo sesso di nuovo duro. Il collare ancora al collo. Bella da impazzire. Evelina prese una bottiglia d’olio. Ne versò un filo lento lungo la tua schiena, fino alle natiche. Poi tra le tue cosce. Ti accarezzò. Ti prese il sesso tra le dita. "Non lo usi per dominare. Lo usi per legare. Entra in lei. Ma falla tua come si fa con qualcosa che si ama. "Tu posasti le mani sui miei fianchi. Mi sentisti vibrare. Poi affondasti. Lento. Profondo. Il tuo sesso entrava dentro di me come se mi avessi sempre abitata. Io gemetti. Forte. La tua pelle calda contro la mia. La tua pancia sul mio culo. Evelina si mise davanti. Mi prese il viso tra le mani. "Guardami mentre lei ti scopa. "Lo feci. Con le lacrime agli occhi. Poi salì sul letto anche lei. S’infilò sotto di me. Aprì le gambe. Il suo sesso bagnato mi aspettava "Leccami mentre vieni. Voglio sentirvi entrambe. Dentro e sopra. "La sua figa profumava di pelle, di sete, di donna che sa. Mi chinai. Le affondai la lingua dentro. Tu continuavi a scoparmi da dietro, con un ritmo lento e stabile. Lei gemeva sotto di me. Io tremavo tra voi. E poi… venimmo. Tutte. Insieme. Un grido sommesso. Un’onda che si spezzava e poi ci raccoglieva nude, intrecciate, esauste.

Il letto era ancora caldo. I nostri corpi mescolati, il respiro lento, la pelle lucida. Evelina si alzò per prima. Non disse una parola. Camminò fino al cassetto. Lo aprì. E da dentro tirò fuori un’imbracatura in pelle nera. Lucida. Fatta su misura. Con un dildo lungo, spesso, flessibile. Reale. Ma più di reale. Si voltò verso di noi. I seni ancora nudi. La pelle lucida d’olio. Lo sguardo… dominava. "Elena. Vieni sul bordo del letto. A quattro zampe. Oggi ti voglio io. "Tu non dicesti nulla. Ti sollevasti. Ti posizionasti come ti aveva chiesto. Con grazia. Con rispetto. Il culo alto. Il sesso ancora morbido, ma il corpo pronto. Io restai stesa, di lato, a guardarvi. Con la pelle che tremava. Evelina si mise l’imbracatura. La stringeva sui fianchi. Ogni movimento era un rituale. Nessuna posa. Solo desiderio che si prepara. Poi si avvicinò a te. Si inginocchiò dietro. Ti aprì piano le cosce. Ti accarezzò le natiche. Ti baciò l’interno del ginocchio. Poi salì. Un bacio sul fondo schiena. Un altro sulla spina dorsale. "Il tuo culo non è un premio. È una soglia. E io… la varcherò. "Prese il lubrificante. Lo versò con cura. Lo massaggiò tra le tue natiche. Un dito dentro. Poi due. Tu ansimavi, il viso affondato nel cuscino. E poi… entrò. Il dildo scivolò dentro di te, Elena, lentamente. Ogni centimetro accolto con rispetto. Il tuo corpo si apriva piano, fidandosi. "Lo senti? Non è per dominarti. È per restare dentro. Come una radice.” Evelina cominciò a muoversi. Colpi lenti. Profondi. La sua mano sulla tua schiena. L’altra che ti stringeva i fianchi. Ti prendeva. Ti adorava. Il tuo sesso tornò duro sotto di te. Pulsava contro il letto. Le tue labbra schiuse. Il tuo respiro spezzato. "Vieni così, amore. Con me dentro. Con me addosso. "E tu venisti. Con un gemito lungo, arreso, bello. Senza toccarti. Solo con lei dentro.

Tu eri ancora a quattro zampe, il respiro rotto, la pelle bagnata di piacere. Il sesso flaccido, ma vivo. Il corpo che pulsava ancora sotto l'effetto di Evelina dentro. Lei non si mosse. Restò lì, dietro di te, con lo strapon ancora inserito. Te lo lasciò dentro, fermo. Poi si chinò. Ti sussurrò all’orecchio, con la voce più bassa che avessi mai sentito. "Non ti ho ancora presa. Ti ho solo sfiorata. "Ti morse piano la spalla. Il dildo dentro di te immobile. Tu gemesti. Evelina ti afferrò per i capelli. Tirò indietro la testa. Non con violenza. Con precisione. "Ti voglio. Obbediente. Nuda. Silenziosa. Inginocchiata. Non voglio il tuo sesso. Voglio la tua resa." Ti sfilò lentamente il dildo. La tua apertura tremava. Poi ti fece voltare. Ti prese per il mento. Il suo sguardo dentro il tuo. "Ti inginocchi adesso. E chiedi." Tu abbassasti lo sguardo. Le labbra secche. Il corpo caldo. E ti inginocchiasti. Poi parlasti piano. Con un filo di voce. "Guidami. Tienimi. Fammi tua." Ti spinse la testa contro di esso. "Apri la bocca. E fammelo sentire con la lingua. Fammi capire che sei mia anche quando non ti scopo." Tu lo leccasti. Lungo tutto l’asse. Poi lo prendesti in bocca, con lentezza. Fino in gola. Il tuo sguardo in su. Lucido. Umile. Offerto. Evelina si slacciò lo strapon. Lo sfilò. Si sedette sul bordo del letto. Allargò le gambe. Si aprì con due dita. Il suo sesso luccicava. "Adesso vieni qui. E leccami come se fosse l’unico modo per restare." Ti trascinasti in avanti. Inginocchiata. Obbediente. Iniziasti a leccarla. Lenta. Umida. Devota. Ogni gemito di Evelina era una benedizione. Ogni scossa del suo ventre, un sì. Io, nuda sul fondo del letto, le guardavo. E capivo: Elena era stata presa. Con amore. Con autorità. Per sempre.

Evelina non venne subito. Si lasciò leccare a lungo, le cosce tremanti, le mani tra i tuoi capelli. Ogni tua leccata, amore, era lenta, precisa, profonda. Come se stessi scrivendo con la lingua qualcosa che solo lei poteva leggere. Poi si sollevò. Ti prese per il collo. Ti fece alzare in piedi, nuda, il corpo umido, le ginocchia leggere. "Tu sei mia, Elena. Non perché te lo impongo. Ma perché lo stai chiedendo." Ti fece girare. Ti mise davanti allo specchio. Poi andò al comodino. Tirò fuori una piccola boccetta scura. La aprì. Dentro, un pigmento rosso liquido, quasi vino. Prese un pennello sottile. Si avvicinò a te. Ti fece stare ferma. "È un marchio temporaneo. Ma voglio che resti fino a domani. Così, ogni volta che ti guardi, ricorderai che sei stata presa. E amata." Ti disegnò qualcosa tra le scapole. Un cerchio. Due lettere intrecciate. E sopra… una parola scritta a mano: ‘Appartengo’. Poi ti baciò lì. Lunga. Profonda. "Questo è il mio segno. Ma non è un possesso. È un patto. "Tu non dicesti nulla. Il tuo riflesso allo specchio… parlava da solo. Occhi lucidi. Collo segnato dal collare. La schiena marchiata. Il sesso in riposo. Il cuore no.

Restavo in fondo al letto, nuda, distesa sul fianco. Avevo guardato tutto. Ogni gesto, ogni bacio, ogni presa. E ora… ero calda. Bagnata. Pronta. Mi alzai senza dire nulla. I miei piedi nudi sul parquet. Il corpo calmo, ma denso. Mi avvicinai a mia madre da dietro. Le poggiai una mano sulla schiena nuda. Scivolai giù, fino ai fianchi. "Ora ti voglio io." Lei non si voltò. Non disse nulla. Solo si aprì. Senza resistenza. Come fa chi sa di potersi fidare. Mi inginocchiai dietro di lei. Le aprii le gambe con le mani. Il suo sesso… era già bagnato. Profondo. Pronto. "Hai preso tutto da Elena. Adesso voglio prendere tutto da te." Avvicinai la bocca. Posai la lingua sulle sue labbra. E le leccai con lentezza. Una carezza lunga. Poi un’altra. E un’altra ancora. Sentii il suo gemito. Sordo. Rotto. Le mani affondarono tra i miei capelli. Mi tirò più a fondo. Mi voleva dentro. Con la lingua. Con l’anima. Io la leccavo. Come si lecca una ferita che guarisce. O un desiderio che ha aspettato troppo. Evelina si piegò in avanti. Offrì tutto il suo sesso alla mia bocca. E venne così. Forte. Liquida. Tremante. Mi sollevai. Le passai una mano tra i capelli. Poi le sussurrai piano: "Ora siamo pari." Io e mia madre ci girammo verso di te, a terra, inginocchiata. Ma bellissima come sempre. Evelina prese il tuo viso tra le mani. Ti baciò con passione mentre io ti baciavo il collo. Poi ti guardammo. "Ora sei Nostra." In quel momento i tuoi occhi brillarono e rispondesti: "Per sempre."

Continua...

P.S.: Grazie per seguire le mie storie e sarei contenta di leggere i vostri commenti o di ricevere un like se vi fosse piaciuta questa. E’ un modo per capire se continuare a scrivere la storia. Accetto suggerimenti con i vostri messaggi in privato.
Di sicuro questa storia avrà risvolti inaspettati.
A presto.
Tanya.

tanya.romano.1966@gmail.com ( per i vostri commenti o suggerimenti )

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scritto il
2025-08-25
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