Nelle grinfie dell'organizzazione parte 1
di
Sir Lucifer
genere
dominazione
Vi propongo un racconto in due parti. Vi lascio i miei contatti alla fine del racconto se volete scrivermi per salutarmi, chiacchierare o provare ad eccitarmi.
Il 10 maggio, durante l'ora di ricevimento del Prof. Rubino, Virginia apprese la notizia che le avrebbe cambiato per sempre la vita. Ancora non lo sapeva, non poteva saperlo. Quel giorno ad accoglierla, seduto dietro la scrivania, non c'era nemmeno Rubino bensì il giovane stempiato assistente. "Abbiamo considerato -le aveva detto in tono maligno- che l'ultimo capitolo della tesi manca ancora di un solido rigore scientifico. Dovremmo posticipare di un semestre la laurea". Virginia, brillante studentessa di Fisica all'Università Normale Superiore di Pisa, sarebbe dovuta andare fuoricorso sebbene di un semestre solo; eppure, non avrebbe protestato per non inimicarsi nessuno e mettere a rischio le sue ambizioni accademiche. Avrebbe dato un piccolo ma tollerabile dispiacere ai genitori, da sempre orgogliosissimi di lei e ansiosi di leggerla al più presto sulle più autorevoli riviste del settore scientifico; ciò che era di gran lunga più increscioso era il fatto che avrebbe dovuto pagare nuove tasse e i genitori non potevano farsi carico di ulteriori spese, avrebbe dovuto quindi cercarsi un lavoro per la stagione estiva.
Subito la ragazza pensò allo zio che era allora proprietario di una modesta ditta la quale riforniva per conto terzi alcuni alberghi del Centro-Nord. Purtroppo, in quel periodo la ditta aveva già soddisfatto il fabbisogno di fattorini; lo zio le suggerì invece di inviare il curriculum all'indirizzo e-mail di un prestigioso hotel che gli era capitato di rifornire sulla riviera romagnola: l'hotel era alla costante ricerca di personale e a stagione non iniziata avrebbe riscosso di sicuro successo. Andò esattamente come aveva previsto lo zio, Virginia era attesa il prima possibile all'hotel "Sogno".
La ragazza non aveva mai visto un hotel tanto maestoso. Già dall’esterno imponeva un sentimento di ammirazione con i suoi 10 piani e un curatissimo giardino tutt'intorno; il "Sogno" sembrava poter poi soddisfare ogni capriccio con una palestra interna, 3 piscine, un centro massaggi, bar, un salone per le feste e 2 ristoranti interni. Virginia prese servizio come cameriera: la paga era dignitosa, garantiti vitto e alloggio. Capì presto la ragione dietro alla costante ricerca di personale: erano frequenti licenziamenti e abbondoni. Soprattutto fra le donne che si occupavano di tener pulite le stanze girava voce di molestie subite da parte di particolari clienti che di tanto in tanto frequentavano la struttura. Per fortuna la studentessa di Fisica non aveva mai avuto grossi problemi. Solo una volta un malandrino poco raccomandabile, un tipo con una cicatrice sulla guancia, si era fissato con lei: per tutta la settimana l'aveva riempita di complimenti e avance esplicite; "la bionda rapisce" aveva sussurrato all'orecchio con la sua voce rauca e ancora "ho sempre preferito le donne con le tette piccole, vuoi sapere perché?"; Virginia si era limitata ad arrossire mentre indietreggiava di pochi passi ed era finita lì. Il malandrino non aveva però rinunciato alla sua preda: durante una cena, con la scusa di voler ordinare delle cotolette di pollo si era piantato proprio davanti alla porta che dava verso la cucina e le aveva messo una mano sul culo; non aveva avuto il tempo di combinare altro perché era intervenuto quello che doveva essere il suo capo.
Così erano trascorsi più o meno tranquillamente i mesi di giugno e luglio. Il lavoro in sala non era troppo pesante, a sera dopo l'una si dava appuntamento con alcune colleghe in una stanza: lì si raccontavano episodi divertenti accaduti durante la giornata all'una o all'altra; una volta per esempio Emily, una coetanea che si occupava di tener pulite le camere dal quinto al decimo piano, aveva confidato di aver dovuto cambiare delle lenzuola completamente inzuppate di sperma; la circostanza inusuale stava nel fatto che si sarebbe trattato di sperma fresco e dalla stanza era appena uscita una sola persona. Erano scoppiate tutte a ridere, Virginia inclusa. Come poteva una persona produrre quantità sufficienti di sperma da inzuppare in una volta sola un intero lenzuolo? Non era umanamente possibile. Allora Virginia lo credeva ma si avvicinava il giorno in cui avrebbe visto con i suoi occhi altre cose “umanamente impossibili”.
Quel giorno arrivò esattamente il 15 agosto. Da una settimana i pezzi grossi dell'amministrazione e della direzione erano in fibrillazione. A Virginia e agli altri dipendenti stagionali non era dato sapere cosa ci fosse in ballo. Solo i receptionist, origliando qualche conversazione, avevano concluso che avrebbe avuto luogo un evento riservatissimo nell'ala est del primo piano; là, si trovava il salone delle feste, Qualunque domanda cercasse di sbirciare un po' oltre quella verità veniva accolta in malo modo; ogni curiosità intorno al misterioso evento venne scoraggiata, eccetto la curiosità di Virginia. Accanto al vocabolo "curiosità" sul dizionario ci sarebbe dovuto essere il suo faccino: un faccino pulito da ragazza responsabile con un tenero nasino a patata e una boccuccia con labbra a cuoricino; un faccino che poche cose al mondo potevano accendere, una di queste era la curiosità (più tardi si sarebbe acceso per altro). Perché tanta riservatezza? I proprietari dell’albergo erano per caso cultisti satanici e si preparavano a celebrare una messa nera? In ballo c’era un giro di prostituzione? Avrebbe dato una risposta a questi interrogativi.
Nei ristoranti del “Sogno” si poteva pranzare fino alle 3. Dopo le 4, ultimate le pulizie di sala, al personale venivano date 2 ore di pausa prima di tornare ad allestire per la cena. Virginia decise che avrebbe usato quel tempo a sua disposizione per dare un’occhiata a ciò che stava avvenendo nel salone delle feste. Il cuore già aveva preso a bussare più forte, l’adrenalina era andata in circolo. Sgattaiolò per i corridoi del primo piano ben attenta a non essere vista. Non si stupì affatto di non incrociare anima viva. I partecipanti al riservatissimo evento dovevano essere già tutti dentro e per gli altri l’ala est era proibita. “Nessuno si dovrà avvicinare per alcuna ragione” aveva tuonato la direttrice; ora, era proprio la voce della direttrice quella che udiva oltre la porta dell’ampio salone; la voce aveva però perso l’inflessione severa e il tono impostato, era squillante.
“Ogni tavolo sta per ricevere –spiegava la direttrice agli ospiti della serata- dieci carte. Altre dieci verranno messe all’asta. Cinque sono però le carte vincenti. A fine gioco verranno svelate. I proprietari delle carte vincenti potranno, come al solito, disporne a piacimento fino al mattino”.
La direttrice stava spiegando le regole di Mercante in Fiera. Era tutto qui? L’esclusivo evento era una partita a Mercante in Fiera? Improvvisamente una sensazione di calore si diffuse tra le cosce di Virginia, sentì le mutandine bagnarsi. Il cuore prese a bussare contro il petto al doppio della forza. La ragazza aveva sbirciato dal vetro che decorava la porta. Là dentro stavano davvero giocando a Mercante in Fiera ma ad ogni carta corrispondeva un uomo o una donna in costume: gli uomini e le donne in costume erano allineati alcuni a sinistra della direttrice e altri a destra. Si trovavano in piedi su un palchetto di fronte a una ventina di tavoli di cui solo 2 erano vuoti. Seduta ai tavoli per lo più gente losca che aveva l’aria di essere pericolosa, Virginia riconobbe anche il malandrino con la cicatrice sulla guancia: era seduto al tavolo di un uomo brizzolato. Quei loschi individui si sarebbero contesi con un’asta gli uomini e le donne a cui continuavano a rivolgersi semplicemente con il termine di “carte”? Un brivido percorse la schiena di Virginia, altra vampata di calore in mezzo alle cosce. Ci aveva visto giusto sul giro di prostituzione. Eppure, qui, una complessa organizzazione aveva messo in piedi qualcosa di più.
La direttrice diede inizio all’asta chiedendo chi volesse offrire per la “mamma”. La “mamma” era una donna dal caschetto biondo cenere, gli occhi verdi e il fine naso a punta. Non ci pensò due volte la direttrice a cacciarle fuori dal vestito verde due grosse mammelle fuori misura dall’ampia aureola rosa, dopo pochi instanti per godersi gli scroscianti applausi prese a strizzarle un capezzolo e schizzarono abbondanti fiotti di latte. Ecco spiegato il nome della carta. Questa volta la vampata di calore si trasmise troppo rapidamente dalla fica alla testa di Virginia, a malapena resistette alla tentazione di toccarsi lei stessa un capezzolo, Nonostante i piccoli seni aveva dei bei capezzoli di cui era sempre andata segretamente orgogliosa.
La direttrice si divertì per alcuni minuti a far ballare quelle grosse tette e tirarle fuori altri schizzi di latte; la “mamma” sembrava sollevata come se ogni schizzo di latte strappatole le levasse un peso. La carta venne venduta a un grassoccio ometto dai tratti orientali per 2.000 euro. Toccava all’uomo-cavallo: si fece avanti un ragazzo dal fisico asciutto e le spalle strette, portava una maschera da cavallo. La maschera non era però la ragione dietro il nome della carta. Virginia strabuzzò gli occhi quando notò il cazzo che le mutande di quel ragazzo non riuscivano a contenere; la sorpresa fu maggiore quando la direttrice gli abbassò i boxer: il pene era floscio e raggiungeva i 20 centimetri. La maialona della direttrice non attese neanche gli inviti a farlo del pubblico, prese a segarlo: sotto la sua mano il cazzo acquistava consistenza e grosse vene decorarono l’asta.
Virginia si ricordò dell’unico mese in cui aveva preso lezioni di equitazione. A fine lezione la curiosità era sempre troppa e provava ogni volta a misurare con lo sguardo il membro equino. “Peccato -disse fra sé e sé - aver rinunciato all’equitazione”. Comunque, non c’era molta differenza tra il membro equino del suo ricordo e il lungo cazzo che la maialona doveva segare ora a due mani. “Per dimostrare cosa, poi? Ingorda”. Virginia non ce la faceva più: troppo caldo, la mente annebbiata, la fica che sbavava. “Non mi vedrà nessuno, non mi può vedere nessuno”. Si portò una mano sul seno sgusciando sotto il sottile tessuto della camicetta bianca già sbottonata, l’altra mano seguitò a sbottonare rapidamente il pantalone nero; attratto dalla gravità il pantalone si afflosciò intorno alle caviglie, finalmente la destra poteva facilmente eludere la sorveglianza troppo blanda delle mutandine e raggiungere l’agognato clitoride.
L’uomo-cavallo fu venduto per 1.200 euro. Prese posto al tavolo di un’elegante signora ingioiellata. L’asta sarebbe proseguita con la “baccante”. La direttrice la presentò mentre con un tovagliolo imbevuto si puliva la sborra dalle mani. La “baccante” era una donna dai capelli castani, i lineamenti del viso dolci e le curve generose; un vestito semi-trasparente le lasciava intravedere senza problemi. Evidentemente nemmeno quella donna era nuova al Mercante in Fiera: non servì l’invito della direttrice, la baccante era inginocchiata a pecora e tirandosi una chiappa verso l’esterno mostrava oscenamente i due orifizi.
“Qualche tavolo deve stappare una bottiglia?” chiese entusiasta la direttrice. Non uno ma diversi tavoli si proposero, quasi tutti avevano conservato una bottiglia di spumante per lo spettacolo. La direttrice afferrò la prima bottiglia che raggiunse il palco e la puntò dritta verso la vagina della “baccante”. Aveva intenzione di fare sul serio? Strappò alla mora un mugugno quando compì un primo goffo tentativo di penetrarla. Era troppo, se ne accorse immediatamente. Le mucose dovevano avere il tempo di adattarsi e gli umori dovevano secernere. Al terzo tentativo la fica cedette e la bottiglia fu dentro fino a metà collo. Ora la “baccante” gemeva con la lingua di fuori come una cagna. Possedeva una fica incredibilmente elastica e larga. Sembrava umanamente impossibile. Aveva il tatuaggio di una mucca sulla chiappa sinistra, sembrava appropriato. Un silenzio di trepidazione e attesa si diffuse per la sala quando la direttrice prese a muovere la bottiglia dentro la fica sfondata; applausi e risate quando la estrasse senza tappo. Un omaccione biondo, probabilmente il bodyguard di un capo mafia, si alzò dalla sedia rivolgendosi alla baccante: “Ben fatto, Paola. Quando fai visita alla tua famiglia dovresti mostrare questa abilità. Il tuo babbo sarà fiero di te”. Risate. Certo, quella donna aveva un nome proprio, una vita privata oltre l’hotel e parenti.
La studentessa non poté fare a meno di immedesimarsi in Paola e la cosa le piacque; i pensieri e le fantasie correvano veloci e conferivano maggior vigore alla mano con cui si sgrillettava. Magari la troia rotta aveva lavorato in passato come cameriera, magari era stata anche lei a un passo dalla laurea prima di ricevere una proposta che non aveva potuto o voluto rifiutare. A Virginia sarebbe piaciuta diventare un sextoy nelle grinfie di un’organizzazione criminale? Assolutamente sì.
Virginia crollò sul pavimento. Seduta a gambe divaricate mentre continuava a sgrillettarsi, aveva raggiunto un orgasmo e subito ne cercava un altro. Si era definitivamente arresa alla libido. Tagliata ormai fuori dalla visuale di ciò che accadeva all’interno della sala non poteva vedere che due uomini si dirigevano verso la porta; due sgherri erano stati allertati dal tonfo. Fu troppo tardi quando la ragazza se li vide addosso; a nulla servirono i tentativi di gattonare via; si sentì sollevata in aria presa in braccio e avvertì una punturina al polpaccio. Le avevano iniettato qualcosa...Si addormentò. Aveva desiderato il destino di Paola, da qualche parte una perversa fatina turchese doveva aver ascoltato la sua supplica.
Contatti
E-mail: sirluciferbully@gmail.com Kik: bully_lucifer
Il 10 maggio, durante l'ora di ricevimento del Prof. Rubino, Virginia apprese la notizia che le avrebbe cambiato per sempre la vita. Ancora non lo sapeva, non poteva saperlo. Quel giorno ad accoglierla, seduto dietro la scrivania, non c'era nemmeno Rubino bensì il giovane stempiato assistente. "Abbiamo considerato -le aveva detto in tono maligno- che l'ultimo capitolo della tesi manca ancora di un solido rigore scientifico. Dovremmo posticipare di un semestre la laurea". Virginia, brillante studentessa di Fisica all'Università Normale Superiore di Pisa, sarebbe dovuta andare fuoricorso sebbene di un semestre solo; eppure, non avrebbe protestato per non inimicarsi nessuno e mettere a rischio le sue ambizioni accademiche. Avrebbe dato un piccolo ma tollerabile dispiacere ai genitori, da sempre orgogliosissimi di lei e ansiosi di leggerla al più presto sulle più autorevoli riviste del settore scientifico; ciò che era di gran lunga più increscioso era il fatto che avrebbe dovuto pagare nuove tasse e i genitori non potevano farsi carico di ulteriori spese, avrebbe dovuto quindi cercarsi un lavoro per la stagione estiva.
Subito la ragazza pensò allo zio che era allora proprietario di una modesta ditta la quale riforniva per conto terzi alcuni alberghi del Centro-Nord. Purtroppo, in quel periodo la ditta aveva già soddisfatto il fabbisogno di fattorini; lo zio le suggerì invece di inviare il curriculum all'indirizzo e-mail di un prestigioso hotel che gli era capitato di rifornire sulla riviera romagnola: l'hotel era alla costante ricerca di personale e a stagione non iniziata avrebbe riscosso di sicuro successo. Andò esattamente come aveva previsto lo zio, Virginia era attesa il prima possibile all'hotel "Sogno".
La ragazza non aveva mai visto un hotel tanto maestoso. Già dall’esterno imponeva un sentimento di ammirazione con i suoi 10 piani e un curatissimo giardino tutt'intorno; il "Sogno" sembrava poter poi soddisfare ogni capriccio con una palestra interna, 3 piscine, un centro massaggi, bar, un salone per le feste e 2 ristoranti interni. Virginia prese servizio come cameriera: la paga era dignitosa, garantiti vitto e alloggio. Capì presto la ragione dietro alla costante ricerca di personale: erano frequenti licenziamenti e abbondoni. Soprattutto fra le donne che si occupavano di tener pulite le stanze girava voce di molestie subite da parte di particolari clienti che di tanto in tanto frequentavano la struttura. Per fortuna la studentessa di Fisica non aveva mai avuto grossi problemi. Solo una volta un malandrino poco raccomandabile, un tipo con una cicatrice sulla guancia, si era fissato con lei: per tutta la settimana l'aveva riempita di complimenti e avance esplicite; "la bionda rapisce" aveva sussurrato all'orecchio con la sua voce rauca e ancora "ho sempre preferito le donne con le tette piccole, vuoi sapere perché?"; Virginia si era limitata ad arrossire mentre indietreggiava di pochi passi ed era finita lì. Il malandrino non aveva però rinunciato alla sua preda: durante una cena, con la scusa di voler ordinare delle cotolette di pollo si era piantato proprio davanti alla porta che dava verso la cucina e le aveva messo una mano sul culo; non aveva avuto il tempo di combinare altro perché era intervenuto quello che doveva essere il suo capo.
Così erano trascorsi più o meno tranquillamente i mesi di giugno e luglio. Il lavoro in sala non era troppo pesante, a sera dopo l'una si dava appuntamento con alcune colleghe in una stanza: lì si raccontavano episodi divertenti accaduti durante la giornata all'una o all'altra; una volta per esempio Emily, una coetanea che si occupava di tener pulite le camere dal quinto al decimo piano, aveva confidato di aver dovuto cambiare delle lenzuola completamente inzuppate di sperma; la circostanza inusuale stava nel fatto che si sarebbe trattato di sperma fresco e dalla stanza era appena uscita una sola persona. Erano scoppiate tutte a ridere, Virginia inclusa. Come poteva una persona produrre quantità sufficienti di sperma da inzuppare in una volta sola un intero lenzuolo? Non era umanamente possibile. Allora Virginia lo credeva ma si avvicinava il giorno in cui avrebbe visto con i suoi occhi altre cose “umanamente impossibili”.
Quel giorno arrivò esattamente il 15 agosto. Da una settimana i pezzi grossi dell'amministrazione e della direzione erano in fibrillazione. A Virginia e agli altri dipendenti stagionali non era dato sapere cosa ci fosse in ballo. Solo i receptionist, origliando qualche conversazione, avevano concluso che avrebbe avuto luogo un evento riservatissimo nell'ala est del primo piano; là, si trovava il salone delle feste, Qualunque domanda cercasse di sbirciare un po' oltre quella verità veniva accolta in malo modo; ogni curiosità intorno al misterioso evento venne scoraggiata, eccetto la curiosità di Virginia. Accanto al vocabolo "curiosità" sul dizionario ci sarebbe dovuto essere il suo faccino: un faccino pulito da ragazza responsabile con un tenero nasino a patata e una boccuccia con labbra a cuoricino; un faccino che poche cose al mondo potevano accendere, una di queste era la curiosità (più tardi si sarebbe acceso per altro). Perché tanta riservatezza? I proprietari dell’albergo erano per caso cultisti satanici e si preparavano a celebrare una messa nera? In ballo c’era un giro di prostituzione? Avrebbe dato una risposta a questi interrogativi.
Nei ristoranti del “Sogno” si poteva pranzare fino alle 3. Dopo le 4, ultimate le pulizie di sala, al personale venivano date 2 ore di pausa prima di tornare ad allestire per la cena. Virginia decise che avrebbe usato quel tempo a sua disposizione per dare un’occhiata a ciò che stava avvenendo nel salone delle feste. Il cuore già aveva preso a bussare più forte, l’adrenalina era andata in circolo. Sgattaiolò per i corridoi del primo piano ben attenta a non essere vista. Non si stupì affatto di non incrociare anima viva. I partecipanti al riservatissimo evento dovevano essere già tutti dentro e per gli altri l’ala est era proibita. “Nessuno si dovrà avvicinare per alcuna ragione” aveva tuonato la direttrice; ora, era proprio la voce della direttrice quella che udiva oltre la porta dell’ampio salone; la voce aveva però perso l’inflessione severa e il tono impostato, era squillante.
“Ogni tavolo sta per ricevere –spiegava la direttrice agli ospiti della serata- dieci carte. Altre dieci verranno messe all’asta. Cinque sono però le carte vincenti. A fine gioco verranno svelate. I proprietari delle carte vincenti potranno, come al solito, disporne a piacimento fino al mattino”.
La direttrice stava spiegando le regole di Mercante in Fiera. Era tutto qui? L’esclusivo evento era una partita a Mercante in Fiera? Improvvisamente una sensazione di calore si diffuse tra le cosce di Virginia, sentì le mutandine bagnarsi. Il cuore prese a bussare contro il petto al doppio della forza. La ragazza aveva sbirciato dal vetro che decorava la porta. Là dentro stavano davvero giocando a Mercante in Fiera ma ad ogni carta corrispondeva un uomo o una donna in costume: gli uomini e le donne in costume erano allineati alcuni a sinistra della direttrice e altri a destra. Si trovavano in piedi su un palchetto di fronte a una ventina di tavoli di cui solo 2 erano vuoti. Seduta ai tavoli per lo più gente losca che aveva l’aria di essere pericolosa, Virginia riconobbe anche il malandrino con la cicatrice sulla guancia: era seduto al tavolo di un uomo brizzolato. Quei loschi individui si sarebbero contesi con un’asta gli uomini e le donne a cui continuavano a rivolgersi semplicemente con il termine di “carte”? Un brivido percorse la schiena di Virginia, altra vampata di calore in mezzo alle cosce. Ci aveva visto giusto sul giro di prostituzione. Eppure, qui, una complessa organizzazione aveva messo in piedi qualcosa di più.
La direttrice diede inizio all’asta chiedendo chi volesse offrire per la “mamma”. La “mamma” era una donna dal caschetto biondo cenere, gli occhi verdi e il fine naso a punta. Non ci pensò due volte la direttrice a cacciarle fuori dal vestito verde due grosse mammelle fuori misura dall’ampia aureola rosa, dopo pochi instanti per godersi gli scroscianti applausi prese a strizzarle un capezzolo e schizzarono abbondanti fiotti di latte. Ecco spiegato il nome della carta. Questa volta la vampata di calore si trasmise troppo rapidamente dalla fica alla testa di Virginia, a malapena resistette alla tentazione di toccarsi lei stessa un capezzolo, Nonostante i piccoli seni aveva dei bei capezzoli di cui era sempre andata segretamente orgogliosa.
La direttrice si divertì per alcuni minuti a far ballare quelle grosse tette e tirarle fuori altri schizzi di latte; la “mamma” sembrava sollevata come se ogni schizzo di latte strappatole le levasse un peso. La carta venne venduta a un grassoccio ometto dai tratti orientali per 2.000 euro. Toccava all’uomo-cavallo: si fece avanti un ragazzo dal fisico asciutto e le spalle strette, portava una maschera da cavallo. La maschera non era però la ragione dietro il nome della carta. Virginia strabuzzò gli occhi quando notò il cazzo che le mutande di quel ragazzo non riuscivano a contenere; la sorpresa fu maggiore quando la direttrice gli abbassò i boxer: il pene era floscio e raggiungeva i 20 centimetri. La maialona della direttrice non attese neanche gli inviti a farlo del pubblico, prese a segarlo: sotto la sua mano il cazzo acquistava consistenza e grosse vene decorarono l’asta.
Virginia si ricordò dell’unico mese in cui aveva preso lezioni di equitazione. A fine lezione la curiosità era sempre troppa e provava ogni volta a misurare con lo sguardo il membro equino. “Peccato -disse fra sé e sé - aver rinunciato all’equitazione”. Comunque, non c’era molta differenza tra il membro equino del suo ricordo e il lungo cazzo che la maialona doveva segare ora a due mani. “Per dimostrare cosa, poi? Ingorda”. Virginia non ce la faceva più: troppo caldo, la mente annebbiata, la fica che sbavava. “Non mi vedrà nessuno, non mi può vedere nessuno”. Si portò una mano sul seno sgusciando sotto il sottile tessuto della camicetta bianca già sbottonata, l’altra mano seguitò a sbottonare rapidamente il pantalone nero; attratto dalla gravità il pantalone si afflosciò intorno alle caviglie, finalmente la destra poteva facilmente eludere la sorveglianza troppo blanda delle mutandine e raggiungere l’agognato clitoride.
L’uomo-cavallo fu venduto per 1.200 euro. Prese posto al tavolo di un’elegante signora ingioiellata. L’asta sarebbe proseguita con la “baccante”. La direttrice la presentò mentre con un tovagliolo imbevuto si puliva la sborra dalle mani. La “baccante” era una donna dai capelli castani, i lineamenti del viso dolci e le curve generose; un vestito semi-trasparente le lasciava intravedere senza problemi. Evidentemente nemmeno quella donna era nuova al Mercante in Fiera: non servì l’invito della direttrice, la baccante era inginocchiata a pecora e tirandosi una chiappa verso l’esterno mostrava oscenamente i due orifizi.
“Qualche tavolo deve stappare una bottiglia?” chiese entusiasta la direttrice. Non uno ma diversi tavoli si proposero, quasi tutti avevano conservato una bottiglia di spumante per lo spettacolo. La direttrice afferrò la prima bottiglia che raggiunse il palco e la puntò dritta verso la vagina della “baccante”. Aveva intenzione di fare sul serio? Strappò alla mora un mugugno quando compì un primo goffo tentativo di penetrarla. Era troppo, se ne accorse immediatamente. Le mucose dovevano avere il tempo di adattarsi e gli umori dovevano secernere. Al terzo tentativo la fica cedette e la bottiglia fu dentro fino a metà collo. Ora la “baccante” gemeva con la lingua di fuori come una cagna. Possedeva una fica incredibilmente elastica e larga. Sembrava umanamente impossibile. Aveva il tatuaggio di una mucca sulla chiappa sinistra, sembrava appropriato. Un silenzio di trepidazione e attesa si diffuse per la sala quando la direttrice prese a muovere la bottiglia dentro la fica sfondata; applausi e risate quando la estrasse senza tappo. Un omaccione biondo, probabilmente il bodyguard di un capo mafia, si alzò dalla sedia rivolgendosi alla baccante: “Ben fatto, Paola. Quando fai visita alla tua famiglia dovresti mostrare questa abilità. Il tuo babbo sarà fiero di te”. Risate. Certo, quella donna aveva un nome proprio, una vita privata oltre l’hotel e parenti.
La studentessa non poté fare a meno di immedesimarsi in Paola e la cosa le piacque; i pensieri e le fantasie correvano veloci e conferivano maggior vigore alla mano con cui si sgrillettava. Magari la troia rotta aveva lavorato in passato come cameriera, magari era stata anche lei a un passo dalla laurea prima di ricevere una proposta che non aveva potuto o voluto rifiutare. A Virginia sarebbe piaciuta diventare un sextoy nelle grinfie di un’organizzazione criminale? Assolutamente sì.
Virginia crollò sul pavimento. Seduta a gambe divaricate mentre continuava a sgrillettarsi, aveva raggiunto un orgasmo e subito ne cercava un altro. Si era definitivamente arresa alla libido. Tagliata ormai fuori dalla visuale di ciò che accadeva all’interno della sala non poteva vedere che due uomini si dirigevano verso la porta; due sgherri erano stati allertati dal tonfo. Fu troppo tardi quando la ragazza se li vide addosso; a nulla servirono i tentativi di gattonare via; si sentì sollevata in aria presa in braccio e avvertì una punturina al polpaccio. Le avevano iniettato qualcosa...Si addormentò. Aveva desiderato il destino di Paola, da qualche parte una perversa fatina turchese doveva aver ascoltato la sua supplica.
Contatti
E-mail: sirluciferbully@gmail.com Kik: bully_lucifer
1
voti
voti
valutazione
9
9
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Carlo caro, marito mio
Commenti dei lettori al racconto erotico