Colazione Da Padroni

di
genere
masturbazione

Si era appena svegliata, e i primi pensieri tornarono subito alla sera precedente. Non riusciva a dormire, la mente fissa a quell'incontro con il ragazzo. Quanto le mancava. Quanto desiderava averlo lì, accanto a sé. Invece, si ritrovava sola nel letto vuoto e in una casa silenziosa.

Prima di mettere fuori un piede dal letto, afferrò il telefono. Decise di mandargli un messaggio di buongiorno. Si tirò su, appoggiandosi con la schiena alla testata. Non era una persona sfrontata, né priva di pudore — cosa difficile da credere, visto il ricordo ancora vivido in mente — così optò per qualcosa di semplice: una foto. Sistemò la maglietta bianca a maniche corte, accese la luce fredda della lampadina e posizionò la telecamera interna del telefono all'altezza del seno. Sullo schermo dominava la sua terza, con i capezzoli tesi e scuri, ancora segnati dall'eccitazione di poco prima. Sapeva che gli sarebbe piaciuta. Scattò la foto con cura: la maglietta aveva un taglio a "V" modesto, che lasciava intravedere il seno in modo discreto, senza eccessi. I capezzoli risaltavano sotto il tessuto, creando un contrasto sensuale. Inviò l'immagine.

Poi decise di spingersi un po' oltre.
"Guarda che effetto che mi fai, non riesco a toglierti dalla testa. Soprattutto... anche dalla mano.", scrisse senza esitazione.

Lasciò il telefono sul comodino e si alzò per andare in bagno. Sentiva il calore tra le gambe, le mutande erano umide e impregnate di un odore pungente che la fece fremere. Tornò in camera, e il telefono squillò. Il nome del ragazzo illuminava lo schermo.

"Pronto?" disse con una voce più innocente di quanto sentisse. Dopo tutto, non aveva mandato nulla di così sconvolgente.

"Ti giuro, credimi, ho il cazzo in fiamme. Mi hai fatto impazzire." La voce dell'altro, mentre guidava per il piccolo paese, era tesa e affannata. Era quasi l'ora di lavoro, e lui era già frustrato. Al semaforo, vedendo la foto, non aveva esitato a chiamarla. Nemmeno per un secondo.

"Vorrei che tu fossi qui... sono bagnata.", confessò lei, consapevole dell'effetto che aveva su di lui.

"Chiudi quella bocca, ti prego.", rispose lui stringendo il volante con una mano mentre cambiava marcia con l'altra. Il suo respiro si fece più profondo, il pensiero di lei in quelle condizioni gli faceva scorrere tutto il sangue verso l'unica cosa che contava. Il rischio di perdere il controllo della guida aumentava ad ogni parola.

Restarono in silenzio per qualche secondo, poi lei riprese:

"Stanotte, per non pensare a te, ho ricordato quando mi hai scopata l'altra sera. Lo sai che fatica ho fatto? Adesso sono bagnata, e tu non ci sei. Non chiudo la bocca, anzi la apro, così senti come sono." sussurrò, sorpresa della sua stessa audacia. Non le era mai successo di essere così spudorata, ma il ragazzo dai capelli ricci aveva acceso qualcosa in lei da più di un mese.

Ecco la voglia che si fece sentire, strinse le gambe di scatto. Immaginò l'erezione che gli aveva provocato. Sognò ad occhi aperti quel cazzo tanto bramato che le penetrava le labbra. Non le importarono quali.

"Lo sai vero che ho il cazzo in tiro? Che mi preme contro la cerniera dei pantaloni? Lo riconosci che se perdo il controllo della guida, potrei morire? Solo perché mi stai facendo impazzire. Quindi chiudi la bocca, bimba, che poi te la sfondo io." disse infine, con un sorriso malizioso e timido. Era in macchina e agli occhi degli altri stava parlando da solo. Quanto gli sarebbe piaciuto che qualcuno fosse lì ad ascoltare la loro conversazione. Era certo che avrebbe fatto diventare duro anche il cazzo di un vecchio. Un giorno avrebbe potuto proporre la cosa. Lei, dall'altro lato, portò la mano tra le cosce, già bagnata e desiderosa, alimentata dalle sue parole. Decise di continuare: "Adesso sono costretta a menarmi la fica. E lo sai cosa vorrei? Vorrei che tu facessi colazione con me. Come l'ultima volta." Un sospiro attraversò l'orecchio di lui e decise di accostarsi con la macchina in una stradina dove passavano poche auto.

"Ho dieci, anzi sette minuti per farti venire," specificò lui mentre si tastava il cazzo da sopra i pantaloni. Lo sentiva duro, durissimo." Sono già a pancia in giù," emise un mugolio, poi aggiunse con voce maliziosa: "ho tolto le mutande. "Ho capito cosa vuoi. Ti racconto e ricordo la colazione da padroni." Si guardò intorno alla ricerca di occhi indiscreti. Di certo non voleva essere denunciato per atti osceni in pubblico. Con paura e tanta voglia si infilò la mano sinistra dentro i boxer, tastandosi al meglio. Doveva sbrigarsi.

"Quella mattina indossavi un leggings e una felpa. Eri uscita dalla doccia, fresca e profumata. Io ti aspettavo al tavolo, ti avevo preparato il caffè latte, il tuo preferito. Poi, quando ti sei seduta di fronte a me, con i gomiti e i seni appoggiati sul tavolo, ho capito che eri affamata." Si fermò un attimo, guardò l'orologio sul cruscotto: erano passati due minuti.

Dall'altro capo, lei chiuse gli occhi e allargò le gambe. Si piantò le dita della mano sinistra sotto il bacino per toccare la clitoride con più facilità. Si morse il labbro inferiore, certa di come avrebbe continuato.

"Io quella mattina non riuscivo a togliermi l'odore, il sapore della tua fica, bimba. Non riuscivo a toglierti dal naso, dalla bocca. Ero così arrapato che sarei potuto esplodere sul momento. Mi misi a carponi sotto il tavolo e andai lì, come un cane alla ricerca di un tartufo. Il naso a contatto con la stoffa del leggings che sapeva di lavanda. Ma io lo sapevo, riconoscevo il tuo odore di femmina," disse mentre si menava il cazzo duro e già scoperto. Sapere che la sua ragazza si stesse toccando lo fece arrivare al livello successivo. Passarono altri due minuti.

"Tu sei rimasta immobile quando mi hai sentito lì, sul tuo punto più sensibile. Mi hai lasciato fare. Volevo leccarti la fica e tu lo hai capito." Il ragazzo si sputò addosso, la saliva calda gli scorreva sul cazzo attorno alla mano. Il ritmo aumentò.

La ragazza, con la mano destra, si strinse il seno e chiuse gli occhi, ricordando la sensazione del suo fiato caldo sulla fica.

"Ti ho tirato giù con forza i leggings, afferrando anche le mutande. Te li ho portati alla caviglia e tu, da vera troia, hai allargato le gambe. Lo sai che ero lì al tuo servizio?" chiese il ragazzo, sicuro della risposta. Aveva le palle tirate, stava per esplodere.

Lei, invece, era bagnata fradicia. I polpastrelli delle dita si erano raggrinziti. Voleva mandargli una foto. Non perse tempo: prese di nuovo il cellulare e si scattò una foto. Si sentiva vulnerabile ma anche incredibilmente viva, come se quell'immagine potesse colmare un vuoto dentro di lei, un bisogno di vicinanza che la faceva tremare. Non era solo il desiderio fisico, era il desiderio di sentirsi voluta, desiderata, di sapere che qualcuno la stava pensando in quel momento.

Le sue dita esitavano un attimo prima di premere "invia", poi si convinse: doveva rischiare, doveva aprirsi, anche se un filo di paura le pizzicava il petto.

Nel momento in cui gli mandò l'immagine, rispose alla domanda.

"Sì, che sei al mio servizio." Tornò con la mano sulla fica.

Lui vide la foto e gli uscì una goccia di sborra. Sapeva che era vicino.

"Mi sono sentito un cane a leccarti la fica. Le tue labbra, il tuo buco, il tuo odore mi hanno fatto venire nei pantaloni. Ogni leccata che ti davo mi mandava in paradiso. Ogni umore che assaggiavo scendeva nella gola come acqua. Ogni movimento contro il mio naso mi riempiva il cervello. Ogni tuo gemito mi stordiva le orecchie. Sono rimasto inginocchiato sotto il tavolo, a succhiarti ogni centimetro di pelle.", stava per venire. Sentì che il cazzo gli stesse per esplodere. Mancava un minuto.

Le parole del ragazzo, così crude e dirette, la facevano arrossire, ma al tempo stesso le davano sicurezza. Si rese conto che dietro quella passione sfrenata c'era qualcosa di più grande: un legame che andava oltre il corpo, un'intimità che cresceva lentamente, fatta di sguardi, attese e segreti condivisi.

Si sentiva meno sola, anche se erano lontani, e quel pensiero le dava forza.

"Ti ho baciato ogni centimetro quando mi sei venuta in bocca, mi sono preso quello che mi appartiene e tu te ne sei rimasta lì tutta tremante, con la bocca aperta e la testa all'indietro. Non hai avuto ritegno, non ti sei vergognata. Mi hai tirato i capelli e mi hai fatto venire nelle mutante. Sei proprio una puttana", disse infine mentre si schizzava addosso come un ragazzino alle prime armi.

La ragazzi disse: "Sì, cazzo, sì. Vengo, dio, sì!", entrava e usciva dal buco con l'indice. Si masturbava che era una meraviglia. Immaginò che lui fosse lì, insieme a lei, a farla venire.

Quando la chiamata finì, Luna rimase qualche secondo immobile, lo sguardo nel vuoto e le dita ancora umide.

La stanza era silenziosa, ma dentro di lei rimbombava tutto: le sue parole, i suoi gemiti, il desiderio trattenuto.

Lui la chiamava "la mia ragazza", quasi ogni volta. Lo diceva con una sicurezza che sapeva di illusione, eppure ogni volta a lei arrivava come un colpo sordo, in petto.

Ma non era la sua ragazza. E nessuno dei due lo dimenticava, anche se facevano finta.

Si era lasciata andare, sì. Ma era tutto programmato.

Il messaggio, la foto, la voce roca a rispondere. Anche le parole, quelle sporche o quelle tenere, erano parte del patto.
Lui l'aveva pagata anche per quello.

Eppure, c'erano dei momenti — come quello — in cui Luna si sentiva veramente presente, viva, coinvolta. Come se ci fosse qualcosa di più.

Lui... e un altro.

C'era un altro cliente, tra i pochi, che riusciva a scardinarla così. Uno di quelli che, senza nemmeno toccarla, riusciva a farla sentire nuda davvero. Forse perché non cercava solo sesso. Cercava lei.

Quei due erano diversi.

Forse i suoi preferiti, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Con loro riusciva a dimenticare che si trattava di un lavoro. Con loro, per pochi istanti, non era Luna "la ragazza da pagare", ma una donna libera di desiderare.

Raccolse i soldi lasciati accanto al comodino, piegati in modo ordinato. C'era qualcosa di strano, quasi intimo, in quel gesto ripetuto.

Li aveva trovati nella busta che lui le aveva consegnato la sera prima, "per domani mattina", le aveva detto, con quel suo sorrisetto malizioso.

Allora non aveva capito esattamente a cosa si riferisse. Adesso sì.

Sorrise.

Non era amore. Ma era qualcosa.

E per ora, le bastava.

scritto il
2025-07-06
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