Io e la mia escort parte 2
di
Brad
genere
etero
Più lei rideva, più dentro di me montava la frustrazione. E non perché mi offendesse davvero, ma perché quel suo modo di sfottere faceva parte di un gioco che, quella sera, aveva deciso di stravolgere. Avevamo un copione, delle regole non dette. Ma lei lo aveva rotto, e io mi sentivo in diritto di fare lo stesso.
«Prof, mi dia un attimo… non sono una macchina a gettoni» le dissi con un sorriso incerto.
Lei si passò una mano tra i capelli biondi, fissandomi con quegli occhi spavaldi:
«Potrei darti tutta la sera, ma tanto non ti torna duro. Guarda che cazzo piccolo. Fai quasi tenerezza».
Il suo corpo era lì, disteso sul letto, nudo, pronto. I seni rifatti, tondi e sodi, sembravano aspettarmi. La sua lingua scivolava appena sulle labbra, come a sfiorare la cappella che ancora non le avevo dato. La figa era perfettamente liscia, gonfia, viva. Una donna che amava il sesso, e lo sapeva usare come un’arma.
Dentro di me cresceva un misto di desiderio e voglia di rivalsa. Non avrei più recitato la parte dello scolaro imbarazzato. Era tempo di ribaltare il copione.
Il momento decisivo fu quando si alzò, indossando lentamente la sua vestaglia nera di seta, come a dire “Il tuo tempo è scaduto”. Quel gesto mi fece scattare qualcosa dentro.
Le afferrai il braccio con decisione, guidandola di nuovo verso il letto. Lei mi guardò con un misto di sorpresa e eccitazione.
«Cosa fai?» sussurrò, provocante ma attenta.
Mi avvicinai al suo orecchio e dissi piano:
«È solo l’inizio».
Le mani sulle sue caviglie, la trascinai dolcemente fino al bordo del letto. Cercava di opporre una resistenza teatrale, ma sapevamo entrambi che era parte del nostro gioco. Un brivido le attraversò la schiena quando il mio corpo si fece più vicino. Le sussurrai all’orecchio:
«Ora vediamo se fai ancora la spiritosa».
Le sue mani cercavano di tenermi lontano, ma i suoi occhi raccontavano un’altra storia: stava godendo dell’adrenalina, dell’attesa, del potere che scivolava dalle sue mani alle mie. Ci eravamo accordati, tempo fa, che avremmo giocato anche con il limite — ma sempre con una parola di sicurezza pronta a fermare tutto, se necessario.
E quella parola non arrivò mai.
Quando le allargai i glutei, sentii il suo corpo rilassarsi, solo un attimo. Quanto bastava per far scivolare dentro di lei il mio cazzo, duro e bollente. Il suo respiro si fece più profondo, un gemito strozzato si confuse con un mezzo sorriso. Sapeva che non avrei superato il limite. Ma lo avrei spinto, eccome.
Le mie spinte erano lente, decise. Le sue unghie segnavano le lenzuola.
«Ancora sfigato?» le dissi, mordendole piano una spalla.
Lei sorrise, con un filo di voce: «Taci e scopami meglio».
Quando venni, le sue gambe mi avvolgevano ancora. Ma non era finita.
Mi sfilai, ancora pulsante, e la guidai delicatamente fino alla testiera del letto. Le presi il viso tra le mani e le dissi:
«Ora hai due scelte: la tua bocca o la tua figa. Ma decidi tu».
Lei, esausta e accaldata, si leccò le labbra e sorrise.
«In bocca. Ma solo se poi mi baci».
Lo feci. E fu più intenso di qualunque penetrazione
«Prof, mi dia un attimo… non sono una macchina a gettoni» le dissi con un sorriso incerto.
Lei si passò una mano tra i capelli biondi, fissandomi con quegli occhi spavaldi:
«Potrei darti tutta la sera, ma tanto non ti torna duro. Guarda che cazzo piccolo. Fai quasi tenerezza».
Il suo corpo era lì, disteso sul letto, nudo, pronto. I seni rifatti, tondi e sodi, sembravano aspettarmi. La sua lingua scivolava appena sulle labbra, come a sfiorare la cappella che ancora non le avevo dato. La figa era perfettamente liscia, gonfia, viva. Una donna che amava il sesso, e lo sapeva usare come un’arma.
Dentro di me cresceva un misto di desiderio e voglia di rivalsa. Non avrei più recitato la parte dello scolaro imbarazzato. Era tempo di ribaltare il copione.
Il momento decisivo fu quando si alzò, indossando lentamente la sua vestaglia nera di seta, come a dire “Il tuo tempo è scaduto”. Quel gesto mi fece scattare qualcosa dentro.
Le afferrai il braccio con decisione, guidandola di nuovo verso il letto. Lei mi guardò con un misto di sorpresa e eccitazione.
«Cosa fai?» sussurrò, provocante ma attenta.
Mi avvicinai al suo orecchio e dissi piano:
«È solo l’inizio».
Le mani sulle sue caviglie, la trascinai dolcemente fino al bordo del letto. Cercava di opporre una resistenza teatrale, ma sapevamo entrambi che era parte del nostro gioco. Un brivido le attraversò la schiena quando il mio corpo si fece più vicino. Le sussurrai all’orecchio:
«Ora vediamo se fai ancora la spiritosa».
Le sue mani cercavano di tenermi lontano, ma i suoi occhi raccontavano un’altra storia: stava godendo dell’adrenalina, dell’attesa, del potere che scivolava dalle sue mani alle mie. Ci eravamo accordati, tempo fa, che avremmo giocato anche con il limite — ma sempre con una parola di sicurezza pronta a fermare tutto, se necessario.
E quella parola non arrivò mai.
Quando le allargai i glutei, sentii il suo corpo rilassarsi, solo un attimo. Quanto bastava per far scivolare dentro di lei il mio cazzo, duro e bollente. Il suo respiro si fece più profondo, un gemito strozzato si confuse con un mezzo sorriso. Sapeva che non avrei superato il limite. Ma lo avrei spinto, eccome.
Le mie spinte erano lente, decise. Le sue unghie segnavano le lenzuola.
«Ancora sfigato?» le dissi, mordendole piano una spalla.
Lei sorrise, con un filo di voce: «Taci e scopami meglio».
Quando venni, le sue gambe mi avvolgevano ancora. Ma non era finita.
Mi sfilai, ancora pulsante, e la guidai delicatamente fino alla testiera del letto. Le presi il viso tra le mani e le dissi:
«Ora hai due scelte: la tua bocca o la tua figa. Ma decidi tu».
Lei, esausta e accaldata, si leccò le labbra e sorrise.
«In bocca. Ma solo se poi mi baci».
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