Il figlio del mio migliore amico - III Atto

di
genere
gay

L’autunno viene a portare un po’ di frescura almeno qui sull’appennino, mi alzo infreddolito e vado a chiudere la finestra. Dò uno sguardo assonnato al panorama che mi si estende davanti e mi rendo conto che ormai il giallo e il marrone hanno prevalso sugl’altri colori.
È domenica mattina e l’odore del caffè si espande in tutto l’appartamento. Raggiungo Paolo che è intento a prepararmi la colazione nel cucinotto, e lo abbraccio da dietro. Siamo entrambi nudi. La tavola è imbandita di yogurt, biscotti caserecci, marmellata e pane tostato.
È tutto così perfetto che mi viene voglio di piangere dalla felicità. Mi sembra di vivere un sogno, anche se sono consapevole che questa nostra felicità si regge sull’infelicità altrui e ciò mi fa stare male.
«Buongiorno» gli sussurro all’orecchio, dopo avergli baciato la nuca.
«Buongiorno» risponde lui con una voce limpida e serena mentre imburra una fetta di pane. «La notte leoni e la mattina coglioni» aggiunge, alludendo a quello che è successo ieri.
Quella che avrebbe dovuto essere una serata tranquilla si è trasformata in una notte ad alto tasso di sesso. Nonostante la stanchezza di una settimana impegnativa. A dimostrazione del fatto che l’età non conta quando c’è trasporto.

Sono arrivato nel pomeriggio di ieri qui su, intorno alle sette. È già buio. Paolo vive qui in pianta stabile ormai da un paio di settimane. L’ho trovato stanco, anche se mi dice che la quiete che c’è qua lo fa concentrare meglio e ne approfitta per portarsi avanti con il lavoro.
In pizzeria, ceniamo con due pizze fumanti davanti, e brindiamo con delle pinte di birra, mentre ci raccontiamo come è andata la settimana.
Torniamo sazi e soddisfatti in quello che abbiamo battezzato come il nostro nido d’amore.
«Ho male agli occhi, ti scoccia se li chiudo un po’» mi dice Paolo, e si stende sul divano appoggiando la testa sulla mia coscia.
«Tranquillo» gli dico. Io sono intenzionato a continuare a vedere una serie tv, che tanto mi appassiona. Di tanto in tanto mi chino su di lui e gli do un bacio tenero sulle sue labbra.
Quando vado per chinarmi per dargli un ulteriore bacio, lui mi blocca la testa con una mano, mettendo a dura prova la mia cervicale, e mi dà un bel bacio pretenzioso. Intanto un impulso che sale dalle gambe chiede udienza, e mi sollecita a mettere in pausa la serie tv.
Paolo si lascia scivolare sul tappeto davanti al divano e mi slaccia i pantaloni. Inumidisce le mie mutande leccandole, nutrendosi dell’odore che emanano.
Gli troneggio davanti a gambe divaricate, impaziente di liberare la mia erezione dagli indumenti. Quando glielo poggio sul naso, lui d’istinto lecca l’asta da sotto, fino al prepuzio.
Quando ormai ce l’ho duro, gli scopo la bocca a dovere. Lui spalanca gli occhi. Lo vedo in difficoltà quando glielo faccio arrivare fino in gola.
Ci distendiamo sul tappeto. Gli divarico le gambe e infilo la lingua nel suo anello anale. Lo sento vibrare ad ogni affondo. Lo lubrifico per bene e quando gli scivolo sopra e faccio una leggera pressione con la cappella, già gli sono dentro. Lui grugnisce, stringe i denti, i muscoli del collo si fanno tesi come corde di violino. Lo bacio in bocca e quando sento che si sta rilassando comincio a muovermi con lentezza dentro di lui, percependo le pareti del suo sfintere che mi resistono ancora per poco, cedendo man mano che mi addentro.
Respiriamo l’uno il fiato dell’altro, mentre lo scopo guardandoci negli occhi.
«Sto per venire, cazzo» gli annuncio digrignando i denti.
«Vienimi dentro, voglio sentire cosa si prova» mi chiede con un tono di voce biascicato.
«Sei sicuro?»
Quando lui annuisce, insisto con le spinte pelviche e, non appena il mio corpo inizia a sussultare e i muscoli dei polpacci si contraggono, mi svuoto dentro di lui. Mi accascio sul suo petto, sentendo il suo cuore che batte forte. Qualche istante dopo glielo prendo in bocca e lo succhio forte fino a farlo venire in bocca. Il sapore salato del suo seme delizia le mie papille gustative. Senza pensarci lo ingoio.
Striscio su di lui, trovo la sua bocca e torniamo a baciarci. E quando siamo di nuovo pronti, con i nostri tempi da cinquantenni, torniamo a rifarlo. Lui è ben lubrificato dal mio sperma e io mi eccito sentendo ancora il suo sapore in bocca.

Dopo aver fatto colazione e conversato del più e del meno, vado in camera a vestirmi.
«Dove vai?»
«Voglio andare a prendere un dolcetto.»
Imbocco a piedi la strada che mi porta in centro, ed entro nell’unico negozio di alimentari aperto di domenica. È colmo di cose buone.
Saluto qualche conoscente e faccio due chiacchiere con la proprietaria del negozio, che intanto mi serve.
Quando esco, spostando la tendina, osservo la piazza piena di gente anziana, che stanno ai tavoli dei bar a chiacchierare, mentre il fischio del treno annuncia il suo arrivo. Il mio sguardo va alle porte scorrevoli che aprendosi espellono dei viaggiatori della domenica e tra questi c’è anche Elia.
Ho un tonfo al cuore, quasi sto per svenire.
Inizio a correre ma lui è più lesto di me, fa in tempo ad arrivare, sale ed entra con le chiavi che gli ho dato io.
Quando entro, Elia ha già scoperto che suo padre è nella mia camera a letto, ed è sdraiato nel posto in cui dovrebbe stare lui.
Da vero codardo, mi nascondo nel cucinotto, con il sacchetto della spesa ancora in braccio.
«Cosa ci fai qui?» chiede Elia a suo padre.
«Sto qui adesso. A Bologna non mi trovo più a mio agio, come tu ben sai.»
«E tu cosa ci fai qui? Come mai hai le chiavi?» gli fa Paolo.
«Vittorio non ti ha detto niente?»
«No, non mi ha detto nulla. Cosa dovrebbe dirmi?»
«Non ti ha detto nulla di noi due?» insiste Elia, alzando la voce. È arrabbiato con il padre, ma questa non è una novità per me.
Cala il silenzio nella camera, interrotto dalla risata amara di Paolo. «Tu davvero pensavi che io potessi rinunciare così facilmente a Vittorio?»
«Non capisco» fa Elia. Neanch’io a dire il vero.
«No, non me l’ha detto Vittorio di voi due, me lo hai detto te» afferma Paolo.
«Cosa?!»
«Ho intuito che avevi un certo interesse per Vittorio, per come lo guardavi, già da quella volta che ti abbiamo portato a cena da loro. Mi è bastato impiantare un software fantasma nel tuo telefono…»
«Aspetta! Mi stai dicendo che mi hai spiato?» domanda Elia digrignando i denti. Io non posso credere alle mie orecchie.
«Non ho problemi ad ammetterlo. Sì l’ho fatto» dichiara Paolo. «Le chat. I vostri messaggi, gli itinerari. Tutte le informazioni che ci sono volute per confermare le mie ipotesi me le hai date te. È stato come leggere il tuo diario segreto. Me ne scuso ma la posta in gioco era alta.»
«Papà…» interviene Elia. Lo sento affranto.
Paolo continua. «Mi dispiace! Ho cercato di accettare la situazione, credimi, ma non ci sono riuscito, quando si è presentata l’occasione ho dichiarato il mio amore a Vittorio. Non potevo mentire né a lui né a me stesso. E non voglio mentire neanche a te.»
Vorrei intervenire ma la paura mi blocca.
Paolo sospira, fa fatica a parlare. «Per colpa di tuo nonno che si è messo in mezzo» prosegue. «Per più di trent’anni ho dovuto fingere, tollerare che Vittorio andasse con altri, la gelosia mi ha lacerato da dentro. Pensa a che punto sono matto. Nel mentre sono stato condannato a una vita piatta, fatta di litigi e tensioni e anche tanta ipocrisia. Ora potrai odiarmi o se vorrai potrai perdonarmi. So che non ho agito da padre, ma credo che con te ho sbagliato così tante volte che mi sono perso. Ci siamo persi e ora ci troviamo qui, uno davanti all’altro con il cuore in mano.»
«Tutto mi sarei aspettato tranne il fatto che tu fossi innamorato di Vittorio» dice Elia con una voce afona.
«Lo sono sempre stato, è che non riuscivo ad ammetterlo.»
«Ah, bene! Siamo entrambi innamorati dello stesso uomo» cambia tono Elia. «E adesso che facciamo?» Questo suo atteggiamento un po’ m’intimorisce.
«Non ne ho la minima idea» ribadisce Paolo, e avverto che la sua voce si sta incrinando. Sta per cedere alla commozione.
«Potremmo fare che tu lo tieni i giorni feriali e io nei weekend!» il tono della voce di Elia è sprezzante, avverto dell’astio. «Oppure al contrario. Che ne dici?!»
«Non voglio niente di tutto questo. Vittorio non è un oggetto» afferma Paolo. «E tu ti meriti un amore tutto tuo.»
«Ah, ok, allora lasciamo decidere a lui» Elia è sempre più sarcastico. «Potremmo suggerirgli di fare testa o croce. Tu sei testa o croce? Io testa.»
«Elia, ascoltami» lo frena Paolo. «Se sono qui è perché mi sono oramai reso conto degli errori che ho commesso in passato e cerco di rimediare. Sai benissimo che con tua madre è finita da tempo. E io non voglio più vivere una vita finta. Mi dispiace che le mie scelte possano ferirti, non avrei mai voluto tutto questo, ma il destino a volte è veramente crudele.»
Il silenzio piomba nell’appartamento. Io trattengo anche il respiro. Il tempo sembra essersi fermato e l’ansia mi sta divorando.
«Ah, bene eccoti qui» mi chiede Elia quando mi vede apparire nella camera da letto. La luce solare riempie la stanza tanto da rendere l’atmosfera irreale. Sono pronto a giocarmi il tutto per tutto.
«Hai sentito tutto?» mi domanda Paolo. Padre e figlio mi fissano con i volti deformati dalla fatica della loro conversazione. È come se mi stiano chiedendo aiuto, di tirarli fuori in qualche modo da queste sabbie mobili dove si sono infilati.
«Devo dire che questo appartamentino delle sorprese ne ha avute tante negli ultimi tempi» esordisco.
«Hai sentito anche che sapeva di noi e che ci spiava, con la sua App fantasma del cazzo» dice Elia. È adirato, e cerca la mia complicità.
«Ho sentito anche questo» replico. Fisso Paolo che sta ancora sdraiato sul letto come l’ho lasciato prima di uscire.
«Ecco, quindi ti ha anche mentito. Ti ha ingannato per averti» afferma Elia. Ha una voce raschiata, che esce dalle viscere. Gli occhi arrossati.
«Diciamo che a me piace essere ingannato, Elia» ribatto con un tono sarcastico. «Prima tu e dopo tuo padre avete usato degli stratagemmi per infilarvi nel mio letto.» Lo dico con un tono più leggero possibile, anche se le parole scelte forse sono le meno adatte. Me ne rendo conto. «In questo caso si può dire tale figlio tale padre! Quindi, morale della favola, mi avete preso entrambi per il culo!»
Rido per sottolineare il senso ironico.
«Vittorio, scusa, non so i gusti di mio figlio ma credo che qua sei l’unico a non averlo preso ancora nel culo» fa Paolo. Ha un sorriso tenue in bocca, forse ha capito dove voglio arrivare.
Colgo la palla al balzo che mi sta offrendo Paolo. Il nostro feeling è consolidato. «Certo, non intendevo letteralmente. Per quello non mi sento ancora pronto, anche se volendo ci posso arrivare.» Guardo Elia.
Il ragazzo è disorientato dalle nostre parole, tiene basso lo sguardo ma noto che il suo viso è meno teso, le sue labbra si rivolgono appena all’insù. Percepisco che l’atmosfera tesa di prima si stia allentando. Almeno lo spero. La mia presenza ha rimescolato le carte in gioco. Sento del rispetto da parte di entrambi nei miei confronti, che un po’ va ad attenuare la guerra tra loro due. Ne approfitto.
«Beh, vedi che l’ha presa bene che sei gay» mi rivolgo ad Elia. «E tu che eri tutto preoccupato.»
Elia non dice nulla. Il suo corpo sta comunicando che si sente impacciato e fuori luogo.
«Ognuno può essere libero di essere quello che vuole» gli dice Paolo. «Mi dispiace solo di averlo scoperto in un modo che mai avrei voluto. Ho agito così perché mi sono sentito minacciato di perdere ciò che più ho desiderato. Non certo per giudicarti per come sei, poi come vedi anche noi non siamo in condizioni di giudicare nessuno. Certo mi sarebbe piaciuto che me lo avessi detto. Questo sì. Che ci fosse stata un po’ più di complicità…ma non si può volere tutto dalla vita.»
«Beh, non è mai troppo tardi. E poi lo ha detto a me» intervengo alzando le mani, nella speranza di strappare un sorriso. «Che sarei come un secondo padre.»
Elia sbuffa in una risata trattenuta, le braccia gli ricadono lungo i fianchi. «Stiamo veramente scadendo nel ridicolo» reagisce. Lo dice in maniera leggera, quasi senza l'astiosità di prima.
«Meglio così! Meglio il ridicolo che farne una tragedia. Non credi?!» gli rispondo. Mi avvicino a lui, gli metto una mano sulla spalla. «Come volevi che andasse a finire? Tu che scappavi disperato da quest’appartamento, noi che ti inseguivamo, nel mentre magari ci succedeva un incidente in macchina. Io in fin di vita e te che ci vieni a trovare all’ospedale e vi consolate a vicenda, perché il vostro oggetto di contesa sta tirando le cuoia.»
Elia scuote la testa. Non può fare a meno di ridere. Paolo lo osserva, sembra una statua di sale.
«Se vuoi possiamo farlo…mi sacrifico volentieri. Sparisco dalla vostra vita, senza neanche per forza esserci una tragedia di mezzo» lo provoco. «Oppure con il buon senso, da persone intelligenti, possiamo pensare come trovare la quadra. Perché ognuno di noi ha le proprie responsabilità, in questa vicenda. Se siamo qua è perché ognuno ci ha messo la sua. Quindi usciamone vivi per favore…»
«E come? Sentiamo» interviene Elia, ancora con un fare sostenuto.
«Beh, l’idea di essere condiviso non è male» dico ridendo.
«Ma vai a cagare!» reagisce Paolo tirandomi un cuscino, che schivo.
«Scherzo, ragazzi, scherzo» dico alzando le mani in alto. «Però, riguardo al buon senso, caro Elia, te lo dico qui davanti a tuo padre, ci sono stati momenti intensi tra di noi, non lo posso rinnegarli, ma sappiamo benissimo, da persone mature, che non ci può essere futuro tra noi. Il tuo futuro, devi avere il coraggio di trovarlo da un’altra parte. Mentre il mio presente e spero anche il mio futuro è lui» dico indicando Paolo. «Sarò ben lieto e, spero anche tuo padre, di vederti camminare con le tue gambe e di trovarti qualcuno che ti ami per quello che sei, e non come me che vedevo in te il riflesso di tuo padre da giovane.»
Elia è fermo che ascolta le mie parole, tiene la testa bassa, sembra che stia contando i listelli del parquet. Quando alza la testa, ha gli occhi lucidi. «Forse hai ragione, Vitto! Sono stato ingenuo a cercare in te quello che non trovavo a casa.»
«Sicuro?!» mi accerto di aver sentito bene.
«Sicuro» ribadisce lui deglutendo.
Paolo scosta le lenzuola, si alza dal letto, e nudo corre ad abbracciare suo figlio. Elia, colto alla sprovvista, s’irrigidisce. Ma quando anche io li avvolgo entrambi tra le mie braccia si lascia andare.
«Papà, sei nudo, che schifo!» fa Elia, con una maschera di disgusto dipinta in volto.
«Era per questo che non mi alzavo dal letto» replica il padre imbarazzato.
Ci mettiamo tutti e tre a ridere.
«Sei un coglione» gli fa Elia.
«E tu sei il figlio di un coglione!»
«Insomma siete due coglioni» sbotto io ridendo. «E tra i due coglioni ci sta il cazzo, il “testa di cazzo”.»
Elia si scioglie dall’abbraccio. «Ritorno a Bologna, qui l’aria si sta facendo ad alto rischio glicemico. Vado a cercarmi qualcuno della mia età» afferma in tono sarcastico.
«Esatto, non stare troppo con i vecchi, altrimenti invecchi prima» sostengo io. «Guarda che deve passare prima la nostra commissione.»
Io e Paolo ci schieriamo davanti a lui. Paolo si copre con una mano le parti intime.
«E voi dovete affrontare un’altra commissione, ben più severa di me…le vostre mogli. E quelle sì che non riuscirete a convincerle con i vostri giochetti di parole, come avete fatto con me.»
«Affronteremo anche questo» affermo.

Quando Elia chiude la porta dell’appartamento dopo avermi lasciato le chiavi sul tavolo del cucinotto, Paolo torna a riabbracciarmi. «Grazie, non so cosa avrei fatto senza di te.»
Non è ancora ora di pranzo e noi torniamo a stringerci forte. Mi abbasso e glielo prendo in bocca, voglio allentare la mia e la sua tensione, approfittando della sua nudità. Lui si lascia andare e pian piano il suo cazzo d’ingrossa tra le mie labbra.
Paolo mi spoglia. Mi strappa i vestiti d’addosso e mi trascina sul letto.
Ora sono sempre più convinto che gli altri, i ragazzi che in tutti questi anni ho incontrato non sono stati altro che un suo surrogato. Non sono mai riuscito a uscirne da quella scena in cui noi due, sotto l’effetto dell’alcol, ci siamo detti, non a parole ma con i gesti, che la nostra non era soltanto amicizia ma qualcosa di più, quando si è chinato e me lo ha preso in bocca, poi si è alzato si è pulito con l’avambraccio ed è andato via. Da quel giorno l’ho perso, e l’ho cercato in ogni ragazzo di vent’anni che si è chinato per succhiarmelo, per più di trent’anni. Lo steso ho fatto con Elia, che ha i suoi stessi lineamenti e ho creduto di essermene innamorato.
E mentre sono perso nelle mie elucubrazioni non mi rendo conto che la situazione ha preso una piega inaspettata. È Paolo che sta trafficando con il mio buchetto, spinge per entrarmi dentro. Gli porgo il lubrificante, mi sento pronto ad accoglierlo. Lui si cosparge il cazzo, e poi mette un dito nel mio orifizio. Ho un sussulto che fa saltare dal letto.
«Paolo, vacci piano» gli raccomando.
Quando mi entra dentro sento come una scarica elettrica che mi attraversa il corpo. Le tempie mi esplodono, il dolore si espande dall’ano fino alla gola.
«Ti ho fatto male?» mi chiede Paolo, con un tono di voce dolce, che mi aiuta a rilassarmi.
Lui inizia a scoparmi, prima lentamente poi con maggiore intensità. Sento il dolce suono del suo pube batte contro il mio bacino, le sue palle sulle natiche e lui che continua a entrarmi dentro e penso che è lui che voglio tutta la vita. E sono disposto a difenderlo con i tutto me stesso.
«Posso venirti dentro?» mi domanda, con la voce affaticata.
«Cosa me lo chiedi a fare» gli rispondo. «Fallo e basta!»

scritto il
2025-06-10
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