La sorella e lo zio - Flashback 3

di
genere
incesti

Passarono alcuni mesi. L’estate si era fatta più vicina e il profumo dei tigli cominciava a riempire l’aria, come ogni anno. Francesca aveva continuato a vedere Matteo. Piano piano, tra un messaggio e una passeggiata, erano diventati qualcosa di più. Non c’era stato un vero momento in cui era successo, ma una sera, al parco, sotto una luce fioca, si erano baciati per la prima volta.
Era stato speciale. Goffo, forse, ma speciale.
Francesca tornò a casa con un nodo allo stomaco che non sapeva spiegare: gioia, ansia, e anche un filo di confusione. Non raccontò niente a nessuno. Neppure allo zio. Una parte di lei voleva condividere quel momento, ma un’altra si vergognava: si era sentita impacciata, inesperta, come se avesse fatto qualcosa nel modo sbagliato.
Qualche giorno dopo, tutto cambiò. Una voce circolava tra i corridoi della scuola: Matteo, sabato sera, era stato visto in discoteca con un’altra ragazza. E non solo a ballare. Le foto iniziarono a girare, le risate anche. Francesca non dovette nemmeno chiedere spiegazioni: Matteo si limitò a un messaggio vago, pieno di scuse che non spiegavano nulla.

Quel pomeriggio corse a casa, si chiuse in camera, e per la prima volta in mesi sentì il bisogno di parlare con lo zio.
Lo chiamò con la voce rotta: "Zio... puoi venire? Subito, ti prego."
Carlo arrivò in meno di mezz’ora. Trovò Francesca seduta per terra, con le gambe incrociate e gli occhi gonfi.
"Mi ha tradita," disse, senza nemmeno salutarlo. "Con un’altra. In discoteca. E io... io credevo di aver fatto qualcosa di bello. Ma forse è colpa mia. Forse sono indietro. Le altre sono più sciolte, più sicure. Io invece ero solo... goffa. E lui l’ha capito."
Lo zio si sedette accanto a lei. Non disse nulla subito. Solo le passò un braccio attorno alle spalle.
"Francesca," cominciò poi, con calma, "non c'è niente di rotto in te. Essere imbranati non è un difetto. È solo il modo sincero in cui vivi le cose. Le persone che fanno male agli altri, invece, non sono avanti. Sono solo confuse. O codarde."
Lei scosse la testa. "Ma allora perché fa così male?"
"Perché tu ci credevi. Quando diamo una parte vera di noi a qualcuno, e quella persona la calpesta, fa male. Ma non è una colpa. È solo una lezione. E se oggi piangi, è perché sei stata vera. E chi è vero, prima o poi trova qualcuno che lo è altrettanto."

Francesca non rispose. Ma si lasciò cullare in quel silenzio pieno di comprensione.
Passarono un paio di settimane. Le lacrime si asciugarono piano. Non del tutto, ma abbastanza da far spazio ad altro.
Passarono un paio di settimane. Le lacrime si asciugarono piano, lasciando spazio a un silenzio nuovo, quasi sospeso. Francesca non si sentiva ancora del tutto sé stessa, ma qualcosa dentro di lei si era mosso: una specie di fame di riscatto, di riconquista di sé.
Fu in quel periodo che incrociò di nuovo Marco, il ragazzo due anni più grande che ogni tanto vedeva nei corridoi. Lo conoscevano tutti. Era spavaldo, brillante, sempre circondato da gente. Aveva già frequentato — o almeno così si diceva — le due ragazze considerate le più belle del loro anno. Quelle che sapevano sempre cosa dire, come vestirsi, come muoversi.

Quando, inaspettatamente, Marco si avvicinò a lei durante una pausa fuori da scuola e le disse con un sorriso sicuro:
"Ciao Francesca, ti va di prenderci qualcosa da bere, magari domani?"
lei rimase per un attimo senza parole.
Quel sì le uscì quasi per riflesso, ma appena lui si allontanò, il cuore cominciò a batterle più forte.
Non riusciva a crederci. Lui. Proprio lui. Se Marco voleva uscire con lei, significava che anche lei, ora, veniva vista. Che era bella, davvero bella. Per la prima volta, non per gentilezza o incoraggiamento, ma perché qualcuno la desiderava.

Era eccitata, galvanizzata, quasi incredula. Ma accanto a quell'euforia iniziava a crescere anche un'altra sensazione: l'agitazione.
E se non fosse all’altezza? Se Marco, abituato a ragazze sicure, si fosse pentito di averla invitata?
Francesca passò il pomeriggio a provarsi vestiti davanti allo specchio. Nessuno sembrava giusto. Troppo infantile, troppo formale, troppo banale. Alla fine, come tante volte prima, prese il telefono e scrisse:
"Zio... sono nei guai. Domani esco. Ho bisogno di te. Puoi passare?"

Carlo arrivò poco dopo. Questa volta non fece domande. Vide subito negli occhi della nipote quel misto di entusiasmo e paura che conosceva bene.
"Fammi indovinare," disse, appoggiando la giacca sulla sedia. "È quel Marco, vero? Quello con il motorino e l’ego leggermente troppo grande?"
Francesca abbassò lo sguardo, poi rise, un po' imbarazzata. "Sì. Ma... è bello. E mi ha chiesto di uscire. Me. Capisci? Forse vuol dire che... sono diventata come quelle ragazze che ammiravo."
Carlo si avvicinò con delicatezza. "Tu sei diventata te stessa. E questo è mille volte meglio. Non devi diventare come nessun'altra. Se Marco ha gli occhi per vederti davvero, allora va bene. Altrimenti... è lui a perdersi qualcosa."
Lei fece un mezzo sorriso. "E l’outfit?"
"Vediamo cosa hai combinato stavolta."

Come al solito commenti e voto maggiore di 6 per continuare, con un bel 7 ne faccio uscire due! (Piccolo spoiler... nei prossimi le cose cominceranno a diventare piccanti)
scritto il
2025-05-14
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