First Exchange? (Occasione tra i vapori del bagno turco)

di
genere
scambio di coppia

Nel tardo pomeriggio andiamo tutti e quattro alla SPA. C’è l’imbarazzo della scelta tra piscine con acqua dolce o salina, vasche con idromassaggi, bagno turco con cromoterapia, due saune a diverse temperature, stanze relax.
Claire indossa un costume intero nero: elegante e più sexy di uno striminzito bikini. Ha la schiena completamente nuda, mentre la scollatura profonda mette in risalto l'attacco delle clavicole e lo sterno piatto, da cui si diramano le costole. È sgambato al punto di slanciare ulteriormente la sua figura.
Nell’acqua, in tutte le sue declinazioni, ci intratteniamo a lungo. Poi beviamo un infuso ai fiori di agrumi nella saletta relax. Raggiungiamo infine l’area saune e bagno turco. Una ragazza del servizio ci segnala che sono ambienti “Adults only” e nudisti, ragione per cui ci porge dei teli. Marco ed io ci confortiamo a vicenda con lo sguardo e, sfilati i costumi, ci copriamo.

Entriamo tutti e quattro nel bagno turco.
L’impatto è notevole: un tempio di vapore e silenzio. Il marmo nero riveste ogni superficie, lucido e profondo; i lumi tenui si alternano con lentezza, riflettendo luci soffuse in bagliori liquidi e tremolanti, mentre il vapore disegna arabeschi nell’aria densa. L’atmosfera, avvolgente come un abbraccio umido che penetra nei pori, scioglie le tensioni e rende ogni gesto lento, sensuale.

Seduti sulle panche in marmo, parliamo a bassa voce per rispetto del luogo, visto che siamo soli; ci abbandoniamo all’aroma balsamico dell’eucalipto e della menta selvatica. Ogni mio respiro è profondo, voluttuoso, un invito a lasciarmi andare; il mio corpo si concede al calore, alla lentezza, alla pelle che brilla di vapore.
Mi stendo, approfittando dello spazio anche per gli altri. Apro il telo, chiudo gli occhi e mi lascio invadere dalla sensazione di rilassamento. Nella mia testa il pensiero che Marco sia colpito da quel gesto, che Claire sia divertita. E che, forse, tutti e tre mi stiano guardando.
Dopo un po’, riapro gli occhi: Claire e gli altri hanno fatto come me, sono stesi supini. Nessuno parla. Ci godiamo quel momento per lunghi minuti.
Poi Michel, senza proferire parola, si alza e prende la ciotola in metallo dentro la quale un rubinetto di acqua fredda, al centro della stanza, rilascia scrosci cristallini. Si bagna i polsi, la nuca, il petto. Solo in quel momento noto che il suo pube è completamente depilato. La mia attenzione viene osservata da Claire, che mi sorride. Marco ha talmente caldo che, invece, quando va anche lui alla ciotola, la prende, si mette in posizione eretta e se la rovescia lentamente in testa. L’acqua gli scorre su tutto il corpo e questa volta sono io a constatare lo sguardo prolungato di Claire su mio marito.
Quando Marco torna alla sua panca, ci consiglia di approfittare dell’acqua fredda: il suo uso permette di trattenersi più a lungo in quel nido di relax. Claire ed io ci alziamo contemporaneamente e ora siamo nel centro dell’ambiente, una di fronte all’altra, nude.
Mi rendo conto di essere eccitata dalla situazione. Nessuna delle due esprime parola, ci fissiamo e basta.
Per timore del freddo dell’acqua sul mio corpo, ne raccolgo un poco con le mani e bagno la nuca e la fronte della mia amica. Poi ripeto l’operazione sulle sue spalle e sulle braccia. Lei fa altrettanto, ma direttamente sul mio decolté. Seguo il suo sguardo che, con malizia, si sposta dal mio seno agli occhi di Marco, seduto a poco più di un metro e mezzo da noi. E’ evidente che Claire voglia vedere come lui reagisce a quella confidenza, a quella intimità. Un fremito mi attraversa quando le sue mani -presa altra acqua dalla ciotola- ripetono con lentezza il gesto, ma questa volta accarezzandomi poi delicatamente il seno, con sensualità. Gli occhi di Marco sono piantati si di noi, i miei capezzoli sono turgidi, il pene glabro di Michel, tra i vapori nell’aria, sembra …meno rilassato.
Poi lei, rompendo quel momento di tensione, soppesa le mie tette e si rivolge a mio marito: “Marco, devi farmi un favore: permettere a Michel, sempre che tua moglie sia d’accordo, di toccare queste tette invidiabili. Lui è abituato alle due mie noccioline… -dice spiritosa, scrollando il busto come per mostrare che non c’è quasi nulla che sobbalzi-, è un favore che devi farmi assolutamente! Posso ripagarti -fa una pausa e poi scandisce- come vorrai …”
Il contrasto tra voce bassa e sfrontatezza, audacia, sfacciataggine, impertinenza della proposta accentua un’idea di proibito.
Marco sorride in un’espressione astratta, anche se secondo me si sta interrogando sulla concretezza delle parole di Claire, rimaste sospese nell'aria, come i vapori di quest’ambiente. Lei indugia a lungo con le sue mani sul mio seno e io mi faccio coraggio: “Forse sarebbe uno scambio alla pari -dico ridendo, rivolta a lei- se tu gli facessi toccare il tuo sedere.” Vedo Michel sorridere con superiorità, mentre Marco cerca di nascondere una smorfia di imbarazzo.
Appoggio con leggerezza una mano sul fianco di Claire. Ora il silenzio che ci avvolge si tende piano, come una corda che tira sempre più, segnalando che non si sta più giocando, che qualcosa, in quell’istante, forse sta cambiando davvero.
Non faccio in tempo a chiedermi come, in quale direzione, con quale gesto a seguire che entra una coppia. E’ bastato il clic di quella porta a spegnere l’incantesimo. Sono affranta e non trovo neanche parole per qualificare tanta intempestività…
Vedo i loro contorni in controluce: lui XXL, lei a forma di pera. Li odio.
Claire si allontana da me ed entrambe ci risediamo sulle panche dove prima eravamo sdraiate. Marco mi si avvicina per lasciare spazio ai nuovi arrivati, mi prende la mano e mi sorride. Il suo sguardo passa dagli occhi miei a quelli di Claire: due, tre volte; lo bacio sulle labbra. Sento che i miei capezzoli sono ancora duri e maledico dal profondo, nella mia mente, quell'interruzione improvvida.
Ancora pochi minuti e usciamo tutti e quattro, andando verso le docce. Quando siamo sotto i getti, in un ambiente raccolto che anche le luci contribuiscono a rendere intimo, apprezzo meglio il piccolo e definito triangolino di pelo sul pube di Claire: elegante. Noto anche che c’è un piccolo tatuaggio al linguine sinistro, in basso. Le chiedo cosa rappresenti. Lei sorride e dice: “Lo abbiamo entrambi, guarda.” Invita Michel a mostrare il suo, nel medesimo punto. Anzi, con una mano sposta il pene di lui, come per mostrarmi meglio quel disegnino. Sono entrambi in piedi davanti a me, vicini. Il palmo della mano di lei si muove pianissimo sull’asta di lui, mentre fra gli schizzi della doccia io guardo quel disegno. “Un quadratino diviso in quattro, giusto?”, dico. “No. Guarda meglio”, risponde lei.
Mi chino piano con il busto, attraversata da un fremito, fino ad arrivare necessariamente con il volto non lontano da ciò che lentamente lei stimola. “E’ una scritta composta da quattro caratteri cinesi, due sopra, due sotto. Cosa significa?”
Lo domando continuando a guardare, come se volessi arrivare a decifrare quel tatuaggio; in verità, la mia attenzione è rapita dal movimento della mano di lei, il cui palmo continua a scorrere con leggerezza, su e giù, sul pene del marito.
“Questa sera a cena, magari, vi raccontiamo”, risponde sorridendo maliziosa, guardando Michel. Poi si dicono qualcosa che non capisco ma con modo scherzoso. Lui le offre le labbra, lei ci stampa un primo bacio, dolce. Che poi diventa caldo. Per farsi, quindi, più appassionato fino a scaturire in qualcosa di quasi lussurioso. Anche perché lei sta continuando quel gesto con il palmo della sua mano su un’asta che, a questo punto, ha inevitabilmente raggiunto un certo vigore. E’ un’immagine altamente erotica; ho iniziato a osservarla dal basso, perché ero ancora piegata. Una volta rialzatami, però, mentre la osservo affascinata, con il sedere mi ritrovo adesa a Marco, di cui sento l’eccitazione premermi tra le natiche: una scossa mi attraversa. La loro effusione non è breve. Sembra intimità, non esibizione.
A un certo punto, però, lei sposta lo sguardo, carico di desiderio, in quello di Marco alle mie spalle. Sento il suo pene irrobustirsi quando lei lo guarda con un coinvolgimento tale che è come stesse facendo a lui ciò che invece dedica al proprio marito. Quello di Claire è lo sguardo magnetico per definizione, ed è altresì erotico ed elegante. Non so come dire: è sfacciato e discreto, appassionato e misurato, intrigante e curioso verso chi guarda. E invitante. Al punto che, penso, se fosse rivolto a me non saprei trattenere l'impulso ad andarvi incontro.
Ma, ancora, i due che erano entrati nel bagno turco vengono a guastare il momento. Siano maledetti! Perché come un palloncino che sembrava sul punto di scoppiare e invece si sgonfia, così la tensione emotiva che si era creata si affloscia in un niente, lasciandomi come disillusa. E malinconica.

Usciamo presto dalle docce, ci asciughiamo e, vestiti dei nostri accappatoi bianchi, ci allontaniamo dalla SPA. “E’ evidente -dice Michel, con il suo modo di distacco, quando siamo in ascensore- che quei due siano venuti alle docce per cercare la compagnia di noi quattro.”
“Aiuto! -risponde Claire rivolta al marito - Non permettermi mai, mai e poi mai di andare con uno così robusto: farebbe di me una crêpe!” Ridiamo tutti, anche se in me c'è già nostalgia delle emozioni che mi abitavano prima che fossimo disturbati.
Quando io e Marco arriviamo al nostro piano, salutiamo dando appuntamento tra non molto, per cena. Andremo in un ristorante tipico in un paese vicino.
L’ascensore si richiude con dentro loro che proseguono.
Nel corridoio, mio marito rompe il silenzio:
“Certo che sono molto… estroversi.”
“Spiriti liberi”, rispondo, quasi senza voltarmi verso di lui.
“Forse più libertini che liberi”, dice Marco e nella voce c’è qualcosa che non è solo giudizio.
“Si, penso anch’io. Però -replico volgendo lo sguardo verso il suo, mentre entriamo in camera- ti sarebbe piaciuto palparle il sedere! E, soprattutto, nella doccia mi pare che la situazione non ti desse proprio fastidio ...”
Lui mi segue nella stanza. “Non era una scena comune. Erano... tanto. E tu... tu che restavi lì, senza distogliere lo sguardo da come lei lo sollazzava. A pochi centimetri da… Anche tu non sembravi affatto disinteressata”, dice sorridendo.
Poi si fa serio, si passa una mano sulla nuca. “Claire ha un modo di guardare... come se volesse dare a intendere di sapere qualcosa di me che io stesso non ho il coraggio di ammettere.”
“Ti desidera sfacciatamente, dai! Ma ha un modo, lo ammetto, che io stessa trovo …intrigante. Molto intrigante.” Dico queste ultime parole mentre apro l’armadio, guardando mio marito nel riflesso dello specchio dentro l’anta; i nostri occhi si incontrano. C’è atmosfera di sospensione.
“Sembra quasi che ti piacerebbe…”, risponde poi lui.
Pausa. Il silenzio diventa liquido, teso.
“Non lo so,” mormoro. “L’idea di lei… con te... Invece di ingelosirmi, mi eccita proprio.”
“A me spaventa”, ammette lui rapidamente.
Rido: “Strano. Perché prima, sotto la doccia, mentre lei ti bramava... Insomma, non sapevo che la paura ti facesse quell’effetto.”
Marco sorride alla mia ironia, poi inizia a camminare verso il balcone. C’è inquietudine nei suoi gesti, come se avesse a ché fare con oggetti immaginari che non sa dove collocare. “Claire -afferma- potrebbe essere pericolosa. Sembra una che può entrare nella pelle, lentamente. E Michel… lui osserva. Sempre. Tra loro c’è un patto. Silenzioso, indissolubile, indistruttibile.”
Mi guarda, e quella domanda non detta è più forte di qualsiasi parola: e noi?
“Noi… non so se potremmo reggere”, prosegue.
Marco, è così da quando lo conosco. Lui non è che esiti, analizza. È uno di quelli che, mentre tutti saltano nel vuoto col cuore in gola, si domanda silenziosamente quanto è profondo, se il vento cambia, se valga davvero la pena di cadere. Non lo fa per paura, ma per rispetto del salto.
È sempre stato così: prudente per disciplina interiore. Anche per questo l'ho sempre amato. Eppure, ora vorrei che quel suo gesticolare indicasse non tormento, ma qualcosa di diverso: che non fosse solo il salto a tentarlo, quanto è la possibilità di concederselo. Il prendere in considerazione di fare, una volta almeno, una follia.
E spero -quanto lo spero!- che il pensiero lo attragga più di quanto e lo spaventi.
Mi avvicino. Lentamente. Il mio volto arriva a un velo dal suo, il mio sguardo è il più rassicurante del repertorio: “Insieme noi reggiamo tutto.”
Lo bacio. Non per accenderlo, per tenerlo. Un bacio che non contiene fuoco, ma cura.
Lui trattiene il mio volto tra le mani. Gli occhi suoi sono accesi, ma la luce non nasconde un’ombra che c’è dentro. “Sai quella sensazione …?”, dice prima di una pausa che mi pare ampissima. E’ come se non trovasse le parole, però poi riprende: “Spaventa e attira, come il vuoto. Viene voglia di saltare e insieme di scappare”.
Sussurro: “Come diceva quella canzone? Se non si trema un po’, non si sta facendo nulla di vero.”
Lo bacio, davvero: con fame, con timore e desiderio intrecciati.
Poi lui si stacca, lentamente e fermamente.
“Lo faresti?”
Esito, poi rispondo: “Se ci sei davvero, sì.”
Abbassa gli occhi. Li rialza.
“E se dopo… non fossimo più noi?”
Si gira. Torna verso la finestra. Le mani cercano qualcosa nell’aria, o forse lo scacciano. Assume un tono severo: “Non sono decisioni da prendere così. Come se bastasse il desiderio.”
“Non dobbiamo decidere,” rispondo piano. “Lasciamo che accada. O che non accada. Ma smettiamola di parlarne come se fosse già una fine.”
Si volta.
“Tu davvero riusciresti a lasciarti andare così?” chiede con voce bassa, quasi rotta.
Lo guardo. Penso. “Non lo so! Forse -rispondo- non del tutto, ma abbastanza da non dovermene pentire.”
Lui fa un mezzo sorriso. A me sembra una smorfia di rassegnazione, quel tipo di sorriso di chi si arrende prima di cominciare.
Poi fissa un punto impreciso, lontano dalla mia pelle, dal mio respiro.
“È questo che mi manca,” dice. “L’arte del non sapere. Io... non so ignorare il dopo.”
Vorrei dirgli che si può imparare. Che basta un passo.
(segue)
scritto il
2025-05-11
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