First Exchange ? Mi trovo a surfare sulle onde della curiosità

di
genere
scambio di coppia

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La mattina mi sveglio riposata e ben più tardi delle mie abitudini: è proprio vacanza!
In quel senso di pace, si riaffaccia nella mia mente il vortice di emozioni di ieri sera. Cerco di razionalizzare la curiosità che sento, ma anche il potere della mia immaginazione.
Mi interrogo: è veramente possibile che io sia capace di provare il desiderio di rompere la routine? O è solo inebriante la sensazione di poter esplorare la nostra sessualità di coppia fuori dalle regole? Mi colpisce, poi, che ogni pensiero e proiezione a riguardo è rivolto a un’esperienza che non avrebbe me come protagonista, ma mio marito.
Pensando all’eccitazione che mi dà il desiderio di Claire per Marco, metto a fuoco la circostanza che quella con lui è una relazione che ha sempre avuto come punto fermo l’esclusività e considerato l’intimità un diritto. Ecco, per la prima volta in vita mia, penso ora che forse l'esclusività può essere "arricchita", mentre l'intimità può essere un diritto disponibile.
E' un pensiero che ha qualcosa di rivelatorio. Come se una porta invisibile, da sempre lì e mai notata, si spalancasse di colpo nella mia mente e da quella porta la luce entrasse con violenza, e con essa la vertigine di vedere tutto, finalmente, con chiarezza.
Tuttavia, sento che ciò che vedo mi turba e non posso entrare in quella stanza, affrontare quella luce.
"Non saresti sola -dico però a me stessa- ma con Marco, d'intesa. Con la sua la complicità."
Quando queste parole risuonano nella mia testa, si pacifica quella sensazione di turbamento e capisco d'essere pronta a iniziare ad affrontare la vertigine.
Il vortice di pensieri che ho in testa non si ferma affatto, anzi accelera come mosso da improvvise folate di vento: e se questo mio fantasticare fosse nato solo da un momento di narcisismo di Claire, enfatizzato da qualche bicchiere di troppo? Da un bisogno suo di piacere, di affermarsi come protagonista tra noi quattro ieri? Se quelle sue parole fossero state solo una boutade, o una scherzosa provocazione? Se suo marito, tornato in camera, l’avesse rimproverata per quel suo fare seduttivo? Ci sono quelle coppie dove uno per far arrabbiare l’altro…
In quel momento squilla il telefono di Marco. Lui si sveglia di soprassalto e, dopo essersi schiarito la voce, risponde. Capisco presto che non sarà una chiamata breve; sono effetti collaterali di quando si approfitta dei ponti: non per tutti è vacanza.
Vado in bagno e, intanto, sento che lui parla di coinvolgere altri colleghi nella telefonata. Inutile illudersi: sarà lunghissima. Mi preparo, prendo la borsa da mare, lo bacio sulla fronte e gli faccio segno che ci vediamo dopo in spiaggia. Fa gesti di rimpianto di scuse, poi di saluto. Riflessa nella parete specchiata alle spalle del letto, inforcati gli occhiali da sole, constato che mi piaccio. Esco.
Sfuggo alle tentazioni del buffet e faccio una colazione leggera perché mi attende la prova di surf! Ecco, il pensiero di provare la tavola sulle onde supera le altre emozioni che mi animano, me le fa scordare. Meglio.
In spiaggia non c'è l'aria fresca di ieri. Noleggio entusiasta tavola e muta e raggiungo l'ombrellone. Saluto Michel in quello di fianco; lui ricambia simpaticamente e mi indica sua moglie che fa surf. Le onde mi sembrano meno grandi di quelle di ieri: la mia lezione sarà più facile.
Michel, con il suo volto angelicato, si avvicina e mi chiede di mio marito, poi commentiamo la cena di ieri e lui, sorridendo, dice che spera che l'espansività di sua moglie non mi abbia dato fastidio. Non capisco, dal suo modo, se lui per primo non abbia gradito. Ribatto, comunque, di non aver notato nulla in lei che possa infastidire.
“Au contraire”, concludo.
Ma sono pazza ad aver pronunciato questa espressione?! Classico caso di “voce dal sen fuggita” e ora i miei battiti aumentano e mi chiedo cosa lui mi risponderà, come evolverà questa conversazione.
Fortunatamente Claire mi toglie dall'imbarazzo chiamandomi sulla battigia.
Infilo le gambe nella mia muta corta, poi la indosso e sono pronta per incamminarmi verso di lei. Mi volto per salutare suo marito mentre mi chiudo la cerniera, ma sembra bloccata a metà tra l’ombelico e lo sterno. Si avvicina lui per aiutarmi: in realtà il problema è solo che il mio seno è troppo consistente. Michel, anche se a fatica, chiude la muta sul mio petto, inevitabilmente guardando il mio decolté e toccando quella mia abbondanza attraverso il neoprene. Tenendo i suoi occhi chiari fissi nei miei, poi, impugna più a lungo dello strettamente necessario il tiretto della lampo. Tenue mi percorre un fremito.
Con la tavola sotto al braccio, raggiungo Claire e le spiego che non riuscivo a chiudere la muta. Lei, cingendo lateralmente le mie tette coperte dalla muta, risponde affermando: "C’est compréhensible". Poi aggiunge che suo marito sarà stato contento di aiutarmi: "Non è abituato a quelle dimensioni." Ride, mi prende per mano e mi spinge nell'acqua fredda dell'oceano.
Trascorriamo un'ora abbondante di divertimento sulle nostre tavole. Io in equilibrio precario, a fare tentativi, errori, cadute, a vivere piccoli trionfi e fallimenti.
“Quando sei sulla tavola, prova ad aprire un po’ di più le spalle, così,” dice lei a un certo punto dietro di me mentre siamo in acqua, in piedi toccando il fondo. Le sue mani indugiano una sulla scapola, l’altra a lungo alla base della schiena. La muta è un confine incapace di impedire a quel tocco leggero di accendermi dentro un tremito nel constatare la sua capacità di creare intimità. L'immaginazione ritorna prepotente a lei con mio marito: alle sue mani che indugiano su di lui. Claire mi chiede: “Va bene?”, con la voce calda e bassa, appena sopra il fruscio del mare. Annuisco, ma non mi giro perché ho un nodo sottile allo stomaco, un bisogno che non so come chiamare. Torniamo al largo e presto, di nuovo, verso la riva. Più volte. Le onde ci hanno fatte cadere ripetutamente e noi ridiamo come ragazzine. La mia fantasia si domanda se, per arrivare a mio marito, voglia sedurre anche me. Certo è che ogni volta che ci rialziamo, i nostri occhi si cercano in sguardi che durano sempre di più.
Alla fine, sono esausta. Ci sediamo sulla sabbia, coi capelli fradici e le mute abbassate fino alla vita. Il suo seno, come ieri libero, è veramente mignon. E’ magra, le risaltano clavicole, sterno, arco costale.
Evidentemente l’attenzione di entrambe è rivolta a quelle differenze tra noi: "Hai un seno talmente bello -afferma- che è un delitto costringerlo in quel costume". Ringrazio, ma le spiego che a cinquant'anni la forza di gravità impone certi presidi. "L’importante è solo che tu non sia pudica, sarebbe proprio una delusione", afferma ridendo mentre guarda l’orizzonte. Non so definire il tono di quella sua espressione: non semplice ironia, forse provocatoriamente malizioso, …o maliziosamente provocatorio. Allusivo.
“Quello no!", rispondo guardandola di traverso e facendole il verso. "Forse, però, ammetto che la mia è anche abitudine.” Così dico mentre le dita della mia mano destra vanno alla schiena e si posano leggere sul nodo del bikini, esitanti solo un istante.
Il sole mi scalda la pelle, il vento mi carezza le spalle nude; con un respiro profondo mi lascio pervadere dalla forza pungente e rigenerante della salsedine. Tiro un lembo e il tessuto scivola via come una promessa sussurrata. Non è sfida. Non è trasgressione. E' libertà, la stessa con la quale mi sdraio sulla sabbia calda. Osservo il suo sguardo compiaciuto. Poi mi fissa negli occhi ed è come se qualcosa passasse tra noi in un silenzio pieno. Incolmabile. Complice.
“Vedi quanto l’abitudine ci limita?”, dice con la sua voce rotonda.
“Se sono troppo insistente, -prosegue appoggiando i gomiti sulla sabbia- fermami subito, ma mi permetto di essere aperta e schietta perché trovo che tu sia una donna intelligente, lo hai appena dimostrato, e ricca di fascino. Ti sei mai chiesta, anche tu, in quante cose l’abitudine ci faccia guardare solo un punto attraverso un cannocchiale, quando invece c’è un enorme panorama da ammirare.” Sposta lo sguardo all’orizzonte quando pronuncia queste ultime parole e, con un movimento ampio del braccio destro indica l’oceano infinito; non potrebbe esserci gesto più eloquente.
“Ti sei mai chiesta -prosegue- se, a proposito di vita matrimoniale, non ci sia l’abitudine a impedirci di vivere di più, di liberarci come hai appena fatto come quel pezzo di costume?”
E’ così armoniosa nel suo parlare, così musicale, naturale e allo stesso tempo sicura: non è saccente, né sembra volermi convincere di qualcosa. In una frazione di secondo penso a quanto quei dubbi che mi erano venuti su ieri sera, nell’ultima ora si siano dimostrati proprio immotivati. Lei è così!
E, sì, sta giocando per arrivare a Marco. Lo rende evidente come rivolge subito gli occhi verso gli ombrelloni dove i nostri mariti stanno parlando. Sono così diversi: tutto scuro e robusto il mio, biondo, carnagione chiara e longilineo Michel.
Mentre loro staranno parlando di calcio, lei prosegue sul nostro argomento: “A me piacerebbe vedere Michel attraverso il tuo sguardo.” Sono le parole di ieri: ha cambiato il soggetto. E l’oggetto.
Vorrei dirle: “Anche a me piacerebbe vedere Marco attraverso i tuoi occhi.” Ma qualcosa mi trattiene da quello svelarmi e le mie parole sono diverse. Le pronuncio guardando anch’io i nostri mariti e salutandoli muovendo in alto il braccio: “E a Michel andrebbe bene?”, chiedo.
“E a Marco?”, risponde lei con tono quasi di sfida, unendosi a me in quel saluto arioso alle persone di cui stiamo parlando.
Poi mi guarda, nei suoi occhi c’è provocazione, ma delicata, sottile: “Questo pomeriggio danno brutto tempo, potremmo andare tutti e quattro alla SPA.
(Segue)
scritto il
2025-05-02
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