Paralipomeni a Educazione di una bionda
di
Anonima1981
genere
dominazione
Oggi sto andando in una multisala di Milano. Sono passati pochi mesi da quel primo giorno in cui ho capito dove mi stava conducendo quell’uomo, in un mondo di cui non posso più fare a meno. Altre camere sono seguite, altri alberghi, altri ordini e altre umilianti e desiderate sottomissioni.
Poche settimane dopo quella prima volta l’anormalità era norma. Mi spogliavo esibendomi nuda al ritmo di una musica nella mia testa, davanti a un uomo che conoscevo solo di nome. Un nome, un nickname, un numero di telefono e un indirizzo di posta era tutto quello che sapevo e potevo sapere di lui. Di me invece sapeva tutto, l’indirizzo, il nome e il cognome, i nomi di marito e figli, il loro aspetto, i volti. Tutta mi ero consegnata a quello che con inesorabile lentezza era diventato il mio padrone.
Tutto sapeva di me quando mi usava e mi sottoponeva, come nudo e obbediente strumento, alle sue voglie, ai giochi erotici, a quelle dolci torture che mi portavano, come onde del mare, dal dolore più intenso al più inebriante piacere, fino alla dolce e piatta calma del dopo. Quando le morbide e sapienti mani, le suadenti e seducenti parole, i teneri baci calmavano il pianto, sedavano il tremore, lenivano il dolore e il senso di colpa che mi invadeva sempre dopo, mentre mi arrampicavo a fatica fuori dall’abisso di lussuria e piacere in cui lui mi trascinava senza alcuno sforzo.
Anche quella volta mi ero già eccitata mentre mi spogliavo e indovinavo il sorriso stirare le sue labbra, quelle labbra così morbide quando mi premiava baciandomi, contento della mia sottomissione e obbedienza.
Per la prima di molte successive volte quel giorno mi ha fatta stendere nuda e con lucidi nastri di seta rossa ha legato polsi e caviglie a spalliera e pediera del letto. Mi ha chiesto se ero scomoda e se i lacci erano troppo stretti, si prendeva cura di me. “Sto bene e sono felice se tu sei contento di me!”. Con un sorriso feroce ha stretto con nuova forza i lacci che mi legavano al letto strappandomi un grido di sorpresa e paura.
Quando, con una fascia di seta nera, mi ha bendato gli occhi sono stata colta dal panico. Non ero mai stata così in sua completa balia. La carezza e la voce hanno placato l’ansia, ancora una volta mi sono consegnata di corpo e di mente al suo volere.
Rivedo tutto mentre cammino per strada con lui e sento già il piacere inumidire il mio sesso. Ricordo le sue dita scivolare sulla pelle, fermandosi dove più danno piacere, portarmi quasi sul culmine per poi abbandonarmi. Un soffio, il respiro tra le mie cosce umide e calde. Brividi intensi, capezzoli eretti.
Improvviso un acuto dolore, come due morsi. La sua voce vicino all’orecchio “Stai calma, non devi ancora godere. Ti devo fermare. Ora lasciati andare al dolore. Sono solo due mollette metalliche che stringono quei piccoli chiodi… Lasciati andare, vedrai che il dolore diventerà solo piacere”
La pelle coperta di leggero sudore. Tremavo, ricordo piccoli brividi correre lungo il ventre e la schiena, partire dalle labbra gonfie e bagnate, sfiorare il perineo acceso e salire fino alla nuca sotto i capelli sudati e incollati alla pelle. I muscoli dell’addome contratti, la schiena inarcata per l’imminente piacere. Uno schiaffo e subito un altro “Tu devi fare quello che dico. Godrai quando voglio io. Hai capito, vero, chi comanda!?”
Mi sono bloccata e messa a piangere. Una carezza sul viso “Stai calma, non ti succede nulla di male. Fai solo come ti dico”. Le sue mani sui seni, li stringevano forte, la lingua accarezzava la figa bagnata e aperta.
Poi si è alzato dal letto, mi sono sentita sola nel silenzio improvviso. L’ho chiamato, implorato di restare con me. “Farò quello che chiedi, qualunque cosa. Sono la tua troia, la tua puttana. Per te, per il tuo piacere. Ma torna da me, resta con me”.
Il suo membro sulle labbra, con la lingua ho accarezzato il glande. Ho aperto la bocca per prenderlo. “Quando vorrò un pompino te lo dirò. Non sei tu che decidi”. Mi ha schiaffeggiato con il cazzo duro, una guancia, poi l’altra.
La lingua ha ripreso a giocare sapiente con il mio sesso, stimolando con maestria, portandomi di nuovo sul limite che non potevo superare senza permesso. Nuovi tremori, altri gemiti, l’ho implorato di prendermi. Ha appoggiato il membro eretto sulla mia fessura, ha esplorato le labbra gonfie e spalancate in attesa. Mi sono spinta in avanti cercando di farmi penetrare e porre fine a questo tormento.
Una risata cattiva, un altro schiaffo. “Non è ancora tempo, puttana”. Un nuovo lieve rumore, come un ronzio. Un vibrante giocattolo scivolava inesorabile su tutta la pelle, esplorava ogni fessura, ogni interstizio e ogni curva. Raggiungeva con implacabile lentezza la figa, titillava il clitoride eretto e fremente, percorreva leggero il perineo fino ad affacciarsi al piccolo fiore dell’ano inviolato, e così mi preparava alla resa totale al suo e mio piacere.
Dopo minuti che sembravano ore ho supplicato che la meravigliosa tortura cessasse. Il ronzio si è spento, di nuovo silenzio. Un sospiro e una voce “Dimmi cosa vuoi!”.
E io ho pregato, gli ho detto che ero sua e lui padrone del mio corpo e ancor più della mente.
Nessuna pietà. Mi ha stretto ancora con forza un seno, poi ha levato le mollette dai capezzoli. Il dolore è tornato intenso con la sensibilità che rinasceva, di nuovo ho pianto. Il sudore si mescolava alle lacrime, scivolava come un piccolo rivolo lungo il collo, tra i seni. Un lago in mezzo alle cosce. Ho trattenuto un grido. Delirio dei sensi. Con voce rotta ho pregato di porre fine al gioco, con le parole che voleva sentire. “Fottimi, scopami, lascia che goda”.
“Non ancora. Ora usa la bocca e la lingua”. Ho baciato il cazzo appoggiato alle labbra, poi grata l’ho accolto in bocca e con la lingua ho cercato di dargli il piacere più intenso. Lo sentivo pulsare, lo sentivo vibrare. Ma non era ancora pronto. Mi ha tolto di bocca il premio tanto atteso. Mi ha slegato polsi e mani, mi ha girato prona “Ora, in ginocchio”.
Obbedendo l’ho accolto. In pochi istanti mi ha portato sulla soglia sperata. Ma lui si è fermato, sapevo che sorrideva eccitato e feroce. “Non ancora. Non ti ho detto che puoi!”.
Di nuovo è scivolato fuori di me e poi ha violato il piccolo fiore indifeso. “Tutto di te mi appartiene. Sei il mio nuovo giocattolo”. Mi ha riempito il ventre. Il dolore della penetrazione ha lasciato presto il posto al piacere. “Ora…Ora puoi godere!”. Finalmente mi ha liberato dalle catene, finalmente ho potuto lasciare libero il corpo.
Altri colpi violenti dentro di me. Pochi secondi e anche lui ha liberato il suo sperma nel mio ventre. Mi sono sentita nuda e vuota quando mi ha lasciato. “Ora pulisci!”. Ho avvicinato la bocca al membro e con la lingua ho raccolto le tracce restanti dello sperma e del ventre.
Poi si è rivestito, senza un bacio, un sorriso, una parola gentile. In quel preciso momento ho capito davvero di essere sua, prigioniera delle sue voglie e fantasie.
Questi sono i pensieri e i ricordi mentre in silenzio, al suo braccio, sto andando nel cinema che lui ha scelto. Oggi è il giorno temuto. Me l’ha detto che oggi sarà diverso, che io sarò oggetto di altri. Mi ha ordinato come vestirmi sotto il leggero soprabito: una camicia dal taglio maschile con solo tre bottoni allacciati, una gonna ampia e sopra il ginocchio, niente calze, un tanga e un reggiseno di pizzo neri. Un trucco leggero degli occhi, niente fondotinta e poco rossetto o lucidalabbra. Capelli raccolti a coda di cavallo.
Sono confusa ed emozionata. Lui mi guida in una piccola sala semibuia. Non ho visto nemmeno che film proiettano ma credo che non sia importante, credo che sarò io lo spettacolo.
E’ una sala lunga e stretta. Per ogni fila quattro divanetti a doppia seduta, due a ciascun lato del corridoio centrale. Ci sono solo cinque spettatori. Una coppia di persone anziane e tre uomini seduti ciascuno su un diverso divanetto nelle ultime due file. Lui mi fa sedere nella terz’ultima fila e si siede vicino. Mi posa una mano padrona sulla coscia, la stringe con forza e mi ordina “Dammi il tanga!”. So di non poter discutere, me lo dice la mano sulla coscia che stringe con ancora maggiore violenza.
Mi sfilo il tanga e glielo consegno. Lui lo annusa prima di metterlo in tasca “Sei già bagnata, vero??”. Poi controlla i bottoni della camicia. “Avevo detto tre allacciati, non quattro!”, ne slaccia uno quasi con rabbia. Si alza e va a sedere nella fila davanti. La sala ora è quasi buia per l’inizio della proiezione. Ma non guarda il film, è girato, rivolto verso di me.
Non capisco, poi qualcuno si siede vicino e mi prende una mano. Resisto. Non cedo. “Guarda davanti, scema!” e vedo Lui che sorride e solo allora capisco. Comincia il gioco che devo giocare.
Lo sconosciuto riprende la mano, ora docile, e se la porta in grembo. La patta dei pantaloni è già aperta, il cazzo eretto svetta nudo e pulsante. Con uno strattone mi invita a prenderlo in mano. Rivolgo gli occhi al padrone che con lo sguardo mi ordina di fare quello che devo.
Le mie dita circondano il cazzo, ne seguono i contorni, le vene, il folto pelo in mezzo al quale si erge, risalgono fino al cercine dove si svela il glande umido e nudo. Lo masturbo con movimenti lenti. L’uomo si appoggia allo schienale con un profondo sospiro e la sua mano lascia la mia. So cosa fare, lo masturbo. Il padrone ora sorride. Aumento il ritmo, il ventre dell’uomo è contratto, stringo con forza maggiore. Sento crescere le pulsazioni, sento l’onda del suo piacere che sale per esplodermi nella mano.
Rimango di nuovo sola dopo qualche minuto. Si è pulito in fretta e si è allontanato. Guardo il viso del padrone illuminato dalla luce dello schermo, sorride, sembra contento quando mi vede annusare le dita che poi con la lingua pulisco con cura. Mi rilasso appoggiandomi allo schienale. Mi sento appagata e felice di averlo soddisfatto.
Non è come penso. Avverto una nuova presenza. Un altro mi afferra la mano ancora bagnata per il precedente contatto. Non faccio più resistenza, le dita incontrano un nuovo membro eretto, più grosso del precedente. Guardo il padrone che mi sussurra adagio “Chinati. Usa la bocca!”. Sono spaventata ed eccitata ma so che non devo avere paura. Lui è qui per proteggermi, per prendersi cura di me. Una mano si posa sulla nuca e mi fa chinare sul membro esposto. Lenta inizio la fellatio che si fa via via più profonda e decisa. Reprimo un conato di vomito, nel naso un odore di maschio e di urina. La mano sulla nuca mi spinge ancora più giù, la punta del naso schiacciata contro il ventre peloso.
Poi la mano si leva dalla testa, continuo senza che solleciti il ritmo e la penetrazione. Gioco con la lingua e i denti. Sento il respiro dell’uomo farsi affannoso e veloce. La mano mi afferra un seno, lo stringe e lo rilascia al ritmo della fellatio. Finalmente solleva dalla seduta l’addome contratto e libera nella mia bocca lo sperma copioso. Un nuovo conato ma so che non posso sprecarne nemmeno una goccia. Lo trattengo fino a quando finisce, poi mi sollevo. Ho le labbra serrate, in bocca il piacere dell’altro che ingoio guardando negli occhi il padrone.
Sono sudata, stanca, eccitata. Il film che guardo senza vedere non è ancora finito. Un’altra mano sotto la gonna mi apre le cosce. Ulteriore atto della mia educazione. Gli occhi del padrone fissi nei miei mentre nuove dita si fanno largo nella mia intimità, giocano sapienti con il clitoride eretto. Lo stringono, lo accarezzano prima dolci e poi nervose. Scivolo in avanti sul sedile per favorire la penetrazione. Un dito gioca con lo sfintere dell’ano, poi penetra. Sento su di me, sulla mia pelle, il respiro pesante dello sconosciuto. Combatto tra il desiderio di scappare e quello di abbandonarmi alle sue dita e al mio piacere che nasce. Mi abbandono a quelle dita e alla mano che apre i lembi della camicia e scivola sotto il leggero tessuto del reggiseno. Mi abbandono alle dita che stringono con crudele piacere il capezzolo morbido.
Finalmente chiudo gli occhi. Brividi e tremori abbattono le ultime resistenze. Lascio che il ventre si contragga nel piacere che nasce. Apro le cosce e lasciva mi consegno alle mani sconosciute e allo sguardo soddisfatto ed eccitato del padrone. Abbandono la testa contro l’alto schienale e lecco le dita ancora odorose del piacere di altri mentre vengo travolta dalle onde impetuose di un orgasmo che sembra non avere fine.
Il tempo sembra essersi fermato ma quando riprendo coscienza di me sullo schermo scorrono i titoli di coda. Il padrone, l’uomo che mi accompagna e guida in questo lungo viaggio che non ha fine, è di nuovo seduto al mio fianco. Premuroso mi stringe la mano e mi porge un fazzolettino di carta perché mi pulisca almeno il viso imbrattato dal trucco disfatto degli occhi e delle labbra.
“Sei pronta a uscire? E magari non ti sei nemmeno accorta di quella donna che non si è persa un attimo delle tue esibizioni da troia!” Lo guardo e interrogo muta. “Si, una donna. Troia come te, era lì con il compagno o il marito. Lui guardava attento attento il film, lei di certo non l’ha fatto”. Non so cosa significhi questa cosa che mi sta dicendo ma capisco che è un messaggio importante che mi sta inviando.
Poco dopo siamo in strada, nella luce del pomeriggio che cede alla sera. Perduta mi stringo al suo braccio. Io gli appartengo.
Poche settimane dopo quella prima volta l’anormalità era norma. Mi spogliavo esibendomi nuda al ritmo di una musica nella mia testa, davanti a un uomo che conoscevo solo di nome. Un nome, un nickname, un numero di telefono e un indirizzo di posta era tutto quello che sapevo e potevo sapere di lui. Di me invece sapeva tutto, l’indirizzo, il nome e il cognome, i nomi di marito e figli, il loro aspetto, i volti. Tutta mi ero consegnata a quello che con inesorabile lentezza era diventato il mio padrone.
Tutto sapeva di me quando mi usava e mi sottoponeva, come nudo e obbediente strumento, alle sue voglie, ai giochi erotici, a quelle dolci torture che mi portavano, come onde del mare, dal dolore più intenso al più inebriante piacere, fino alla dolce e piatta calma del dopo. Quando le morbide e sapienti mani, le suadenti e seducenti parole, i teneri baci calmavano il pianto, sedavano il tremore, lenivano il dolore e il senso di colpa che mi invadeva sempre dopo, mentre mi arrampicavo a fatica fuori dall’abisso di lussuria e piacere in cui lui mi trascinava senza alcuno sforzo.
Anche quella volta mi ero già eccitata mentre mi spogliavo e indovinavo il sorriso stirare le sue labbra, quelle labbra così morbide quando mi premiava baciandomi, contento della mia sottomissione e obbedienza.
Per la prima di molte successive volte quel giorno mi ha fatta stendere nuda e con lucidi nastri di seta rossa ha legato polsi e caviglie a spalliera e pediera del letto. Mi ha chiesto se ero scomoda e se i lacci erano troppo stretti, si prendeva cura di me. “Sto bene e sono felice se tu sei contento di me!”. Con un sorriso feroce ha stretto con nuova forza i lacci che mi legavano al letto strappandomi un grido di sorpresa e paura.
Quando, con una fascia di seta nera, mi ha bendato gli occhi sono stata colta dal panico. Non ero mai stata così in sua completa balia. La carezza e la voce hanno placato l’ansia, ancora una volta mi sono consegnata di corpo e di mente al suo volere.
Rivedo tutto mentre cammino per strada con lui e sento già il piacere inumidire il mio sesso. Ricordo le sue dita scivolare sulla pelle, fermandosi dove più danno piacere, portarmi quasi sul culmine per poi abbandonarmi. Un soffio, il respiro tra le mie cosce umide e calde. Brividi intensi, capezzoli eretti.
Improvviso un acuto dolore, come due morsi. La sua voce vicino all’orecchio “Stai calma, non devi ancora godere. Ti devo fermare. Ora lasciati andare al dolore. Sono solo due mollette metalliche che stringono quei piccoli chiodi… Lasciati andare, vedrai che il dolore diventerà solo piacere”
La pelle coperta di leggero sudore. Tremavo, ricordo piccoli brividi correre lungo il ventre e la schiena, partire dalle labbra gonfie e bagnate, sfiorare il perineo acceso e salire fino alla nuca sotto i capelli sudati e incollati alla pelle. I muscoli dell’addome contratti, la schiena inarcata per l’imminente piacere. Uno schiaffo e subito un altro “Tu devi fare quello che dico. Godrai quando voglio io. Hai capito, vero, chi comanda!?”
Mi sono bloccata e messa a piangere. Una carezza sul viso “Stai calma, non ti succede nulla di male. Fai solo come ti dico”. Le sue mani sui seni, li stringevano forte, la lingua accarezzava la figa bagnata e aperta.
Poi si è alzato dal letto, mi sono sentita sola nel silenzio improvviso. L’ho chiamato, implorato di restare con me. “Farò quello che chiedi, qualunque cosa. Sono la tua troia, la tua puttana. Per te, per il tuo piacere. Ma torna da me, resta con me”.
Il suo membro sulle labbra, con la lingua ho accarezzato il glande. Ho aperto la bocca per prenderlo. “Quando vorrò un pompino te lo dirò. Non sei tu che decidi”. Mi ha schiaffeggiato con il cazzo duro, una guancia, poi l’altra.
La lingua ha ripreso a giocare sapiente con il mio sesso, stimolando con maestria, portandomi di nuovo sul limite che non potevo superare senza permesso. Nuovi tremori, altri gemiti, l’ho implorato di prendermi. Ha appoggiato il membro eretto sulla mia fessura, ha esplorato le labbra gonfie e spalancate in attesa. Mi sono spinta in avanti cercando di farmi penetrare e porre fine a questo tormento.
Una risata cattiva, un altro schiaffo. “Non è ancora tempo, puttana”. Un nuovo lieve rumore, come un ronzio. Un vibrante giocattolo scivolava inesorabile su tutta la pelle, esplorava ogni fessura, ogni interstizio e ogni curva. Raggiungeva con implacabile lentezza la figa, titillava il clitoride eretto e fremente, percorreva leggero il perineo fino ad affacciarsi al piccolo fiore dell’ano inviolato, e così mi preparava alla resa totale al suo e mio piacere.
Dopo minuti che sembravano ore ho supplicato che la meravigliosa tortura cessasse. Il ronzio si è spento, di nuovo silenzio. Un sospiro e una voce “Dimmi cosa vuoi!”.
E io ho pregato, gli ho detto che ero sua e lui padrone del mio corpo e ancor più della mente.
Nessuna pietà. Mi ha stretto ancora con forza un seno, poi ha levato le mollette dai capezzoli. Il dolore è tornato intenso con la sensibilità che rinasceva, di nuovo ho pianto. Il sudore si mescolava alle lacrime, scivolava come un piccolo rivolo lungo il collo, tra i seni. Un lago in mezzo alle cosce. Ho trattenuto un grido. Delirio dei sensi. Con voce rotta ho pregato di porre fine al gioco, con le parole che voleva sentire. “Fottimi, scopami, lascia che goda”.
“Non ancora. Ora usa la bocca e la lingua”. Ho baciato il cazzo appoggiato alle labbra, poi grata l’ho accolto in bocca e con la lingua ho cercato di dargli il piacere più intenso. Lo sentivo pulsare, lo sentivo vibrare. Ma non era ancora pronto. Mi ha tolto di bocca il premio tanto atteso. Mi ha slegato polsi e mani, mi ha girato prona “Ora, in ginocchio”.
Obbedendo l’ho accolto. In pochi istanti mi ha portato sulla soglia sperata. Ma lui si è fermato, sapevo che sorrideva eccitato e feroce. “Non ancora. Non ti ho detto che puoi!”.
Di nuovo è scivolato fuori di me e poi ha violato il piccolo fiore indifeso. “Tutto di te mi appartiene. Sei il mio nuovo giocattolo”. Mi ha riempito il ventre. Il dolore della penetrazione ha lasciato presto il posto al piacere. “Ora…Ora puoi godere!”. Finalmente mi ha liberato dalle catene, finalmente ho potuto lasciare libero il corpo.
Altri colpi violenti dentro di me. Pochi secondi e anche lui ha liberato il suo sperma nel mio ventre. Mi sono sentita nuda e vuota quando mi ha lasciato. “Ora pulisci!”. Ho avvicinato la bocca al membro e con la lingua ho raccolto le tracce restanti dello sperma e del ventre.
Poi si è rivestito, senza un bacio, un sorriso, una parola gentile. In quel preciso momento ho capito davvero di essere sua, prigioniera delle sue voglie e fantasie.
Questi sono i pensieri e i ricordi mentre in silenzio, al suo braccio, sto andando nel cinema che lui ha scelto. Oggi è il giorno temuto. Me l’ha detto che oggi sarà diverso, che io sarò oggetto di altri. Mi ha ordinato come vestirmi sotto il leggero soprabito: una camicia dal taglio maschile con solo tre bottoni allacciati, una gonna ampia e sopra il ginocchio, niente calze, un tanga e un reggiseno di pizzo neri. Un trucco leggero degli occhi, niente fondotinta e poco rossetto o lucidalabbra. Capelli raccolti a coda di cavallo.
Sono confusa ed emozionata. Lui mi guida in una piccola sala semibuia. Non ho visto nemmeno che film proiettano ma credo che non sia importante, credo che sarò io lo spettacolo.
E’ una sala lunga e stretta. Per ogni fila quattro divanetti a doppia seduta, due a ciascun lato del corridoio centrale. Ci sono solo cinque spettatori. Una coppia di persone anziane e tre uomini seduti ciascuno su un diverso divanetto nelle ultime due file. Lui mi fa sedere nella terz’ultima fila e si siede vicino. Mi posa una mano padrona sulla coscia, la stringe con forza e mi ordina “Dammi il tanga!”. So di non poter discutere, me lo dice la mano sulla coscia che stringe con ancora maggiore violenza.
Mi sfilo il tanga e glielo consegno. Lui lo annusa prima di metterlo in tasca “Sei già bagnata, vero??”. Poi controlla i bottoni della camicia. “Avevo detto tre allacciati, non quattro!”, ne slaccia uno quasi con rabbia. Si alza e va a sedere nella fila davanti. La sala ora è quasi buia per l’inizio della proiezione. Ma non guarda il film, è girato, rivolto verso di me.
Non capisco, poi qualcuno si siede vicino e mi prende una mano. Resisto. Non cedo. “Guarda davanti, scema!” e vedo Lui che sorride e solo allora capisco. Comincia il gioco che devo giocare.
Lo sconosciuto riprende la mano, ora docile, e se la porta in grembo. La patta dei pantaloni è già aperta, il cazzo eretto svetta nudo e pulsante. Con uno strattone mi invita a prenderlo in mano. Rivolgo gli occhi al padrone che con lo sguardo mi ordina di fare quello che devo.
Le mie dita circondano il cazzo, ne seguono i contorni, le vene, il folto pelo in mezzo al quale si erge, risalgono fino al cercine dove si svela il glande umido e nudo. Lo masturbo con movimenti lenti. L’uomo si appoggia allo schienale con un profondo sospiro e la sua mano lascia la mia. So cosa fare, lo masturbo. Il padrone ora sorride. Aumento il ritmo, il ventre dell’uomo è contratto, stringo con forza maggiore. Sento crescere le pulsazioni, sento l’onda del suo piacere che sale per esplodermi nella mano.
Rimango di nuovo sola dopo qualche minuto. Si è pulito in fretta e si è allontanato. Guardo il viso del padrone illuminato dalla luce dello schermo, sorride, sembra contento quando mi vede annusare le dita che poi con la lingua pulisco con cura. Mi rilasso appoggiandomi allo schienale. Mi sento appagata e felice di averlo soddisfatto.
Non è come penso. Avverto una nuova presenza. Un altro mi afferra la mano ancora bagnata per il precedente contatto. Non faccio più resistenza, le dita incontrano un nuovo membro eretto, più grosso del precedente. Guardo il padrone che mi sussurra adagio “Chinati. Usa la bocca!”. Sono spaventata ed eccitata ma so che non devo avere paura. Lui è qui per proteggermi, per prendersi cura di me. Una mano si posa sulla nuca e mi fa chinare sul membro esposto. Lenta inizio la fellatio che si fa via via più profonda e decisa. Reprimo un conato di vomito, nel naso un odore di maschio e di urina. La mano sulla nuca mi spinge ancora più giù, la punta del naso schiacciata contro il ventre peloso.
Poi la mano si leva dalla testa, continuo senza che solleciti il ritmo e la penetrazione. Gioco con la lingua e i denti. Sento il respiro dell’uomo farsi affannoso e veloce. La mano mi afferra un seno, lo stringe e lo rilascia al ritmo della fellatio. Finalmente solleva dalla seduta l’addome contratto e libera nella mia bocca lo sperma copioso. Un nuovo conato ma so che non posso sprecarne nemmeno una goccia. Lo trattengo fino a quando finisce, poi mi sollevo. Ho le labbra serrate, in bocca il piacere dell’altro che ingoio guardando negli occhi il padrone.
Sono sudata, stanca, eccitata. Il film che guardo senza vedere non è ancora finito. Un’altra mano sotto la gonna mi apre le cosce. Ulteriore atto della mia educazione. Gli occhi del padrone fissi nei miei mentre nuove dita si fanno largo nella mia intimità, giocano sapienti con il clitoride eretto. Lo stringono, lo accarezzano prima dolci e poi nervose. Scivolo in avanti sul sedile per favorire la penetrazione. Un dito gioca con lo sfintere dell’ano, poi penetra. Sento su di me, sulla mia pelle, il respiro pesante dello sconosciuto. Combatto tra il desiderio di scappare e quello di abbandonarmi alle sue dita e al mio piacere che nasce. Mi abbandono a quelle dita e alla mano che apre i lembi della camicia e scivola sotto il leggero tessuto del reggiseno. Mi abbandono alle dita che stringono con crudele piacere il capezzolo morbido.
Finalmente chiudo gli occhi. Brividi e tremori abbattono le ultime resistenze. Lascio che il ventre si contragga nel piacere che nasce. Apro le cosce e lasciva mi consegno alle mani sconosciute e allo sguardo soddisfatto ed eccitato del padrone. Abbandono la testa contro l’alto schienale e lecco le dita ancora odorose del piacere di altri mentre vengo travolta dalle onde impetuose di un orgasmo che sembra non avere fine.
Il tempo sembra essersi fermato ma quando riprendo coscienza di me sullo schermo scorrono i titoli di coda. Il padrone, l’uomo che mi accompagna e guida in questo lungo viaggio che non ha fine, è di nuovo seduto al mio fianco. Premuroso mi stringe la mano e mi porge un fazzolettino di carta perché mi pulisca almeno il viso imbrattato dal trucco disfatto degli occhi e delle labbra.
“Sei pronta a uscire? E magari non ti sei nemmeno accorta di quella donna che non si è persa un attimo delle tue esibizioni da troia!” Lo guardo e interrogo muta. “Si, una donna. Troia come te, era lì con il compagno o il marito. Lui guardava attento attento il film, lei di certo non l’ha fatto”. Non so cosa significhi questa cosa che mi sta dicendo ma capisco che è un messaggio importante che mi sta inviando.
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