Lo specchio
di
Anonima1981
genere
saffico
Mi guardo nello specchio, nel grande specchio che ho voluto, testardamente voluto, quando abbiamo rifatto il bagno. Lo specchio sopra il lavandino che rimanda l’immagine di una donna, dalla testa fino al bacino. I capelli corti tinti di un biondo che ieri splendeva e che oggi sembra così spento. “Dovrebbe fare la cheratina!”, come dice ogni volta la parrucchiera mentre guarda la ragazza che mi fa le unghie.
I capelli incorniciano un viso stanco, la ragnatela intorno agli occhi oggi sembra più fitta come se qualche ragnetto dispettoso avesse lavorato sodo durante la notte. Più profonde le rughe che scendono dalle ali del naso verso gli angoli della bocca. Più sottili le labbra che non avevano bisogno di trucco e colore per mostrare la loro sensualità, per suggerire audaci pensieri o illecite fantasie.
Guardo i primi segni del tempo sulla pelle del collo, giù fino al principiare del solco tra i seni che occhieggia dallo scollo chiuso dell’accappatoio bianco. Le lunghe dita magre accarezzano le guance, le pizzicano a dare colore, le sollevano a ricordare l’età giovane.
Oggi compio gli anni. Evviva, fanculo!
Sono sola a casa, tutti sono usciti, marito e figli. Sono sola in casa e lo specchio rimanda l’immagine di una donna di mezza età. Le mani abbandonano le guance e scendono, come dotate di loro volontà, a slacciare la cintura in vita. L’accappatoio scivola sulla pelle lasciando nude le spalle e poi continua la sua corsa fino a cadere invisibile sul pavimento, ai miei piedi.
Prendo nelle mani i seni. Li soppeso, pesanti, sentono il tempo che passa. Stoicamente resistono ancora alla forza di gravità, maledetto Newton e le sue mele!! Le areole chiare ora più piccole di quando avevo vent’anni. Anche la natura mi sussurra in silenzio quello che gli occhi mi dicono nello specchio. Quei seni che i ragazzi chiamavano tette, ridendo, ora sono mammelle.
Prendo tra le dita i capezzoli, li stringo forte fino a farmi chiudere gli occhi. Poi, dolenti, li lascio, le mani scivolano verso il pube. Accarezzano con tenerezza la cicatrice quasi scomparsa del primo cesareo che, perlacea, cerca di nascondersi alla vista in mezzo ai primi riccioli scuri. Le dita scendono a incontrare gli umori che le fantasie colpevoli sollecitano senza troppa insistenza.
Apro gli occhi e lo specchio rimanda l’immagine. Ma com’è che ora il biondo spento sembra più acceso e vivo, la ragnatela meno fitta, le rughe quasi solo accennate, più morbide e piene le labbra che la lingua rosea accarezza?
Le dita si nascondono nell’intimo nido e nervose raccolgono il tiepido umore prima che tutto si perda tra le cosce tra loro serrate a impedirne la fuga. Un lungo brivido intenso mi scuote quando la bocca accoglie le dita intrise del mio desiderio. Appoggio la schiena nuda contro le fredde ceramiche.
L’immagine ora è completa. Gli occhi scuri spalancati a rubare ogni dettaglio. Le labbra socchiuse, i denti a imprigionare il sapore di me, i capezzoli eretti che seguono il ritmo dettato dal respiro veloce, l’addome contratto, il piccolo monte peloso e già umido di sudore e piacere imminente. E poi abbagliante il pensiero nascosto sotto la pelle. Il pensiero di lei.
Lei che mi ha visto e mi ha guardata come da tempo nessuno mi guardava o voleva guardarmi. Lei che per prima mi ha parlato mentre da sola bevevo un caffè con gli occhi annegati nella tazzina. Lei che mi ha fatto sorridere per piccole cose e piangere per verità nascoste. Lei che mi ha stretto le dita tra le sue e ha preso nelle sue mani il mio cuore. Lei che mi ha guidato per sentieri inesplorati e invisibili in mezzo alle strade piene di gente della città.
Lei che mi ha raccontato che ci sono tanti modi di amare e me li ha fatti vivere giorno per giorno. Sedute su una panchina in un parco in un giorno di sole. Strette sotto un ombrello troppo piccolo in un giorno di pioggia. Vicine nelle poltrone di velluto scuro di un cinema a vedere due volte di fila una favola piena d’amore e passione, anticipando le battute degli attori e i baci delle protagoniste. Sedute nella saletta piccola di un caffè di periferia, le mani allacciate sotto il tavolino e gli occhi persi negli occhi. Chiuse in un’auto a tormentarci le labbra e la pelle. Vicine sulle lenzuola stropicciate di un letto sconosciuto e imperfetto, mentre sudate e sempre meno impaurite prendevamo coscienza di noi.
Lei che, come me, inventa il tempo segreto e ruba le ore al pubblico quotidiano. Lei che soffoca i timori e i sensi di colpa. Lei che vive con me un viaggio fatto di nuvole e d’aria, di carne e di sangue. Lei che ora è qui, fantasma reale e splendente nella sua nudità che lo specchio riflette magico.Lei, Inés.
Nel tempo che ora si ferma e sospende la corsa Inés reclina indietro la testa e sparge sulla mia spalla la cascata dei lunghi capelli colore del mare nelle notti d’estate. Ha gli occhi chiusi e le labbra socchiuse mentre offre il suo collo alla bocca affamata di lei. Gli occhi accarezzano la pelle illuminata dai led del grande specchio, le piccole imperfezioni che il desiderio trasmuta. Le mani si colmano dei generosi seni morbidi, le dita accarezzano lievi gli eccitati capezzoli, gli occhi le guidano verso il ventre contratto e nel pelo setoso del pube.
Inés ora spia le labbra che si posano a catturare l’umido velo che risplende sulla sua pelle. La mano mi accompagna fra le cosce già bagnate che subito serra imprigionandomi nella prigione da cui mai vorrei fuggire. Un dito penetra solitario e curioso a carpire i segreti del suo desiderio, poi le altre dita si uniscono al moto sapiente che presto diventa saffico gioco. Dolce è la carne della sua spalla sotto il morso feroce dei denti. Il suo respiro si fa via via più veloce, poi… ecco, si ferma in un attimo che sembra infinito e dalle labbra dischiuse le sfugge un rauco, lungo sospiro.
Inés si volta, gli occhi nascosti in mezzo ai capelli sudati. Lentamente il suo viso annulla lo spazio che lo separa da mio, attratti come poli opposti di calamita. Senza chiudere gli occhi prende tra le labbra il mio labbro, lo succhia, lo imprigiona senza via di scampo, lo morde con tenerezza che da dolce diventa feroce.. Poi lenisce con la lingua il dolore.
Le sue dita scivolano dolci sul collo e sulle spalle, fanno da compagne alle labbra che lente coprono di rapidi baci la pelle giù fino al morbido solco tra le mammelle. Tremo per i brividi che, senza tregua, dalla nuca vanno a perdersi in mezzo ai glutei e nel piccolo e tenero spazio che precede la mia intimità arresa al piacere.
Poi le mani diventano padrone dei seni. I capezzoli tra le sue labbra diventano schiavi della sua tiepida lingua e poi delle dita che sanno amarli come sanno fare solo le mie. Li prendono e li stringono fino allo spasimo, fino a quando il dolore sembra insopportabile per poi annullarsi e lasciare spazio al piacere.
Le testa di Inés affonda ora nel mio ventre, i lunghi scuri capelli a coprire il monte del piacere offerto alla sua bocca, al suo desiderio. La lingua gioca con il bocciolo eccitato. Poi lo lascia orfano del suo tocco lascivo e di nuovo mi penetra per poi ritrarsi, in un gioco continuo, senza tregua, atteso e pur sempre nuovo. La saliva si mescola al mio umore, al dolce e appiccicoso miele di donna.
Le mani stringono i miei glutei e affondano le unghie nella tenera pelle.
E poi ecco, un lampo squarcia il cielo dietro le mie palpebre chiuse, il fulmine lo attraversa come un lungo brivido che lento si perde dentro di me. Apro gli occhi. Mi guardo, nudo e solitario riflesso.
I capelli umidi e incollati alla fronte, il viso bagnato di acqua che sa di sale. Le punte dei seni calde e dolenti, le mani ancora nascoste in mezzo alle cosce serrate e bagnate di me, il pube intriso di umori.
Piango. Un pianto che sa di gioia e di dolore, di tristezza e di amore, di desiderio e di piacere.
Specchio, specchio delle mie brame…
I capelli incorniciano un viso stanco, la ragnatela intorno agli occhi oggi sembra più fitta come se qualche ragnetto dispettoso avesse lavorato sodo durante la notte. Più profonde le rughe che scendono dalle ali del naso verso gli angoli della bocca. Più sottili le labbra che non avevano bisogno di trucco e colore per mostrare la loro sensualità, per suggerire audaci pensieri o illecite fantasie.
Guardo i primi segni del tempo sulla pelle del collo, giù fino al principiare del solco tra i seni che occhieggia dallo scollo chiuso dell’accappatoio bianco. Le lunghe dita magre accarezzano le guance, le pizzicano a dare colore, le sollevano a ricordare l’età giovane.
Oggi compio gli anni. Evviva, fanculo!
Sono sola a casa, tutti sono usciti, marito e figli. Sono sola in casa e lo specchio rimanda l’immagine di una donna di mezza età. Le mani abbandonano le guance e scendono, come dotate di loro volontà, a slacciare la cintura in vita. L’accappatoio scivola sulla pelle lasciando nude le spalle e poi continua la sua corsa fino a cadere invisibile sul pavimento, ai miei piedi.
Prendo nelle mani i seni. Li soppeso, pesanti, sentono il tempo che passa. Stoicamente resistono ancora alla forza di gravità, maledetto Newton e le sue mele!! Le areole chiare ora più piccole di quando avevo vent’anni. Anche la natura mi sussurra in silenzio quello che gli occhi mi dicono nello specchio. Quei seni che i ragazzi chiamavano tette, ridendo, ora sono mammelle.
Prendo tra le dita i capezzoli, li stringo forte fino a farmi chiudere gli occhi. Poi, dolenti, li lascio, le mani scivolano verso il pube. Accarezzano con tenerezza la cicatrice quasi scomparsa del primo cesareo che, perlacea, cerca di nascondersi alla vista in mezzo ai primi riccioli scuri. Le dita scendono a incontrare gli umori che le fantasie colpevoli sollecitano senza troppa insistenza.
Apro gli occhi e lo specchio rimanda l’immagine. Ma com’è che ora il biondo spento sembra più acceso e vivo, la ragnatela meno fitta, le rughe quasi solo accennate, più morbide e piene le labbra che la lingua rosea accarezza?
Le dita si nascondono nell’intimo nido e nervose raccolgono il tiepido umore prima che tutto si perda tra le cosce tra loro serrate a impedirne la fuga. Un lungo brivido intenso mi scuote quando la bocca accoglie le dita intrise del mio desiderio. Appoggio la schiena nuda contro le fredde ceramiche.
L’immagine ora è completa. Gli occhi scuri spalancati a rubare ogni dettaglio. Le labbra socchiuse, i denti a imprigionare il sapore di me, i capezzoli eretti che seguono il ritmo dettato dal respiro veloce, l’addome contratto, il piccolo monte peloso e già umido di sudore e piacere imminente. E poi abbagliante il pensiero nascosto sotto la pelle. Il pensiero di lei.
Lei che mi ha visto e mi ha guardata come da tempo nessuno mi guardava o voleva guardarmi. Lei che per prima mi ha parlato mentre da sola bevevo un caffè con gli occhi annegati nella tazzina. Lei che mi ha fatto sorridere per piccole cose e piangere per verità nascoste. Lei che mi ha stretto le dita tra le sue e ha preso nelle sue mani il mio cuore. Lei che mi ha guidato per sentieri inesplorati e invisibili in mezzo alle strade piene di gente della città.
Lei che mi ha raccontato che ci sono tanti modi di amare e me li ha fatti vivere giorno per giorno. Sedute su una panchina in un parco in un giorno di sole. Strette sotto un ombrello troppo piccolo in un giorno di pioggia. Vicine nelle poltrone di velluto scuro di un cinema a vedere due volte di fila una favola piena d’amore e passione, anticipando le battute degli attori e i baci delle protagoniste. Sedute nella saletta piccola di un caffè di periferia, le mani allacciate sotto il tavolino e gli occhi persi negli occhi. Chiuse in un’auto a tormentarci le labbra e la pelle. Vicine sulle lenzuola stropicciate di un letto sconosciuto e imperfetto, mentre sudate e sempre meno impaurite prendevamo coscienza di noi.
Lei che, come me, inventa il tempo segreto e ruba le ore al pubblico quotidiano. Lei che soffoca i timori e i sensi di colpa. Lei che vive con me un viaggio fatto di nuvole e d’aria, di carne e di sangue. Lei che ora è qui, fantasma reale e splendente nella sua nudità che lo specchio riflette magico.Lei, Inés.
Nel tempo che ora si ferma e sospende la corsa Inés reclina indietro la testa e sparge sulla mia spalla la cascata dei lunghi capelli colore del mare nelle notti d’estate. Ha gli occhi chiusi e le labbra socchiuse mentre offre il suo collo alla bocca affamata di lei. Gli occhi accarezzano la pelle illuminata dai led del grande specchio, le piccole imperfezioni che il desiderio trasmuta. Le mani si colmano dei generosi seni morbidi, le dita accarezzano lievi gli eccitati capezzoli, gli occhi le guidano verso il ventre contratto e nel pelo setoso del pube.
Inés ora spia le labbra che si posano a catturare l’umido velo che risplende sulla sua pelle. La mano mi accompagna fra le cosce già bagnate che subito serra imprigionandomi nella prigione da cui mai vorrei fuggire. Un dito penetra solitario e curioso a carpire i segreti del suo desiderio, poi le altre dita si uniscono al moto sapiente che presto diventa saffico gioco. Dolce è la carne della sua spalla sotto il morso feroce dei denti. Il suo respiro si fa via via più veloce, poi… ecco, si ferma in un attimo che sembra infinito e dalle labbra dischiuse le sfugge un rauco, lungo sospiro.
Inés si volta, gli occhi nascosti in mezzo ai capelli sudati. Lentamente il suo viso annulla lo spazio che lo separa da mio, attratti come poli opposti di calamita. Senza chiudere gli occhi prende tra le labbra il mio labbro, lo succhia, lo imprigiona senza via di scampo, lo morde con tenerezza che da dolce diventa feroce.. Poi lenisce con la lingua il dolore.
Le sue dita scivolano dolci sul collo e sulle spalle, fanno da compagne alle labbra che lente coprono di rapidi baci la pelle giù fino al morbido solco tra le mammelle. Tremo per i brividi che, senza tregua, dalla nuca vanno a perdersi in mezzo ai glutei e nel piccolo e tenero spazio che precede la mia intimità arresa al piacere.
Poi le mani diventano padrone dei seni. I capezzoli tra le sue labbra diventano schiavi della sua tiepida lingua e poi delle dita che sanno amarli come sanno fare solo le mie. Li prendono e li stringono fino allo spasimo, fino a quando il dolore sembra insopportabile per poi annullarsi e lasciare spazio al piacere.
Le testa di Inés affonda ora nel mio ventre, i lunghi scuri capelli a coprire il monte del piacere offerto alla sua bocca, al suo desiderio. La lingua gioca con il bocciolo eccitato. Poi lo lascia orfano del suo tocco lascivo e di nuovo mi penetra per poi ritrarsi, in un gioco continuo, senza tregua, atteso e pur sempre nuovo. La saliva si mescola al mio umore, al dolce e appiccicoso miele di donna.
Le mani stringono i miei glutei e affondano le unghie nella tenera pelle.
E poi ecco, un lampo squarcia il cielo dietro le mie palpebre chiuse, il fulmine lo attraversa come un lungo brivido che lento si perde dentro di me. Apro gli occhi. Mi guardo, nudo e solitario riflesso.
I capelli umidi e incollati alla fronte, il viso bagnato di acqua che sa di sale. Le punte dei seni calde e dolenti, le mani ancora nascoste in mezzo alle cosce serrate e bagnate di me, il pube intriso di umori.
Piango. Un pianto che sa di gioia e di dolore, di tristezza e di amore, di desiderio e di piacere.
Specchio, specchio delle mie brame…
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