Mia

di
genere
saffico

Puntuale. No, anzi in anticipo. Inutile prendersi in giro, ero già in piedi ai primi chiarori dell’alba. Ho perso tempo a fare la doccia e lavarmi la testa, con lei dentro la testa e in mezzo alle cosce. Per finire con i seni schiacciati contro il vetro bagnato del box. Come sempre, al mattino, da quando c’è lei.
Ho perso tempo a bere il caffè con il solito goccio di latte di soia. Nel silenzio della mia casa vuota.
Sono stata più attenta a truccarmi gli occhi. Un sottile strato di lucidalabbra.
Davanti allo specchio dell’armadio ho indossato e tolto non so quante camicette e T-shirt. Una gonna? No, meglio i pantaloni, quelli neri che mi allungano e mi fanno sembrare più magra. Le scarpe con il tacco o meglio le sneakers?
Le sneakers. Magari devo camminare di più di quello che penso. Un po’ di profumo, non troppo, il giusto: “La vie est belle”. Lei sa che è il mio. Forse lo riconosce. Un ultimo sguardo allo specchio.
Si. Sono pronta. Eppure è ancora troppo presto. Mi siedo e leggo il giornale sul tablet. Le parole scorrono sotto i miei occhi senza che ne fermi in senso nella mia testa. Inutile. Un altro caffè?!
Finalmente. Ora esco. Il giorno è arrivato. Ce lo siamo dette quasi da subito che ci saremmo incontrate. Due anime perse che non si sono mai viste e che si sono trovate. Salgo in auto; l’ho posteggiata vicino a casa ieri, trovando un posto a pochi metri. E’ ancora fresca l’aria a quest’ora, in questo maggio che non si arrende alla primavera.
Ci vuole poco più di un’ora, se non c’è traffico. Guido e penso a lei. Sarà emozionata? Tranquilla? Come si vestirà? Penserà a cosa mi farebbe piacere che indossasse? Rido come una scema: ci ho messo dieci minuti abbondanti a scegliere slip e reggiseno, pur sapendo che non li vedrà. E se invece accadesse? Il pensiero già mi emoziona, mi riscalda. Stai attenta, concentrati sulla strada!
Sono passati solo pochi mesi da quando ho letto il commento in calce al mio racconto. Un nickname accattivante si accompagnava a un’immagine piena di luce e colore. Ho risposto. Un brivido mi corre lungo la schiena se penso ai nostri primi scambi di parole, prudenti, esploranti, timidi quasi. Ma alla fine rimanevano solo commenti in calce a racconti, altri miei, alcuni suoi.
Il semaforo è rosso, me ne accorgo all’ultimo istante. Freno d’istinto, un signore sulle strisce pedonali mi guarda con rabbia curiosa. La città si è svegliata, i palazzi del centro lasciano il posto a strade più nuove, ai nuovi quartieri di periferia. Dormitori. Centri commerciali, grandi, disturbanti, alienanti. Pieni di odori di cibo e profumi, rumori di tazze e di piatti, offerte e occasioni che tali non sono mai.
Ecco, sono arrivata. Ma sono ancora in anticipo. E se lei è qui e allora sono in ritardo? Trovo posto in un enorme parcheggio sotterraneo già molto affollato. Rimango seduta, devo calmarmi. Sedare il respiro e il cuore. Mi guardo nello specchietto. Sono sudata? Forse dovevo mettere un po’ più di profumo. Calmati.
Alla fine un “amico” comune ci ha messe in contatto. La sua mail, la mia. Ha scritto, ho risposto. Le parole ci hanno svelato, lentamente, come è giusto che sia. Giorno per giorno ci siamo raccontate: la vita, gli affetti, i figli, i mariti, le delusioni, le gioie. Il tempo che passa. Le passioni, i desideri. Persino le morti, perché anche quelle sono nelle nostre vite.
La conoscenza è diventata amicizia. Si può diventare amici partendo da un commento in un sito di racconti? Racconti erotici, per giunta? Non lo so, forse si. A me è successo. Ora mi sono calmata nel ricordo di quei giorni e di quelle prime settimane. Scendo dall’auto e cerco con lo sguardo gli ascensori che forse mi porteranno da lei.
Senza che ce ne accorgessimo, l’amicizia è diventata affetto e poi passione e desiderio, senza osare mai pronunciare la parola che fa paura. Le volevo inviare una fotografia. Volevo che vedesse il mio viso, volevo vedere il suo. Mi ha detto di no, che era meglio così. All’inizio sono rimasta delusa. Poi ho capito che aveva ragione. I misteri del cuore.
Abbiamo fatto l’amore. Improvvisamente, un giorno ci siamo amate. Un timido bacio scritto sulla pagina bianca è diventato di fuoco. Le sue parole hanno accolto i miei seni, ne hanno disegnato i contorni. Le mie dita sulla tastiera hanno accarezzato e penetrato il suo piacere.
A quel giorno altri ne sono seguiti. Al mattino, nelle prime luci del giorno. Alla sera prima che gli occhi, chiudendosi, ci accompagnassero nella terra dei sogni.
Voleva sentire la mia voce, voleva farmi sentire la sua. Voleva sentirmi ridere, piangere, godere di lei e con lei. Questa volta, io ho avuto paura. Le ho detto di no. Abbiamo vissuto ancora così, per altri giorni, settimane, mesi. Nutrendoci delle nostre parole, delle immagini scritte, delle carezze lette e inviate, illuminate dalla luce di un piccolo schermo che più non riusciva a contenere le emozioni e i desideri.
E’ diventato facile incontrare il piacere. Facile lasciarsi cadere nell’umido pozzo illuminato dalla luce abbagliante del godimento. Le mie dita erano le sue, i miei seni erano i suoi. Come le labbra, la lingua, l’odore e il miele copiosi. Lontane, dietro anonimi schermi, eppure insieme, unite, abbracciate, incollate, un solo corpo. Accecate dal dolce inganno del desiderio.
L’ascensore, già pieno in queste prime ore, mi porta al piano indicato. Le porte scorrevoli si aprono e mi gettano in mezzo a una folla che ride, gesticola, parla, grida. In mezzo a un frastuono di musica, altoparlanti che invitano, macchine del caffè che sbuffano.
Lei sa come sono, io so come è lei. Ne conosco il colore dei capelli e degli occhi. Quanto è alta, le gambe lunghe, il seno pieno. Mi ha accennato a come si vestirà, non dicendomi proprio tutto. Nemmeno io l’ho fatto con lei. So persino il profumo che usa. Qualche giorno fa sono anche andata nella profumeria sotto casa per prepararmi a riconoscerne la fragranza quando lei sarà vicina.
Quanta gente. Troppa. Sarà qui, lei? Il problema è che non l’ho mai vista e che non so nemmeno il suo numero di telefono. E, ovviamente, nemmeno lei. E’ questo il patto folle ed eccitante, la dolce scommessa. Ritrovarsi alla stessa ora, lo stesso giorno, nello stesso centro commerciale. Nelle vicinanze di un negozio prestigioso, una firma. E trovarsi o perdersi.
Mi siedo su una panchina, al centro di una piazza artificiale e piena di luce. Una mamma è seduta vicino a me con il suo bimbo. Come una scema ne spio il profumo: non può essere lei. Non è lei. Mi guardo in giro. Ecco una giovane donna che osserva una vetrina e poi improvvisamente si volta verso di me. Gli occhi neri mi fissano. Un tuffo al cuore. E’ lei!!
La giovane donna distoglie lo sguardo e si avvicina a un uomo, lo prende sotto braccio, lo bacia. Se ne vanno. Il cuore lentamente si calma, il galoppo si ferma. Dietro di me sento una voce. Qualcuno che chiama il mio nome. Mi alzo di scatto e mi giro. Delusa dalla donna già ingrigita dagli anni che chiama la figlia che si è allontanata.
Mi starà cercando anche lei? Mi avrà visto? Anche lei sarà stata delusa da una voce, dai capelli di un’altra. Da un vestito, da un paio di occhi curiosi?
Non ci siamo trovate. Stanca e intristita. Ero certa che l’avrei vista, che l’avrei abbracciata, che forse l’avrei baciata nascondendoci in qualche angolo più riservato e remoto. Riprendo la mia auto e torno verso casa nel giorno che già declina verso la sera. Domani la sentirò, la leggerò di nuovo. Di certo ci ameremo. Di certo le sue mani saranno nuovamente le mie, le mie dita saranno ancora le sue.
Io mi chiamo Carlotta. Lei si chiama Mia, un nome che è già promessa e desiderio.
scritto il
2024-12-08
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