Mercoledì
di
Biblioteca di Macondo
genere
voyeur
Sono tornata tardi stanotte.
Giro piano la chiave nel portoncino, una leggera spinta ed essa piroetta sui cardini in uno stridulo lamento, chiudo l'anta alle mie spalle e vengo circondata dall'eco del silenzio. Irreale e gravido di senso di colpa.
Intorno a me l'ingresso, in penombra, rischiarato dalla fioca luce del portico che filtra dalle persiane.
Conosco bene porte, mobili e suppellettili di questa dimora, non mi occorre illuminazione; punta contro tallone e mi sfilo le scarpe, scalza, mi dirigo al bagno. Devo lavarmi, ho bisogno di mondarmi mani e viso, di più:
"meglio una doccia" bisbiglio "qui, da basso, almeno non sveglio nessuno".
Costeggio la stanza da pranzo, getto un occhio al tavolo e vedo che è ancora apparecchiato, anche se arruffato; entro in cucina dove la luce accesa del forno irrora di giallo il tavolo e la ceramica del lavello, dentro un piatto: "che dolce, mi ha lasciato qualcosa in caldo, ma non ho fame" giro la manopola ed il buio regna. Riabituata la vista, noto due piatti, bicchieri e coltelli abbandonati sul gocciolatoio e lo strofinaccio a terra, la cosa un po' mi irrita:
"cacchio nonna" mi esce a fil di voce "sei peggio di babbo, che ti costerà mai... c'è la lavastoviglie: schiaffa dentro, no?".
Mi chino a raccogliere ed un cricchiolio sento arrivare dalla stanza a fianco, resto accovacciata, muta ed in attesa, poi un altro; l'uscio di cucina è ben chiuso, si vede bene: è un po' storto e, se non è serrato, tende a spalancarsi.
Mi avvicino alla porta del bagno, risuona un trambusto e poi un sbattere d'infisso. Mano sulla maniglia, cauta. C'è silenzio. Apro.
Vedo la finestra semiaperta, sbircio fuori e scorgo un'ombra nera, indistinta, fra i filari, nel cinereo del riflesso lunare, che corre via:
"l'ho sempre detto che qui ci vuole un'inferriata".
Chiudo finestra e scuretto ed apro l'acqua della doccia, pochi istanti ed il vapore satura il piccolo ambiente. nel frattempo sbottono i jeans e sculetto un poco nel toglierli, un gambule poi l'altro e rischio di cadere, ma mi riprendo aggrappandomi al radiatore, freddo in questo maggio strano.
"basta" mi dico per farmi compagnia "li butto, non mi stanno più".
Gomito sull'orlo della maglia e tiro su, la canotta segue fedele le campanelle della felpa verdina scoprendomi l'ombelico, sfilo le braccia e la lascio cadere lungo le gambe nude, lisce e toniche; mi guardo nell'indefinito dello specchio appannato, passo la mano sul vetro freddo e mi vedo; vedo i miei capelli coprirmi le spalle, accarezzarmi fino a lambire le areole sul petto; non so perché, cresce in me la voglia di sfiorarle con le dita e sento indurirsi i capezzolini, apici di un seno non più solo appena accennato; sotto i polpastrelli il morbido setoso della mia pelle e mi piace il mio tocco lieve sul mio corpo; mi guardo i fianchi, mi sposto di profilo e vedo le curve della mia schiena che sfumano nelle mie rotondità più attraenti, sode come le cosce che le sostengono.
Sono cambiata, in pochi mesi è cambiata la percezione che ho di me: adesso mi piace quel riflesso che sta lentamente tornando opaco nella nebbia calda che permea l'aria.
Un sorriso malizioso s'impossessa delle mie labbra e due dita scorrono, impertinenti, tra i peletti più segreti lambendo la mia intimità.
Scosto la tenda e allungo una caviglia sotto il getto d'acqua, stendo il piede e la guardo ammirando il regalo di mamma in quella sottigliezza, il massaggio delle gocce sulla mia coscia si tramuta in una carezza calda di quei rivoli liquidi sulla mia carne usata.
Mi immergo in quella cascata aspirando l'aria madida, pensieri si formano nella mente ed immagini si susseguono come in un antico film muto.
Vedo lui, la sua faccia spigolosa, i suoi occhi blu, il tanfo d'alcol del suo alito fuggente dalla sua bocca protesa sulla mia, con la sua ispida barba a scalfirmi il volto.
Sento il tocco ruvido delle sue mani, dure e callose sulla mia pelle soffice e chiara, che si insinuano sotto la maglia; mentre le sue dita, scheggiate nelle unghie, mi graffiano cercando di stringere ed affondare nel mio ventre; teso nell'angoscia e bloccato nel terrore di un gesto non voluto, di un "no" ignorato...
Vi piacerebbe...
Invece no, non c'è nulla di non voluto, non c'è nessun affronto, nessuna costrizione; nessun uomo bruto che assale.
C'è un ragazzo bello e gentile, uno splendido giovane uomo che ha raccolto tutti i pezzi del mio animo e li ha ricomposti, come farebbe un sapiente e paziente restauratore ridonando la forma e la sostanza ad un vasetto frantumato dal peso dei secoli.
Ed è quello il volto che mi appare, imberbe, chiaro nella cornice brunita delle sue ciocche mosse; illuminato dal verde delle sue iridi sfumate nell'ambra; sento ancora quel naso di carattere, che mi preme gli zigomi quando bacia con le sue labbra piene le mie.
Le sue mani, morbide e forti, immagino e rivivo su di me, anche se il tocco, che si fa sempre più audace, è il mio.
Un sospiro scappa dalla mia gola, mentre guardo il soffitto, ad occhi chiusi sotto lo sferzante impeto dell'acqua.
Fradicia, di sapone cosparsa, la mia pelle resta orfana dell'odore del suo sesso, ma la mia bocca, ancora gravida del suo sapore, grida, afona, la passione che ci ha unito.
Ceramica fredda sulla mia schiena, mi sostengo con un palmo sulla parete, di gocce e schizzi vestita, ma crollo sul pavimento con un sorriso ebete stampato sulla faccia, flagellata dalla pioggia del soffione.
"nulla di serio, ma ci piacciamo e vediamo quanto reggiamo" dico alle mie amiche.
"nessuna illusione, esco da una storia di due anni" mi disse lui,
"per me è lo stesso, quando ci va ci cerchiamo e niente stress" rilanciai splendida io.
Non era vero, stavo patendo, fin dall'inizio. Già la sera del giorno che ci siamo conosciuti avrei voluto chiamarlo, lui così gentile ed inaspettato nell'offrirmi un gelato, per dirgli anche solo buonanotte ed ascoltare di nuovo la sua voce così calda e profonda da sentirla con le ossa. Resistetti; tre giorni.
Mi cercò lui, la mattina del quarto giorno.
autore: Tilde
Giro piano la chiave nel portoncino, una leggera spinta ed essa piroetta sui cardini in uno stridulo lamento, chiudo l'anta alle mie spalle e vengo circondata dall'eco del silenzio. Irreale e gravido di senso di colpa.
Intorno a me l'ingresso, in penombra, rischiarato dalla fioca luce del portico che filtra dalle persiane.
Conosco bene porte, mobili e suppellettili di questa dimora, non mi occorre illuminazione; punta contro tallone e mi sfilo le scarpe, scalza, mi dirigo al bagno. Devo lavarmi, ho bisogno di mondarmi mani e viso, di più:
"meglio una doccia" bisbiglio "qui, da basso, almeno non sveglio nessuno".
Costeggio la stanza da pranzo, getto un occhio al tavolo e vedo che è ancora apparecchiato, anche se arruffato; entro in cucina dove la luce accesa del forno irrora di giallo il tavolo e la ceramica del lavello, dentro un piatto: "che dolce, mi ha lasciato qualcosa in caldo, ma non ho fame" giro la manopola ed il buio regna. Riabituata la vista, noto due piatti, bicchieri e coltelli abbandonati sul gocciolatoio e lo strofinaccio a terra, la cosa un po' mi irrita:
"cacchio nonna" mi esce a fil di voce "sei peggio di babbo, che ti costerà mai... c'è la lavastoviglie: schiaffa dentro, no?".
Mi chino a raccogliere ed un cricchiolio sento arrivare dalla stanza a fianco, resto accovacciata, muta ed in attesa, poi un altro; l'uscio di cucina è ben chiuso, si vede bene: è un po' storto e, se non è serrato, tende a spalancarsi.
Mi avvicino alla porta del bagno, risuona un trambusto e poi un sbattere d'infisso. Mano sulla maniglia, cauta. C'è silenzio. Apro.
Vedo la finestra semiaperta, sbircio fuori e scorgo un'ombra nera, indistinta, fra i filari, nel cinereo del riflesso lunare, che corre via:
"l'ho sempre detto che qui ci vuole un'inferriata".
Chiudo finestra e scuretto ed apro l'acqua della doccia, pochi istanti ed il vapore satura il piccolo ambiente. nel frattempo sbottono i jeans e sculetto un poco nel toglierli, un gambule poi l'altro e rischio di cadere, ma mi riprendo aggrappandomi al radiatore, freddo in questo maggio strano.
"basta" mi dico per farmi compagnia "li butto, non mi stanno più".
Gomito sull'orlo della maglia e tiro su, la canotta segue fedele le campanelle della felpa verdina scoprendomi l'ombelico, sfilo le braccia e la lascio cadere lungo le gambe nude, lisce e toniche; mi guardo nell'indefinito dello specchio appannato, passo la mano sul vetro freddo e mi vedo; vedo i miei capelli coprirmi le spalle, accarezzarmi fino a lambire le areole sul petto; non so perché, cresce in me la voglia di sfiorarle con le dita e sento indurirsi i capezzolini, apici di un seno non più solo appena accennato; sotto i polpastrelli il morbido setoso della mia pelle e mi piace il mio tocco lieve sul mio corpo; mi guardo i fianchi, mi sposto di profilo e vedo le curve della mia schiena che sfumano nelle mie rotondità più attraenti, sode come le cosce che le sostengono.
Sono cambiata, in pochi mesi è cambiata la percezione che ho di me: adesso mi piace quel riflesso che sta lentamente tornando opaco nella nebbia calda che permea l'aria.
Un sorriso malizioso s'impossessa delle mie labbra e due dita scorrono, impertinenti, tra i peletti più segreti lambendo la mia intimità.
Scosto la tenda e allungo una caviglia sotto il getto d'acqua, stendo il piede e la guardo ammirando il regalo di mamma in quella sottigliezza, il massaggio delle gocce sulla mia coscia si tramuta in una carezza calda di quei rivoli liquidi sulla mia carne usata.
Mi immergo in quella cascata aspirando l'aria madida, pensieri si formano nella mente ed immagini si susseguono come in un antico film muto.
Vedo lui, la sua faccia spigolosa, i suoi occhi blu, il tanfo d'alcol del suo alito fuggente dalla sua bocca protesa sulla mia, con la sua ispida barba a scalfirmi il volto.
Sento il tocco ruvido delle sue mani, dure e callose sulla mia pelle soffice e chiara, che si insinuano sotto la maglia; mentre le sue dita, scheggiate nelle unghie, mi graffiano cercando di stringere ed affondare nel mio ventre; teso nell'angoscia e bloccato nel terrore di un gesto non voluto, di un "no" ignorato...
Vi piacerebbe...
Invece no, non c'è nulla di non voluto, non c'è nessun affronto, nessuna costrizione; nessun uomo bruto che assale.
C'è un ragazzo bello e gentile, uno splendido giovane uomo che ha raccolto tutti i pezzi del mio animo e li ha ricomposti, come farebbe un sapiente e paziente restauratore ridonando la forma e la sostanza ad un vasetto frantumato dal peso dei secoli.
Ed è quello il volto che mi appare, imberbe, chiaro nella cornice brunita delle sue ciocche mosse; illuminato dal verde delle sue iridi sfumate nell'ambra; sento ancora quel naso di carattere, che mi preme gli zigomi quando bacia con le sue labbra piene le mie.
Le sue mani, morbide e forti, immagino e rivivo su di me, anche se il tocco, che si fa sempre più audace, è il mio.
Un sospiro scappa dalla mia gola, mentre guardo il soffitto, ad occhi chiusi sotto lo sferzante impeto dell'acqua.
Fradicia, di sapone cosparsa, la mia pelle resta orfana dell'odore del suo sesso, ma la mia bocca, ancora gravida del suo sapore, grida, afona, la passione che ci ha unito.
Ceramica fredda sulla mia schiena, mi sostengo con un palmo sulla parete, di gocce e schizzi vestita, ma crollo sul pavimento con un sorriso ebete stampato sulla faccia, flagellata dalla pioggia del soffione.
"nulla di serio, ma ci piacciamo e vediamo quanto reggiamo" dico alle mie amiche.
"nessuna illusione, esco da una storia di due anni" mi disse lui,
"per me è lo stesso, quando ci va ci cerchiamo e niente stress" rilanciai splendida io.
Non era vero, stavo patendo, fin dall'inizio. Già la sera del giorno che ci siamo conosciuti avrei voluto chiamarlo, lui così gentile ed inaspettato nell'offrirmi un gelato, per dirgli anche solo buonanotte ed ascoltare di nuovo la sua voce così calda e profonda da sentirla con le ossa. Resistetti; tre giorni.
Mi cercò lui, la mattina del quarto giorno.
autore: Tilde
7
voti
voti
valutazione
3
3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Distorsioneracconto sucessivo
La notte
Commenti dei lettori al racconto erotico