Schiava dell'amica e dei suoi genitori (parte 7)

di
genere
sadomaso

Quando Erica accorreva a salutarli al loro arrivo, le davano il soprabito o la borsetta e, quale saluto, una carezza e l’immancabile mano da baciare.
Lentamente parve abituarsi e la ritrosia iniziale sembrò svanire o, almeno, non la dava più a vedere.
“Brava tesorina, sei brava a venire a farci il saluto. A noi fa davvero tanto piacere, sai?”.
Queste frasi, pronunciate principalmente da Noemi e Giulio, evidentemente sortirono il loro effetto, rassicurandola e, per quel poco che potesse servire, gratificandola.
Anche Isabella, la sua amica, voleva il bacio alla mano senza, però, darle la carezza.
“Dai tesorina, portami la borsetta e la giacca in camera e vieni, che ti racconto cosa ho fatto fuori”.
La eccitava parlare con l'amica che sapeva essere sempre a casa ad aspettarla, oltre al sadico piacere di ricordare alla ragazza chiusa in casa come è la vita “fuori”, dalla quale lei era esclusa.
Noemi cominciò a pensare che le sarebbe piaciuto, al suo rientro a casa, vederla arrivare di corsa e inginocchiarsi per baciarle i piedi, al posto della mano. Al rientro a casa cominciò a far cadere a terra il soprabito e la borsetta prontamente raccolti dalla ragazza.
Anche questo era il tarlo, il pensiero di sé e per sé, come se il servizio sino ad oggi ottenuto non fosse più sufficiente ma, anzi, fosse stato da apripista per qualcos’altro, che andasse oltre al servizio e che adesso stava bussando prepotentemente alla porta per entrare.
Era un pensiero comune, in famiglia. Così Isabella, prima di andare a prepararsi per uscire con le sue amiche, un giorno prese una caramella, la scartò e gettò la carta a terra ai suoi piedi, senza dire nulla, come fosse cosa naturale.
Noemi vide ed il suo basso ventre registrò la reazione quando, silenziosamente, Erica la raccolse e andò a buttarla via.
Anche Giulio e Noemi iniziarono a gettare a terra le cose e, se la serva non era in stanza, la chiamavano per fargliele raccogliere e buttare.
Inizialmente Erica mostrò contrarietà, soprattutto quando veniva chiamata mentre era in un’altra stanza per raccogliere oggetti gettati a terra ai loro piedi per i quali loro avrebbero solo dovuto chinarsi un poco.
Notando tale atteggiamento rigido nella ragazza, i componenti della famiglia furono inflessibili.
“Su tesorina, chinati e raccogli la carta ai nostri piedi, poi vai a buttare via”.
Isabella la chiamava anche per farsi aiutare quando doveva uscire con le amiche che, prima della riduzione in schiavitù, erano anche le amiche di Erica.
“Tesorina, vieni qui da me”.
Erica interrompeva il lavoro che stava svolgendo e andava da lei.
“Come stai bene Isabella, sei incantevole”.
“Grazie amorina. Mentre mi metto il rossetto, portami le scarpe rosse, quelle tacco 10”.
Erano nell’armadio dietro di lei e le sarebbe giusto bastato voltarsi per prenderle.
Le posò accanto ai suoi piedi.
“Brava tesorina, torna pure a stirare”.
Porse la mano da baciare prima di infilarsi le scarpe eleganti.
Aspettò che fosse arrivata nella stanza dove stava stirando per richiamarla.
“Tesorina, avevi ritirato le scarpe senza pulirle. Su, provvedi”.
Erica restò interdetta. Avrebbe dovuto prostrarsi ai piedi dell’amica.
“Muoviti che sono in ritardo”.
Isabella era spazientita e continuò a truccarsi mentre la sua amica si chinò per pulirle le scarpe.
Ancora ebbe il desiderio di farsi baciare i piedi dalla sua amica d’infanzia.
Ci sono momenti in cui le accelerazioni, preannunciate ma tenute sopite, devono avere luogo.
Può essere che le modifiche siano preventivate o, come nel loro caso, arrivino all’apice di una modalità comportamentale che ad un certo punto ha preso vita e che, prima o poi, deve affermarsi formalmente, per poi poter ulteriormente procedere verso le ulteriori evoluzioni.
Questo momento, che nell’aria, arrivò senza programmazione, semplicemente perchè, evidentemente, era montato dentro fino al punto da non poter più essere rinviato.
Noemi stava leggendo il suo libro mentre Erica stava pulendo il bagno. Prese una caramella e gettò a terra la carta.
“Tesorina, vieni qui”.
Appena la ragazza arrivò, senza distrarre gli occhi dalla lettura, indicò a terra dove c’era il rifiuto.
Erica, che evidentemente non aveva mai metabolizzato queste pretese che, quindi, aveva svolte di malanimo, scoppiò a piangere.
Noemi chiuse il libro, tenendo dentro un dito per segnare la pagina.
“Vieni qui, amorina”.
Noemi la fece accucciare accanto a sé e poggiare il capo sul suo grembo, avendo iniziato ad accarezzarle la testa con la delicatezza tipica di chi prova affetto.
Ne raccolse, così, lo sfogo.
“Voi mi tenete come la vostra serva, una schiava, io invece vorrei far parte della vostra famiglia. Cerco di accontentarvi ma le vostre pretese sono sempre maggiori”.
Le parole “serva” e “schiava” pronunciate da una ragazza accucciata ai suoi piedi ebbero l’effetto di eccitarla.
Noemi era combattuta. Si erano tutti resi conto in quale direzione stessero andando. Non la vedevano più come l’amica ospitata ma, invece, la volevano perché li eccitava non solo essere serviti ma, soprattutto, la sua sottomissione, anche se imposta.
Decise di cominciare a mettere alcune carte in tavola o, meglio, a cambiare le carte con le quali avevano iniziato a giocare. Intanto la accarezzava delicatamente tra i capelli.
“Vedi tesorina, ogni famiglia si regge sul reciproco apporto. Tu sei parte di questa famiglia ma, come sai, non puoi lavorare all’esterno. Il tuo contributo è quindi in casa. Noi lavoriamo fuori, tu lavori qui, evitandoci il doppio lavoro. E’ vero che ci piace molto ricevere da te atti di gentilezza e di devozione. Fa parte del tuo contributo anche il fatto che, oltre a servirci, ci dai altro tipo di piacere. A nessuno di noi piace andare a lavorare, così come Isabella non è felicissima di passare le giornate a studiare. Così anche tu devi fare qualcosa, come noi, che non ti piace. Fa parte del tuo contributo alla famiglia. Non è colpa di nessuno della tua situazione, però devi affrontarla e conviverci”.
Intanto accarezzava delicatamente il capo della ragazza che stava ancora piangendo perché capiva perfettamente le implicazioni del suo discorso.
“Noi continuiamo a volerti bene e a sentirti parte della nostra famiglia, ma tu devi svolgere le tue incombenze, quindi non solo servirci ma anche darci piacere nei modi che vogliamo”.
A Noemi si bagnò maggiormente la figa nel fare questo discorso ad una ragazza che stava piangendo e subendo tutto quanto le veniva detto, senza lasciarle scampo.
“Dai tesorina, adesso accucciati a terra e baciami i piedi. Questa notte verrai a dormire nel letto con me e Giulio e ti coccoleremo, ma adesso devi fare quello che voglio”.
Aveva fatto la sua comparsa il verbo “dovere”. Era giunto il momento di dare nuova direzione al rapporto, iniziando un nuovo percorso che avrebbe portato verso nuovi traguardi.
Erica si mostrò titubante mentre ancora piangeva.
“Giù tesorina”.
Erica bagnò con le lacrime i piedi che stava baciando.
“Questa nuova dimostrazione di affetto verso di noi deve essere resa a tutti i componenti della nostra famiglia al posto del bacio alla mano”.
La ragazza stava continuando a piangere mentre Noemi, sempre più eccitata, andava avanti imperterrita.
“Anzi, quando uno di noi arriverà a casa, devi sempre accorrere ma, per salutarci, dovrai inginocchiarti e baciarci i piedi”.
“Noemi, ti prego…”.
“Tranquilla tesorina, ti abituerai. Adesso stai lì e continua a baciare, così prendi confidenza coi miei piedi”.
Quando rientrò Isabella, trovò Erica con il viso sulla gambe di sua madre.
“Perché non sei venuta a salutarmi?”
Isabella era manifestamente contrariata e guardava con rimprovero la sua amica che,
invece, teneva gli occhi bassi ancora arrossati.
“Siediti in poltrona Isabella. Tu, tesorina, vai a fare come ti ho detto”.
Erica, a 4 zampe, si avvicinò ad Isabella e, chinatasi, baciò i piedi ad una eccitatissima amica.
“Questa sarà la nuova dimostrazione di affetto che Erica dovrà fare a tutti noi”.
Isabella era entusiasta.
La famiglia cominciò a pretendere il bacio ai piedi non solo al loro arrivo a casa, ma anche quale atto prima di andare a dormire e quale saluto di buongiorno tutte le mattine.
Inevitabilmente i rapporti si allontanarono, creando una maggiore distanza tra serviti e serva.
La famiglia la vedeva sempre meno come facente parte e sempre più come serva al loro servizio.
Erica ci soffriva, non lo poteva nascondere. A loro non interessava.
A Isabella piaceva vedere i suoi atti di sottomissione e di servizio svolti da colei che doveva ogni volta ingoiare il suo orgoglio.
Le piaceva tenerla prostrata per farsi baciare i piedi a lungo, mentre le raccontava come le era andata la giornata o dove sarebbe andata a divertirsi la sera, come se fossero due normalissime amiche.
di
scritto il
2022-12-03
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