Carne tremolante

di
genere
incesti


L’altra volta mi chiedevo, e vi chiedevo, come si fa a liberarsi dal peso di una perversione e dal peso altrettanto complesso della morale.
Ho impiegato mesi per far sembrare naturale tutta una serie di cose che, invece, hanno comportato molta fatica. Soprattutto, ho impiegato molti mesi anche solo per ripensare al mio “evento” con relativo distacco.
Cerco di presentarmi senza indagare su troppe situazioni personali: ho quarantanove anni, sono divorziata e vivo con il mio unico figlio. Non ho mai frequentato assiduamente il sesso, neanche durante il matrimonio. Probabilmente questo è stato uno dei tanti motivi che spinse mio marito due anni fa a lasciarmi. Il divorzio ha comportato per me innanzitutto una fase di profonda depressione e di conseguenza ho scelto un anno fa di farmi assistere da una psicologa.
Perché scelgo di raccontare questa storia? Perché sono finita qua? Perché non ho avuto il coraggio -per adesso- di raccontarlo alla mia psicologa e perché in rete ho provato a cercare situazioni simili alla mia, ma ho trovato solo racconti che presentavano eccessivi abusi di fantasia. Ma appunto, racconti sono. Non nascondo che in alcuni casi, leggendo sempre più frequentemente anche su questo sito, ho avvertito spesso un senso di nausea.

Della mia psicologa, si diceva.
Essendo coetanee ed entrambe donne sole, la nostra amicizia ha superato i confini del suo studio e ben presto abbiamo cominciato a frequentarci - mantenendo sempre una certa riverenza, almeno da parte mia.
Con regolarità, mi ha introdotto nella sua cerchia di amicizie e a poco a poco sembrava che la mia depressione stesse per finire.
Mi propose, durante un colloquio, di iscrivermi con lei ad uno dei corsi che il comune della nostra città di tanto in tanto offre gratuitamente. Nello specifico si trattava di un corso di pittura.
Fin da piccola ho sempre avuto due passioni: la pittura e la scrittura, ma non ho mai avuto modo di coltivarle. Per me poteva essere di grande aiuto. Svagarmi, ecco.
Fu così, infatti, nel primo periodo.
La mia psicologa, però, causa concomitanza tra gli orari di lavoro e quelli del corso, dovette presto rinunciare.
Anche da sola e senza una spalla amica, grazie al corso, la mia vita era quasi ripresa del tutto e i miei complessi di natura sessuale-relazionale non mi disturbavano. Si poteva sopravvivere come madre e come donna anche senza il sesso.
Ripresi il tocco con tele e pennelli e il nostro insegnate sembrava molto soddisfatto di me.
Cominciammo con soggetti tipici: paesaggi, frutti, animali. Però era arrivato il momento di ritrarre soggetti umani e quindi di dipingere qualcosa di più complicato.
Tuttavia, la prima lezione con un modello in carne ed ossa, venne annullata: il modello aveva dato buca al nostro insegnante.

Qui entra in gioco mio figlio. Lui sì, non ha avuto opposizioni da parte mia -come fecero con me i miei genitori, ma erano altri tempi- e frequenta l’Accademia di Belle Arti. Mi sembrava quindi una giusta idea proporlo come modello per la lezione.
Non nascondo che mi attraversò anche l’idea di vantarmi davanti alle altre amiche del corso di mio figlio - come ogni madre!
Ma ci avevo capito ben poco e non sapevo cosa mi sarebbe successo a breve. Innanzitutto, l’insegnante mi chiese esplicitamente di non dire a nessuno che il modello -nel caso avesse accettato- fosse stato mio figlio, per tutta una serie di motivi. Meglio non creare ambiguità, diceva. Quindi avrei dovuto mantenere una sorta di anonimato. La cosa mi lasciò comunque alquanto sorpresa.
Insomma, proposto mio figlio all’insegnante forse con estrema leggerezza data dal mio stato psico-fisico finalmente sereno, c’era da attendere la risposta di mio figlio, appunto. Che accettò. La prese come una piccola opportunità di fare esperienza e inoltre, da come avevamo intuito, avrebbe ottenuto punti di credito proprio all’Accademia.

Arrivò il giorno della prima lezione con mio figlio. Ero emozionatissima!
Ci sedemmo come di consueto davanti ai cavalletti e alle tele, pronte per dipingere.
Mio figlio entrò poco dopo con il nostro insegnante. Ma c’era un dettaglio che, in quel momento, mi fece trasalire. Il cuore mi arrivò in gola: sì, mio figlio stava entrando vestito solo di un accappatoio e quindi, da come origliai intorno a me, avrebbe posato nudo.
Avrei dovuto aspettarmi una situazione del genere, se solo avessi avuto un po’ di malizia. E mio figlio? Si aspettava di posare nudo? È di consuetudine posare completamente nudi per essere ritratti? Fu una cosa decisa quel pomeriggio tra lui e l’insegnante?
C’era un’ultima speranza: cioè che mio figlio, almeno, indossasse un paio di slip -era pur sempre un corso gestito da un ente locale, mica una vera Accademia d’arte, mi dissi da sola provando a convincermi. Diversamente, avrei potuto fingere perfino un malore pur di non assistere alla scena e continuare la lezione…
Salito sullo sgabello davanti a tutta la classe, si tolse l’accappatoio e purtroppo per me era completamente nudo. Quantomeno era di spalle.

Il corpo di mio figlio fece sensazione. No, mio figlio non è un fotomodello, lo riconosco.
Eppure la sua nudità destò gli animi della classe.
Su cosa si posò istintivamente il mio sguardo? Sul suo pene nascosto dietro le sue gambe, che potevo vedere di sbieco data la mia posizione. Mi lasciò impressionata. Non lo vedevo da tantissimo tempo e constatai che era bello da vedere, direi, ma non “enorme” o mediamente grande – ripeto, il sesso ha avuto pochissima importanza nell’arco della mia vita, ma so pur sempre riconoscere un pene molto grande!
Tuttavia era il pene di mio figlio. Non poteva lasciarmi indifferente. E nemmeno le restanti parti del suo organo genitale…

Cominciammo a dipingere.
Lui rispondeva ai “comandi” dell’insegnante e il dondolare del suo pene mi ipnotizzava.
Ascoltavo arrabbiata i commenti sottovoce delle compagne di classe. Avrei dovuto reagire diversamente? Che rabbia! Mio figlio, lì, nudo davanti a noi e loro a fare apprezzamenti…
Per fortuna le lezione terminò. Mi sembrò interminabile.

Una volta a casa, per forza di cose, cominciai a guardare con occhi diversi mio figlio. Come ho detto, riconosco che non è un fotomodello, uno di quelli che fa sbavare le ragazze, e soprattutto, per quanto ne sapevo, non aveva mai avuto una fidanzata.
Forse i problemi della sua timidezza sono dovuti al suo essere figlio unico.
Quella sera mi addormentai con difficoltà e probabilmente feci dei sogni particolari, perché mi svegliai frastornata il giorno seguente. Ci tengo a sottolineare che non ho mai consumato letteratura erotica né tantomeno video pornografici. Ma la mia vita sarebbe cambiata di lì a poco.

Arrivò il giorno della seconda lezione di pittura con mio figlio nel ruolo del modello da ritrarre.
Ebbene, mentre posava, mio figlio ebbe un’erezione molto vistosa. Questa volta mi sorpresero anche le sue dimensioni. Da quant’è che non vedevo un pene eretto? Tra l’altro l’unico in tutta la mia vita è stato quello di mio marito…
Mio figlio, rosso in viso, si coprì istintivamente con l’accappatoio, ma nonostante il tessuto si poteva intuire la dimensione considerevole che aveva assunto il suo organo.
L’insegnante, comprensivo, lo fece uscire dall’aula e per quella lezione avremmo proseguito i nostri ritratti andando a memoria di quello che avevamo visto.

Finalmente terminò anche quella lezione. Quando ritornai a casa, scoprii di essere sola. Mio figlio era fuggito in palestra, forse per evitare di incrociarmi. Già durante il tragitto di ritorno dal corso, in auto, mi invase una strana sensazione di calore agli zigomi. Le mani al volante tremavano.
Era il richiamo del sesso. Indubbiamente. Lo avevo riconosciuto anche in aula qualche ora prima, osservando l’organo di mio figlio aumentare man mano di dimensioni fino ad alzarsi completamente - parallelamente al mio imbarazzo seduta tra gli altri frequentanti.
Il richiamo del sesso.
Arrivata a casa, chiusi in fretta e furia la porta, lancia la borsa sul tavolo e il cappotto sul divano. Corsi in camera mia, mi tolsi pantaloni, slip e maglione e per la prima volta in vita mia, ebbi un pensiero semplice e ossessivo: masturbarmi. Ero come in trance.

Aprii le gambe e mi distesi in un colpo solo sul letto.
Abbassai la testa verso le mie parti bassi ed era impossibile non percepire il calore che si alzava da quella parte del corpo.
L’erezione di mio figlio, involontaria, aveva attivato qualcosa in me.
Qualcosa che avevo dimenticato. Fu come un interruttore.
La mia vagina era coperta da un po’ di pelo, ma ora c’era altro a cui pensare; non avevo mai visitato da sola le mie zone erogene, ora che il desiderio si era riacceso, stavo per sperimentare una nuova pratica.
Con la mano scesi lentamente verso quello che cercavo.
Solo sfiorando la mia vagina con i polpastrelli, sentii qualcosa di nuovo e piacevole, al punto che tremai.
Aprii la bocca prendendo più aria possibile e nella mente c’era una sola immagine: il pene di mio figlio.
La mano destra percorreva il mio organo su e giù, ero bagnata all’inverosimile.
Massaggiai ogni centimetro assorta dal piacere.
Avrei voluto uno specchio nel quale guardarmi, riflettei.
Senza pensarci due volte, introdussi il dito medio all’interno e un brivido forte fece sì che il mio collo si piegasse all’indietro dal piacere.
Non esitai. Dovevo prendermi quello che stavo cercando: un orgasmo.
Me lo meritavo.
La respirazione e i gemiti si fecero via via più forti. Non seppi resistere: introdussi anche un altro dito che fece compagnia al collega nella vagina bollente.
Neanche un paio di minuti e già il piacere mi stava possedendo.
Cosa fu in grado di provocare quell’erezione così ingenua!
Afferrai uno dei seni con la mano libera e l’orgasmo arrivò puntuale.
Mi liberai urlando e poi restai da sola nel silenzio della casa.
Qualcuno mi aveva forse ascoltato?
Rossa come il fuoco, restai impietrita.

Non nascondo che una volta terminata quella “follia”, mi venne da vomitare. Non ragionavo. Ero ancora sotto gli effetti dell’orgasmo. O dello shock di aver scoperto la masturbazione nell’età più prossima alla pensione…
Quando il “colpevole” rincasò, non ebbi il coraggio di preparare la cena e finsi di stare poco bene. Ma si doveva parlare dell’accaduto, dell’inconveniente a lezione.
Armata di finto coraggio e di finta disinvoltura, lo accolsi con affetto alla porta.
Lo rassicurai, perché la sua reazione era stata perfettamente normale. Sarebbe stato anormale il contrario.
Decise comunque di sua spontanea volontà di abbandonare il corso, che tra l’altro era retribuito poco e gli toglieva tempo importante. Non poteva darmi notizia migliore.


La lezione seguente fu un disastro. Per il troppo pudore, nelle lezioni precedenti, avevo passato tutto il tempo a disegnare soltanto la parte superiore del corpo di mio figlio. L’insegnante mi mortificò -eppure conosceva bene la situazione! Ero vittima di una mentalità obsoleta che mi impediva di disegnare il fondoschiena di un uomo? Avrei dovuto consegnare il lavoro finito per l’esame finale, ma non avevo intenzione di continuare.
Tornai a casa delusa e impaurita perfino dalla vista della mia camera. Il luogo della perversione.
Fu una giornata tremenda.
Ma a casa mi aspettava mio figlio.
Mi vide giù di morale e gli confessai di quanto accaduto al corso. Volle vedere, a quel punto, i miei ritratti di lui.
Ammisi la mia difficoltà a ritrarre il suo corpo nudo… e ovviamente fu comprensivo.

Ecco che in quel momento mi propose l’inaspettato. Fu un tuono.
Voleva che continuassi il suo ritratto nel salotto di casa nostra. Io rifiutai categoricamente.
Mio figlio, come dicevo molto timido, deve aver fatto ricorso a molte dosi di coraggio e affetto per insistere e volersi far ritrarre nudo. A quel punto accettai -volevo rivederlo nudo, non prendiamoci in giro-, non senza tremare per la troppa adrenalina.
Cominciò a spogliarsi rapidamente lasciando cadere i vestiti ad uno ad uno sul tappeto, con leggero pudore. Eccolo, ancora una volta il suo pene, stavolta flaccido.
Stavolta non si voltò completamente di spalle, ma si posizionò su una sedia di mezzo-profilo.
In ogni caso, potevo vedere tutto. Così cominciai a disegnare…

Non ebbe nessuna erezione, purtroppo o per fortuna. A lavoro ultimato, si rivestì degli slip e si avvicinò a me e il mio cuore sembrava saltare fuori dal petto. Mi abbracciò e io fui enormemente soddisfatta. Che si fossero rotte definitivamente delle barriere, tra me e lui?

Non mi sembrava vero nulla. Cosa era appena accaduto… avevo ritratto mio figlio nudo!
Ma la serata era appena cominciata evidentemente.
Ecco un’altra richiesta come un uragano: voleva che posassi per lui.
Spalancai gli occhi.
Era forse attratto da me? No, follia. Voleva compensare l’imbarazzo? Farmi sentire bella per un’ora?

Ingenua come sono, presa dall’eccitazione -malcelata- accettai senza troppe resistenze, forse per gioco. Data la mia poca malizia, però, non mi spogliai completamente. Avevo vergogna per svariati motivi, soprattutto perché non mi ritengo una donna con un fisico “piacente”.
Fianchi larghi, smagliature sul seno e sulle natiche, pelo eccessivo lì sotto… non una bruttissima donna, ma neanche un capolavoro nell’intimità.

Tutte le mie insicurezze riaffiorarono. Quindi mi tolsi pantalone e camicia, ma decisi infatti di restare quantomeno con la biancheria.
Mio figlio, chiaramente, accettò e proseguimmo.

Ero rossa come il fuoco. Mi sembrava di vivere un film in una vita così noiosa.
Non staccavo gli occhi dalla sua tela, ma non appena abbassai lo sguardo, mi resi conto tardivamente di due cose: mio figlio era rimasto in slip e adesso davanti a me c’era la sua erezione vistosa, coperta solo dal tessuto della biancheria. Sembrava molto più grande rispetto a quella della lezione. Decisamente più grande. Come se il suo pene fosse “lanciato” verso l’alto. Fu il suo glande, infatti, a richiamare la mia attenzione -lui è circonciso fin da piccolo: sbucava di poco al di fuori della molla e potevo intravedere come di tanto in tanto tremasse. Tremava al richiamo di un qualcosa.
Ricordo perfettamente le mie sensazioni corporee: palpebre pesanti e occhi lucidi, alito caldo, capezzoli turgidi, le labbra della mia vagina cominciarono a schiudersi e ad inumidirsi.
Dopo mesi e mesi di astinenza, desideravo la carne. Desideravo il sesso più di ogni altra cosa. L’avrei fatto lì in salotto, senza troppi ripensamenti. Sì, con lui.

Ora: se qualcuno fosse entrato dalla porta, ecco, cosa avrebbe pensato?
La testa mi girava a mille e non potevo esimermi da tic nervosi e finti schiarimenti di gola. Ero in un limbo. Non sapevo se desiderare mio figlio, la sua carne, oppure sperare che finisse subito per deliziarmi da sola.
Un altro pensiero mi attraversò la mente con velocità: perché mio figlio, consapevole della sua erezione, non la nascondeva?
Avevo in programma di masturbarmi non appena fosse tutto finito. Proprio come una nuova droga, già pensavo alla dose successiva. E anche mio figlio l’avrebbe fatto, pensando forse a me? A noi due? Fantasticavo troppo.
Dopo un po’, terminato il lavoro, si avvicinò a me, ancora col rigonfiamento davanti.
Non avevo parole. La bravura nel ritrarre era passata in secondo piano -tra l’altro mi ritrasse nuda.
Imbarazzati e arrossati, ci limitammo a sorridere. Non potevamo, ovviamente, abbracciarci, date le sue condizioni…
Talmente ero ingenua che pensai: forse gli artisti hanno queste reazioni mentre dipingono o ritraggono?
Avrei conservato gelosamente nel cuore sia quel momento che quel ritratto veloce fatto a matita…

Dopo quest’altra piccola follia, ognuno nel suo bagno per la doccia. Sotto l’acqua, mi scoppiava la testa. Non sapevo cosa pensare ormai. Ero circondata da una tempesta di pensieri che decisi di interrompere con forza.
Uscii dalla doccia in fretta e furia e infilatomi l’accappatoio mi diressi, dimenticandomi della presenza di mio figlio, nell’altro bagno per l’asciugacapelli.

Sorpresa: trovai la porta aperta e mio figlio sul razza del water in piena masturbazione.
Quella vista mi sconvolse e anche lui fu colto da imbarazzo. Eppure ero stata a contatto con la sua erezione negli ultimi due giorni più che in tutta la sua vita. Ma ammetto che farsi sorprendere in un atto così intimo non è mai piacevole.

A quel punto mi incolpai di tutto quello che stava accadendo. Non era difficile immaginare chi fosse l’oggetto della sua masturbazione – o mi piaceva pensare così.
Ma nessuno parlò.
Corsi in salotto e sul divano scoppiai a piangere. Mi raggiunse mio figlio -cinto da asciugamano- e mi abbracciò.
Mi confessò con molta onestà cosa stava provando e cosa aveva provato “mostrando” la sua erezione per la prima volta addirittura a più di una donna nello stesso posto: sì, mio figlio era ancora vergine nonostante i suoi vent’anni sorpassati.
Me lo stava comunicando.
La verità è che non mi sorprese più di tanto, ma mi commosse.
Ci abbracciamo per un tempo lunghissimo per i nostri standard di madre e figlio e poi ognuno ritornò alle sue cose.

A letto, va da sé, non riuscivo a prendere sonno. Mi giravo e rigiravo. Di masturbarmi non avevo lontanamente voglia. Però, dentro di me, si muoveva qualcosa. Qualcosa di più forte.
Come in trance, mi alzai dal letto e mi diressi in camera di mio figlio: avevo la sensazione che qualcosa non era stato chiarito del tutto. Dovevo fargli capire per bene che quello che era accaduto mai e mai più sarebbe capitato, per il nostro bene.
Ora che mio figlio aveva acquistato “autostima” ero sufficientemente appagata e al diavolo le mie perversioni!
Eppure qualcosa non andava. Lo sentivo. Ecco perché, non appena aprii la porta di camera sua, cambiai immediatamente idea su cosa andava fatto.
Lo trovai sul suo letto a leggere disteso.
Mi avvicinai e gli baciai il capo e senza neanche ascoltare quello che dicevo, gli proposi di “aiutarlo”. Ma ci rendiamo conto?!
Sì, aiutarlo in un “finto” rapporto sessuale.

Lui tentennò. Ma, forse, ancora in trambusto per quanto accaduto poco prima, accettò come se non aspettasse altro. Già! La sua fermezza nell’accettare mi destò una curiosità gigantesca. Ormai non connettevo più.
Pattuite le modalità del “rapporto” -l’avremmo fatto vestiti, l’importante era che lui prendesse confidenza col corpo femminile e per quanto riguarda me invece…-, gli diedi del tempo da solo per eccitarsi e uscii dalla sua stanza.

Fu lui stesso a richiamarmi.
Io ero appoggiata alla porta, già ansimante e avevo mentalmente deciso di mettere da parte ogni morale.
L’istinto, una volta entrata, mi fece chiudere la porta a chiave. Proprio come se di lì poco si sarebbe consumato un vero rapporto sessuale.

Mi aspettavo di trovarlo nudo, ma aveva ancora il pigiama. E come se dopo i ritratti avesse avuto più paura o timidezza nel farsi vedere nudo. Quindi lo invitai senza paura a spogliarsi. Già dagli slip si poteva osservare il suo pene. Glieli abbassai io personalmente e gli sorrisi….
Gli chiesi a quel punto quale posizione preferisse, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Lui era a centro letto, alzato sulle ginocchia con la sua erezione potente. Ci pensò su per un po’, io nel frattempo cominciai a togliere i miei di pantaloni del pigiama.
Avvertivo una sensazione di bagnato lì sotto, come non accadeva da tempo.

Prima mi chiese semplicemente: “che ne pensi di girarti?”, con voce flebile e timida. Però, alla vista del mio fondoschiena, si disse da solo -nel nostro dialetto- che sarebbe durato pochissimo.
A quella frase così innocente e in dialetto, scoppiai a ridere, lo ammetto.
A quanto pare anche se fossi andata “io sopra” sarebbe stato lo stesso e dopotutto meglio così: pochissime altre volte avevo “cavalcato” mio marito e sarebbe stato davvero troppo imbarazzante. Optammo quindi per la classica posizione: io sotto di lui a gambe aperte.

Tremavamo e non ci guardavamo. Sentivo il suo cuore impazzare e la sua gola deglutire nervosamente.
Così si inserì tra le mie gambe e cominciò “strusciare” il suo pene sui miei slip. Tale era la mia eccitazione che anche il semplice contatto del suo pene sulla mia vagina, mi portò ad sospirare sottovoce dopo poco, più per l’idea della situazione che per altro. Porca miseria, ero lì con il pene di mio figlio tra le gambe a fare su e giù!
Ansimare sottovoce, ma evidentemente non per lui che poteva ascoltare molto bene: si staccò subito da me. Mi avvertì dicendomi che se avessi continuato così, cioè ansimando anche se sottovoce, avrebbe eiaculato subito.
Tra l’altro mi resi conto, forse in ritardo, che il tessuto dei miei slip a contatto con il suo glande poteva creargli dei fastidi.
Mi dissi tra me e me che ormai molto era stato superato e non ci sarebbero stati problemi “morali” se ci fosse stato un contatto “esterno” tra i nostri organi.
Glielo proposi con molta calma e sgranò gli occhi come impaurito. Ci riavvicinammo e lui stesso -chiedendomi perfino la conferma- scostò di lato i miei slip.
Il suo pene era caldo e duro, che tenerezza.

A contatto per la prima volta con una vagina, il suo viso diceva tutto. Prima con calma, data la soggezione, poi cominciò forsennatamente il finto movimento della penetrazione, scivolando sulle labbra nascoste dalla poca peluria. Ero preoccupata che l’eccitazione l’avrebbe portato dentro -le mie labbra erano comunque aperte e poi: non sarebbe stato senz’altro “umano” penetrarmi o comunque provare a farlo?

Il contatto c’era e si sentiva. Sensazione indimenticabile da troppo tempo assoptita… Ma mi ricordai di non ansimare. “Piano, piano”, gli dicevo sottovoce, tenendo le mie mani sui suoi fianchi, come per guidare il ritmo.
Era come se l’asta del pene fosse diventato un duro spartiacque tra la mie labbra umide.
Avevamo entrambi lo sguardo fisso sui nostri ventri.
Nonostante gli dicessi di andare piano, però, dopo poco prevalse il suo istinto animale.
Lì ho temuto il peggio.

Dopo poche altre folate, afferrò il suo pene ed eiaculò -parecchio- sul mio pigiama, arrivando a sporcare le lenzuola, come forse ci si doveva aspettare data la foga.

Mi sono detta, a posteriori, che ha avuto grande fermezza e bravura nel controllarsi e a non penetrarmi… ripeto, l’asta del suo pene, dopotutto, era perfettamente inserita tra le mie labbra dilatate. In quel momento ero una donna per lui. Niente di più niente di meno.

Una cosa che mi ha fatto riflettere e commuovere.
Anch’io mantenni compostezza e trattenni i miei gemiti attraverso qualche smorfia, ma senza emettere suoni.
Ero attonita. In un altro mondo. Dentro di me, ancora quel senso di colpa. Anche lui sembrava sconvolto: si distese al mio fianco ed entrambi guardammo il soffitto in silenzio.
Il suo pene era lì, gocciolante.
Come carne tremolante.

Ci vollero giorni per acquisire normalità anche nella vita quotidiana.
È da considerarsi incesto? Fu una scelta sbagliata? Dopotutto non avevo insegnato niente a mio figlio, semmai gli avevo fatto prendere confidenza con l’altro sesso. Era sufficiente così. Nei successivi mesi è nata una curiosità morbosa dentro di me che mi spingeva a sospettare dei suoi silenzi che io associavo automaticamente ai suoi momenti di intimità. Salvo poi “sorprenderlo” e sbagliarmi sistematicamente, magari trovandolo ad ascoltare musica o a leggere.
di
scritto il
2022-08-09
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