Col nonno di mio marito

Scritto da , il 2022-05-05, genere etero


È il giorno di Natale. Entro per la terza volta nella casa dei genitori del mio compagno. Sorrisi, bacetti sulle guance... All'improvviso per un attimo rimango paralizzata. Il ricordo di quel volto (non solo del volto, per la verità; anzi, soprattutto del resto) è nitido e, aggravante, alquanto piacevole, accattivante. Ma si tratta proprio della stessa persona? A fatica mi scrollo di dosso tutto; cerco di darmi un contegno. Un po' alla volta il disagio s'affievolisce; riesco a parlare, a sorridere. Ricomincio a respirare; trovo una forma di equilibrio, confidando nel dubbio. Però la stretta di mano è proprio quella. Inconfondibile. Il mio compagno nota il mio imbarazzo e si applica a darmi sicurezza. Giungo intanto anche a una certezza: è proprio lui. Un signore con cui ho passato una nottata intensa, un paio d'anni fa. Una serata decisamente piacevole e una nottata lussuriosa. Molto. Lussuriosa e godereccia. Se non vessi dovuto recarmi al lavoro, in quell'occasione...!
Il pranzo natalizio a casa dei genitori del mio compagno scivola via fra ottimi cibi (la madre del mio compagno si destreggia bene fra i fornelli) e i vini scelti da lui. Il nonno mi sembra ancor più interessante e simpatico di quella volta. Sento il desiderio, il mio; molto intenso. Riguardo lui, non so. Affabile e distaccato, compassato ma interessato. “È stato un piacere!” Che cosa: conoscersi? Rivedersi? O quella notte di eccessi (per quei tempi, per quanto mi riguarda)?
Esco dalla casa comunque turbata. Adesso per l'esigenza temuta di sentirmi in dovere delle spiegazioni al mio compagno. Tutto si stempera prima che avessi completato la mia confessione. Lui è scoppiato in una risata e ha intuito il resto. Forse ha immaginato anche qualcosa di più. Bene: mi farà la festa con maggior entusiasmo.


Cinque anni dopo (per la precisione: cinque anni, due mesi e dodici giorni).

Il nonno m'invita a casa sua. La confidenza raggiunta in questi anni di frequenza, non assidua ma rispettosa, tranquillizza; non ho timori. La confidenza è tale che gli avevo chiesto di accompagnarmi all'altare per il matrimonio con suo nipote. S'è buscato una pleurite che l'ha indebolito al punto che per due mesi non è uscito di casa e ad accompagnarmi al passo fatale è stato mio suocero. In fondo, ora che ne so l'età reale, per un ultraottantenne era pensabile un cedimento.
Nonostante che in questi cinque anni abbondanti ci si sia visti diverse volte, un po' temo ancora me stessa. Se lui ci provasse so che cederei facilmente. Forse devo lottare con me stessa per non assalirlo. Anche perché, benché il suo atteggiamento con me sia di perfetto gentiluomo, i segni che ha lasciato nella mia memoria riemergono sui miei tanti punti erotici in modo non trascurabile per la sua vicinanza e per la nostra solitudine. Sì, mi fa una voglia...
Mi accoglie sorridente, affascinante; è invecchiato rispetto a quel primo incontro ma l'attrazione che provoca non è diminuita. Chiacchieriamo. Mi accorgo che lui tergiversa, finché m'invita a salire di sopra. Una mazzata; un massaggio afrodisiaco. Sono bagnata, sono pronta: prendimi e sbattimi. Il tempo di questo pensiero; non c'è il tempo per un'azione mia, perché la sua sua voce ferma e piana mi comunica che deve mostrarmi una cosa. Spero che quella cosa sia dentro ai pantaloni? Sale un po' a fatica la ripida scala che conduce al sottotetto. “Devo portarmi sulle spalle tanti anni. Sono pesanti, sai, gli anni!” Mica la pleurite, gli anni! Ha in mano una chiave, di quelle in ferro di una volta, pesanti. Lo aiuto e mi sorride, s'appoggia a me. Ho un brivido, quasi tremo di voglia. Varchiamo una porta e vedo una raccolta di fumetti fra i quali anche qualcuno di carattere erotico, una serie di romanzi erotici, le poesie di Catullo, di Giorgio Baffo e quelle di Argia Sbolenfi, gli Amores, lirici greci, Apollinaire... Attraversiamo un'altra stanza, piena di vecchiumi vari; arrivati in fondo, m'invita a spostare un mobiletto, che si rivela per fortuna abbastanza leggero. Compare una porticina. Controlla che la chiave funzioni; non apre la porta che di un paio di centimetri. Neanche basta per vedere il buio all'interno. Subito dopo richiude a chiave e mi fa rimettere a posto il mobiletto. Scendiamo. Mi consegna la chiave, come se fosse un oggetto di valore. Ed ecco avviene il fattaccio: mi dice che entro breve sarà morto. Meno di un quadrimestre. Quando l'ho rivisto come nonno del mio compagno ero rimasta impietrita, ma, al confronto di ora, allora ero di burro. Mi consola, sorride, è spiritoso. Mi accenna chiaramente a un dettaglio del suo testamento. Quella casa sarà nostra. Ne facciamo ciò che ci pare: lui sarà morto e poco gliene importerà. Ma se la venderemo, prima dovrò recarmi dietro quella porticina nascosta. “Ti chiedo però di non uccidermi prima per soddisfare la tua curiosità!” esclama ridendo sereno. Mi regala una sterlina d'oro baciandomi sulla guancia. Mi dice che non dimentica quella famosa (almeno per noi) serata. Ne parla con gioia. È come un cirro il suo sorriso nostalgico.
Ci congediamo: mi dà due baci caldi sulle guance. Lo shock di prima vince su ogni possibile reazione. Mentre chiude la porta a vetri mi accorgo che ce l'ha duro. È sempre quel cazzo, indiscutibilmente il migliore dopo quello di mio marito. Mi sembra di riaverlo dentro. Un'ombra umida e scura si forma sui miei jeans attillati. Tornerei indietro, ma la porta è chiusa e lui è sparito.

Mi sento vuota, tanto vuota quant'è piena quella bara che ora stanno chiudendo. Con gesti precisi e consueti, per loro. L'unica ultima vista per noi. Sono trascorsi tre mesi e tre giorni da quell'incontro. Da tre giorni era un respiro sempre più debole. Mi sento addosso il marchio della nostalgia: lacrime scivolano sulle mie gote. La mia passera s'unisce al cordoglio.

Il notaio legge il testamento, documento ironico com'era lui. La casa è nostra; non soltanto quella, ma questo non importa. Sento freddo: un'arietta pungente e fastidiosa, in pieno giugno. La sento dentro di me. Mi sbatacchia a destra e a manca, senza rispetto.

Adesso ci viviamo, qui, sulla collina a pochi chilometri dal paese. L'abbiamo trasformata a nostro piacimento. Resta com'era il giardino con le sue piante, restano la vigna, il bosco sul retro, la cantina (intoccabile, questa: rende buono anche il vino scarso).
Ah! Dimenticavo: ovviamente sono andata dietro quella porticina. Una prima volta senza mio marito. Alla luce scarsa ho trovato e letto un'affettuosa lettera per me, con la quale mi riservava il contenuto dello sgabuzzino, mi ricordava quella nottata, mi diceva che ogni volta che m'incontrava gli tornava duro. Caspita, a quasi novant'anni! Viste le somiglianze, spero che anche mio marito, a un'età simile, abbia la medesima virile propensione.
Leggere quella lettera mi ha eccitata. Non c'era soltanto quella: uno scaffale con una raccolta di volumi di opere erotiche, qualche vecchio numero di Playboy e di Penthouse, alcuni oggetti da sex shop, una pesante, molto pesante in rapporto alle dimensioni, cassetta di legno. Apro il coperchio: in una metà ci sono parallelepipedi gialli o grigi, luccicanti, ordinati e ben riposti; nell'altra stanno tanti piccoli dischetti, simili a quello che m'aveva donato quella volta che mi aveva condotta lì. Sopra un biglietto scritto con la sua calligrafia elegante: “Una scopata con te vale di più”. Non resisto. Sollevo la gonna, mi accarezzo, gioco un attimo e vengo. Asciugherò poi il pavimento. Nell'andarmene le piante dei piedi pestano quel po' di me stessa che avevo schizzato per terra. Prima di giungere alla scala mi volto e vedo le loro impronte che mi seguono. Farei il bis, come premio ai miei pensieri.

Il biglietto non gliel'ho mostrato. Ma leggere quella lettera con mio marito, dopo, è stato quasi imbarazzante. E sì che aveva già capito, che ci aveva già scherzato sopra. Ha tirato fuori il suo tipico sogghigno, quello che preannuncia la mia devastazione. Poi mi ha ricordato quanto meglio sia lui rispetto al nonno, mettendomi nelle condizioni d'implorare quasi con disperazione, fra un orgasmo e l'altro, che mi venisse dentro: oltre mezz'ora di scopata intensa ed incessante. Mezz'ora in cui ho perduto la cognizione di me stessa. Sì, ero soltanto una coppia di buchi caldi e accoglienti per un cazzo che ne alternava l'uso con feroce ed impietosa indifferenza raggiungendo con microscopica precisione il punto preferibile del bersaglio. Come sempre.

Ecco, ora sapete com'è andata a finire l'avventura narrata nel racconto “L'anziano”.

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