Vicino perverso - pt2

di
genere
dominazione

Riguardo alla notte in cui Federico si impossessò per la prima volta del mio corpo, non entrerò nei dettagli. Posso solo dire che fu un miracolo che i miei figli non si svegliarono a causa dei miei gemiti. Di questo devo ringraziare la TV ancora accesa in salotto ma soprattutto Federico, che, capito l’andazzo, fu pronto a ficcarmi indice, medio e anulare dritti in bocca attutendo notevolmente i miei versi di piacere.
Ah, se ve lo stesse chiedendo, non sono riuscita, con suo grande dispiacere, a “prenderlo tutto”.
Per capirci, Federico si presentò con un aragosta lì dove io ero abituata al gamberetto di mio marito.

Dopo quella notte le nostre vite cambiarono radicalmente.
Passò un mese circa. Un mese in cui non ebbi nessun altro rapporto sessuale con lui, anzi, nel tempo che trascorse, non parlammo neanche dell’accaduto. Federico si comportava come se nulla fosse successo.
Mio marito si ripresentò a casa un pomeriggio. Ammise di avere una tresca con una sua collega e che si sarebbe trasferito da lei. Terminata la furiosa sfuriata se ne andò dicendo che, quando mi sarei calmata, avremmo avviato le pratiche del divorzio.
Stronzo.
Da quel momento Federico colse la palla al balzo e, pian piano, iniziò ad essere sempre più presente nella mia vita. Il suo supporto e aiuto fu fondamentale per me in quei giorni. Gradualmente, e senza che me ne rendessi conto, quel ragazzo si stava sostituendo a mio marito, prendendone il ruolo. Non appena aveva del tempo libero si offriva di darmi una mano aiutandomi con le faccende domestiche, accompagnandomi in giro a fare compere, arrivando anche ad accompagnare i miei bambini a scuola e a pallavolo.
Con il passare dei giorni mi infatuavo sempre di più di quel ragazzo così affettuoso e premuroso senza far caso a tutte le stranezze che appartenevano al suo carattere. I miei figli, invece, lo adoravano ma impararono ben presto a temerlo e rispettarlo, lo capii quando sentii che si rivolgevano a lui chiamandolo “papà Federico”.
Rimasi allibita.
Ma come gli era potuto in mente di farsi chiamare a quel modo dai miei figli? Che cosa aveva detto loro?
Provai ad affrontare l’argomento con lui finendo per scatenare tutte le sue ire. Non so bene come ma, riuscì a convincermi e finimmo la discussione con me che gli davo ragione. Dopotutto i miei figli avevano bisogno di una figura paterna in questo momento della loro crescita, o almeno è questo quello che mi disse lui.
Non mi stavo rendendo conto che, con il suo modo di fare, stava sminuendo il mio ruolo rendendomi quasi un semplice oggetto.

Nonostante lui abitasse ancora nel suo appartamento e non dormissimo insieme la sera, agli occhi dei miei figli credo che Federico fosse diventato a tutti gli effetti il mio nuovo partner.
Ed è proprio per questo motivo che Federico decise di fare il passo successivo, decise che dovevamo uscire tutti insieme come una vera famiglia “E quale giorno migliore per uscire tutti insieme se non la domenica?” mi disse tutto soddisfatto.
Mi vergogno solo a pensarci.
Domenica, Federico annunciò, a me e i miei figli, che saremmo andati prima in chiesa e poi a fare una passeggiata in centro e che dovevamo sbrigarci in quanto già in ritardo.
Rimasi stupita nel non sentire nessuna lamentela da parte dei miei ragazzi che anzi, ubbidienti, filarono a prepararsi. Forse, l’influenza di Federico non era poi così male.
Accompagnata da quello che in passato era semplicemente il mio vicino di casa andai in camera a vestirmi.
“Ti ho già preparato l’outfit per la giornata” disse lui tutto serio. L’outfit che mi aveva preparato consisteva in un paio di tacchi a spillo, uno short inguinale e una magliettina eccessivamente scollata. Ma davvero voleva farmi andare in giro conciata a quel modo?!
Dato che iniziava a scaldarsi, indossai i vestiti che mi aveva portato. “Hai ragione… così non va bene per niente” disse squadrandomi dopo che mi fui vestita. Accolsi con sollievo quella frase e proprio mentre stavo per iniziare a spogliarmi di nuovo, lui si fece avanti, agguantò il pantaloncino e tirò in alto con forza in modo da farlo aderire maggiormente al mio corpo. “Oh! Così va molto meglio!” esclamò con soddisfazione guardando la mia immagine riflessa nello specchio. Lo short, messo in quel modo, lasciava totalmente scoperto il mio sedere, assomigliando più a uno slip che a un pantaloncino.

Giunti in chiesa, Federico volle che ci accomodassimo il più vicino all’altare possibile. Nel nostro tragitto verso le file, tutti ma proprio TUTTI i presenti si voltarono nella nostra direzione attirati dal rimbombo dei miei tacchi sul pavimento.
Che vergogna.
Sentii per tutta la durata della messa gli sguardi indignati dei fedeli ma non li vidi in quanto rimasi a testa china per tutto il tempo. Il colpo di grazia arrivò dal prete in persona che, al termine del rito, ricordò ai presenti di indossare abiti idonei in futuro.
In tutto ciò, Federico sembrava orgoglioso di quanto stesse succedendo. Alla frase del prete si dovette trattenere dal manifestare tutta la sua gioia. “Hai visto? Anche il prete ti ha notata… Vedessi come ti stanno guardando tutti…” mi bisbigliò mentre si voltava a destra e sinistra. Era felice come un bambino che mostra il suo nuovo giocattolo agli amichetti. L’unico problema era che, in questo caso, il giocattolo ero io.

Dopo la messa, andammo in centro per una passeggiata.
Giunta nella via principale della città e vista la quantità di persone a passeggio, aprii la borsetta e tirai fuori un paio di occhiali da sole. Indossandoli avrei mascherato un minimo il mio volto sentendomi un po’ meno in imbarazzo. Nel veder compiere quel gesto, Federico si innervosì “Ma sei impazzita?!” mi chiese strappandomi gli occhiali di mano “vedi di camminare a testa alta! Chissà magari incontriamo qualcuno che conosci!” concluse la frase con un sorriso speranzoso.
Io stavo morendo dentro, pregai di non incrociare nessuna faccia conosciuta. Ma perché mi stava facendo questo? Perché umiliarmi a quel modo?
Quella mattina c’era una sorta di manifestazione in città e Federico ebbe la brillante idea di tuffarsi nella folla perché “Qualcuno potrebbe avere il coraggio di allungare le mani” disse ridacchiando. E difatti così fu. Ricevetti toccatine e palpatine di ogni tipo. I più coraggiosi arrivarono a pizzicarmi le natiche o addirittura a darmi degli schiaffetti.

Tornati alla macchina, i miei figli salirono a bordo nei posti dietro e Federico si avvicinò alla mia portiera per aprirmela. Quel gesto galante, se così lo si può definire dopo una mattinata del genere, non era altro una scusa per osservarmi con cura il didietro.
“Wow! Ci sono andati giù pesante!” disse felice come una Pasqua. “Amore sei stata bravissima oggi, ti faccio i miei complimenti… e io che pensavo mi avresti delusa!” dicendo questo mi diede un bacio sulla guancia e mi aiutò a salire a bordo.

A casa non mi fu concessa l’autorizzazione a cambiarmi, quindi fui costretta a preparare un pranzo veloce con ancoro quei tacchi scomodi ai piedi. Solo mentre ero intenta a preparare la tavola mi resi conto dello strano silenzio che c’era in casa. I miei figli erano ammutoliti dalla mia stessa presenza. Vedere la loro mamma preparare il pranzo con il sedere praticamente di fuori doveva sicuramente averli messi a disagio.
“Ora io e la mamma andiamo a riposarci un po’” disse Federico a pranzo terminato, “Mi raccomando, non urlate e soprattutto non litigate!”. Dopo aver ammonito i miei figli, mi afferrò per i capelli, come aveva fatto tempo addietro, e mi costrinse a seguirlo in camera.
Mi scaraventò all’interno della stanza con l’irruenza di un cavernicolo. Lo guardai e mi sembrò di vedere un’altra persona di fronte a me. Federico era scuro in volto, la fronte aggrottata e lo sguardo severo.
“Ma ti sembra il modo di uscire conciata in quel modo? Mi hai messo in imbarazzo davanti a tutti …” mi sgridò.
“M-ma amore… sei stato tu a…” cercai di controbattere impaurita.
“Guardati sembri una sgualdrina… ah ma questa me la paghi… giuro che me la paghi…” sbraitò.
Io lo guardavo sempre più allibita mentre lui iniziava a spogliarmi. Mi stava facendo sentire colpevole di un qualcosa che lui stesso aveva voluto.
In pochi secondi era già nudo e mi ritrovai con il suo attrezzo puntato contro quasi fosse una vera e propria arma. MI fu addosso, con uno strattone mi abbassò prima lo short e poi le mutandine che si rigirarono sulle loro stesse fino ad arrivarmi alle caviglie. MI si posizionò dietro e lo sentii avvicinarsi con il membro alle mie parti intime. Lo sentii sfiorarmi le labbra con il glande che poi entrò in quello che era un corridoio troppo stretto per un fallo di quelle proporzioni.
“I tuoi figli stavolta sono svegli… e io non ho nessuna intenzione di perdere tempo a tapparti quella boccaccia… quindi… vedi tu che vuoi fare” mi sussurrò all’orecchio mentre iniziava a pomparmi.
“Ti darò la lezione che ti meriti. Troia”.
Mi prese in piedi, poi ci spostammo sul letto. Finimmo sul pavimento per ritornare nuovamente sul letto dove si concluse il nostro amplesso.
Non sto qui a dirvi le posizioni umilianti in cui mi mise o le frasi indicibili che mi sussurrava.
Credo di essere riuscita a trattenermi per i primi 5 minuti, poi capii che più cercavo di trattenere i gemiti e più lui aumentava il ritmo e la consistenza delle sferzate.
Federico quella sera tornò a casa con un nuovo paio di mutandine e quando il giorno dopo vidi i miei figli per colazione, mi accorsi che non mi guardavano più allo stesso modo.
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scritto il
2022-04-10
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