Laragazza troppo bella - Parte 10

Scritto da , il 2022-01-31, genere orge

Non ero una malvivente. Lo siamo tutti. Paradossalmente, nel cercare di tracciare la strada del bene, definiamo quella del male. La conosciamo, pur se non l'abbiamo mai presa. È parte del nostro environment, del nostro habitat, il male è come la spina sulla rosa, difende il bene. Non ero una malvivente, ma ne avevo conosciuti, visti, e pure in famiglia, qualcuno che avesse presso la via sbagliata c'era. Conosciamo il male, basta ricordare come viverlo, farlo. Avevo visto mille film, di cui anche Gomorra, ma non solo. Da Bodyguard a tutto il panorama cinematografico in cui ci sono le eterne lotte tra il bene ed il male, si impara tanto. Imparai tanto. Semplicemente. Non c'e bisogno di un tutore per commettere del male. Male che puo anche essere inteso semplicemente come deviazione nei confronti della legge. Ma feci l'esperienza su me stessa che i soldi fanno perdere la testa...
Non c'era nulla che non potessi fare, o comprare. Man mano che mi accorgevo di questa mia "potenza", il mio carattere, il mio essere intero, tutto cambiava. Recusavo l'amore, preferivo il potere. Persino il mio amante di Napoli lo avevo lasciato malgrado l'amore che credevo di provare per lui. Vivevo in una bolla. Pellicce. Champagne. Auto lussuose. La perdizione era il mio campo. Grace, il mio braccio destro giamaicano, aveva fatto venire due donne del suo paese. Ex membri dell'esercito... Erano le mie guardie del corpo personale. Mi seguivano come un ombra. Discrete ed efficienti, non sorridevano mai, ma erano letali, come avrei avuto modo di vedere con i miei stessi occhi.
Tuttavia, mi annoiavo. Nemmeno più i problemi riuscivano a togliermi il sonno. Dopo due retate in cui confiscarono la droga ed accusarono di prostituzione le mie ragazze, non ebbi altro da fare che fare due telefonate. In giornata stessa erano libere e senza alcuna accusa. Le ragazze che già avevano rispetto per me, ne ebbero ancora di più. Mi vedevano intoccabile. Forse non era del tutto cosi, ma quasi.
Era una mattina di maggio. Faceva ancora freddo ma il sole annunciava già la prossima stagione con molta luce e raggi caldi. Decisi di uscire. Arthur, un lord inglese che sperperava la sua fortuna per il mondo ma che amava particolarmente l'Italia era arrivato nella notte. Quell'uomo impazziva per me. Ovviamente, non sarei mai stata la sua moglie pur se non avesse famiglia, era un dignitario inglese, l'apparenza era la sua vita. Difatti, bell'uomo di sessant'anni attempato, rigido, sempre in tre pezzi e cravatta. Non andavo più con i "clienti", non tutti. Ma la fortuna di Arthur era immensa, non lo consideravo alla pari, pur se avevo tanti nei quei soldi, era di quel livello che non si raggiunge mai quando si parte dal basso, ricco da intere generazioni che gli avevano lasciato immani possessi. Poi, ovviamente si era sposato con una donna del suo rango, altrettanto ricca e potente. Ma non avevano avuto figli. E la loro dinastia era ferma davanti ad un punto interrogativo. Lei diventò frigida, e cominciò a far finta di non vedere. Arthur nelle sue amanti sparse per il mondo trovava lussuria. Non voleva ne cercava amore. Solo e semplicemente lussuria.
Il cancello si apri e la macchina entrò silenziosamente nel viale. Scesi e vidi Arthur sulla veranda. Era in vestaglia e teneva in mano una tazza di tè. Ne beveva a litri. Sorrise con tutti i denti quando mi vide e con il suo britannico accento disse " Amore, che bello rivederti...". Sorrisi a mia volta ed andai ad abbracciarlo. Le mie due guardie del corpo rimasero nei pressi della macchina. Arthur mi portò all'interno di una sontuosa casa, decorata nei minimi dettagli, open space per lo più con larghe vetrate che davano sul giardino dove c'era una piscina che contrastava sul verde del prato. "Tè?" mi chiese? Acetai volentieri e mi sedetti dopo aver tolto la mia giacca. Avevo un corto vestito color cremisi. I cappelli raccolti in un sapiente chignon che mi dava l'aria della maestra, il che non falsava col trucco meticoloso. Mi domandavo perché volesse vedermi. Di solito telefonava. Insisteva tanto per vedermi e poi si accontentava di qualche mia ragazza. O di piu di loro. Questa volta mi aveva detto che aveva l'esigenza di vedermi. Speravo di non dover fare sesso con lui. Il suo problema era un altro. Al grande Arthur, prode scopatore della nazione inglese, non gli si alzava più! Me lo disse con delicatezza. Lo disse a me, non al suo medico a Londra, non al suo psicologo, non al suo amico, lo disse a me. Io Monica, Bosslady per tutti oramai, non contavo, non valevo abbastanza da vergognarsi dinnanzi a me, ero sua confidente cosi forse come lo è stato lo schiavo nella fattoria isolata del suo padrone. Era per quello che avevo costruito la mia fortuna. Arthur non lo sapeva, ma avevo parecchi filmati di lui in azione con me o con le mie ragazze. Facevo quei filmati non per ricattare nessuno, ma magari per essere protetta. Lo scandalo diventa tale quando riguarda alte sfere. Se non lo fa, è banale cronaca. Ovviamente, conoscevo i migliori dottori di Roma, quasi tutti loro clienti miei. Chiamai il primario del Policlinico di Roma e nel giro di mezz'ora mentre nel frattempo chiacchieravo con Arthur, fissò un appuntamento per il giorno dopo alle dieci con un suo collega. Arthur ne fu felice. Lo lasciai li e gli promisi di chiamarlo il giorno dopo. Avevo un altra visita da fare. L'albino.
L'albino viveva a Tor Monaca ma era spesso dalle parti di Ostia. La casa che abitava era degradata, mal tenuta. L'interno non era piacevole. Nel soggiorno troneggiava un tavolo da bigliardo, un televisore che quasi occupava tutta una parete, divani scuri dove c'erano sempre ragazzi seduti a giocare alla playstation ed a fumare. "Bosslady?" mi chiese Cristie, una delle mie guardie nere. Voleva sapere se dovevano entrare o a meno. A loro, quella banda non piaceva. Erano sempre nervose quando dovevamo andare li, ed una volta li, passavano il tempo con la mano sul calcio delle loro pistole. Il mondo da dove venivano era molto più violento. Sapevano riconoscere le bestie...
"Bosslady, siediti" disse l'Albino quando entrai nella stanza che usava come ufficio. C'era un enorme scrivania, e su di essa, pacchi avvolti da cellofan e scotch, buste di avrei grandezza di erba, eccetera eccetera. "Allora, come va?" mi chiese sorridendo. Era inquietante. Anche per me. Ma non ne avevo paura. Avevamo bisogno 'uno dell'altro, ruote dello stesso carro. E poi, lui non aveva rinunciato a me, e questa debolezza era un mio grande vantaggio. L'albino mi disse che i prezzi sarebbero cambiati perché il fornitore aveva aumentato il costo. Protestai per pura forma. Il margine era cosi alto che anche se la comprassimo doppio avremmo guadagnato mille volte tanto. L'albino mi offri da bere ma non accettai e chiudemmo gli affari in fretta. Non mi piaceva stare li. La sera, c'era una festa organizzata nella mia Spa. Esclusiva, per trenta persone. C'era un chef stellato che avrebbe cucinato. "Il sentiero dei sensi" era un altra cosa che misero inventato. Dal palato ad ogni centimetro del corpo, il piacere si doveva esprimere. Non solo fuori, ma anche dentro. il numero era sempre lo stesso, trenta persone, per non creare troppo casino. Gli ospiti li vestivamo noi. Talvolta con vesti antiche greche, altre volte come i Maya, o anche come le isolane del Pacifico. Era un gioco in cui togliere dapprima l'identità dell'uomo potente nell'amalgamarlo lasciandogli comunque l'illusione di essere speciali. Ma il gioco piaceva, perché era speciale. C'era un solo tavolo da mangiare, un tavolo strano che ricordava la forma di un serpente che si muoveva, per poi ricongiungersi. Quindi era tonda, ma con dei cerchi. La musica era anche secondo il tema scelto, ma sempre e solo capace di accarezzare l'anima passando per le orecchie. Era ricercata. Il cibo si consumava con le mani, il contatto con l'essenza delle cose, il loro sapore, la loro consistenza, sono tutte forme di erotismo ignorate dalla gente. Partivo dal dettaglio, e nel dettaglio, ci sta anche tanto alcol, o droga. Ma non qualunque droga. Da me, non si consumava la cocaina ne le pasticche. Solo oppio e marijuana. Dosati sapientemente portano ad un stato incredibile. Poi i sentori. Un diffusore speciale rilasciava gli odori reali della terra che era il tema del giorno. Un film muto su una parete passava immagini di abbracci e baci. Solo abbracci e baci. Tra bambini e bambini, bambini ed adulti, adulti e vecchi, infermi, malati, abbracci che circondavano il mondo contendo il suo grido di dolore. La seconda parte della serata era il dessert. Dessert servito dalle mie ragazze, e dai miei ragazzi. Si, avevo assunto anche dei ragazzi. Giovani africani, americani del Sud, asiatici, e qualche italiani. Ragazzi tutti belli ed in forma. Mi ero reso conto che in quel mondo non c'erano solo gli uomini alla ricerca delle donne. Ma sopratutto il contrario... E ovviamente, avevo sopperito a quella mancanza. Due dei miei per ognuno di loro. Per chi era bisex, un uomo ed una donna, per chi non lo era, due dei miei del suo genere. Io, dal canto mio, guardavo... Osservavo. Non esisteva abito eroico di haute couture che non abbia provato. I gioielli che arboravo e cambiavo di frequente ed in base all'abbigliamento dimostravano la mia ricchezza e potenza. Poi, iniziavano i laboratori erotici... Un trans era la Maestra dei pompini e del leccare la passera. Faceva esempi pratici, sia su uomini che su donne, so come si tiene il cazzo in mano, come si avvolge un clitoride con la lingua. Parlava piano, invitando il gruppetto che lo seguiva a concentrarsi sulle sensazioni raccolte dalla lingua sull'organo. Invitava a chiudere gli occhi ed ad assaporare il potere del piacere condiviso. Poi, c'era la maestra del dolore. Attraverso il dolore, si approda al piacere. È la via piu breve, ma chi non ne conosce i segreti rimane solo ai confini di una vaga goduria. Col dolore, si riesce ad andare oltre, è esperienza che marca un confine. Thea, la bellissima brasiliana spiegava al gruppetto attorno a lei come tenere una frustra in mano e dove colpire. Mentre colpiva le natiche di un uomo in ginocchio davanti a lei, invitava a concentrarsi sulla reazione, sull'espressione, sul sussulto dei muscoli e di conseguenza del cazzo. Diceva di stare attenti all'intensità del dolore perché la soglia è diversa per tutti. "Bisogna stare li, proprio li, sulla linea di confine, senza andare oltre, ma non dovete nemmeno recedere". "Cominciate dal basso, sempre, fate del dolore del vostro compagno o della vostra compagna un amica che lo accompagna in un posto ove si trasforma in puro piacere". Mostrava come usare le pinze per i capezzoli in base alle espressioni di chi se le faceva mettere. Poi, si passava al laboratorio di Antonio. Un guru del yoga che insegnava la percezione del proprio corpo. Mentre un senatore si prestava all'esperimento con una delle mie ragazze, sfidò l'uomo con pochi tocchi facendo notare a tutti il sussulto che ne susseguiva. Tracciò delle linee che chiamo "del piacere" e spiegò che il corpo intero è un organo dei sensi, destarne uno è fantastico, tutti insieme, paradisiaco.". Mostrò come toccare il piede, come succhiare le dita, sfiorare i corpi nel momento dell'atto. "Anche l'energia del piacere è palpabile, ci deve essere connessione tra la vostra anima ed il vostro corpo". Poi, una donna di età avanzata, nobile nei gesti e nei movimenti insegna la "penetrazione". Dalla mano ai vibratori arrivando alle mazze. Spiegava il modo di lubrificare l'orefice prima di invaderlo. Mentre infilava la mano nel culo di un uomo dai capelli grigi che si era prestato all'esperimento, spiegava di contrazioni con cui sposare il movimento della mano, di cavità a cui arrivare con pazienza. " Essere pieni è una sensazione unica. Si va al limite di se stessi, ci si apre a piaceri giganti che solo il cazzo non puo procurare. Alle donne spiega come indossare ed usare uno strap on. Non è solo un oggetto disse loro, ma un vero e proprio cazzo che è il prolungamento della figa. "Scopateli cosi come vorreste essere scopate...". C'era un altro paio di laboratori, ragazzi e ragazze nudi ma dipinti che ballavano su pali o a terra in modo sensualissimo. Dal laboratorio si passava al "Salotto". Un posto che avevo fatto fare appositamente per le feste. Divani ergonomici ovunque, disegnati per favorire le posizioni sessuali, ondulati e di forma strane, alcuni giganti alcuni piccoli, ma tutti fatti in tal modo da dare confort in una o un altra posizione. Alcuni erano stati disegnati in modo strano, ma tutti con uno scopo. Le luci erano soffuse, ovviamente, il sentore dei diffusori rendeva l'aria esotica, ed il resto era erotica. Parte dei ragazzi del mio staff cominciava tra di loro a toccarsi, a leccarsi, a penetrarsi, il tutto in una meravigliosa coreografia che esacerbava i sensi. In quel momento, partiva il tutto, ed era un via vai di sensazioni disparate e varie che riempivano la sala di cori meravigliosi. Il suono delle frustra si mischiava con quello di cazzi che entravano ed uscivano da buchi, di respiri pesanti, di grugniti, di parole oscene, di posizioni al limite dell'indecenza anche per una come me. Ero fiera di me. Mentre guardavo eccitata il paradiso rendere vita sotto i miei occhi, venne Luigi da me. "C'è la polizia fuori disse". Lo segui fuori. Erano i due poliziotti che Alberto mandò una volta che oramai erano i miei clienti fissi e che si facevano vedere di tanto in tanto per avere un buono per la Spa. Mi chiesero se andasse tutto bene. Diedi a loro due buoni e tornai dentro a godermi il fine dello spettacolo.

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