Novilunio

Scritto da , il 2021-12-30, genere esibizionismo

Siamo al novilunio. Annaspo e arranco ancora, ma la luna nuova comincia a svitare le sbarre di questa gabbia nella quale mi trovo da giorni. Come ogni anno, da anni. Una gabbia di suoni ottusi, di sensazioni appiccicaticce, sgradevoli. Fossero sudice forse ne uscirei prima; fossero brutali mi solleverebbero. Invece sono inodori e insapori, tiepide. No, non di quel tepore rasserenante, consolante. Questo è triste, solitario: quasi soffoca, come un cuscino sopra la bocca. Questo è una coperta che pesa sul corpo e oscura la mente, senza pietà. Genera penombre tetre. Suscita fantasmi stridenti più che versi di gabbiani. È sparito quell'ultimo vago lembo di luna, appena luminescente; un fuoco fatuo appena prima dell'attimo in cui svanirà.
E svanisce, o forse ne resta una parvenza. È questo il momento del quale le sbarre possono essere divelte, nel quale la gabbia può essere distrutta, può inasppettatamente sublimare. Lo sai e attendi. Lo so che annusi l'attimo propizio. Verifichi se sia arrivato o se manchino tre minuti oppure un secondo. Adesso non mi puoi vedere, non mi puoi sentire, non puoi solcarmi con lo sguardo, quel tuo sguardo predace d'aquila pronta ad avventarsi sulla tenera cerbiatta da dilaniare. Da liberare. A me manca il fiato, manca il respiro; manchi tu. Tu, specificamente.
I tuoi passi attraversano stanze e corridoi. Li sento bettere, ritmici, decisi, sicuri. Conducono da me i tuoi occhi. Per primi, sì, gli occhi. Occhi pronti a considerare questa femmina che attende, seminuda, esposta, implorante. Leggi la mia invocazione; nei miei occhi la leggi meglio, la vedi anche senza quei tuoi stupidi ridicoli occhiali. Un cieco la riconoscerebbe all'olfatto. Tu, lo so, l'identifichi con tuti e cinque i sensi. Anche col sesto. È un'invocazione disperata. Coinvolge anche le pareti del nostro salotto, nel quale stai portando il tuo vino preferito. È quello che più pice anche a me. Sai che non ne basterebbe un ettolitro per farmi uscire da questa gabbia, quando sono così rinchiusa. Sai che ne basta una goccia per accendermi lo sguardo quando sono libera. So che poserai la bottiglia sul tavolino senza guardarlo. So che ora stai guardando quel mio speciale paio d'occhi vibrante, lucente, implorante. No, non due occhi. Due bocche che attendono di esalare l'ultimo respiro, che aspettano di lanciare all'universo l'urlo liberatorio della liberazione. Due bocche aperte in un'esclamazione di meraviglia, luccicanti, esibite dalle mie mani che allargano le mie chiappe per consentirti ogni libertà, ogni potere. Soprattutto la libertà di concederti tutto, soprattutto il peggio. Soprattutto il potere di disintegrare questa gabbia atroce dalla base fatta di spuntoni roventi che mi trafiggono l'anima. Soprattutto il potere sciamanico d'accendere il fuoco, di trasformare in lussuria questo dolore che ogni anno ritorna vivo e scarnificante. Lo sai. Solo il novilunio mi salva. Abusa, adesso, tu, di me. Abuso salvifico. Abuso che mi uccide. Abuso che incenerisce, sarò di nuovo come l'Araba Fenice. Potrò essere di nuovo la tua troia, dopo. Lo sarò. Lo sai. Ne avrai bisogno, dopo questi giorni: un'esigenza profonda come il mio bisogno di tornare libera di sentire la tua voce, il tuo corpo, il tuo cazzo.
Eccolo, il novilunio.

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