La scoperta di Sara - 6

Scritto da , il 2021-09-22, genere comici

José assaggiò il vino versatogli da un anziano e taciturno cameriere dall’aria corrucciata, approvò, e quello, con mano tremolante, riempì i calici, per poi lasciare rumorosamente la bottiglia - che era unta e polverosa - sul tavolo della coppia. Poi, mentre servivano loro l’antipasto - un affettato di culatello al pepe - Sara propose un brindisi, e José disse, più per rompere il ghiaccio che per autentico interesse: “Allora, Sara, cosa fate di bello qui a Parigi? Ho notato che avete un cognome esotico, anche se non ho afferrato bene quale…””Ah, quello che, entrando qui, ho dato ad Alphonse?” rispose lei ridendo, il calice in mano e quel popo’ di poponi in bellavista, “Ma quello non è mica il mio cognome, è il mio nome d’arte… sapete, devo pur pagarmi gli studi…”. “Studi? Che meraviglia, come vorrei avere avuto anch’io la possibilità di studiare”, mentì José, che in realtà, essendo figlio di un facoltoso allevatore di suini, avrebbe potuto permetterselo benissimo, ma non aveva mai avuto voglia di fare un cazzo e aveva preferito correr dietro alle peggio putas di Segovia; e le chiese: “Di cosa vi occupate esattamente?”. “Sto facendo un dottorato di storia della Cina… avete mai sentito parlare del Cock-i-Noor?” “Vagamente…” replicò lo spagnuolo, che della Cina conosceva solo le masseuses con lieto fine di Rue du Pissoir. “Cock-i-Noor significa ‘cazzo di luce’”, spiegò Sara, “un diamante magnifico, di oltre 105 Lilli Carati, che un maragià indiano fece intagliare nella foggia di un dildo alato per divertire le sue concubine…””Bè, se aveva le ali, non è molto pratico…”, osservò José che se ne intendeva, essendosi fra l’altro chiavato la proprietaria del sex shop “Les sucettes”. “È proprio per questo che volle che avesse le ali, due grandi ali spiegate: per evitare che le concubine lo usassero negli orifizi e si tagliassero”. “Molto astuto” commentò José “ma cosa c’entra questo (letteralmente) cazzo di diamante con l’antica Cina?”. “C’entra, c’entra, eccome se c’entra… perché a un certo punto questo maragià, dopo una lunga giovinezza di eccessi e di bagordi (diciamo pure i suoi primi quarant’anni, un po’ come l’Avvocato Agnelli), decise di accasarsi. Inviò uomini di fiducia in tutte le terre allora conosciute, facendosi descrivere, e portare il ritratto, tutte le bellezze in età da marito. E alla fine si innamorò della bellissima principessa Tana, figlia dell’imperatore della Cina. Tana era molto piccola, anche in confronto alle cinesi del suo tempo - siamo nella 69esima dinastia - ma aveva un viso e un corpo perfetti. Il padre, però, cioè l’imperatore, teneva in grande stima un astuto mercante veneziano, che gli faceva da consigliere in materia di commercio estero. Per esempio, per stimolare l’export, gli aveva consigliato di cambiare nome, da Tio-Can a Gran Can, perché meglio accetto nei paesi cristiani (Can Grande no, perché ce n’era già uno a Verona). Adesso quel Gran Cane respinse sdegnato la proposta di nozze consegnatagli dagli ambasciatori del maragià perché il suo consigliere veneziano gli aveva fatto notare che, siccome il nome della famiglia del maragià era Vakapût, sua figlia, se lo avesse sposato, si sarebbe chiamata (secondo l’uso cinese, per cui il cognome precede il nome) Vakapût Tana, e questo avrebbe fatto di lei - e di conseguenza di lui, l’imperatore della Cina - lo zimbello degli italiani. ””Ah, les italiens!”, sospirò José. “Insomma, fini ragionamenti politici, la solita ragion di Stato che prevale sull’amore”, riprese Sara, con nella voce una punta di amarezza, “fatto sta che Tana fu costretta a sposare un altro uomo, il principe birmano Töt-ta, e il maragià, dopo avere nascosto il Cazzo di luce in un luogo che ad oggi non si è ancora riusciti a scoprire, si tolse la vita in modo orribile, facendosi sodomizzare da Deep Plug, il suo elefante preferito”. “Che storia triste…”, commentò lo spagnuolo, “beh, consoliamoci con questa… questa pasta, come hanno detto che si chiama?””È una puttanesca”, spiegò Sara. ”Davvero squisita””Avresti dovuto assaggiare il primo che era nel menu della settimana scorsa… un menu anticlericale, hanno servito degli strozzapreti accompagnati da un ottimo Lacryma Christi”. “Insomma, Sara, qui siete una habituée”. “Vengo di tanto in tanto… quando posso permettermelo… E voi, José? Che cosa fate di bello nella vita?”

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