Una sessione molto speciale

Scritto da , il 2020-08-16, genere dominazione

"Posizione schiava" sono le prima parole che sento da quando siamo entrati qui. Non vedevo l'ora che uscissero dalle sue labbra. Ero così impaziente, così agitata, così in ansia per quello che sarebbe successo di lì a poco ma queste parole mi calmano subito. Hanno sempre questo potere. Mi spoglio e mi inginocchio, chinata in avanti, faccia a terra, mani davanti la testa e seni a sfiorare il pavimento tenendo il sedere alto. Il rapporto con questa posizione è di amore-odio, è quella che mi chiede il mio Padrone e non posso fare altro che amarla, ma non vedo nulla, sono totalmente impreparata a qualunque cosa abbia in serbo per me.
Il tempo passa ma non succede niente, continuo imperterrita a fissare il pavimento sotto i miei occhi. Che cosa sta facendo? Perché non succede nulla? Che motivo ha di farmi aspettare?
Poi capisco. Sta aspettando che io abbia riposto tutta la mia fiducia in lui, che abbia smesso di pensare. Aspetto, ormai sarà passata mezz'ora o un'ora, due forse? Il tempo è relativo ormai ma rimango in posizione. Le ginocchia mi fanno un po' male ormai, forse è passata davvero solo mezz'ora. La schiena è indolenzita, questa posizione non è molto comoda per tenerla a lungo. Cerco di stenderla un po'.
"Cosa pensi di fare? Vieni qui. Subito."
Mi muovo. So che non ho il permesso di alzare la testa e nemmeno le ginocchia, così mi muovo a gattoni, a capo chino. Mi scontro con le sue gambe, con i suoi piedi. Mi fermo.
"Qui, ferma, da brava cagna." Si allunga dietro di lui, prende qualcosa. È nero e argento. I miei sospetti prendono vita: ha un collare in mano, ha deciso di realizzare il mio sogno di schiava.
Avevo fantasticato molto su come sarebbe stato indossarlo, su quali sensazioni avrei provato una volta messo. L'emozione è così forte, ho gli occhi pieni di lacrime.
"Non era quello che volevi? Perché le lacrime?"
Prendo un respiro per rispondere ma poi resto in silenzio, mi conosce, sa cosa sta succedendo. E non ho il permesso di far sentire la mia voce.
Sorrido, piena di riconoscenza, di gratitudine. Sono onorata di poter indossare questo simbolo. È semplice, una striscia di cuoio nero senza fronzoli, proprio come l'avevo immaginato, con una catena argento. Si avvicina al mio collo. Ho il fiato sospeso. Me lo aggancia. Sento il clack del lucchetto. Non mi ero accorta ci fosse anche un lucchetto. È piccolo, nulla di eccessivo ma fa sentire ancora di più il suo dominio.
Pesa. Parecchio. Non pensavo una semplice striscia potesse pesare così tanto. Lascia andare la catena. Scivola lungo la mia schiena. È gelida. Ho un brivido. Di freddo, di trepidazione, eccitazione pura. Si volta nuovamente e prende un batuffolo di pelo. La coda. Mi vuole rendere una cagna in tutto e per tutto.
Non vedevo l'ora.
Lo ha in mano, lo tiene per il pelo... È in acciaio, cromato. Mi appoggia la punta sulla pelle e lo fa scivolare lentamente dove starà per un bel po'. Appena raggiunge il punto, lo infila senza pensarci due volte e velocemente, senza darmi il tempo di abituarmi. Un gemito mi passa per la mente, o forse l'ho fatto davvero. È piccolo, da solo un po' di fastidio, non è come mi aspettavo. Lo sento, anche stando ferma si fa sentire ma è piacevole tutto sommato. Mi sto abituando alla sua presenza.
"Forza, andiamo."

Si è alzato e ha recuperato quella gelida catena. Comincia a tirare il guinzaglio, lo tira sempre più forte. Per le mie ginocchia doloranti e anchilosate non è facile stargli dietro e mantenere il suo passo ma non posso fermarmi. Non sopporterei di vedere la delusione nei suoi occhi. Camminiamo per un po', mi fa fare il giro della stanza più volte. Il pavimento è freddo, ho le mani congelate. A ogni passo sento la coda strusciare sulle mie gambe e il plug muoversi dentro di me. La stanza adesso mi sembra enorme, infinita. Non ha più limiti di spazio. La conosco in ogni angolo ma sembra diventare sempre più grande. Torniamo davanti al divano, si siede e mi invita ad accucciarmi ai suoi piedi. Una pausa per le mie ginocchia doloranti. Lo sapevo che pensa sempre a tutto lui, la gratitudine nei miei tratti è palese anche se me lo sarei dovuta aspettare. Mi accarezza la testa, mi fa i grattini proprio come si farebbe ad un cagnolino. Mi tendo verso la sua mano, verso le sue carezze, verso la sua gentilezza.
"Woff, woff" Mi accoccolo a lui, abbaino come penso mi voglia e alzo lo sguardo nei suoi occhi ma cado nella trappola. Mi sono fatta prendere troppo dalla parte. Un sonoro ceffone mi arriva dritto sulla guancia.
Brucia.
Non me lo aspettavo. Sento la guancia diventare calda, diventare rossa, diventare gonfia. Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi. Ridono, sono giocosi. Non aspettava altro che una scusa per punirmi e io gliel'ho servita su un piatto d'argento.
"Vieni qui." Batte la mano sul divano, affianco alle sue cosce. Salgo e mi allungo sulle sue gambe.
"Conta cagna"
Arriva il primo colpo. "Uno Padrone, mi dispiace." È stato leggero, è solo una sculacciata. È stata troppo leggera però. Non è nel suo stile. Andrà avanti all'infinito o sarà sempre peggio?
Il secondo. "Due Padrone, mi scusi." È ancora leggero, chissà.
"Tre Padrone, mi perdoni."
"Quattro Padrone, non ho fatto apposta"
"Cinque Padrone, non volevo mancarLe di rispetto"
"Sei Padrone, non..." Mi muore il fiato in gola. Questa era forte. Molto. Ha smesso di giocare. L'illusione che avrei retto bene è svanita.
"Sette Padrone, è stato un errore stupido" Questo è uscito stridulo, mi sta facendo davvero male.
"Otto Padrone, non accadrà più Signore." Sto urlando. Non ricordavo potessero fare così male.
"Nove Padrone, migliorerò Signore."
"Dieci Padrone, volevo solo essere una brava cagna."
"Oh tranquilla, hai tutto il tempo per migliorare."
Il suo tono non promette nulla di buono. Cerco di alzarmi ma la sua voce mi ferma, aggiungendo una sculacciata extra. Sta trafficando, non so bene per cosa, ma direi che la mia punizione è tutto tranne che finita.
"Cagna, conta. Conta e basta, non voglio sentire le tue parole, sono loro ad averti messa nei guai."
Ha preso la cinghia.
I numeri escono urlando dalle mie labbra. Sono così forti, ho già il sedere dolorante, queste mi fanno davvero male. Si susseguono uno dopo l'altro, a venti non resisto più. Spero solo si fermi presto. A venticinque mi sembra si stia per lacerare qualcosa. A trenta si ferma. Ero a un passo dalle lacrime.
"Bene. Scendi mia cara"
Mi fa una carenza e mi esorta a scendere. Mi spingo contro la sua mano ma è un contatto così fugace che subito scompare.
"Ringrazia ora. Sai bene come, non devi fare altro e ti darò da bere."
So cosa vuole, ma è davvero troppo umiliante. Non me lo aveva mai chiesto prima, non so se posso farlo. Sto andando nel panico. Non so cosa fare. Cioè, so cosa fare ma non so se riuscirò. Però, se me lo sta chiedendo vuol dire che crede in me e nel fatto che riuscirò. Ha riposto la sua fiducia in me. Non posso deluderlo.
Mi chino in avanti. Sempre più. I suoi piedi si stanno avvicinando. Ormai sento il mio alito rimbalzarmi in faccia. Ci sono quasi. Poi lo faccio.
Bacio i suoi piedi.
Non ero mai stato così umiliata prima, è un gesto di tale degrado che non pensavo sarei mai riuscita a farlo. Sento una fitta al basso ventre. Una forte fissa. Non posso crederci, sono totalmente bagnata.
"Ancora. Non ti ho detto di fermarti cagna."

Il mio sbalordimento totale mi ha pietrificata. Il suo tono trasmette gioia, soddisfazione, eccitazione. Adesso è soddisfatto di me. Non potevo essere più felice. Evidentemente lui non la pensa così perché muove un piede. Spinge fra le mie gambe piegate e si fa spazio.
Oddio, lui sapeva quale sarebbe stata la reazione del mio corpo!
Sono sempre più sconvolta ma gemo quando comincia a fregare il suo piede fra le mie gambe. Sono senza parole e senza fiato. Com'è possibile che io sia così vicina all'orgasmo facendo questo?
Non ho una risposta ma tanto si ferma e mi fa alzare.
"Bena cagna, andiamo." Si alza in piedi e tira il guinzaglio.
Andiamo nella stanza affianco, dominata da una grande gabbia al centro. Mi toglie il guinzaglio e mi spinge dentro, chiudendo la porticina.
"Hai del cibo e dell'acqua, sul fondo c'è una coperta. Se devi andare in bagno, c'è della sabbia qui. Usala. Buonanotte."
Cosa? Come può lasciarmi così?
La gabbia è lunga abbastanza perché io ci stai comodamente sdraiata ma la sabbia occupa metà dello spazio. È bassa, ci sto appena a gattoni. Come ha potuto lasciarmi qui così? È tutto chiuso, le sbarre mi impediscono di vedere l'esterno della gabbia ma lui non è qui, non sento la sua presenza.
Mi accuccio in un angolo e aspetto.
Mi verrà a prendere fra poco, ne sono certa.
Il tempo passa e io sono sempre più sconcertata.
Ho fame ma aspetto. Non ho idea di che ora sia ma tanto lui sta arrivando.
Adesso comincio ad avere davvero sete.
Mi chino a prendere un sorso d'acqua. Già che ci sono prendo anche un boccone di cibo.
Come una cagna.
L’ho preso come una cagna.
Ho le mani libere, perché non me lo sono portata alle labbra?
Per non sporcare le mani. È ovvio, é solo per quello. Non certo perché mi sento una cagna. Assolutamente no.
Ne prendo un altro e un po' d'acqua. Presto finisco tutto.
L'acqua era tanta. Davvero tanta. Avevo la gola così secca che non me ne sono resa conto.
Adesso se n'è accorta la mia vescica. Non posso anche pisciare come la cagna che sono, non posso proprio. La devo tenere. Non posso fare altro.
Il tempo passa, non riesco a penare ad altro se non alla mia vescica piena. Contino a ripetermi che non posso farla, che proprio non posso.
Finché non succede. E non sono sulla sabbia.
Mi piscio addosso. Non riesco a fermarmi, non riesco a controllarmi più. Adesso l'umiliazione è davvero totale. Non so cosa fare, non so cosa pensare.
Poi compare lui.
Mi stava guardando, non posso crederci, non mi ha abbandonata.
Mi fissa. Non distoglie lo sguardo da me.
Pensavo di aver toccato il fondo ma questo è peggio. È così umiliante il suo sguardo. Mi guarda e sembra che stia ridendo di me, della mia incapacità di controllare la mia vescica. Sei una cagna mi ripete la mia testa. Sei una cagna, leggo nei suoi occhi.
"Esci cagna"
A testa bassa, striscio fuori dalla gabbia.
Mi prende in braccio e mi porta fuori. Andiamo sul letto. Mi guarda e non vedo altro che rispetto ed ammirazione nei suoi occhi, con un pizzico di soddisfazione. Guardo l'ora. Sono solo le 16 e 30. Ho passato meno di un'ora dentro la gabbia. Non posso crederci.


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