Tra Vecchio e Nuovo - Zia e Nipote - Capitolo VI

Scritto da , il 2019-03-07, genere incesti

La città della calce e del mattone, degli scioperi e delle occupazioni, delle caste da ribaltare, delle passioni da sfogare, silenziosa testimone, era lì a spiarli senza giudicarli, facendo capolino dai vetri della finestra. La luce gialla dei lampioni riempiva la stanza ma non gli occhi di Matteo, perché erano chiusi.

Un po’ per nascondere quel che faceva, un po’ per timidezza, un po’ per pudore.

La sua lingua era incerta e quindi delicata al punto giusto. Le sue mani cingevano le cosce carnose di Rita, ma senza palparla, senza fare troppa pressione, semplicemente appoggiate come quando si tocca qualcosa di fragile e si ha paura di romperlo. Il suo naso era immerso nella peluria della vagina della donna e da lì inalava tutto quell’odore particolare che sentiva per la prima volta in vita sua. Un odore forte, pungente come i crespi peli che gli circondavano il naso. Il gusto però era diverso, era quasi dolciastro. Il sesso di Rita veniva percorso dalla lingua di Matteo già da qualche minuto. Il ragazzo aveva seguito le istruzioni, leccava piano con delicatezza, concentrandosi sui punti che lei gli premeva di più in viso e dove gli indirizzava la testa con le mani. Rita usava anche i gemiti come briciole lungo un percorso: quando sospirava di più, Matteo capiva che quello era il punto giusto da stuzzicare con la punta della lingua. Per essere la sua prima volta, se la stava cavando bene. Aveva ancora molta strada da fare e autonomia ad guadagnare, ma non era male. Rita aveva l’immagine in mente di un diamante grezzo da dover lavorare per fargli raggiungere il massimo potenziale: quello era Matteo e sua zia ci aveva visto lungo.

Il ragazzo alla fine, aveva ceduto il giorno dopo aver lavorato. Mesi e mesi di dura resistenza non erano serviti poi a gran ché, solo a ritardare la perversione. Rita otteneva veramente sempre quel che voleva, Matteo si era rassegnato nel darsi a lei in un misto di eccitazione e preoccupazione per l’incesto che stava per consumarsi. Non ce la faceva più a rifiutare le avance di quella donna, troppo carica di erotismo per un semplice ingenuo ragazzo come lui. L’impresa era al di là della sua portata, titanica sfida posta ad un semplice uomo dalla debole carne.
Ma era una terribile maledizione, in fondo?
Tra l’essere beati e l’essere dannati non c’era differenza.
Beato tra le cosce di Rita, leccava le grandi labbra, succhiava gli umori grondanti da quella vagina così matura da essere un frutto all’apice del gusto, poco prima di perdere la sua consistenza e di frantumarsi in poltiglia informe. Il sapore di sua zia era così dolce e così gustoso che esserne avidi era compito semplice. Rita poi lo stava ammaestrando bene, dirigendo il gioco dall’alto sia della sua posizione, sia della sua esperienza.
“Il clitoride, Matté. Più su, più su…” Lo richiamava Rita tra un gemito e l’altro.

I suoi amici che avevano avuto le prime esperienze, gliel’avevano spiegata bene l’importanza del clitoride. Tasto segreto del roseo piacere femminile. Ma dove diavolo era? A volte gli sembrava di trovarlo e lo stuzzicava per un po’, fino a quando gli sembrava di perderlo di nuovo. Ma Matteo era un tipo perseverante e ben consapevole del suo nuovo ruolo non più di nipote, ma d’oggetto di piacere e desiderio al contempo stesso. Anche su questo Rita era stata una buona anticipatrice. Matteo era malleabile come il pongo e presto avrebbe avuto la forma dei suoi desideri. Ma lei sarebbe stata una generosa educatrice, non lo avrebbe sfruttato senza farsi sfruttare, consapevole del doppio legame cui due amanti devono sottoscrivere.

All’aumentare dei gemiti di Rita, il ragazzo intensificò il ritmo, spronato sempre più dal contesto a dare il meglio di sé, premeva il viso ancora più forte tra le cosce della donna senza curarsi di avere ormai il naso impelagato nella foresta di peli della vulva della sua nuova amante. Con le mani ora stringeva ancor di più le cosce, quasi a voler affondare le dita nell’abbondante carne di sua zia, poi però decise di cambiare, di osare di più. Era la sua prima volta ma non voleva sembrare un cagnolino indifeso. Infilò le mani sotto la camicetta della donna e le strizzò i seni, senza esagerare nella morsa. Poi se ne pentì e decise piuttosto di accarezzarli. Forse sembrava veramente un verginello con tutti quei cambi di stile improvvisi. Un’altra cosa che aveva imparato dalle chiacchiere dei suoi amici era il fatto che molte donne non apprezzavano eccessivamente l’irruenza e la forza, ma la delicatezza e la dolcezza. Ancora doveva capire a quale categoria di donne appartenesse sua zia, quindi alternò entrambi i metodi.

Rita nel frattempo era su di giri. La lunga attesa stava dando i suoi succulenti frutti. Nonostante percepisse bene le insicurezze del suo giovane e inesperto amante, la situazione la eccitava terribilmente. Attraverso le salivose leccate alla sua vulva, percepiva tutte le emozioni della prima volta, come se fosse lei quella vergine. Attraverso Matteo fluiva tutta l’energia della gioventù, la paura dell’inesperienza, il brivido della novità, tutte sensazioni ormai seppellite da tempo che riesumavano solo attraverso quell’amplesso, in tutta la loro burrascosa forza. Il fatto che quello fosse suo nipote conferiva all’amplesso un’aura di trasgressione e di proibizione.
Queste sensazioni nel loro insieme fecero in modo che Rita si sciogliesse in un caldo e soffice orgasmo nel quale perse completamente il contatto con la dimensione sensibile passando ad una più eterea condizione trascendente di primordiale piacere estatico.

Dopo aver pervaso il corpo della donna, gli spasimi dell’orgasmo cessarono, riportandola ad una più placida quiete. Matteo aveva assistito al miracolo del piacere, curioso d’apprendere i segnali corporei dai quali traspare l’appagamento femminile, ma a parte il fatto che Rita gli avesse spinto via la testa per staccarlo dopo essere stata soddisfatta e i gemiti intensificati, non aveva ben chiaro cosa fosse accaduto.

Ora anche lui era maledetto dal peccato di cui s’era macchiato, complice di quella perversa zia e consapevole della doppia accezione positiva e negativa che quegli atti avrebbero avuto per lui da quel momento in avanti.

L’eroticità fatale che ora li univa in quel rapporto si era impossessata di loro e varcato il confine con un piede era ormai impossibile non farlo con l’altro.

Matteo comprese dal solo sguardo di sua zia quale sarebbe dovuto essere il passo successivo. Doveva suggellare e condannare definitivamente quel momento con l’atto decisivo della tragedia, l’apice del piacere e del peccato.

Rita gli slacciò e tirò giù i pantaloni senza levargli gli occhi di dosso.

Magnetici, elettrici, fissi su di lui.

Ansia da prestazione, agitazione, paura di deludere, timore di peccare, di sbagliare su più fronti.

Eccitazione, troppo preponderante, aggressiva, travolgente, invincibile.

Il fallo di Matteo era all’apice dell’erezione. Sembrava uno di quei dipinti degli artisti geniali e irriverenti dell’antichità, a cui piaceva disegnare membri enormi tra le gambe delle divinità egizie.

Ma Rita avrebbe condotto il gioco. Spinse Matteo sul divano per farlo sedere e a sua volta gli si accovacciò sopra facendo scivolare l’asta del ragazzo dentro di lei, armeggiando un poco e roteando i generosi fianchi. In breve tempo, furono uniti in quell’atto, l’uno dentro l’altra, come un’unica entità.

La prima volta per il ragazzo e la millesima prima volta per Rita, auto confinata in un’eterna prima volta, svezzatrice di giovani uomini, da anni esploratrice di terre sempre nuove non ancora segnate sulla mappa.

I due amanti iniziarono la loro danza sessuale, Rita si muoveva con maestria sopperendo l’inesperienza dell’altro, scivolava avanti e indietro, su e giù, con il suo maestoso corpo di donna, incredibile per gli occhi di Matteo. Era la prima donna nuda della sua vita, la prima partner sessuale della sua vita, non poteva contenere quella alta carica erotica.

Ma era anche sua zia.

Ma la carne era pur sempre debole.

Un conflitto a cui si poteva porre rimedio solo in un modo: con un orgasmo.

Rita non era certo una sprovveduta; avendo vissuto mille prime volte, era a conoscenza del punto debole degli uomini e raramente si sbagliava nelle sue previsioni, quindi accolse l’eiaculazione del ragazzo senza delusione, ma anzi, con la fierezza di chi sa che quell’orgasmo ha più il sapore di una dolce dedica d’impazienza e voluttà piuttosto che altro.

Accompagnò le contrazioni di Matteo con l’ondeggiamento del bacino, appoggiando le mani sulle spalle del ragazzo e i seni in prossimità del suo volto, e, in qualche modo, abbracciò il bacino del partner con le gambe, strusciandosi nel fremito del travolgente piacere che seppure imparagonabile a quello avuto in precedenza, era comunque considerevole.

Dopo che i loro fiati si fossero placati, i due si guardarono negli occhi nella complice maniera di chi sa di dover mantenere un inconfessabile segreto.

Rita prese il viso di Matteo tra le mani e il suo anello gelato andò a diretto contatto con la guancia destra del ragazzo. Per un attimo il giovane si risvegliò dal trans, distogliendo gli occhi dal neo sul seno sinistro di sua zia che aveva guardato a lungo dopo l’orgasmo.

“E’ fatta, Mattè.” Disse lei sorridendo. “E’ fatta!”

Lui ricambiò il sorriso. Nessuno di loro due aveva un’espressione maliziosa in volto. “Già, è fatta.” Ripeté Matteo, deglutendo un certo senso di colpa post orgasmico.

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