In treno

Scritto da , il 2018-08-17, genere etero

Il treno è sempre lo stesso, quello delle 19. Sempre, naturalmente, che parta in orario.
Anch'io sono sempre quello, vita ordinaria, una moglie, due figli, un lavoro. Nessun grillo per la testa. Vacanze rigorosamente a metà di agosto, due settimane che per amor di Dio, già così ci costano un occhio. Mare, rigorosamente. Stesso luogo da più di un decennio.
Noioso, dite? Non lo so. Davvero: non lo so. Nel senso che fino a ieri vi avrei detto che no, non c'è noia. Che questa vita mi piace, l'ho voluta, me la sono scelta. Che mi ci trovo bene.
Poi...è successo che ieri sera ho fatto tardi al lavoro, più tardi del solito, sono corso in stazione e per fortuna il treno aveva fatto tardi anche lui, il capotreno stava dando il segnale di partenza e io sono salito a volo. Non nella mia solita carrozza, quella dove viaggio di solito e dove oramai conosco tutti. No. Nella prima, la più vicina.
Beh, mi potreste dire, potevi spostarti, no?
Sì, è vero. Ma avevo corso e sono fuori allenamento. Per cui appena salito, col fiatone per la corsa, mi sono seduto nel primo posto libero che ho trovato.
Solo quando il treno è partito mi sono reso conto che era uno di quei posti a tre, vicino alle porte di ingresso delle carrozze, e che di fronte a me c'era una donna che aveva occupato con delle valigie l'altro sedile libero.
Ho salutato, ho preso il libro che porto sempre con me e ho cominciato a leggere.
E mentre leggevo...è successo. Prima impercettibile, tanto che ho pensato a una casualità dovuta agli scossoni del treno.
Poi insistente e allora, senza farmi notare, ho guardato: la donna di fronte a me aveva proprio appoggiato la sua gamba alla mia e in modo palesemente intenzionale la comprimeva.
A ogni pressione, faceva anche un movimento di strusciamento, minimo ma evidente. Così, mi risolsi a guardarla bene: più vicina ai cinquanta che ai quaranta, molte tracce di una bellezza che doveva essere stata notevole. Un seno prosperoso che, mi stupii di questo, non avevo notato immediatamente.
Non una viaggiatrice abituale, ci avrei giurato, ma piuttosto qualcuna che sta raggiungendo casa dopo essere stata fuori a lungo. Il gioco mi intrigò. Cominciai a rispondere ai suoi movimenti. Ben presto le nostre gambe finirono per accarezzarsi al ritmo del treno. Mi sbagliavo o quello che vidi sul suo volto era un sorriso divertito?
Non indossava le calze. Questo lo scoprii allungando la mano e scostando di poco la gonna che le copriva il ginocchio. La tenni ferma lì, stuzzicando la pelle, accarezzando piano. Lei allora avvicinò l’altra gamba cosi ora la mia mano finì imprigionata dolcemente tra le sue ginocchia.
Ma improvvisamente si irrigidì, si fece indietro e abbassò la gonna.
Rimasi sorpreso e ritirai subito la mano. Al momento non compresi, e mi venne in mente un film di molti anni fa dove una donna stuzzicava gli uomini per poi tirarsi indietro all’ultimo, con il solo obiettivo di creare il presupposto per la sua eccitazione da sfogare altrove…
Poi invece vidi avvicinarsi il controllore e allora compresi.
Non appena si fu allontanato, lei mi sorrise ma non riavvicinò le gambe. Mi rassegnai alla perdita del gioco e mi rimisi a leggere.
Dopo poco sentii la sua voce, bella, ben impostata, oserei dire eccitante, chiedermi se poteva abbassare un po’ il finestrino. Risposi che per me non era un problema mi misi comodo ad osservarla mentre provava con tutte le sue forza ad abbassare il finestrino. Niente da fare, doveva essere bloccato, perché non si spostava di un centimetro.
“L’aiuto, le dissi, e mi alzai”.
In quel momento il finestrino cedette di colpo e lei perdette l’equilibrio finendomi addosso.
L’abbracciai, per sostenerla, e mi ritrovai con la mia mano sul suo culo, le sue braccia attorno al mio collo. La sua bocca vicina, troppo vicina alla mia…
Ci baciammo con violenza, quasi rabbia, come se volessimo strapparci le labbra a vicenda. La sua lingua trovò subito la mia, l’avvolse, la strinse, la tirò.
L’erezione fu immediata. Presi una sua mano e me la portai in mezzo alle gambe. Lei senza smettere di baciarmi strinse quasi al punto di farmi male.
L’altra mia mano corse sotto la gonna. Ma a questo punto lei mi fermò.
Rimasi imbambolato, privato della sua mano, di quel contatto, di quel bacio. Mi sentii nudo. Mi guardai attorno immaginando un nuovo passaggio del controllore ma quando mi voltai nuovamente verso di lei la vidi era lì, sulla porta del bagno e mi fissava.
Ci chiudemmo dentro, era uno di quei bagni progettati anche per gli handicap, ampi, comodi. Ritornammo a baciarci e finalmente la mia mano arrivò agli slip che trovai già umidi. Li spostai e cominciai ad accarezzarla.
Quando ancora una volta mi fermò, mi venne da urlare. Ma desistetti quando compresi le sue intenzioni: scostatasi da me si inginocchiò, mi aprì i pantaloni e cominciò uno dei più bei pompini della mia vita. Le tenevo le mani sulla testa guidandola perché non corresse troppo facendomi finire subito. Quando fui al limite fui io a fermarla, a farla alzare a farla girare.
Mentre la spingevo a piegarsi e le alzavo la gonna le dissi che purtroppo non avevo preservativi con me.
“Non importa, mi disse, vai tranquillo”.
E tranquillo andai…la scopai con gusto, piacere, in profondità. Vedevo il mio cazzo, sempre più duro, entrare e uscire da lei. In quella posizione avevo tutto sotto controllo, allargai bene le natiche e mi comparve il buco del culo. Fui tentato di violarlo con un dito ma mi trattenni, mi sembrò troppo. Poi, quando sentii che quasi c’ero, aumentai il ritmo, la afferrai saldamente, ogni tanto le davo un ceffone leggero sulla natica a cui lei rispondeva con gemiti sempre più intensi.
Quando venni ebbi l’impressione di inondarla tanto fu il piacere provato. Lei continuò a muoversi, finché la mia consistenza glielo permise e venne in un modo per me originale, con piccoli scatti accompagnati da un gemito prolungato.
Uscito da lei, stavo per rivestirmi quando lei mi fermò, prese della carta e, inumiditala, mi pulì. Fece lo stesso per lei e quando fummo pronti, mi diede un bacio leggero, sul quale mi sussurrò:” esci prima tu…”.
Tornai a sedermi e l’attesi, ma invano. Comparve solo mentre il treno stava per entrare in stazione, allora uscì, prese le sue valigie e sorridendomi fece per andarsene.
“Aspetta, le dissi, non so neppure come ti chiami!”, quasi urlai.
Lei mi guardò e mentre aveva già un piede sul marciapiede della stazione mi sorrise dicendo: ”E che a servirebbe saperlo…”.
Non si fermò neppure a salutarmi un’ultima volta. Mentre il treno ripartiva vidi solo con la coda dell’occhio un uomo che le andava incontro a prenderle le valigie. Poi basta.
Allora mi alzai per chiudere il finestrino, sentivo quasi freddo.
E il finestrino salì, e si chiuse. Senza alcuna fatica…

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