La figlia di Iole

Scritto da , il 2018-07-16, genere trio

I miei soggiorni a Ciaulà sono sempre straordinariamente simili.
Ci resto molto soprattutto perché è un posto fuori dal tempo o meglio a Ciaulà il tempo scorre con logica propria e sono le semine a regolarlo. Io mi limito ad osservare questo orologio e per capire i giorni che passano basta seguire il lavoro dei campi, i contadini lo sanno che tutti guardano il loro lavoro e lo usano comr un calendario. Ieri, infatti, i campi lasciati lì senza padrone mi hanno detto che era domenica. Un contadino non puo' lavorare di domenica, il giorno del Signore va onorato togliendo la paglietta e indossando la camicia pulita, stirata con cura da massaie abilissime.
Qui le donne sono dotate di straordinarie doti di accudimento dei loro mariti.
La domenica, soprattutto, sono in forte competizione tra di loro. I mariti diventano i bambolotti che non hanno posseduto da bambine e vanno vestiti e ripuliti al meglio per dimostrare quanto loro siano brave ad accudire il focolare.
I giovani stanno provando a scandire il tempo con i loro spiriti di falsa ribellione. Dicono di sapere che giorno è ma poi vanno per sicurezza a controllare il campo anche loro, di nascosto, chi cresce a Ciaulà lo farà sempre e sono convinta che perderà la percezione del tempo lontano da qui.
Tuttavia stanno succedendo delle cose nuove di cui ora cercherò di raccontarvi.
Tutto risale a quella sera in cui spiai i giovani amanti nel mio incolto giardino, è da quella sera che qui a Ciaulà il mio passo non è più inosservato. Ho notato, infatti, che al mio saluto in paese si risponde più allegramente e che si cerca con mezzi sorrisi e cortesie di farmi integrare a loro. Era tutto nuovo fin quando non ho capito che era successo un fatto per loro importantissimo.
La figlia di Iole, aveva raccontato a suo padre di essere stata in mia compagnia insieme al baldo giovanotto dai capelli lunghi a parlare della città. Da quando ero diventata il metro della condotta morale della ragazza, orfana della cattolicissima madre Iole, in paese tutti mi vedevano come un esempio, come un brava donna di città fiera di rispolverare le sue origini. Ovviamente questo fatto mi innervosiva, non tanto perché la ragazza mi aveva usata per ribadire il possesso di un imene che non c'era più, ma, molto di più perché giravano dei veri e propri discorsi saggi e dettagliati sulla vita di città che i giovani di Ciaulà già guardavano a modello e che provenivano dalla mia bocca.
La mia riservatezza era stata intaccata e falsata da quella furba contadinella e ormai tutti iniziavano a parlare della mia famiglia, dei miei nonni, del dispiacere provato da me nel lasciare Ciaulà per la feroce e metallica città.
Non ero io quella, i sorrisi mi irritavano, ero venuta lì solo per stare in pace.
Comunque lasciai correre ammiccando per salvare la figlia di Iole da lapidazioni premature fino a che non fu necessario intervenire.
La ragazza, chiamata in paese col nome della madre scomparsa premutaramente, ebbe la faccia tosta e curiosa di venire nella vecchia casa e corte della buona cittadina.
Quel batacchio era ormai quasi incollato al vecchio portone, venivo a Ciaulà per stare da sola e non certo per ricevere visite.
Mi parve di sentire il roco risisvegliarsi del leone arruginito dall'incuria quando venne a bussare e fui molto cauta, quasi spaventata, nell'andare ad aprire. La vita che conoscevo bene da giorni era solo quella delle insistenti cicale e infatti mi parve di uscire dopo diciassette anni dallo stato larvale per cantare all'ombra di una noce quando salutai Iole.
Fui cortese, stranamente. Ne apprezzavo la capacità di evadere da quel tempio sacro che era Ciaulà a botte di falsa testimonianza e atti impuri, mi ritrovavo molto in lei.
Era davvero molto bella, una lunga treccia le scendeva al lato folta e nodosa, delle bellissime labbra color passiflora.
Mi soffermai solo sul suo viso, ero molto nervosa con lei a dispetto della mia cortesia.
La feci venire nella sala da pranzo, solo allora mi ricordai del valore delle polverese tende alle  finestre e dei vecchi divani in noce.
Mi ricordai della mia tenera nonna he mi diceva che appartenessero al Re Sole, sorridendomi.
Lei si guardava intorno e fissava l'ambiente poi fu diretta e mi chiese scusa per le parole che mi aveva messo in bocca.
Mi fissava con i suoi grandi occhi nocciola, era una ragazza formosa e genuina, mi persi di nuovo su di lei, incantandomi.
Alle scuse sopraggiunse una maliziosa richiesta, mi disse che quella sera mi aveva visto. Aveva visto come mi portavo piacere guardandoli e io mi sentii di essere sincera con lei anche perché la vidi affrontare la cosa con grande e strana serietà. Mi porse una foto del suo fidanzato, bel ragazzo, glabro perché molto giovane. Aveva dei teneri lineamenti e delle braccia che mi dicevano che non era molto dedito al lavoro dei campi.
Aveva bisogno di lezioni, me lo fece capire senza mezzi termini. Lezioni di sesso.
Lezioni di Ars Amatoria.
Sesso a tre, un morboso menage à trois con giovani troppo fuori dalla morale del posto in cui vivevano. Era un'occasione che a Ciaulà non potevo perdermi.
Gli occhi di Iole mi facevano capire che lei era l'erede di uno spirito che si ribellava a quell'ancestrale ritmo contadino coi costumi corrotti. Mi disse che il suo ragazzo mi apprezzava molto come donna, che ero misteriosa e piena di lussuria.
Li ospitai la sera, non c'erano freni inibitori, quei ragazzi erano affamati di sesso ed io ero affamata di giovani voglie.
Mi accomodai su uno dei divani di fronte a loro e li lasciai baciare.
Bellissime bocche giovani che trasudavano sesso, lui le afferrava il culo e glielo stringeva.
Li fermai e allontanai Iole.
Feci alzare il giovane e gli infilai la lingua nella bocca, lei non era affatto gelosa, mi ammirava e iniziava a toccarsi.
Lo baciai con voglia e gli strinsi il sesso tra le mani, lo presi nelle sue mutande e lo feci uscire. Invitai Iole a succhiarlo, tenevo i testicoli di lui tra le mani e condussi lei con la bocca su quel cazzo rigoglioso.
Aveva pochi ciuffi di peli ricci e un fallo venoso. La guidai nel succhiare, schiudeva le sue rosee labbra e lo fagocitava piena di voglia. Io iniziai a morderlo, gli strinsi i capezzoli tra i denti, aveva un ottimo profumo.
Un odore che mi ricordava i miei primi amori, la spostai e me lo feci arrivare subito fino alla gola. Lei mi guardava e ora gli teneva i testicoli, la spinsi proprio lì, e la guardavo cercando di far sincronizzare i nostri movimenti. Lui gemeva era una nostra vittima.
Iole ed io avevamo un metronomo a scandire i movimenti, la ragazza aveva talento per il sesso e me lo confermò quando staccandoci per riprendere fiato le nostre bocche furono così vicine.
Mi toccò timidamente il seno, fu un invito e poi un lungo bacio. Avevamo lo stesso sapore.
La presi per la treccia e la guidai di nuovo su di lui. La feci pompare con velocità, faceva fatica ora ma doveva imparare.
La tiravo per la treccia facendole prendere fiato e allora ero io a spingermelo in gola.
Era già sudata, la spogliai.
Dei bei seni saltarono fuori, areole scure e ben definite. Ma, giustamente, dovevo dare una lezione. Rimasero sorpresi e curiosi dalla mia fica liscia e carnosa. Saltai sopra di lui e iniziai a scoparmelo. Mi aiutava a saltare con le mani, giocava col mio culo, non gli davo tregua.
Provava a tenermi i seni con le mani, curioso.
Avevo dato dimostrazione, saltai via e mandai Iole. Schiuse le gambe piene e rigogliose.
Un ciuffo di pelo, labbra serrate.
Lui le scivolò dentro, lei capovolse le orbite.
Erano belli, scopavano bene.
Iole era una piovra. La sua fica divorava il cazzo di lui, le sue labbra lo fagocitavano e se lo trascinavano dentro.
Quel giovane pelo umido era eccitante, nascondeva bene il cazzo di lui.
Iole guardava il modo in cui mi masturbavo mentre li ammiravo, carpiva insegnamenti.
Cercava di fare a gara, la provocai.
Portai di nuovo le mie labbra alla bocca di lui.
La gelosia era palpabile ora, continuava a saltare su quel cazzo sempre più veloce e la mia lingua esplorava la giovane bocca di lui.
Gli succhiai via le voglie mordendogli la lingua, dolcemente gliela succhiavo mimando un pompino, ricordandogli quello che gli avevo fatto.
Stava venendo lui, ebbi bisogno di quel succo.
Iole mi lasciò fare.
Mi presi cura di lui, glielo succhiai via dai testicoli. Pompai forte con la bocca fino a che non mi sentii riempita di lui.
Mi voltai verso Iole che con un gesto di sfida mi fece capire che c'era un'altra mantide pronta a divorare quel cazzo e che ormai aveva fatto tesoro di una lezione di sesso.
Un tenero bacio sulla bocca, mi ringraziava come una sorella maggiore...

-Mi scusi ma non ce l'abbia a male con me, se solo mio padre sapesse... la prego mi regga il gioco-.
Mi destai da quel sogno, ero bagnata e il clitoride mi chiedeva le mani.
Rassicurai Iole che mi salutò con gentilezza.
Chiusi il portone e iniziai a masturbarmi.

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