La mia vita da Bull 11: Il passato perverso di una casalinga repressa

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genere
tradimenti

L’euforia della nuova esperienza non mi abbandonò per tutto il giorno successivo, rimasi in uno stato di semi eccitazione per tutto il corso della giornata, fantasticando su quello che avrei fatto a quella mamma vogliosa. Mi sentivo come un drogato, un eroinomane che aspetta la prossima dose, sapendo che avverrà a breve e si pregusta l’attesa. Non mi masturbai per quanto avessi voglia di rivedere nella mia mente quelle eccitanti scene della giornata precedente. Quella signora così perbene, così pudica, così algida trasformarsi nell’essenza stessa della lussuria mi faceva impazzire. Finalmente giunse l’ora di ripresentarsi al “lavoro”. Non pensavo veramente di lavorare, avevo già fatto tutto quello che dovevo il giorno precedente, sapevo che era una scusa per farsi scopare nuovamente. Ebbi la premura di mettere la fotocamera nello zaino, per quanto la voglia mi inebriasse non avevo dimenticato i miei propositi di vendetta.
La neve era stata spalata e un freddo sole riscaldava il pomeriggio. Erano le 15 in punto quando bussai alla porta. La mano era ferma, ero sicuro di me, le incertezze della seduzione e del dubbio erano ormai evaporate. Mi aprì lui. Lo sguardo era severo. Deglutii, una piccola nube di diffidenza oscurò il sole della mia certezza. “Sei puntuale, accomodati”. Evidentemente al di fuori del ruolo di cornuto doveva essere un severo e rigido padre. Esattamente come la madre, esattamente come il figlio. D’altronde chi si assomiglia si piglia. “Oggi dovrai piegare le camice”. Non un sorriso, non un’allusione, della moglie nemmeno l’ombra. Mi fece strada portandomi al piano superiore. Portandomi nella stanza matrimoniale. Era probabilmente più grande della mia salotto. Arredata in maniera classica aveva al centro un letto a baldacchino dall’aspetto antico, un caminetto in un angolo e un grosso divano di pelle vicino ad uno scrittoio e una parete coperta da armadi. Su un appendiabiti c’erano qualcosa come 20 camice appese. Il marito me le indicò con un cenno. “Entro 30 minute tutte piegate perfettamente o non ti pago”. Cominciai a pensare di essermi sognato tutto. La libido mi era passata completamente, era come pensare di avere una settimana di vacanza per svegliarsi e scopre che in verità è un'altra giornata di lavoro. Lo sguardo mi intimidiva, ero tornato il timido adolescente che abbassava lo sguardo. Il ricordo di io che mi scopavo sua moglie era ormai lontano anni luce. Chiuse la porta alle mie spalle. Sospirai. Che cazzo era successo? Era parte di un gioco perverso? O ero davvero rincoglionito e mi ero sognato tutto il giorno precedente? Cominciai a piegare le camice alla meno peggio. Mettevo delle t-shirt e pullover, mai messa una camicia in vita mia, non avevo idea di come piegarle correttamente. Ero frustrato e incazzato dalla situazione, dopo 15 minuti le avevo piegate tutte ma facevano cagare. Sentii la porta alle mie spalle aprirsi. Entrò lei. Il mio cuore fece un tuffo, il mio cazzo si impennò. Era bella, bella come una mattina d’inverno, fredda, gelida ma stupenda. Indossava un semplice vestito da casa grigio, lungo fino alle ginocchia. Ai piedi delle pantofole. Mi guardò, con uno sguardo duro. “Perché sei tornato stronzetto?” La voce era tagliente, ostile, crudele “Te la sei goduta ieri vero? Mi hai violentata davanti a mio marito, mi hai costretta a fare quelle cose”. Quella non era solo bella, era completamente psicopatica. Stava negando, rimuovendo. Non poteva concepire di avere fatto una cosa così estrema e quindi si stava creando in testa una realtà che potesse spiegare il suo comportamento. “un povero pezzente come te… non avresti dovuto tornare” Mentre parlava camminava lentamente nella mai direzione “Ti denuncerò sai? Finirai nella merda, ti rovinerò, rovinerò la tua famiglia. Sarai noto a tutti come lo stupratore”. Mi veniva da piangere, mi veniva da piangere dalla paura e dalla rabbia. Ero solo un ragazzino dopotutto e quella una donna adulta che mi minacciava in maniera estremante efficace. Era ormai a meno di un metro da me. Guardò le mie camice “E questo lo chiami piegare?” la voce si fece più alta, più stridula e per quanto possibile, ancora più sgradevole. Si mosse rapida e decisa, con un colpo di mano buttando tutte le camice per terra. Non ci vidi più, forse la paura, forse la frustrazione ma mi mossi rapido pure io. Le afferrai un polso e glielo girai dietro la schiena come tante volte i bulli avevano fatto con me. La bloccai così sul letto, il suo corpo a contatto col mio. Non parlava più il vestito era affannoso, sentivo il suo cuore battere. Ora non parlava più. Io la tenni stretta. Si girò e mi baciò appassionatamente.
Dieci minuti dopo, quando il marito entrò in stanza, la trovò seduta sullo sgabello dello scrittoio mentre le scopavo la bocca. La tenevo per la nuca dando dei colpi di bacino come il giorno precedente glieli davo alla figa. Lei emetteva mugoli soffocati mentre una mano era sparita sotto il vestito. Il marito non disse nulla, lo sguardo indecifrabile. Si lasciò crollare dal letto. Lei lo notò ma non fece niente per fermarmi. “Le vanno bene il camice piegate così?” Gli dissi con arroganza guardandolo negli occhi e accelerando il ritmo e la profondità dei colpi di cazzo nella sua bocca. Lui non rispose, abbassò lo sguardo. Si sedette sul bordo del letto a poca distanza da noi. “amore… perché?” la voce era rotta. Lei lo cercò con lo sguardo senza tuttavia sottrarsi al trattamento umiliante a cui la stavo sottoponendo. “Perché?” chiese di nuovo. Lei mise una mano sul mio addome e io rallentai fino a sfilare il mio cazzone dalla sua bocca. Mi meravigliai che entrava tutto nella sua bocca senza farla vomitare. Lei prese subito a masturbarlo con facilità poiché abbondantemente lubrificato dalla sua saliva. “ Ma tesoro… ti giuro non so che mi prende! Ma guardalo! È perfetto, è perfetto” La sua voce era un misto di perfidia e dolcezza. “vuoi masturbarti cornuto?” Lo disse sottolineando la parola cornuto con particolare derisione “Forza, fallo!” lo sfidava con lo sguardo, continuando a masturbarmi facendomi quasi male. Lui estrasse il suo cazzetto in silenzio e prese a farsi una sega. Scoppiai a ridere così come sua moglie. Non mi piaceva la crudeltà ma ancora mi bruciava per come mi aveva trattato prima. Lei prese ad ignorarlo rivolgendomi la sua attenzione. Prese a leccarmi le palle mentre con la mano destra prese a masturbarmi lentamente strappandomi dei gemiti di piacere. L’idea di succhiarmi le palle mentre il marito guardava doveva eccitarla parecchio, prese a gemere come se la stessi scopando, a muovere il bacino e a stringere le gambe. “ho sempre avuto una passione per i cazzi giovani” disse tra una leccata e l’altra alla mia cappella mentre la mano non smetteva lo scappellamento. Il marito era paonazzo in volto e si masturbava come un pazzo. “Cosa intendi?” Le chiesi, curioso di sapere di più sulla sessualità complessa di quella donna dell’alta borghesia. Lei mi fece un sorriso e si sollevò, sempre tenendomi per il cazzo mi guidò al divano facendomi sedere e sedendosi accanto a me. Senza mai smettere di masturbarmi cominciò a raccontare due episodi della sua adolescenza che influirono in maniera indelebile sulla sua sessualità da adulta.
Ero sempre stata una ragazza riservata, diffidavo delle persone. Probabilmente per colpa di mio padre, un uomo estremamente rigido e tirchio d’affetti. “Non mischiarti con la plebe, guardali per quello che sono!” Era solito dirmi quando mi comportavo in maniera che per lui era troppo popolare. Mi ricordo una volta, quando ero ancora bambina, una sberla quando mi scoprii che giocavo con la figlia del giardiniere. Le percosse erano rare ma mi faceva molto più male lo sguardo di disappunto che mi lanciava. Eravamo ricchi, molto ricchi, avevamo un’azienda che produceva olio d’oliva rinomato in tutta la Calabria. Avevamo una bellissima tenuta sul mare con un enorme uliveto. Non contavo nemmeno quanti lavoravano per la nostra impresa.
Nella prima adolescenza non mi era mai interessato il sesso, quando i compagni della scuola privata che frequentavo cominciarono a fare le prime esperienze, a guardare i giornalini porno e a sviluppare una normale curiosità per il sesso opposto io le rigettai completamente, memore delle parole e dello sguardo duro di mio padre. Man mano che crescevo tutte le mie amichette, tutte di buona famiglia, piano piano, cadevano preda di quella che per me era un vizio sporco. Solo una, Caterina, mi restò fedele disprezzando quelle pulsioni carnali. Mi ricordo la mia estate dei 18 anni, li ebbi il primo approccio con il sesso. Caterina era stata via in vacanza, in Messico. La vedevo diversa, mi accorsi subito che qualcosa era cambiato in lei. Ero rigida, ma non scema. Dalla ragazza timida che era sprizzava energia da tutti i pori, quasi da infastidirmi, lei che era sempre stata la ragazza “beta” del duetto. Nell’ultimo anno eravamo sbocciate, eravamo cresciute di statura, l’accenno di seno adolescenziale era finalmente diventato quello di una donna (seppur entrambe eravamo poco dotate) e il viso non era più quello di una coppia di bambine ma di giovani donne. Dopo una settimana di quella nuova aurea che emanava Caterina finalmente vuotò il sacco. Mi raccontò di aver conosciuto un ragazzo in Messico, un francese anche lui li in vacanza che l’aveva sedotta. Me lo raccontò con timidezza, quasi spaventata dalla reazione che potessi avere. E aveva ragione. Le dissi che era disgustoso, che una vera donna non avrebbe mai fatto niente con uno sconosciuto. Forse ero solo gelosa. Lei si rattristò dalla mia reazione ma la perdonai, era dopotutto la mia unica amica e, per quanto non l’avrei mai ammesso, ero curiosa di sapere cosa era successo in Messico. Non me lo raccontò mai e io non ebbi mai il coraggio di chiederglielo. Due settimane dopo tuttavia avvenne il fattaccio. Implorandomi in ginocchio Caterina mi chiese di accompagnala quel pomeriggio a vedere due ragazzi. Erano due figli di manovali che lavoravano per l’azienda agricola del padre di Caterina. Alla fine mi convinse non so come, seppur mi giurai che gliel’avrei fatta pagare. Già immaginavo lo sguardo disgustato di mio padre se avesse scoperto che avevo passato un pomeriggio con due garzoni. Dopotutto il pomeriggio fu piacevoli, i due ragazzi erano quello che ci si poteva aspettare da figli di manovali, due ragazzotti muscolosi dai capelli lunghi e ricci, indossavano quei pantaloncini corti che arrivano a metà coscia, tanto ridicoli ora quanto di moda allora. Erano simpatici, non avevo avuto molti contatti con il “popolino” ma si stava rivelando più piacevole di quello che pensavo. Uno dei due, Aldo mi pare si chiamasse, mi stava decisamente puntando. Per quanto sotto sotto ero lusingata dalle attenzioni e dai tentativi di cercare il contatto fisico mi ritiravo e rabbuiavo ad ogni suo approccio. Caterina era decisamente più disinibita. Li strusciamenti si sprecavano così come le mie occhiate di disapprovazione (e si, ora lo ammetto, di gelosia). Dopo quel pomeriggio ne seguirono altri nei giorni successivi. Il vero primo approccio con il sesso lo ebbi in un bollente pomeriggio di luglio. Faceva un caldo asfissiante e avevamo deciso di andare alle rovine, un nome di fantasia che avevamo dato ad un mulino diroccato da anni sulla scogliera. Come al solito Caterina aveva cominciato a fare la scema scappando a nascondersi e subito Paolo, il suo spasimante l’aveva rincorsa ridendo e urlando. Restai da sola con Aldo. Eravamo silenziosi tutti e due. Mi era vicino, troppo vicino per i miei gusti ma non lo respinsi. Sentivo il suo odore, così giovane, così virile. Sentii qualcosa muoversi tra le mie cosce, sentii che mi bagnavo, come mi era capitato solo qualche mattina dopo sogni che negai a me stessa di avere fatto. Era ormai vicinissimo e in procinto di baciarmi. Spaventata dall’estrema pulsione che pervase il mio corpo saltai in piedi e corsi via a cercare Caterina tra le rovine. Ero spaventa, ero eccitata, ero arrabbiata. Ero un adolescente in piena tempesta ormonale, una tempesta imbottigliata che ora stava per esplodere in tutta la sua violenza. Corsi tra le rovine come una scema finché un gemito inequivocabile destò la mia attenzione. Il rumore del vento, della risacca e dei gabbiani avevano nascosto i miei soffici passi sull’erba bruciata ma non i gemiti di piacere della giovane coppia. Sapevo cosa avrei visto, la morale mi disse di scappare a casa, la libido mi disse di guardare oltre il muretto. Guardai. Spiando da sopra una bassa parte del muretto, all’ombra di una parte crollata dell’edificio vidi Caterina con la gonna sollevata e Paolo inginocchiato tra le sue cosce a cibarsi dal boschetto scuro che li cresceva. Un grosso pene, il primo che avessi visto, spuntava dagli short di Paolo, svettando verso l’alto che lui lentamente scappellava. Rimasi rapita da quella scena, dai gemiti, dalla sincronia perfetta del movimento dei loro corpi. Caterina aveva denudato il suo seno che si pastrugnava godendosi la leccata. Quando Paolo lasciò libero il suo pene per penetrare con 2 dita la calda figa di Caterina i gemiti presero a crescere fino ad esplodere in quello che scoprii dopo essere un violento orgasmo. Quando il respiro di lei tornò regolare Paolo si mise accanto in piedi e lei, con naturalezza toccò il suo pene cominciando a masturbarlo. Si interruppe come una cerbiatta che aveva sentito un predatore. Da un muretto laterale comparve anche Aldo, si scambiarono qualche battuta, Caterina con mio stupore e orrore, non si ritrasse dalla presenza dell’amico. Chi era Caterina? Cosa era diventata? Mi faceva schifo eppure la invidiamo terribilmente, avrei voluto esserci io, così sicura da masturbare quel cazzo giovane e fresco davanti ad un suo amico. Ero così eccitata e scandalizzata da avere le vertigini, forse anche per il sole violento che batteva sulla mia testa. Quello che vidi dopo portò il mio scandalo a nuovi livelli. Infatti sempre ridendo e scherzando Aldo si unì alla coppia calandosi i pantaloni e mostrando un fiero cazzo svettante. Caterina non perse tempo e con entrambe le mani prese a masturbare entrambi i giovani uccelli. Dopo un incoraggiamento passò direttamente a succhiarli con maestria, alternando i giovani falli senza mai smettere di masturbarne prima uno e poi l’altro. Ero sconvolta, sentivo le mutandine zuppe e i miei umori viscosi scorrermi lievemente lungo le cosce. Mi toccai la figa da sopra la gonna che portavo procurandomi una violentissima scarica di piacere. Non mi ero mai masturbata, nessuno mi aveva mai spiegato come fare ma le dita trovarono la strada da sole. Le urla e i grugniti dei due figli di manovali si fecero più intense tanto da farmi fermare il nuovo e peccaminoso gioco. Caterina, con il piccolo seno al vento infatti, puntando i due falli contro le sue tette aveva preso a masturbarli con violenza fino a che, con pochi secondi di distanza, entrambi eruppero in un poderoso orgasmo versando il loro seme sulla pelle candida di Caterina. Era troppo. Era davvero troppo. Scappai di nuovo verso casa. Odiavo Caterina, non la volevo più vedere. Arrivai a casa con la Vespa abbandonando quella troia. Mi chiusi in camera sconvolta, mi buttai sul letto. Chiusi gli occhi e rividi tutta le scene sconvolgenti e ripresi masturbarmi. Raggiunsi il primo orgasmo della mia vita in meno di 20 secondi. Non contenta continuai e continuai e continuai, passai forse un’ora a procurami orgasmi a ripetizione vivendoli tutti con senso di colpa e sommo piacere. Da allora fu il mio rito quotidiano, appena potevo, appena nessuno mi sentiva le mie dita si mettevano all’opera e la mia fantasia partiva.
“Non l’avevo mai raccontato a nessuno”. Non aveva smesso un secondo di masturbarmi seppur durante la narrazione aveva alternato ritmi più o meno sostenuti. Pure il marito aveva ascoltato interessato, rallentando il ritmo della sega. “Avevi parlato di due episodi, questo era il primo” le dissi curioso “Ora ti racconto il secondo ma voglio un piccolo incoraggiamento” mi rispose “Tu!” disse al marito con fare dominante “Leccamela!” Lo stava comandando a bacchetta. Lui senza proferir parola si avvicinò mentre lei si levava le mutandine e si sollevava la gonna, mostrando la sua bellissima figa. “Aspetta! Mettiamo un po’ di aroma” dissi ridendo. Così girai la moglie verso di me e allargandole le gambe presi a strusciare il mio giovane uccello all’ingresso della figa ficcandoglielo dentro pure un paio di volte. “Ecco, ora è tutta per lei” Gli diedi del lei sottolineandone l’ironia. Il marito senza battere ciglio prese a leccare la figa aromatizzata al sapore del mio cazzo strappando una risata crudele a sua moglie. Lei prese a masturbarmi e a massaggiarmi i coglioni estasiata mentre riprese a raccontare
Non volli più vedere Caterina, lei piangeva, mi implorava di spiegarle ma la ignorai. La odiavo non tanto per la sua condotta morale sconveniente ma per essersi dimostrata più sicura e coraggiosa di me. L’estate successiva, quella dei miei 19 anni, la passai in solitaria. Ormai non avevo più amiche e mi andava bene così, erano tutte inferiori e sporche. E ormai avevo il mio nuovo hobby, la masturbazione. Amavo leggere e andavo nella campagna a passeggiare da sola, in bicicletta o in vespa per trovarmi un qualche posto tranquillo dove leggere e, quando annoiata, masturbarmi selvaggiamente. Sarà stato l’imprinting di quell’esperienza voyeuristica ma la natura, il caldo sole sulla mia pelle, il vento tra i capelli, moltiplicavano a dismisura i miei già intensissimi orgasmi. Avevo sperimentato molto, mi masturbavo solo toccando il clitoride o penetrandomi con le dita, nell’ultimo inverno avevo cominciato ad usare pure ortaggi sottratti alla cucina. Penso che in una gelida notte di gennaio, durante una sessione particolarmente intensa, persi inavvertitamente la verginità con una grossa zucchina verde, visto il sangue che la bagnò. Ma tornando all’estate un pomeriggio successe quello che avevo sempre temuto. Era fine giugno o inizio luglio, non ricordo, avevo appena finito di mangiare una focaccia compre pranzo all’ombra di un grosso ulivo e, per digerire meglio, pensai bene di masturbarmi. Recentemente avevo preso a spogliarmi quasi completamente nuda, tenendo solo il reggiseno e le mutandine, al fine di godere al massimo dell’amorevole carezza della natura sulla mia pelle. Mi immaginai Gianni, l’addetto capo alla macina, che mi scopava furiosamente in piedi nella sala di imbottigliamento, appoggiata una vecchia botte ormai in disuso. L’orgasmo mi fece vedere nero per qualche secondo. Quando li aprii vidi un movimento inaspettato. Invece di coprirmi rimasi immobile, sarà stato a 10 metri da me, era un ragazzino. Non riuscii a capire l’età, avrà avuto 16 anni, il corpo era giovane. Indossava dei pantaloncini ed era a torso nudo. Senz’altro uno di quei poveretti che mio padre pagava un tozzo di pane come lavoro estivo a sbrigare le mansioni a che neppure un manovale non specializzato avrebbe fatto. Quando si accorse di essere stato scoperto si diede alla macchina. Stranamente non fui spaventata, né arrabbiata, mi venne solo da ridere. Era solo un ragazzino, cosa poteva fare? Nessuno gli avrebbe mai creduto. Asciugami la mano fradicia sulla coperta che usavo per il pic-nic, mi rivestii e tornai a casa.
Il giorno successivo, più o meno alla stessa ora, tornai allo stesso punto. Sta volta però mi spogliai nuda, completamente nuda e con tutta naturalezza presi nuovamente a masturbarmi. Mi ero portata appresso una nuova zucchina della dimensione giusta per darmi piacere. Non volevo ammetterlo a me stesso ma sotto sotto speravo che quel ragazzino tornasse. Mentre la zucchina e le dita facevano un egregio lavoro e i miei gemiti eccitati si perdevano nel vento socchiusi gli occhi. Era lì, mi osservava. Questo aumentò ulteriormente il piacere di quell’atto, la masturbazione divenne ancora più intensa, sentivo i suoi occhi sul mio corpo, sul mio seno, tra le mie cosce. Non mi trattenni come facevo a casa, lasciai i miei gemiti di piacere evolvere in piccole grida e poi in grida vere e proprie. Se fosse venuto li e mi avesse presa non mi sarei opposta, anzi avrei partecipato con sommo piacere. Ma era solo un ragazzino. Quando esplosi nell’orgasmo finale riaprendo gli occhi vidi solo mentre scappava. Questo gioco si ripeté ogni giorno per la settimana seguente. Come un animale selvatico il ragazzino osava sempre di più. L’ultimo giorno, mentre socchiudevo gli occhi fingendo di non vedere, lo vidi liberare il suo fallo giovane e duro e masturbarsi velocemente. Era vicino, meno di 2 metri. Ridicolo fingere che non ci fossimo notati ma sapevo che se avessi parlato, se l’avessi guardato negli occhi, quella magia sarebbe finita. Rallentai la masturbazione, volevo vederlo godere, volevo vedere quel giovane uccello eiaculare per me come l’estate scorsa quei due giovani cazzi avevano sborrato per Caterina. Era la mia rivincita. Il poveretto non durò a lungo, per un 15enne vedere una 20enne fatta e finita masturbarsi e godere come facevo io da così poca distanza doveva essere uno spettacolo irresistibile. Infatti in pochi minuti, strozzando un urlo, vidi 3 grossi schizzi partire dalla punta del pene ed atterrare nel prato. Si tirò su nuovamente i pantaloni e questa volta senza correre si allontanò. Il giorno successivo, mentre mi apprestavo a fare il mio solito gioco notai una novità. Non era venuto solo. Un ragazzo del tutto simile si era unito, era più sospettoso, più timido, mentre il primo ormai si avvicinava ad un metro da me l’altro restava in disparte. Quando presi a masturbarmi però entrambi non si trattennero, presero in mano il loro attrezzo e cominciarono un rapida sega sborrando poco dopo. Godevo di quello spettacolo perverso, mi sentivo desiderata, mi sentivo donna. Una piccola rivincita per quella troia di Caterina, cosa credeva? Che gli uomini guardavano solo lei? Ma la situazione mi stava rapidamente suggendo di mano, nelle settimane successive arrivarono sempre più ragazzi, ai primi di agosto ne contai in totale 7, tutti non più vecchi di 17 anni, tutti a pochi metri da me, a masturbarsi rapiti dalla scena di me con le cosce spalancate a masturbarmi con dita o ortaggi. Per la prima settimana d’agosto provai una variante, provai a masturbarmi mettendomi sulla pancia, mostrano ai miei giovani spettatori il mio culo che già cominciava ad abbondare. Questi li diete ancora più coraggio, li sentivo sopra di me, a ridacchiare e a gemere sommessamente, il secondo giorno dello spettacolo del mio culo mentre loro si masturbavano sentii un urlo trattenuto e del liquido bollente colpirmi le natiche. Uno ad uno eiacularono tutti sul mio culo. Sentii tutto quel seme bollente colarmi lungo le cosce e sulla schiena senza che mio smisi mai di masturbarmi esplodendo nell’ennesimo orgasmo di quell’estate.
Il racconto venne interrotto da un climax di gemiti. Il cornuto suo marito infatti, senza smettere di leccare la moglie, godette poche gocce di sperma sporcando il lussuoso divano dove la moglie non aveva smesso un attimo di masturbarmi. Lei scoppiò a ridere “ti piace proprio immaginarmi mentre faccio godere gli altri eh?” e poi rivolta a me “Fagli vedere tu come si fa con una donna” Il racconto mi aveva sfiancato, avevo ricacciato indietro l’orgasmo pure io parecchie volte quindi decisi che era giunto il momento di godere. Presi la moglie e la misi appoggiata a pecora contro il bracciolo della poltrona e rapidamente la infilzai. Era bollente, era fradicia. La scopai così, con il marito ancora seduto per terra che guardava il mio cazzo sfondare la mogliettina mentre i miei grossi coglioni sbattevano. “se mi fai godere entro un minuto ti faccio un regalo speciale” mi disse tra un sospiro e l’altro indicando un grosso pendolo che indicava le 16.59. Mi piaceva come sfida. La scopai ancora più con violenza e forza, sculacciandola, insultandola. Lo spettacolo era selvaggio ed eccitante, eravamo sudati e l’odore di sesso impregnava l’aria. Il marito aveva ripreso a menarsi quell’inutile cazzo che si ritrovava estasiato. A pochi secondi dalla fine della “scommessa” la moglie eruppe in un lungo “scusami amore non vorrei ma sto per godereeeee” finendo in un orgasmo urlante e quasi stritolandomi quasi l’uccello con le sue contrazioni. Si accasciò una volta che la scarica elettrica aveva attraversato il suo corpo. Il marito con quello che sembrava la parodia di un orgasmo venne una seconda volta, solo poche gocce di sperma.
Le puntai il mio cazzo duro verso la bocca “Ora voglio il regalo” mi imposi. “Ma prima… voglio che fai qualche foto a tua moglie mentre le scopo la bocca”. Erano ormai in mio potere. Il marito senza opporsi prese la polaroid e fece due foto mentre la moglie a bocca spalancata accoglieva nuovamente il mio uccello. Me le passò senza che lei smettesse di succhiarmelo. Il viso era un misto di sofferenza e goduria, erano uscite benissimo, la prima con gli occhi chiusi e la seconda con gli occhi aperti, mentre guardava in camera. “Io a dire il vero avevo in mente altro come regalo” mi disse interrompendo il pompino forzato. Mi fece girare, sapevo cosa voleva fare e non mi opposi, non mi piaceva l’idea di farmi leccare il buco del culo ma volevo fargliela pagare per aver generato quello stronzo che aveva spinto Linda al suicidio. Sentii la sua lingua insinuarsi tra le mie chiappe. Le sue mani si allungarono davanti afferrandomi il cazzo cominciando una sega a due mani. La sensazione di goduria era indescrivibile, avrei voluta vederla da fuori. Il giovane ragazzo liceale che si fa leccare il culo e masturbare da una donna matura dell’alta borghesia, mentre il marito guarda. “Fammi altre foto, cornuto” ordinai al marito e lui docilmente esegui. Due rapidi scatti, perfetti. Non mi mancava più molto, questioni di secondi. Senza dire il perché mi spostai di pochi passi e la moglie mi seguì inginocchiata. Il mio orgasmo esplose, il cazzo pulsante schizzò tutto il mio spera sul mio vero obiettivo, le camice del marito. L’orgasmo fu devastante, la stimolazione perianale e le abili mani della madre mi fecero urlare tutto il mio piacere, i coglioni mi fecero quasi male dalla quantità di seme espulsa. Il tutto centrò il bersaglio. Una volta finita l’ondata di piacere presi una camicia nera e mi pulii l’uccello.
Ci rivestimmo in silenzio, forse avevo esagerato. O forse loro avrebbero dovuto educare meglio mio figlio. “Vieni anche domani? Ti racconto come ho perso la verginità…” Sorrisi a lei “Ma io domani non ci sarò, a me hai sempre detto che l’hai persa con me!” protestò il marito “A te resterà per sempre il dubbio” disse la moglie con una risata non priva di una certa dolcezza, accarezzando il viso del povero marito. Mi fece un poco pena. Presi lo zaino e forte delle mie 4 foto uscii da quella casa.

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di
scritto il
2018-02-05
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