I silenzi di Luca

Scritto da , il 2017-10-04, genere incesti

Ho appena fatto l'amore con lui, per l'ennesima volta. E' arrivato presto, si è divertito come al solito, il mio corpo di quarantenne appesantita riesce ancora a dare piacere.
Io, invece, sempre più raramente provo piacere. Quelle poche volte che l'ho fatto con Luca, allora sì che ho saputo cosa è veramente per una donna avere un orgasmo, uno vero.
Dove sei, Luca? Riaverti solo una volta, una sola.

Quell'estate avevo ventinove anni ed ero appetitosa. Non mi viene un altro aggettivo per descrivermi. Non ero bella, non lo ero mai stata veramente, ma che fossi appetitosa non lo si poteva negare. I capelli biondi erano belli, come gli occhi nocciola; il naso era un pò a patata, la bocca carnosa. Qualche chilo di troppo lo avevo già, era fuori discussione, ma il petto abbondante, le curve invitanti, le gambe che non sfiguravano con la minigonna, sembravano dirmi: noi ci siamo, facciamo la nostra parte, vedi tu di fare la tua. Negli ultimi cinque anni avevo lavorato duramente, dopo la morte di mio padre avevo preso in mano la sua piccola azienda ormai quasi al fallimento e l'avevo salvata. Ero stata fidanzata per sette anni con Tonio Colnati, detto il Lord perchè si diceva che un giorno a Roma avesse fatto spesa in via Condotti. Al matrimonio di Simona, la figlia del segretario comunale, e di Tommaso, figlio del farmacista, c'erano tutti e tutti allibbirono quando lo sposo invece di dire sì, come di solito si fa in questi casi, urlò un clamoroso no e indicando il suo testimone, il Lord, gli gridò: " Vi ho visti ieri, tu e questa grandissima zoccola!". La sposa svenne, i parenti vennero alle mani, l'arciprete ebbe un malore, il Lord tentò di squagliarsela ma si ritrovò la faccia graffiata dalla sua fidanzata, cioè da me. Non avevo avuto più legami perché non volevo farmi imbrigliare ma la la lunga astinenza si faceva sentire. Lo confessai a Daria, la cugina di mia madre che era venuta a fare villeggiatura nella casa che aveva ancora nel nostro paese. Daria era una quarantacinquenne ancora bella, con cui avevo sempre avuto grande confidenza. Era divorziata e senza un uomo. Aveva due figli, due bellissimi ragazzi: Luca, il primo, aveva ventidue anni, Marco ne aveva diciotto. Luca era introverso e quell'estate lo vedevo quasi cupo; Marco era allegro e solare, pieno di vita, le ragazze impazzivano per lui, tutte stravedevano per lui fin da quando era bambino e portava i capelli lunghissimi, così che molti lo scambiavano per una bambina. Quando aveva otto anni lo vidi nudo mentre la madre gli faceva il bagno e quando uscì dalla vasca mi accorsi che la mia presenza gli aveva fatto un certo effetto e dissi ridendo:"Oh Marco, vorrei vederti fra dieci anni!" Daria non mi sembrò divertita dalla mia battuta e ricoprì il figlio.
Quel giorno le confessai che la castità mi pesava. "A te no?" le chiesi. Rise. "Non preoccuparti per me, c'è chi ci pensa".
"Hai un uomo?"
"Forse. Ma parliamo di te. Perché non ti occupi un pò di Luca?"
"Luca? Dici sul serio?"
"Sono preoccupata per lui, è sempre teso, nervoso, non lo vedo mai con una ragazza, non so nemmeno se l'abbia mai fatto. Ti scandalizza che una madre parli così?"
"No, penso che tu esprima ad alta voce quello che molte altre si limitano a pensare".
"Bé, credo che un'esperienza con una ragazza più grande gli farebbe bene, farebbe bene a tutti e due. Voglio dire che non ci troverei niente di male se voi vi divertiste un pò".
Fino a quel momento non mi era nemmeno passata per la mente un'idea del genere e ora la trovai naturale e semplice. C'era qualcosa di male? Risposi di no.
Quella notte feci uno strano sogno. Ero in compagnia di una prostituta che aspettava gli uomini di notte, vicino a un fuoco. La prostituta mi insultava e mi minacciava, ordinandomi di andare via perchè le rubavo i clienti, ma guardandola meglio riconobbi Tonio, truccato e travestito. Mi venne da ridere ma Tonio, infuriato, tirò fuori un coltello e voleva colpirmi. Allora iniziai a correre, attraversai vicoli e strade cieche che si aprivano all'ultimo istante come se qualcuno avesse fatto scattare un meccanismo segreto; sentivo sempre il nemico correre dietro di me ma per quanto mi sembrasse di volare non riuscivo a distanziarlo. All'improvviso si aprì una porta, delle braccia mi tirarono dentro e mi salvarono. Una donna di una certa età, coperta da un assurdo velo di trucco color giallo, mi rassicurò dicendomi che ormai nessuno mi poteva fare male. "Grazie, signora, siete stata come una mamma o una zia, come posso ricambiare?". La donna rispose storpiando tutte le parole che pronunciava: "Putete, signorena, putete, per scambiare il benefatto che vi ho fatto spusate figlio mio che non trova compagnia, è buono giuvinotto, duvite debitare la mia favora". "Dov'è vostro figlio?" risposi. "Trasite signorena, eccolo a codesto stanzo". Mi portò in uno stanzino spoglio, dove un bambino, di spalle, giocava con una palla, facendola rimbalzare sul muro. "Ma è un bambino, non lo posso sposare" dissi. Ma il figlio della signora si voltò e gridò:"Non sono un bimbo!". In effetti era un nano ma io provai una sensazione strana, di piacere. "Lo voglio" dissi, "sposiamoci". Presi il nano in braccio, lo baciai ed esclamai:"Che bel fidanzato ho!". Subito dopo mi ritrovai vestita di bianco mentre entravo in chiesa ed era mio padre che mi accompagnava ed ero felice che mio padre fosse tornato apposta per portarmi all'altare. Ma papà non era contento, bestemmiava e sudava e più sudava e bestemmiava e più mi diceva: "Non puoi sposare un nano, è peccato, ti nascono i figli nani, perchè non sposi tuo fratello?". "Ma papà, io non ho fratelli" risposi. Tutti i presenti ridevano ma lo sposo non c'era. Allora venne il prete e il prete era Daria. "Ma tu non puoi sposare, sei una donna, il matrimonio non è valido" dissi. "Ora anche le donne possono sposare" rispose Daria. "Basta con questa pagliacciata!" urlò mio padre e cadde per terra, ma nessuno lo aiutava, tutti ridevano. Allora entrò un uomo dalla grande barba che mi infilò delle manette ai polsi. "Siete in arresto: cosa volevate fare con quel bambino? Siete una zozza pervertita". "Ma era un nano" risposi. "Un nano!" e l'uomo barbuto scoppiò a ridere, poi tutti risero e gridavano: "Un nano, un nano!". "Sì, è un nano, non è un bambino" urlai e mi svegliai.

La sera era fresca. Uscii a prendere un pò d'aria, sentivo una strana sensazione che non sapevo spiegare. Mi allontanai da casa e percorsi la stretta via che un centinaio di metri dopo finiva nella strada principale. Qui, all'angolo, c'era una vecchia casa che tanti anni prima era stata una specie di osteria. Rimaneva appeso al muro, chissà come, un cartello rosso che reclamizzava un bitter. Sotto, una panchina di pietra, altro ricordo dei tempi andati, quando gli avventori del locale prendevano il fresco tra un bicchiere e l'altro. La via era deserta ma sulla panchina era seduto qualcuno. "Luca! Che fai qui?", dissi al ragazzo che si girò di soprassalto. "Ciao, Melania. Prendo un pò d'aria", rispose. La casa della madre era dal lato opposto del paese, evidentemente aveva bisogno di molta aria. Mi sedetti accanto a lui. "Perchè non sei venuto da noi?"
"Stavo un pò così, mi sono messo a pensare e ..."
"E' inutile pensare sempre ai problemi se non si possono risolvere, ci si fa solo male, non credi?". Gli appoggiai una mano su una spalla. "C'è qualcosa che non va?"
"No, non credo".
"Dovresti svegliati un pò, conoscere delle ragazze. Sei bello. Perchè mi guardi così, non te l'ha mai detto nessuno?"
"No, io non sopporto la mia faccia".
"Addirittura, ma se sei così bellino. E anche maleducato".
"Perchè? Che ho fatto?"
"Me lo chiedi? Avresti dovuto rispondermi che anch'io sono bella".
"Scusa, non c'ho pensato".
"Allora?".
"Cosa?".
"Insomma, sono bella o no?".
"Sei molto bella".
"Viva la spontaneità. Almeno ti ho fatto ridere, vedi?".
Ci alzammo e ci avviammo verso casa mia. Lo presi sottobraccio e provai una strana sensazione al contatto con il suo corpo. Il ragazzo era pulito, la sua pelle emanava un buon odore. Tremavo quasi quando gli dissi:"Me lo dai un bacio?". Lo strinsi a me e lo baciai sulle labbra, prima in modo delicato, poi con impeto sempre maggiore, fino a infilargli la lingua in bocca. Tenendolo stretto potevo sentire le reazioni del suo corpo, capire di essere desiderata. Lo presi per mano dicendogli:"Vieni". La mia casa aveva un secondo ingresso: una scala esterna portava al piano superiore. Salimmo e io, sempre tenendolo per mano, con l'altra tirai fuori la chiave per aprire la porta. Entrammo in un ingresso buio e aprii la porta di una piccola stanza con un letto a una piazza a mezzo, una specie di camera per gli ospiti, quasi mai usata. Mia madre era al piano inferiore, dal lato opposto della casa, non c'era pericolo che ci sentisse. "Non accendiamo la luce", dissi, e tornai a baciarlo. Era tanto tempo che non toccavo un uomo, la tensione si sciolse mentre le mie mani esploravano il corpo di mio cugino, liberandolo dei vestiti. Nel giro di dieci minuti avevo fatto di Luca il mio amante, quel bambino dagli occhi scuri che mi guardava trasognato quando ero già grande e gli facevo da baby sitter e gli compravo il gelato con la promessa che non avrebbe raccontato che mi ero incontrata con qualcuno. Non era solo per la lunga astinenza che mi sembrò di non avere mai provato un piacere così intenso quando esausta scesi al suo fianco nel letto. Mi sentivo libera come e più di prima, sciolta da ogni complesso, padrona di trovare piacere nel modo che preferivo. Il lamento di uccelli notturni si confondeva con gli ultimi ansimi, la luna proiettava ombre attraverso la finestra e gli occhi di mille folletti pareva che spiassero i due corpi distesi che appena si intuivano nell'oscurità.
"Vuoi che vada via?" chiese lui, incerto. Mi sembrò che fosse più intimidito adesso di prima, che quasi mi temesse. "Puoi restare tutta la notte", risposi, accarezzandogli il petto magro.
"Mamma si preoccuperà non vedendomi tornare."
"Hai ragione, vai allora". Lo sentii rivestirsi lentamente, alla ricerca degli indumenti sparsi per la stanza. Mi alzai, aprii la porta per capire se dall'altra parte della casa mia madre desse segni di vita. "Io allora..vado." disse Luca.
"Baciami." gli dissi sottovoce. Lui obbedì e lo accompagnai alla porta, aprendogliela. Ascoltai i suoi passi giù per le scale mentre la fredda aria della notte raggiunse il mio corpo nudo. Richiusi.
Il giorno dopo raccontai tutto a Daria. Ridevamo quando Luca e Marco ci raggiunsero. Luca si incupì mentre Marco chiese:"Perché state ridendo?"
"Cose di donne, amore" rispose la madre, accarezzandogli i capelli.
Restai a pranzo da loro. Ero seduta di fronte a Luca e a un tratto misi il mio piede sul suo e poi lo toccai in altre parti del corpo. Lui era imbarazzato, più svagato del solito, notò la madre che lo canzonò per tutto il pasto.
Quando venne il momento di andarmene, Daria disse a Luca:"Accompagna Melania." e lui mi aveva accompagnata.
"Ti dispiace quello che è successo stanotte?" gli chiesi.
Scrollò le spalle.
"Bè, se a te dispiace, a me no". Stemmo in silenzio per un pò.
"Senti, è stata la prima volta, vero?"
Arrossì, guardò per terra.
"Non c'è niente di cui vergognarsi, anzi è...bellissimo, sai".
"Perché l'hai raccontato a mia madre?"
Restai interdetta, poi risposi: "Bé, mi sembrava corretto,sai..."
"Ridevate di me?"
"No, che dici? Tua madre era contenta..."
Non disse nulla.
A casa mia lo condussi per mano nella mia stanza. Mia madre non c'era, quel giorno accudiva una vecchia zia malata, e stavolta non restammo al buio. Notai con piacere che il ragazzo, nonostante l'esperienza della notte precedente, non era diventato arrogante o possessivo ma si lasciava ancora guidare. Il contrasto fra il mio corpo formoso e quello ancora da adolescente di lui mi eccitò particolarmente mentre con la coda dell'occhio li vedevo stretti nello specchio del mio armadio. Stavolta non avevo l'ansia di godere della notte prima e mi presi tutto il tempo che volevo. Lo feci arrivare rapidamente una prima volta masturbandolo con dolcezza, poi dopo esserci riposati un pò ripresi ad eccitarlo e stavolta riuscii a farlo durare un tempo interminabile finchè, esausti, non arrivammo insieme. Lo baciai a lungo e tornai a compiere il gesto che mi piaceva molto: accarezzargli il petto.
"Ti è piaciuto di più adesso o stanotte?"
"Forse adesso".
"Vuoi farlo sempre?"
"Sempre? Vuol dire che tu mi vuoi bene?"
"Tu mi vuoi bene, tu?".
"Sì, da tanto tempo".
"Ma no, pensavi di fare queste cose con me? E che facevi, pensando a me?"
Non rispose e quel pudore, nonostante l'intimità che era nata fra noi, mi garbava.
"Non voglio soffrire" disse inaspettatamente.
"Non mi pare di averti fatto soffrire in questi due giorni" risposi.
Che cosa volevo fare con lui? Non saprei rispondere. Mi divertivo, era un perfetto toys-boy come si direbbe oggi, ma davvero pensavo che potesse diventare una cosa seria? Io e un ragazzino di sette anni più piccolo, ancora studente, mio lontano cugino?
Il pomeriggio del giorno dopo lo trovai ad aspettarmi sotto casa, mia madre era ancora assente.
Lo squadrai ironica. "Stai prendendo coraggio, eh? Ci hai preso gusto? E se io non volessi, oggi?"
Riuscì a spiazzarmi. "Ero venuto per parlare un pò".
Aveva la solita aria malinconica ma mi accorsi che era più nervoso del solito.
"E' successo qualcosa?"
"Non ce la facevo a rimanere a casa, le voci mi davano fastidio, ho la nausea, ho anche vomitato".
Eravamo entrati in casa. Gli presi le mani.
"Che cosa ti tormenta?"
Stava per confidarsi? Penso di sì ma forse feci il gesto sbagliato, cominciai ad accarezzarlo fra le gambe e glielo alzai molto presto, mi bastava sfiorarlo per farlo eccitare. Anch'io mi eccitavo con una grande facilità, nessuno mi aveva mai fatto godere così. Ancora una volta nudi sul mio letto, quando lui stava già per rivestirsi, pensai di fargli un regalo e mi inginocchiai tra le sue cosce e sebbene non amassi particolarmente il sesso orale lo portai abilmente all'ennesimo orgasmo.
"Ne vuoi ancora?" chiesi.
"No, ti prego, non ce la faccio più".
Si rivestì in silenzio. Mi stavo innamorando? Pensai che sarebbe stato bello averlo sempre con me, sposarlo, fregarmene di tutto e di tutti. Se glielo avessi detto sarebbe cambiato qualcosa? Me lo chiederò per tutta la vita.
"Non mi dai un bacio?" gli chiesi mentre andava via. Si voltò e lo baciai a lungo, come la prima volta. Non lo vidi mai più.


Luca scomparve quella sera. Lo videro dirigersi al colle di S. Andrea, sotto il quale si apriva uno strapiombo che in passato era stato teatro di diversi suicidi. Il corpo però non fu mai ritrovato e questo fece pensare che si fosse allontanato volontariamente.
Sei ancora vivo, Luca? Che cosa hai fatto in questi anni, dove sei stato? O forse, come dicono alcuni esaltati, esiste un'altra dimensione in cui le persone che spariscono si ritrovano per tornare un giorno tutte insieme?
So solo che una settimana dopo andai da Daria. Non ci eravamo mai ritrovate da sole dopo la scomparsa di Luca e io avevo qualcosa da dirle.
La trovai accasciata, in lacrime.
"Te l'aveva detto?" mi chiese singhiozzando.
"No, l'ho capito solo qualche giorno fa, pensando e ripensando a tutto quanto".
"Penso che sospettasse già da tempo ma eravamo prudenti, però quel giorno ci vide. Io sola me ne accorsi, vidi il suo volto inorridito nello specchio..."
"Da quanto tempo vai a letto con Marco?"
"Da due mesi ma già prima avevamo...perché raccontare queste cose adesso?"
"Immagino che tormento debba essere stato per lui intuire che tra la madre e il fratello...e poi scoprirlo, vedervi...e tu mi hai spinto a scoparmelo per levartelo di torno, per essere più libera con l'altro tuo figlio o dovrei dire amante".
"Perché mi tormenti?"
"In realtà tormento me stessa, se non fossi stata così impegnata a fare sesso e basta avrei capito i suoi silenzi, le cose non dette, come ho capito adesso che lo amo e forse non lo rivedrò più".
"Io penso che tornerà, vedrai che tornerà e ci perdonerà":
"E se non tornasse?"

Non è più tornato.



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