Un amore di dottoressa

Scritto da , il 2016-10-14, genere saffico

Uffa, sospirai impaziente in sala d’attesa, nessuno era arrivato dietro me, quindi sarei stata l’ultima paziente e.. m’impazientivo. La settimana finiva bene, quando ero arrivata un’ora fa, c’erano quattro persone in coda ad aspettare, ora che sono sola la sala d’attesa mi sembra più grande. Guardavo il condizionatore d’aria appeso sopra la finestra, le riviste su un tavolino, tutto nuovo per me, ma ero comunque stufa d’aspettare. E tra le pazienti prima di me, nessuna una che fosse entrata solo per una ricetta, tutte visite, e lunghe. Mentre aspettavo sfogliavo le solite riviste femminili piene di oroscopi, ricette, le ultime diete dimagranti, le collezioni di moda ed i soliti giochi e cruciverba iniziati da qualcuno prima di me. Sbuffavo, la paziente prima di me era entrata da ormai venti minuti, il mio turno sarebbe arrivato presto. Il prurito nella zona pubica si faceva sentire, tanto per ricordarmi perché ero lì, non faceva male ma era sempre presente. Non ero riuscita a dormire la notte prima, allora mi decisi di consultare medico. Un ambulatorio situato in una vecchia casa in mattoni chiari e tegole rosse. Un cartello verde con scritto “Aperto”, ho spinto la porta in un bel mogano massiccio e sono entrata in questa cavolo di sala d’aspetto. Dimenticavo, io sono Giulia, sono originaria di Roma ma da poco lavoro in un paese della Brianza come tecnico informatico per una piccola società di trasporti. Ho 22 anni, bionda, carina, single e depressa, appena lasciata da uno stronzo che pensava solo a scoparmi. I primi tempi che eravamo insieme mi ritenevo molto fortunata essere con uno che mi soddisfaceva sessualmente, ma poi mi resi conto che la sua riserva di caccia era molto più estesa del mio solo culetto. Infatti, tutto ciò che portava una gonna per lui andava bene, quindi vi lascio immaginare. Così l’ho lasciato piangendo perché, accidenti a me, gli volevo bene, approfittando anche di questa opportunità lavorativa che mi ha portato qui al nord, lontana da tutto. Sono quindici giorni che ho lasciato lo stress del traffico di Roma per lavorare in questa amena cittadina di provincia. Spesso per strada trovo gruppi di persone che fanno running, io stessa a volte mi aggrego a loro, quando non frequento una piccola ma carina palestra vicino a casa mia. Ora l’unico fastidio è questo prurito del cavolo che mi attanaglia da qualche giorno. Ho scelto questo studio medico perché mi hanno detto che è una dottoressa, sapete, a volte io sono molto pudica, e spogliarmi per la prima volta davanti un medico uomo sconosciuto.., sapere che invece è una donna la cosa mi rasserena. Finalmente la porta dell’ambulatorio si aprì, io mi alzai stringendo la mia borsa contro il ventre, passando vicino alla dottoressa esaminai l’ambiente. L’ambulatorio era carino e luminoso, esattamente come la sala d’aspetto, arredi tipici di un ambulatorio, un armadio, delle vetrinette con dei campioni di medicinali, lavandino, degli sgabelli, la scrivania, un paravento ed il lettino per le visite. “Buonasera, vedo che lei è l’ultima” “Si, buonasera dottoressa.” Le risposi girandomi verso di lei sorridendogli, e vidi che mi stava scrutando dalla testa ai piedi. A mia volta la guardai. Aveva il classico abbigliamento da medico, il camice bianco abbottonato con appuntato un caduceo, sotto si intraveda una camicia, un paio di jeans neri con delle Hogan abbinate. Era una giovane dottoressa, non avrà avuto più di trent’anni, capelli neri lucidi raccolti con uno chignon sulla nuca che brillavano sotto i neon dello studio. Forse tentava di darsi un’aria severa e professionale, ma senza successo, si capiva che era una persona molto dolce. Sicuramente era una donna competente, intelligente e tenace, del resto per riuscire negli studi di medicina non poteva essere diversamente, ma anche gentile, dolce e affabile. I suoi occhi scuri e caldi abbracciavano con lo sguardo il mio corpo, scivolarono dall’alto al basso e poi ancora su fino a fermarsi sui miei occhi verdi. Mi gratificò di un bel sorriso che illuminò l’ovale perfetto del suo viso. Io le sorrisi di nuovo istintivamente. “Complimenti signorina, lei è molto carina.” Mi disse mentre richiudeva la porta. “Grazie, venendo da una donna penso che questi complimenti siano molto sinceri, anche lei è molto carina.” La mia risposta la prese un po’ alla sprovvista, un attimo di silenzio poi scoppiò in una piacevole risata per qualche secondo prima di tornare alla sua professionalità. “Mi perdoni, ma la giornata è stata lunga e difficile, comincio ora a rilassarmi.” “Non si preoccupi, la capisco poi, i complimenti fanno sempre piacere.” “Bene, a cosa debbo il piacere della sua visita?” Disse lei. “Ho un persistente e fastidioso prurito nella zona pubica e l’inguine.” “Molto stress in questi giorni? Problemi personali, cambiamenti di vita? Spesso alla base ci sono delle cause psicosomatiche.” “Ohh.. certamente, ho scoperto che il mio ragazzo mi tradiva e l’ho lasciato, ho lasciato la mia città, Roma, ho il morale sotto i tacchi, ed ora abito qui vicino, lei pensa sia abbastanza come cambiamento?” “Penso proprio di si, apprezzo anche la sua ironia, comunque ritorniamo seri, mi faccia vedere.” Io indossavo un abito nero montato in vita, non dovetti fare altro che slacciarlo e mi ritrovai subito con un completino intimo nero di pizzo. Un mio piccolo peccato: amo la lingerie ricercata e sexy. Feci scivolare lungo le cosce il minuscolo slip mostrandole il mio pube completamente rasato, (era una richiesta del mio ex). Subito si notò una striscia rossa che arrossava la mia pelle dal monte di venere fino ai fianchi. La dottoressa mi disse di sdraiarmi sul lettino e subito dopo divenne seria e preoccupata. Mi esaminò il ventre e mi toccò indossando dei guanti di lattice prima di alzare la testa con una smorfia. “Direi che è un Herpes Zoster. Considerata la sua situazione di stress, probabilmente le si sono abbassate le difese immunitarie ed è riapparso il virus della varicella. Non ci sono ghiandole ingrossate, non c’è infezione ma bisogna cominciare subito il trattamento. Con l’herpes è meglio reagire subito se non vuoi avere cicatrici di pustole sulla pelle o dolori nevralgici per tutta la vita. Bene si può rivestire.” Si sedette alla scrivania, indossò un paio di occhiali di tartaruga ed iniziò a compilarmi la ricetta, a mia volta mi sedetti di fronte a lei. Ero affascinata dai suoi gesti, dalle sue mani molto curate, quindi guardò l’ora, prese il suo cellulare e fece una chiamata. “Olga? Ciao sono Clarissa, non chiudere subito per favore, ti mando una paziente con l’herpes, le ho prescritto del Valaciclovir, se puoi già prepararglielo, ciao a presto.” Chiuse la comunicazione, mi consegnò le ricetta e mi sorrise rivelando un fila di denti bianchissimi e regolari. Mi presentò la sua parcella, pagai e mi alzai. “Se vuole la accompagno, così Olga, la farmacista, la riconosce subito, un minuto e chiudo.” “Si certo, la ringrazio.” La farmacia era vicino, qualche centinaio di metri, mentre camminavamo parlavamo del più e del meno, in particolare dei posti dove potersi divertire, che io ovviamente non conoscevo, quasi tutti a Milano, poi lei mi disse: “Accidenti sono quasi le otto, le va un invito a cena per festeggiare l’ultima paziente della settimana? Sa, al sabato non lavoro.” “Si, perché no? Ma una cosa semplice, d’accordo?” “Perfetto!” La Olga ci stava aspettando con il Vanaciclovir ed un grande sorriso stampato su un viso rotondo. Con una chioma di riccioli neri e gli occhi azzurri esprimevano gioia di vivere. Dopo che noi fummo partite abbassò la serranda. “Bene, forse è il caso che ci si dia del tu, chiamami pure Clarissa, è il mio nome.” “Bel nome Clarissa, io mi chiamo Giulia.” “Anche Giulia è un bel nome, mi piace, è il nome di una mia zia. Ora ti porto nel mio ristorante preferito, categoria “tradizionale”, 3 stelle per la giovialità. Spero tu sia una buona forchetta, non mi sembri il tipo anoressico che mangia solo un’insalatina al giorno.” “No, io mangio come un lupo, mi mangio un porcellino tutti i giorni.” “mmm.. io preferirei una bella porcellina, ma la faccio durare un week end e anche più.” Io mi fermai, la guardai un secondo e scoppiai a ridere. Era stata molto diretta, mi piaceva la sua franchezza ed il suo humor. Le infilai il mio braccio sotto il suo e ripartimmo sottobraccio l’una all’altra, quindi osai e le chiesi: “Quindi tu sei lesbica? Ho capito bene?” “Si.. Si.. lo sono, e tu no naturalmente.” “Se tu me lo avessi chiesto solo un mese fa, ti avrei risposto che amo solo gli uomini, gli uomini veri e maschi, ora mi ha fatto stare talmente male quel figlio di puttana del mio ex che mi sento persa, sto cercando un punto di riferimento qualsiasi.” “Ah… siamo in due, anche io mi sento di far parte della schiera delle persone in cerca di un punto di riferimento.” La guardai esterrefatta, no potevo crederci. “Non ci credo, te lo giuro. Sei così bella, così sicura di te.” “Sicura di me? Non è che apparenza, all’interno ho un cuore che batte, delle incertezze, delle paure e anche molte speranze.” La interruppi. “Accidenti che freddo qui, non mi sono ancora abituata al vostro clima.” “Tieni, prendi questa, io non sono freddolosa.” Così dicendo Clarissa si tolse la sua giacca di pelle e me la mise sulle spalle. Io ebbi un brivido, le sorrisi prima di appoggiarmi a lei. Lei aveva il suo viso immerso nei miei capelli sciolti, facendo scivolare il suo naso dietro al mio orecchio. “mmm.. che buon profumo che hai, lo conosco ma non ricordo il nome.” “E’ Shalimar di Guerlain, e tu? Buono anche il tuo.” “E’ Mademoiselle Coco di Chanel, l’adoro.” Mi rispose. “Se vuoi, visto che siamo quasi davanti a casa, possiamo salire a prendere una giacca.” “Se salgo con te facciamo tardi al ristorante, sarebbe un peccato, al Giapponese fanno una zuppa di verdure speziate con i gamberetti semplicemente deliziosa. Credo però che vicino a casa tua ci sia la trattoria Romagnola, lasagne, tortellini e piadine.” “Allora vada per la trattoria Romagnola, è proprio qui vicino. So dove si trova, ma non ci sono mai andata, mangiare sola al ristorante mi deprime, in compagnia è diverso.” Il mio appartamento era un monolocale appena ristrutturato, piccolo ma accogliente. Clarissa si guardò intorno e vidi che con il capo annuiva, le piaceva. Meno male che avevo fatto il letto e riordinato, soprattutto avevo messo in lavatrice le mie mutandine sporche del giorno prima che erano in bella vista sul comodino. Mentre stavamo uscendo dopo aver preso il mio piumino rosso JOTT lei mi disse. “Potresti toglierti il reggiseno per favore? Mi piacerebbe vedere il tuo seno libero come è.” “Va bene, se ti piace, tanto mi hai già vista nuda.” “Allora ti aiuto.” Mi girai di schiena e tolsi il vestito per la seconda volta in sua presenza, lei abilmente mi sganciò il reggiseno e, come lo ebbi appoggiato su una sedia, fece scivolare le sue mani sotto le mie ascelle e abbracciò i miei seni. Feci un grido improvviso, le sue mani erano fredde. “Ehi Clarissa, perché lo hai fatto? Sei gelata!” “Ssshh.. perché credi lo abbia fatto? Mi sono congelata per darti la giacca, ora tu mi riscaldi.” Soffocai un gemito di eccitazione, nel frattempo la porcellina aveva stretto i miei capezzoli tra l’indice ed il pollice e li stringeva, prima leggermente, poi un po’ più forte. Avevo il respiro spezzato dall’emozione, restai immobile con le spalle appoggiate al corpo del mio medico preferito. “Ti piace quando ti stringo i capezzoli?” “Mmmm… si..” Le sussurrai nella stanza silenziosa, lei aveva perfettamente capito ma mi ripeté: “Allora ti piace quando te li stringo forte?” “Si, continua, mi piace. Ahi.. mi fai male però.” “Si.. e tu vuoi che mi fermi?” Che puttanella mi sussurrava in un orecchio e mi soffiava sul collo facendomi tremare ancora di più. Io allora mi appoggiai ad una mensola all’altezza dei mie occhi per significare la mia capitolazione senza condizioni. Con mia grande sorpresa, Clarissa tolse le dita dai mie capezzoli gonfi e duri, e baciandomi sul collo mi disse: “Dai, vestiti e andiamo ho proprio fame.” Con le guance arrossate ancora dall’eccitazione, velocemente indossai il vestito che avevo lasciato su una sedia davanti a me e mi girai verso Clarissa. Imperturbabile mi stava guardando, sembrava soddisfatta di quello che aveva visto. Indirizzandomi un sorriso mi disse: “Dai, mia bella paziente, dobbiamo andare, e tu ricordati che devi prendere il Valaciclovir.” “lo so, ma io sono fatta così, mi eccito subito.” Il ristorante caldo ed accogliente, era gestito da una simpatica “arzdora” romagnola, salutò Clarissa e ci accompagnò ad un tavolo isolato, non che la sala fosse affollata, solo qualche coppia sparsa trai tavoli. Appena seduti Clarissa mi disse: “Tu vuoi un aperitivo o prendiamo subito una bottiglia di vino per accompagnare il pasto?” “Non lo so, con il vino vado subito su di giri.” Clarissa ordino una bottiglia di rosso mosso, mi piacque molto, forse troppo. Mi ricordo di aver mangiato delle tagliatelle ma non mi ricordo il loro sapore, e nemmeno quello del dessert. Mi ricordo soltanto di aver avuto dei terribili crampi allo stomaco e di essermi alzata dal tavolo e duscii. Pensavo che un po’ di aria fresca mi avesse ridato lucidità, ma fu peggio, mi chinai e vomitai sul bordo della strada, ed anche sulle mie scarpe, la cena, il mio Valaciclovir e tutto quello che conteneva il mio stomaco e altro ancora. Clarissa mi sostenne, si scusò con me per avermi fatta bere più del necessario, soprattutto in concomitanza con l’assunzione del farmaco. Eppure avevo bevuto solo due bicchieri di vino, ma ora eccomi qui, dispiaciuta di aver offerto questo triste spettacolo a Clarissa. Lei mi aiutò a pulirmi il viso e le lacrime, mi sostenne nei miei passi incerti poi mi disse: “Non ti lascio da sola in queste condizioni, tu vieni a casa mia! Prima passiamo dal mio studio.” “Mi vergogno Clarissa. So che non tengo l’alcool, ma così non mi era mai successo.” “Shhh.. Questo non è l’alcool, Non è solo l’alcool, tu stasera hai avuto una brutta reazione tra alcool, farmaco, colpo di freddo e chissà cosa ancora. Sei mai andata in moto?” “No, mai.” “Non fa niente, davanti al mio studio ho parcheggiata la mia Harley, ho un casco che dovrebbe andarti bene e dei pantaloni antiacqua se vuoi indossarli.” Clarissa mi strinse tra le sue braccia e tornammo verso il suo studio, il tempo per lei di cambiarsi, di infilare i guanti, gli stivali, ed equipaggiarci entrambe casco, ed eccoci pronte. La sua moto era una Harley-Davidson 1200 Custom tutta nera opaco. Io mi sedetti dietro a Clarissa, un po’ titubante abbracciandola stretta in vita, tanto che lei emise un “oohh” di sorpresa e piacere. Viaggiammo per circa 10 minuti a buona andatura. Clarissa dimostrava una ottima padronanza del mezzo, ed aveva anche l’aria di divertirsi come si poté capire dal suo viso raggiante quando levò il casco. Io cominciavo a stare meglio, io non avevo avuto il tempo di raffreddarmi, protetta dal vento da come ero stretta al corpo di Clarissa. Una volta arrivate, lei parcheggiò la Harley nel box e mi aprì le porte di casa sua. “Benvenuta a casa mia! Ora tu ti fai una doccia bollente poi ti lavi i denti tre volte, prendi ho uno spazzolino nuovo. Va meglio ora?” “Si.. si.. ma prima la doccia, e subito, se non ti spiace.” Più tardi, dopo aver preso due compresse con un sorso d’acqua come da consiglio del “mio” medico curante, sono andata ad unirmi a lei nel soggiorno, era bello, spazioso ed arredato con gusto. Avevo indossato l’accappatoio di cotone di Clarissa che avevo trovato in bagno, sentivo l’odore del suo profumo e del suo intimo. Nel mentre,lei aveva preparato una tisana che stava sorseggiando seduta in un angolo del divano. “Allora come ti senti?” “Ora meglio. Che casino ho combinato! Mi spiace di averti creato tutti questi problemi, un bel biglietto da visita.” “Ehi, ma io sono un medico, non dimenticartelo! Come va il tuo Herpes? Ti da fastidio? Non è doloroso?” Io ero giusto in piedi davanti a lei, con un sorriso malizioso sciolsi la cintura dell’accappatoio, lo aprii e mostrandole il mio ventre nudo le dissi: “Controlla pure se vuoi..” Lei mi sorrise ma con tono serio mi rispose: “Giulia, io non desidero che tu, magari più tardi, abbia l’impressione che io ti voglia forzare la mano, sai..” “Clarissa, ormai ho 22 anni, non sono più una ragazzina..” “Si, ma in questo momento sei depressa e molto vulnerabile.” “Facciamo l’amore, Clarissa!” Fu la mia prima notte d’amore con una donna, una donna dominatrice e tenera, perversa e sensuale. Con lei ritrovai la gusto di vivere e la gioia della condivisione. Durante quella notte mi procurò più orgasmi lei di quanti ne abbia avuto in tutta la mia vita, il tutto solo con la sua bocca, la sua lingua, le sue dita ed il suo corpo, senza oggetti o altre cose destinate allo scopo. Ovviamente mi insegnò come renderle queste “attenzioni”, ed i ci misi un impegno che non dedico solitamente alle altre mie cose. Spesso la sera inforcavamo la moto, io dietro di lei rannicchiata con le braccia strette attorno alla sua vita, e via per le strade e autostrade della zona, poi tornavamo cariche ed eccitate, e facevamo l’amore fino all’alba, quindi ci addormentavamo esaurite dai numerosi orgasmi reciproci. Avrei potuto vivere la mia vita al suo fianco ma, anche se l’amavo mi sembrava di non essere soddisfatta, di cercare disperatamente qualche cosa d’altro. Amo le donne ma ho un bisogno viscerale dell’uomo. Qualche tempo dopo rividi un mio ex ragazzo delle superiori, una relazione che finì forse perché eravamo troppo giovani, ma che rimase sempre per me un bel ricordo. Mi disse che la ditta dove lavorava lui aveva bisogno di una figura professionale come la mia, si offrì di aiutarmi per avere quel posto e soprattutto, rinverdire il nostro vecchio rapporto. Lascia la Brianza e me ne tornai a Roma. Il giorno dell’addio, nel suo studio Clarissa piangeva, ed io piangevo più di lei. Quando riuscii a distaccare le braccia dal collo del “mio medico” e riuscii ad aprire la porta che dava sulla sala d’attesa, mi trovai faccia a faccia con una giovane donna della mia età. Era un po’ più alta di me, i capelli lunghi e castani pettinati come una collegiale con la riga dritta in parte, due grandi occhi blu che esprimevano preoccupazione, bella come un angelo. Era tutta emozionata dentro al suo vestitino bianco che le metteva in evidenza le curve del suo corpo giovane ma generoso. Il sorriso di circostanza che lei abbozzò quando le aprii, fu subito sostituito da un’espressione di inquietudine e tristezza. Non dovevo essere molto bella da vedere quando passando a fianco a lei con un Kleenex sul naso. Ero ancora sulla porta quando la sentii dire: “Dottoressa qualcosa non va? Io sono Adele, mi ha mandato l’agenzia di lavoro interinale per il lavoro di segretaria.” “Si.. si.. qualcosa non va. Scusami ma è troppo doloroso lasciar partire qualcuno che ami profondamente. Su, entri pure per favore.” Fu la risposta di Clarissa. Chiusi la porta e me ne andai definitivamente.

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