Il fuoco della rabbia

di
genere
sentimentali

La porta del suo appartamento si richiuse alle sue spalle con un colpo secco, quasi violento, come se anche lei avesse voluto sbatterla più forte, più duramente, più a lungo, per sfogare almeno un frammento dell’ira che le premeva dentro. Sofia appoggiò la fronte al legno, respirando troppo in fretta, troppo forte. Le mani le tremavano, non di freddo, ma di una collera calda, viva, quasi elettrica. Mauro.
Il nome le attraversò la mente come una cicatrice che brucia quando il corpo suda per l'eccitazione. Mauro. Che si era allontanato. Che aveva esitato. Che aveva lasciato che lei si inginocchiasse davanti a lui come una stupida innamorata. Mauro che aveva detto “basta”, che aveva parlato di un’altra, che era già passato oltre.
Un’altra...aveva un'altra!
Quella parola le esplose dentro come una scheggia infuocata, e per un attimo le mancò l’aria. Scosse la testa e si tolse il cappotto con un gesto brusco, quasi uno strappo, lasciandolo cadere dove capitava. Non voleva ordine. Non voleva controllo. Non voleva niente che somigliasse nemmeno lontanamente alla calma.
Camminò verso la camera con passi rapidi, nervosi, come una bestia chiusa in una gabbia troppo piccola. La stanza era immersa in un buio morbido, ma lei non accese la luce. Non ne aveva bisogno. Conosceva la forma della propria rabbia anche al buio. Si lasciò cadere sul letto come una pietra in un lago. Il materasso affondò, avvolgendola, e per un attimo il suo respiro si spezzò. Avrebbe voluto piangere forte, urlare, spaccare qualcosa. Invece rimase immobile, supina, lo sguardo perso nel soffitto, gli occhi lucidi ma asciutti, come se le lacrime fossero acqua che era già evaporata a causa del calore della sua ira.
Mauro. Che aveva esitato. Che non l’aveva fermata. Che non era corso dietro di lei. Che non aveva scelto lei.
Il pensiero la morse, feroce, nel petto. Si rannicchiò un po’ su un lato, le cosce che si sfioravano in un tremito sottile, il respiro che diventava un filo più caldo.
Lo odiava. Lo desiderava. Lo odiava proprio perché lo desiderava. E quella miscela le bruciava nelle vene come alcool.
Chiuse gli occhi. L’immagine gli tornò addosso con la violenza di un flash: Mauro in fondo alla strada, le spalle tese, gli occhi dilatati quando l’aveva vista. Quel mezzo passo avanti, quell’esitazione che era quasi un bisogno trattenuto. E poi il suo corpo, vicino al suo, la sua voce che tremava.
E poi il rifiuto. Il rifiuto!
Un’onda le attraversò la schiena, un brivido caldo, un misto di umiliazione e desiderio che le faceva vibrare la pelle. Si portò una mano al viso, spingendo via una lacrima che era venuta senza permesso. La rabbia si riaccese subito, asciugando tutto.
Era andato via. Era con un’altra. Lui era sicuramente adesso con un’altra.
Sofia si rigirò sul fianco, tirando il cuscino contro il petto, stringendolo come se potesse contenerla. Ma non lo faceva. Non conteneva niente. Lei traboccava. Il corpo le pulsava, confuso, tradito, vivo. Era come se la pelle ricordasse ogni volta che Mauro l’aveva toccata. Ogni gesto, ogni pressione, e tutti quei ricordi stavano lì, agganciati alla sua carne, come uncini.
Le dita scorsero sul lenzuolo, lente, nervose. Non era un gesto consapevole. Era istinto. Era bisogno di qualcosa che la tenesse insieme prima che esplodesse del tutto. E, nel buio, la sua mano incontrò la scatola che aveva lasciato aperta, gettata sul letto ore prima. Il regalo di Elena. Il rosso del fiocco immaginato nel buio come una ferita. Il dildo.
Sofia rimase immobile per un lungo istante, con le dita che sfioravano l’orlo della scatola. Il cuore le rallentò, ma solo per prepararsi ad accelerare più forte. La gola le si strinse, non di pudore, ma di un’emozione che era metà rabbia e metà fame.
Era ridicolo. Era disperato. Ma era tutto ciò che aveva ora. E lei aveva voglia di distruggere qualcosa. Di colmare un vuoto che la stava risucchiando dall’interno. Di immaginare Mauro.
La sua mano scivolò dentro la scatola. Sentì il materiale liscio, tiepido sotto le dita. Lo strinse. E un fremito la attraversò dalla nuca alle ginocchia, un fremito che non aveva niente di tenero o consolatorio. Era crudo. Era urgente. Era una risposta brutale a un dolore troppo vivo. Si sdraiò sulla schiena, portando il dildo verso di sé con un gesto lento, ipnotizzato. Non lo guardava: se l’avesse guardato, forse avrebbe capito qualcosa di quello che stava per fare. Non voleva capire. Voleva solo sentire.
La stanza era buia, ma dentro la sua mente era piena di immagini: la bocca di Mauro sul suo collo, il suo modo di respirarle sulla pelle quando la desiderava, il modo in cui la prendeva quando non riusciva più a trattenersi. La sua voce. Il suo peso. Il suo pene che si muoveva esperto dentro di lei. Il suo odore.
Si morse il labbro, forte, fino a sentire il sapore del suo sangue, mentre il respiro le cambiava ritmo, diventando qualcosa di più profondo, più lento, più affamato.
Quando lasciò che il dildo scendesse lungo il ventre, il corpo le rispose con un tremito che non era solo eccitazione. Era rabbia. Una rabbia che prendeva forma fisica, che diventava impulso, che diventava sfida.
La parte più dolorosa era che lo stava facendo pensando a lui. A lui che stava probabilmente dormendo vicino a un’altra.
A lui che aveva esitato. A lui che se n’era andato. Un singhiozzo le salì in gola, ma non uscì. Era come se si fosse incastrato tra il cuore e il desiderio.
Il dildo si avventurò più in basso, e Sofia chiuse gli occhi, lasciando che il suo corpo ricordasse la strada. Non serviva guardare. Le bastava immaginare la mano di Mauro che la guidava, la sua voce bassa che diceva il suo nome nel modo in cui la faceva tremare.
Le cosce le si mossero da sole, un’ansia di contatto che la tradiva. Il calore tra le gambe era vivo, furioso, quasi doloroso. Era il calore di un bisogno frustrato, di una fame interrotta, di un ricordo che non l’abbandonava.
Quando premette il dildo contro di sé, il respiro le sfuggì in un sussulto che le scosse il torace. Una fitta di emozione, di rabbia, di desiderio. Non era dolce. Non era per consolarsi. Era per ferirsi. Per spingere via la gelosia con una sensazione più forte.
Lo introdusse dentro di sé con un movimento lento, controllato, ma già troppo violento per essere un gesto di piacere calmo. Il suo corpo la accolse come se avesse aspettato quella pressione per tutto il tempo in cui era stata davanti a Mauro, mentre lui le diceva che non poteva.
Un gemito le sfuggì dalle labbra. Non era un gemito morbido. Era spezzato. Uno di quelli che escono quando un’emozione ti sradica dall’interno. Le gambe si strinsero.
Il bacino si sollevò appena. La gola si chiuse in un nodo caldo.
Mauro. Mauro. Mauro.
Lo pensava mentre muoveva il polso. Lo pensava mentre il suo corpo reagiva. Lo pensava mentre la carne vibrava di ricordi.
Immaginava lui sopra di lei, il suo respiro affannato, il suo sguardo scuro, il suo modo di penetrarla e prenderla con foga quando perdeva il controllo.
Ma immaginava anche l’altra. L’altra che adesso aveva quello che una volta era suo. Il pensiero le tagliò la mente come una lama rovente, e il dildo scivolò più in profondità con un movimento più brusco, quasi ostile. Sofia ansimò, il petto che si alzava rapido, la convulsione di un piacere feroce e brutale.
La gelosia le colpì lo stomaco: un pugno secco. Lei lo trasformò in movimento. In ritmo.
In colpa insoddisfatta.
«Bastardo…» sibilò nel buio, mentre le lacrime finalmente scivolavano giù, calde, lente, come bruciature.
Ogni spinta era una risposta alla sua umiliazione. Ogni ondata di calore era un modo per scacciare l’immagine dell’altra nel suo letto. Ogni respiro tremante era un modo per urlare senza fare rumore.
Il suo corpo si contorceva in un’ombra nel buio, una figura guidata da una rabbia erotica che superava qualunque logica. Il dildo scivolava e premeva, e lei si muoveva contro di esso come se volesse cancellare il ricordo di Mauro usando proprio quello strumento.
All'improvviso la stanza sembrava troppo piccola. Sentì il suo respiro rimbombare contro le pareti. I suoi singhiozzi si mescolavano ai gemiti soffocati.
Spalancò gli occhi: era sola.
Ma non lo era affatto. Mauro era ovunque su di lei. Sul suo corpo, nella sua testa, nel suo ventre.
Ogni volta che il suo fianco si sollevava, lo sentiva dietro. Ogni volta che muoveva il polso, lo sentiva sopra. Ogni ondata di calore la spingeva a immaginare la sua voce, il suo peso, la sua presa. E questo la faceva piangere di più.
Il piacere cresceva in lei come un incendio senza ossigeno, soffocante, vorace. Non era un piacere dolce, non era morbido: era una lotta contro se stessa, contro la sua dignità ferita, contro una voglia che non voleva avere.
«Non dovevi…» sussurrò al buio. «Non dovevi lasciarmi…»
Il movimento diventò più urgente. Il respiro più rotto. La rabbia più viva.
Sentiva ogni fibra del corpo tesa, ogni muscolo vibrava d’ira e di desiderio.
Quando la tensione si addensò tra le sue cosce, Sofia lasciò uscire un gemito più lungo, strozzato, pieno. Era un canto disperato, non di piacere puro, ma di un dolore che diventava ritmo, di un amore che diventava rovina.
Si irrigidì. Singhiozzò. Stava godendo.
Pianse.
Era a pezzi.
Quando si lasciò cadere sul letto, il corpo ancora scosso da tremiti residui, aveva il volto bagnato, la gola arsa, il cuore che batteva in un modo disordinato e crudele.
Sfilò lentamente il dildo, un gesto lento e tremante, e lo lasciò cadere accanto a sé sul letto, come un simbolo di guerra.
Inspirò. E capì.
Non l’avrebbe perdonato. Non poteva. Non voleva.
Mauro le aveva preso tutto: il fiato, il cuore, la pelle, i sogni. E adesso se ne andava in giro con un’altra. Dopo averla guardata come se la desiderasse ancora.
Sofia si girò sul fianco, stringendo il cuscino tra le braccia, ma questa volta le lacrime non erano più solo dolore. Erano più scure. Più dense. Più fredde.
Qualcosa dentro di lei stava cambiando.
Aveva ora una sola parola in testa: vendetta.
Non sapeva ancora come sarebbe stata, ma sapeva che non sarebbe stata piccola.
Mauro le aveva rotto il cuore. E quando un cuore come il suo si rompe, qualcosa di molto più affilato prende forma.
Sorrise nel buio, un sorriso lento, storto, pericoloso.
«Vedrai» bisbigliò. «Vedrai cosa significa ferire me.»
scritto il
2025-12-10
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