Dubbi
di
Stellina
genere
sentimentali
La porta della palazzina si richiuse dietro di lui con un tonfo leggero, quasi educato, troppo gentile per il terremoto che aveva dentro. Il corridoio era immerso in una quiete spenta, la luce automatica che si accendeva a gradi, come se anche lei fosse riluttante a guardarlo davvero in faccia. Mauro salì le scale lentamente, una mano sulla ringhiera gelida, come un uomo che torna da una guerra che non sapeva di star combattendo fino a quando non ha sentito il primo colpo. Sofia.
Ancora quel nome gli pulsava nel petto come un tamburo che non riusciva a fermare. Aveva camminato per cinque isolati dopo che lei se n’era andata, come un ubriaco emotivo, con la mente piena di immagini che continuavano a comparire, sparire, tornare, sovrapporsi. Il modo in cui lo aveva guardato. Le mani su di lui. Il suo respiro vicino. Quella dannata, devastante disperazione di lei che gli si incollava alla pelle come sudore caldo.
Quando arrivò davanti alla porta del suo appartamento, esitò. Non per paura. Per colpa. Perché sapeva che dall’altra parte, nel letto, c’era qualcuno che gli apparteneva adesso. Qualcuno che aveva scelto. Qualcuno che non aveva niente a che vedere con lo squilibrio che Sofia era sempre stata. Inspirò. Una volta. Due. Quindi finalmente entrò.
L’appartamento era buio, ma non silenzioso: il respiro regolare, profondo, quasi felpato di una donna addormentata arrivava dalla camera. Un suono che avrebbe dovuto calmarlo, ma che non riuscì ancora a farlo. In compenso, gli artigliò lo stomaco. Mauro si tolse il giaccone in cucina, lasciandolo sulla sedia senza piegarlo come faceva di solito. Aveva le mani tremanti. Non di nervi. Di qualcosa di più vicino a un’astinenza. Sofia aveva questo effetto su di lui: lo apriva, lo smontava, lo lasciava mezzo nudo dentro anche se indossava tre strati di vestiti.
Si massaggiò il volto con un palmo, sentendo il calore del sangue che correva ancora troppo veloce. Chiuse gli occhi e d’un tratto rivide lei inginocchiata davanti a lui sulla strada, le mani che lo cercavano, il fiato corto, lo sguardo implorante e arrabbiato allo stesso tempo. E sentì il proprio corpo reagire, adesso come allora, con quella violenza intima e primitiva che lo tradiva sempre.
«Smettila» si disse, a denti stretti. Ma era inutile. La memoria fisica non ascolta gli ordini. Non obbedisce alla logica. Obbedisce alla carne.
Attraversò il corridoio come chi cammina dentro una propria colpa e aprì piano la porta della camera da letto. Lei dormiva di lato, la schiena scoperta, i capelli sparsi sul cuscino. La lampada sul comodino diffondeva ancora un bagliore tenue e caldo, come se lo stesse aspettando. La vista di quel corpo sereno gli strinse il cuore.
Era bella. E lui era un bastardo.
Si avvicinò piano ed ebbe la tentazione di toccarle la spalla, sfiorare quel punto morbido dove lei amava sentire la sua mano quando si addormentavano insieme. Ma non lo fece. Non aveva il diritto, quella notte.
«Mauro…?» La voce di lei lo raggiunse come un soffio.
Lui chiuse gli occhi per un istante, colto in fallo anche se non aveva fatto nulla. O forse aveva fatto tutto.
«Sì… sono io» mormorò.
Lei si girò lentamente, la maglietta che scivolava un poco, lasciando intravedere la curva del seno sotto il tessuto leggero. Il suo viso era ancora impastato di sonno, ma gli occhi, quando si aprirono del tutto, erano pieni di un affetto che lo colpì come una coltellata.
«Dove sei stato?» chiese con dolcezza, stiracchiandosi sotto le lenzuola.
Mauro si sedette sul bordo del letto. Guardò il pavimento, come se le parole fossero cadute lì. «Con alcuni amici. Una birra. Due chiacchiere.» Non disse nulla, però, riguardo l'ultimo incontro che aveva avuto.
Un silenzio lieve cadde tra loro, come polvere. Lei non sembrò sospettosa. Non sembrò ferita. Semplicemente allungò una mano verso la sua coscia, sfiorandolo. Un gesto affettuoso, normale. Quasi innocente. Eppure Mauro trasalì leggermente, perché quel tocco gli fece riaffiorare sulla pelle quello di Sofia, così diverso, così disperato, così proibito.
Perché le aveva mentito? Perché era più facile. Perché dire la verità avrebbe significato dire: sono stato con la donna che amavo prima di te, l’ho guardata negli occhi e il mondo mi si è ribaltato di nuovo dentro. E non puoi dire una cosa del genere senza distruggere qualcuno.
«Ti aspettavo» mormorò lei, la voce bassa, calda, impastata di sonno e desiderio appena accennato. «Vieni qui.»
Mauro la guardò. E sentì qualcosa spostarsi dentro di lui, un movimento lento e viscoso, come fango in un fiume che ricomincia a scorrere dopo un temporale. Le si sdraiò accanto.
Lei gli fece spazio senza chiedere nulla: si avvicinò, lo abbracciò da dietro, il corpo morbido che aderiva al suo, le cosce che cercavano le sue. Un calore intimo, familiare, rassicurante. Le sue mani scivolarono sul petto di lui, poi più in basso, con una naturalezza che apparteneva alle coppie che hanno imparato il corpo dell’altro come si impara una lingua.
Mauro trattenne il fiato. Perché il contatto fu piacevole. Molto. Ma il suo corpo reagì in modo confuso: una parte di lui voleva lasciarsi andare, affondare, dimenticare; l’altra parte sentiva ancora la memoria di Sofia insinuarsi tra la pelle e il desiderio.
Lei lo baciò sul collo, un bacio lento, caldo, che gli fece scendere un brivido lungo la schiena. «Sei teso» sussurrò. «Tutto ok?»
«Sì» mentì.
Le mani di lei continuarono a esplorarlo, lente ma sicure, come se sapessero dove andare per scioglierlo. E lo scioglievano. Ma in modo sbagliato. O troppo giusto. O giusto nel momento sbagliato. La mente di Mauro era un campo di battaglia: ogni carezza che riceveva si sovrapponeva a un ricordo, ogni movimento a un’immagine. E ogni immagine aveva il volto di Sofia.
Lei gli si stese sopra, con un sorriso che si perdeva nei suoi capelli. Il peso del suo corpo era invitante, morbido, una richiesta silenziosa di vicinanza. Le loro mani si intrecciarono per un istante, poi si persero, poi tornarono a cercarsi con urgenza crescente. Il desiderio di lei era genuino, caldo, non disperato come quello di Sofia, ma affamato di intimità. E Mauro si lasciò trascinare, non del tutto consapevole, come un uomo che cerca di dimenticare un dolore bevendo del whiskey. Funziona per qualche secondo. Poi brucia di più.
Le labbra di lei scesero sul suo petto, sulla sua pancia, tracciando una strada lenta, una strada che una volta lo avrebbe acceso senza fatica. E anche adesso lo accendeva. Ma non nello stesso modo. Non con quella forza brutale, incontrollabile, primitiva che Sofia aveva riacceso in lui pochi minuti prima sulla strada.
Quando lei tornò a baciarlo e loro corpi si allinearono in un modo che raccontava senza parole ciò che stava per succedere, lui chiuse gli occhi. E commise l’errore più grande. Vide Sofia. Il suo sguardo lucido. Le sue mani tremanti. La sua voce spezzata che ripeteva: «Dimmi che non mi desideri più. Abbi il coraggio di dirlo!»
Il corpo della sua attuale compagna, intanto, si muoveva lento contro il suo, pieno, caldo, sensuale. Le sue mani lo accarezzavano, lo stringevano, lo cercavano. I loro respiri si mescolavano. Lui era dentro di lei, e ne avvertiva il calore bramoso di voglia. Il ritmo aumentava. L’intimità cresceva.
Finchè Mauro accusò un’ondata dentro di sé che montava, sempre più rapida, sempre più inevitabile.
Lei gli sussurrò: «Guardami.»
Lui la guardò. E vide Sofia. Ancora. Ancora. E ancora.
Era un tormento. Un’ossessione. Una ferita aperta che pulsava proprio quando non doveva.
La girò e la prese da dietro. Così come gli piaceva fare con Sofia. Il movimento divenne più intenso. Lei gli graffiò la pelle con un gemito breve, sfuggito, sincero. E Mauro, per un momento, si perse davvero. La presa sul suo corpo diventò più forte, il ritmo più urgente, la fame più nitida.
La mente gli si annebbiò. Il confine tra presente e passato si spezzò.
E nel momento esatto in cui il piacere si trasformò in una piena insostenibile, la voce gli uscì dal petto come un riflesso incontrollabile, un errore fisiologico, un tradimento del corpo prima ancora della mente.
«Sofia…»
Non gridato. Non sussurrato. Detto.
Come una verità che sfugge senza permesso.
Lei si fermò di colpo, irrigidita sopra di lui. Il suo respiro smise di essere un respiro. Divenne silenzio.
«Come… hai detto?» chiese, con una voce che non apparteneva più a una donna innamorata. Apparteneva a una donna ferita.
Mauro rimase immobile. Il cuore gli precipitò dalle costole allo stomaco. Una caduta lunga, interminabile.
«Aspetta. Io… non volevo…» balbettò.
Lei lo spinse via, il corpo che si staccava dal suo con una freddezza tagliente. Si rialzò sul letto, tirandosi addosso le lenzuola come uno scudo, fissandolo con uno sguardo che era più tagliente di qualunque insulto.
«Hai detto il suo nome» disse. «Il nome della tua ex. Mentre eri con me.»
«Mi è scappato… io… non è quello che pensi…» Mauro cercava parole, ma erano tutte vuote.
«Mi stai prendendo in giro?» gridò lei, la voce incrinata, spezzata, tremante di rabbia e umiliazione. «Hai detto il suo nome. Il suo. Non il mio.»
Il silenzio che seguì fu una lama.
«Te lo giuro… non volevo… è stato un riflesso… non significa…»
«Smettila!» urlò lei. «Non osare. Non osare dirmi che non significa nulla. Ho sentito come… come ti muovevi. Come… come la pensavi mentre eri con me.»
Mauro chiuse gli occhi. Non poteva negarlo. Non poteva mentire. Non a lei. Non adesso.
«Esci» disse lei, fredda. «Esci subito da questo letto.»
Lui si alzò lentamente, come un uomo che sta camminando su pezzi di vetro. Raccolse i vestiti, senza guardarla più negli occhi. Ogni gesto gli sembrava un reato. Ogni movimento un’aggravante.
«Dormirai sul divano» disse lei.
«Va bene.»
«E domani parleremo. Se ne varrà la pena. Se avrò ancora voglia di restare qui.»
Non seppe rispondere. Attraversò la stanza con addosso il peso di un errore che aveva avuto origine molto prima della parola “Sofia”. Forse anni prima. Forse non aveva mai smesso di esistere.
Il divano lo accolse come una punizione. Non era duro. Era lui a esserlo, impietrito dal senso di colpa, intrappolato in una spirale di immagini che non smettevano di girare. Si sdraiò, fissò il soffitto. Chiuse gli occhi, tentando di addormentarsi.
E vide ancora lei. Sofia. Il suo odore. Il modo in cui si era aggrappata a lui. Il modo in cui lo aveva desiderato come se fosse una questione di sopravvivenza.
Ogni battito del cuore era un dolore. Ogni respiro una ferita. Non riusciva a prendere sonno. Un turbinio di domande lo stavano facendo impazzire. Che cosa gli stava succedendo? Perché l’aveva lasciata? Perché l’aveva rivista proprio stasera? Perché il suo corpo aveva parlato prima della sua mente? Perché non riusciva a togliersela di dosso?
E soprattutto: chi desiderava davvero?
Ma non trovava ancora nessuna risposta. Neanche una.
La notte fu lunga. E Mauro non dormì. Non una sola volta.
Ancora quel nome gli pulsava nel petto come un tamburo che non riusciva a fermare. Aveva camminato per cinque isolati dopo che lei se n’era andata, come un ubriaco emotivo, con la mente piena di immagini che continuavano a comparire, sparire, tornare, sovrapporsi. Il modo in cui lo aveva guardato. Le mani su di lui. Il suo respiro vicino. Quella dannata, devastante disperazione di lei che gli si incollava alla pelle come sudore caldo.
Quando arrivò davanti alla porta del suo appartamento, esitò. Non per paura. Per colpa. Perché sapeva che dall’altra parte, nel letto, c’era qualcuno che gli apparteneva adesso. Qualcuno che aveva scelto. Qualcuno che non aveva niente a che vedere con lo squilibrio che Sofia era sempre stata. Inspirò. Una volta. Due. Quindi finalmente entrò.
L’appartamento era buio, ma non silenzioso: il respiro regolare, profondo, quasi felpato di una donna addormentata arrivava dalla camera. Un suono che avrebbe dovuto calmarlo, ma che non riuscì ancora a farlo. In compenso, gli artigliò lo stomaco. Mauro si tolse il giaccone in cucina, lasciandolo sulla sedia senza piegarlo come faceva di solito. Aveva le mani tremanti. Non di nervi. Di qualcosa di più vicino a un’astinenza. Sofia aveva questo effetto su di lui: lo apriva, lo smontava, lo lasciava mezzo nudo dentro anche se indossava tre strati di vestiti.
Si massaggiò il volto con un palmo, sentendo il calore del sangue che correva ancora troppo veloce. Chiuse gli occhi e d’un tratto rivide lei inginocchiata davanti a lui sulla strada, le mani che lo cercavano, il fiato corto, lo sguardo implorante e arrabbiato allo stesso tempo. E sentì il proprio corpo reagire, adesso come allora, con quella violenza intima e primitiva che lo tradiva sempre.
«Smettila» si disse, a denti stretti. Ma era inutile. La memoria fisica non ascolta gli ordini. Non obbedisce alla logica. Obbedisce alla carne.
Attraversò il corridoio come chi cammina dentro una propria colpa e aprì piano la porta della camera da letto. Lei dormiva di lato, la schiena scoperta, i capelli sparsi sul cuscino. La lampada sul comodino diffondeva ancora un bagliore tenue e caldo, come se lo stesse aspettando. La vista di quel corpo sereno gli strinse il cuore.
Era bella. E lui era un bastardo.
Si avvicinò piano ed ebbe la tentazione di toccarle la spalla, sfiorare quel punto morbido dove lei amava sentire la sua mano quando si addormentavano insieme. Ma non lo fece. Non aveva il diritto, quella notte.
«Mauro…?» La voce di lei lo raggiunse come un soffio.
Lui chiuse gli occhi per un istante, colto in fallo anche se non aveva fatto nulla. O forse aveva fatto tutto.
«Sì… sono io» mormorò.
Lei si girò lentamente, la maglietta che scivolava un poco, lasciando intravedere la curva del seno sotto il tessuto leggero. Il suo viso era ancora impastato di sonno, ma gli occhi, quando si aprirono del tutto, erano pieni di un affetto che lo colpì come una coltellata.
«Dove sei stato?» chiese con dolcezza, stiracchiandosi sotto le lenzuola.
Mauro si sedette sul bordo del letto. Guardò il pavimento, come se le parole fossero cadute lì. «Con alcuni amici. Una birra. Due chiacchiere.» Non disse nulla, però, riguardo l'ultimo incontro che aveva avuto.
Un silenzio lieve cadde tra loro, come polvere. Lei non sembrò sospettosa. Non sembrò ferita. Semplicemente allungò una mano verso la sua coscia, sfiorandolo. Un gesto affettuoso, normale. Quasi innocente. Eppure Mauro trasalì leggermente, perché quel tocco gli fece riaffiorare sulla pelle quello di Sofia, così diverso, così disperato, così proibito.
Perché le aveva mentito? Perché era più facile. Perché dire la verità avrebbe significato dire: sono stato con la donna che amavo prima di te, l’ho guardata negli occhi e il mondo mi si è ribaltato di nuovo dentro. E non puoi dire una cosa del genere senza distruggere qualcuno.
«Ti aspettavo» mormorò lei, la voce bassa, calda, impastata di sonno e desiderio appena accennato. «Vieni qui.»
Mauro la guardò. E sentì qualcosa spostarsi dentro di lui, un movimento lento e viscoso, come fango in un fiume che ricomincia a scorrere dopo un temporale. Le si sdraiò accanto.
Lei gli fece spazio senza chiedere nulla: si avvicinò, lo abbracciò da dietro, il corpo morbido che aderiva al suo, le cosce che cercavano le sue. Un calore intimo, familiare, rassicurante. Le sue mani scivolarono sul petto di lui, poi più in basso, con una naturalezza che apparteneva alle coppie che hanno imparato il corpo dell’altro come si impara una lingua.
Mauro trattenne il fiato. Perché il contatto fu piacevole. Molto. Ma il suo corpo reagì in modo confuso: una parte di lui voleva lasciarsi andare, affondare, dimenticare; l’altra parte sentiva ancora la memoria di Sofia insinuarsi tra la pelle e il desiderio.
Lei lo baciò sul collo, un bacio lento, caldo, che gli fece scendere un brivido lungo la schiena. «Sei teso» sussurrò. «Tutto ok?»
«Sì» mentì.
Le mani di lei continuarono a esplorarlo, lente ma sicure, come se sapessero dove andare per scioglierlo. E lo scioglievano. Ma in modo sbagliato. O troppo giusto. O giusto nel momento sbagliato. La mente di Mauro era un campo di battaglia: ogni carezza che riceveva si sovrapponeva a un ricordo, ogni movimento a un’immagine. E ogni immagine aveva il volto di Sofia.
Lei gli si stese sopra, con un sorriso che si perdeva nei suoi capelli. Il peso del suo corpo era invitante, morbido, una richiesta silenziosa di vicinanza. Le loro mani si intrecciarono per un istante, poi si persero, poi tornarono a cercarsi con urgenza crescente. Il desiderio di lei era genuino, caldo, non disperato come quello di Sofia, ma affamato di intimità. E Mauro si lasciò trascinare, non del tutto consapevole, come un uomo che cerca di dimenticare un dolore bevendo del whiskey. Funziona per qualche secondo. Poi brucia di più.
Le labbra di lei scesero sul suo petto, sulla sua pancia, tracciando una strada lenta, una strada che una volta lo avrebbe acceso senza fatica. E anche adesso lo accendeva. Ma non nello stesso modo. Non con quella forza brutale, incontrollabile, primitiva che Sofia aveva riacceso in lui pochi minuti prima sulla strada.
Quando lei tornò a baciarlo e loro corpi si allinearono in un modo che raccontava senza parole ciò che stava per succedere, lui chiuse gli occhi. E commise l’errore più grande. Vide Sofia. Il suo sguardo lucido. Le sue mani tremanti. La sua voce spezzata che ripeteva: «Dimmi che non mi desideri più. Abbi il coraggio di dirlo!»
Il corpo della sua attuale compagna, intanto, si muoveva lento contro il suo, pieno, caldo, sensuale. Le sue mani lo accarezzavano, lo stringevano, lo cercavano. I loro respiri si mescolavano. Lui era dentro di lei, e ne avvertiva il calore bramoso di voglia. Il ritmo aumentava. L’intimità cresceva.
Finchè Mauro accusò un’ondata dentro di sé che montava, sempre più rapida, sempre più inevitabile.
Lei gli sussurrò: «Guardami.»
Lui la guardò. E vide Sofia. Ancora. Ancora. E ancora.
Era un tormento. Un’ossessione. Una ferita aperta che pulsava proprio quando non doveva.
La girò e la prese da dietro. Così come gli piaceva fare con Sofia. Il movimento divenne più intenso. Lei gli graffiò la pelle con un gemito breve, sfuggito, sincero. E Mauro, per un momento, si perse davvero. La presa sul suo corpo diventò più forte, il ritmo più urgente, la fame più nitida.
La mente gli si annebbiò. Il confine tra presente e passato si spezzò.
E nel momento esatto in cui il piacere si trasformò in una piena insostenibile, la voce gli uscì dal petto come un riflesso incontrollabile, un errore fisiologico, un tradimento del corpo prima ancora della mente.
«Sofia…»
Non gridato. Non sussurrato. Detto.
Come una verità che sfugge senza permesso.
Lei si fermò di colpo, irrigidita sopra di lui. Il suo respiro smise di essere un respiro. Divenne silenzio.
«Come… hai detto?» chiese, con una voce che non apparteneva più a una donna innamorata. Apparteneva a una donna ferita.
Mauro rimase immobile. Il cuore gli precipitò dalle costole allo stomaco. Una caduta lunga, interminabile.
«Aspetta. Io… non volevo…» balbettò.
Lei lo spinse via, il corpo che si staccava dal suo con una freddezza tagliente. Si rialzò sul letto, tirandosi addosso le lenzuola come uno scudo, fissandolo con uno sguardo che era più tagliente di qualunque insulto.
«Hai detto il suo nome» disse. «Il nome della tua ex. Mentre eri con me.»
«Mi è scappato… io… non è quello che pensi…» Mauro cercava parole, ma erano tutte vuote.
«Mi stai prendendo in giro?» gridò lei, la voce incrinata, spezzata, tremante di rabbia e umiliazione. «Hai detto il suo nome. Il suo. Non il mio.»
Il silenzio che seguì fu una lama.
«Te lo giuro… non volevo… è stato un riflesso… non significa…»
«Smettila!» urlò lei. «Non osare. Non osare dirmi che non significa nulla. Ho sentito come… come ti muovevi. Come… come la pensavi mentre eri con me.»
Mauro chiuse gli occhi. Non poteva negarlo. Non poteva mentire. Non a lei. Non adesso.
«Esci» disse lei, fredda. «Esci subito da questo letto.»
Lui si alzò lentamente, come un uomo che sta camminando su pezzi di vetro. Raccolse i vestiti, senza guardarla più negli occhi. Ogni gesto gli sembrava un reato. Ogni movimento un’aggravante.
«Dormirai sul divano» disse lei.
«Va bene.»
«E domani parleremo. Se ne varrà la pena. Se avrò ancora voglia di restare qui.»
Non seppe rispondere. Attraversò la stanza con addosso il peso di un errore che aveva avuto origine molto prima della parola “Sofia”. Forse anni prima. Forse non aveva mai smesso di esistere.
Il divano lo accolse come una punizione. Non era duro. Era lui a esserlo, impietrito dal senso di colpa, intrappolato in una spirale di immagini che non smettevano di girare. Si sdraiò, fissò il soffitto. Chiuse gli occhi, tentando di addormentarsi.
E vide ancora lei. Sofia. Il suo odore. Il modo in cui si era aggrappata a lui. Il modo in cui lo aveva desiderato come se fosse una questione di sopravvivenza.
Ogni battito del cuore era un dolore. Ogni respiro una ferita. Non riusciva a prendere sonno. Un turbinio di domande lo stavano facendo impazzire. Che cosa gli stava succedendo? Perché l’aveva lasciata? Perché l’aveva rivista proprio stasera? Perché il suo corpo aveva parlato prima della sua mente? Perché non riusciva a togliersela di dosso?
E soprattutto: chi desiderava davvero?
Ma non trovava ancora nessuna risposta. Neanche una.
La notte fu lunga. E Mauro non dormì. Non una sola volta.
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