Lacrime e rabbia

di
genere
sentimentali

La strada era semideserta, spolverata di luci che sembravano fluttuare nell’aria fredda, e per qualche secondo nessuno dei due parlò. Sofia lo guardava come si guarda un desiderio che si è materializzato nel posto sbagliato e al momento sbagliato. Mauro restava immobile, le mani ancora in tasca, ma le spalle leggermente tese. Era un dettaglio minimo, quasi invisibile, eppure lei lo vide chiaramente: riconobbe quella tensione. Era la stessa che aveva quando la voleva e cercava di non farlo vedere.
«Mauro…» disse lei, la voce incrinata, come se avesse camminato per ore sul ciglio di un burrone.
Lui si avvicinò ancora di due passi. Non osò toccarla.
«Sofia, perché sei qui? È tardi.»
Lei rise piano, un suono amaro che sembrava una scheggia. «Perché? Pensi che io abbia un orario per soffrire?»
Mauro sospirò, lo sguardo perso un istante sul marciapiede, poi su di lei, poi di nuovo altrove. Era nervoso. Sofia lo percepì come si percepisce il calore di una finestra da cui filtra una stufa. Una vibrazione nell’aria, un desiderio trattenuto in gola.
«Dobbiamo parlare» disse lei, e non era una richiesta.
Mauro annuì lentamente, come un uomo che sa di essere già troppo vicino alla linea che non dovrebbe oltrepassare. Fece un gesto verso una piccola piazzetta poco illuminata, appena oltre l’incrocio. Camminarono fianco a fianco senza toccarsi. Il rumore dei passi sembrava più rumoroso del dovuto. L’aria odorava di pioggia lontana e di fiorai che chiudevano bottega, quel misto dolce e stanco che appartiene solo a San Valentino dopo mezzanotte.
Si fermarono sotto una tettoia, dove la luce del lampione cadeva obliqua, accarezzando il viso di lui - fortunato lampione! Sofia lo guardò. Senza filtri, senza armi, senza protezioni.
«Perché te ne sei andato?» chiese.
Lui strinse la mandibola. «Te l’ho detto: non funzionavamo più.»
«Quella non è una spiegazione. È una frase da biglietto di un cioccolatino.»
Un colpo, netto. Mauro non rispose subito. Lei lo fissava come se stesse cercando di attraversare la sua pelle con gli occhi. Lui cercava una frase, un appiglio, un’uscita. Non la trovò.
«Litigavamo sempre» mormorò infine.
«E allora? Le coppie litigano.»
«Sofia, tu non ascoltavi più. Tu…» Esitò. «Eri sempre altrove.»
Il cuore di lei tremò, quasi impercettibile. Altrove. Sì, a volte si perdeva nei suoi pensieri, nei suoi timori, nelle sue ansie. Ma mai lontano da lui. Non veramente.
«E tu invece?» disse lei, un filo di voce. «Tu dov'eri?»
Silenzio. Lungo, teso, come una corda che sta per spezzarsi. Mauro abbassò gli occhi. «Non importa adesso.»
«Invece sì che importa.» Sofia fece un passo avanti. Lui rimase fermo. «Perché sono qui, stanotte. Perché non riesco a dormire. Perché non riesco a respirare da quando te ne sei andato. Perché mi manchi da morire, cazzo.»
La parola uscì da lei tagliente, disperata, e Mauro fece un movimento minuscolo con la mano, come se stesse per toccarla per istinto, ma si fermò.
Lei lo aveva visto comunque.
«Mauro, guardami.»
Lui lo fece. Lo sguardo fu un urto. Sofia ebbe la netta sensazione fisica di bruciarsi. C’era ancora quel filo, quel magnetismo, quella tensione carnale che non era mai veramente sparita. Era lì, silenziosa, accovacciata come un animale pronto a balzare.
«Dimmi che non mi desideri più,» sussurrò «dimmelo e me ne andrò per sempre.»
Mauro deglutì. «Sofia… non è così semplice.»
«Cosa c’è di complicato?» ribatté lei, la voce che tremava per la troppa forza trattenuta. «O mi vuoi o non mi vuoi.»
«Non posso…» cominciò lui.
«Non puoi o non vuoi?» tagliò lei.
Lui aprì la bocca per rispondere, ma non fece in tempo.
Sofia gli si avvicinò, riducendo lo spazio tra loro a un respiro. Smise di pensare. Le mani gli salirono sul petto, sulle spalle, sulle braccia. Lui la guardava, paralizzato. Il suo corpo reagì prima di lui, come sempre: il respiro si fece più profondo, le pupille si dilatarono, la gola si tese. Lei lo sentiva. Lo riconosceva. Era come rivivere mille notti insieme, tutte concentrate in un istante.
«Se mi dici che non mi vuoi, me ne vado» disse a mezza voce, le labbra sfiorando il suo orecchio. «Ma devi dirlo senza mentire.»
Il respiro di Mauro la sfiorò come un soffio caldo, una promessa involontaria.
«Sofia… ti prego…» mormorò lui, con una voce che non era un no, ma nemmeno un sì. Una voce che tremava.
Lei non resistette più.
Gli si aggrappò. Le dita scesero lungo i suoi fianchi, scivolarono avanti, esplorarono con quella disperazione cieca che nasce quando si ama qualcuno che si sta perdendo. Non fu un gesto delicato. Non voleva delicatezza. Cercava verità, carne, reazione. E lui reagì.
Il suo respiro si spezzò, il corpo gli si irrigidì in un impulso involontario. Sofia sentì quel cambiamento netto, quella tensione improvvisa, quel segnale fisico incontrollabile. Era come se il suo corpo stesse dicendo la verità che la sua voce non avrebbe mai ammesso.
«Vedi?» sussurrò lei con un sorriso amaro, graffiato. «Non hai smesso di desiderarmi.»
Lui gemette, un suono basso, soffocato, quasi arrabbiato con se stesso, e in quell’istante Sofia perse completamente il confine tra ciò che voleva e ciò che stava facendo.
Scivolò in ginocchio, più per istinto che per decisione. Le sue mani scorrevano su di lui, lo cercavano, guidate dalla memoria del suo corpo. Era un gesto denso di desiderio, di nostalgia, di rabbia, di un bisogno disperato di sentirlo ancora, anche solo per un attimo, anche solo per rovinarsi il cuore un’ultima volta.
Mauro trattenne il fiato, come se stesse precipitando.
«Sofia… fermati…» mormorò, ma la voce era spezzata, senza autorità.
Lei sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi lucidi e pieni di qualcosa che oscillava fra la supplica e la furia. «Dimmi di smettere. Dimmi che non mi vuoi.»
Lui non lo disse. E quel silenzio era più forte di qualunque assenso.
Sofia si avvicinò ancora, abbastanza da sfiorarlo, abbastanza da fargli vibrare la colonna vertebrale. La sua bocca si posò su di lui attraverso il cotone, un bacio caldo, disperato, che non era un atto esplicito ma ne portava tutta la promessa. Sentiva la consistenza della sua erezione, e inserì due dita negli slip per calarli. Voleva riappropriarsi di ciò che l'aveva fatta godere mille volte nel passato, e che adesso bramava con tutta sè stessa.
Mauro tremò. E proprio quando lei stava per spingersi oltre, lui si riscosse come se fosse stato colpito da una scossa. Fece un passo indietro, brusco, quasi doloroso, strappandosi da quell’istante con violenza.
«Basta!» disse, la voce roca, incrinata.
Sofia rimase inginocchiata a terra, il fiato corto, le mani ancora tese verso di lui. Sembrava una supplica spezzata.
«Che succede?» sussurrò.
Mauro si passò una mano sul volto. Era pallido. Scosso. In subbuglio. «Non posso, Sofia… non posso farlo.»
Lei lo fissò come se non comprendesse, come se lui stesse parlando una lingua straniera.
«Perché? Non vuoi?»
«Non posso» ripeté lui. «Perché… perché c’è un’altra persona.»
Il mondo di Sofia si ruppe all'istante. Senza rumore, senza avvisi, senza dignità. Un crepaccio improvviso che taglia la terra.
«Un’altra…?» La parola le uscì come un morso. «Da quando?»
Mauro guardò altrove. «Da poco. Ma… c’è.»
Lei si rialzò lentamente, come se ogni centimetro costasse un dolore fisico. Le mani tremavano. Le labbra anche. Il cuore ancora di più.
«E sei con lei adesso?» domandò, la voce ferma solo in superficie.
Mauro non rispose. Era sufficiente. Sofia fece un passo indietro. Poi un altro. La faccia era vuota, come se tutte le emozioni avessero deciso di ritirarsi, lasciando soltanto un nucleo di rabbia purissima e incandescentemente viva.
«Sei uno schifo» disse piano. Era troppo calma. Troppo lucida. «Mi hai lasciata e sei andato da un’altra. E adesso mi guardi come se fossi io quella fuori posto.»
«Non volevo farti del male.»
«Non volevi…?» Sofia rise. Una risata tagliente, disperata, quasi isterica. «Mi hai già fatta a pezzi. Stasera hai solo finito il lavoro.»
Mauro fece un passo verso di lei. «Sofia, ti prego…»
«Non toccarmi.» La sua voce fu un frustino. «Non hai il diritto.»
Lui si fermò. Le braccia caddero lungo i fianchi.
Gli occhi di Sofia si inondarono di lacrime. Ma non erano lacrime tremanti, non erano lacrime supplichevoli. Erano lacrime arrabbiate. Lacrime che bruciavano.
«Sai qual è la cosa peggiore?» disse lei. «È che anche adesso ti vorrei. Che stupida, eh? Anche adesso. Dopo tutto questo.»
Lui chiuse gli occhi. «Lo so.»
«E tu?» chiese lei. «Tu mi vuoi ancora?»
Mauro non rispose. E il silenzio fu la risposta.
Sofia annuì, lentamente. Le lacrime le cadevano lungo le guance in linee calde e lucide, ma il suo sguardo era freddo come una lama. «Addio, Mauro.»
Si voltò e iniziò a camminare. Non corse. Non vacillò. Ogni passo era un colpo di martello sul pavimento, come se stesse scolpendo la propria fuga. Mauro rimase fermo, immobile, impotente. Le mani chiuse a pugno, la testa china, il corpo teso come un arco spezzato.
Non la chiamò. Non la fermò.
Non la seguì. E questo, per Sofia, fu peggio di tutto il resto.
Camminò per minuti lunghissimi, incapace di respirare senza sentire un sapore metallico in fondo alla gola. La notte le si chiudeva intorno, ma non la spaventava: era familiare quanto il dolore. Le luci delle vetrine, le coppie che ancora passeggiavano ridacchiando, tutto sembrava lontano, irreale, appartenente a un mondo che non la riguardava più.
Quando infine svoltò l’angolo di casa sua, le lacrime avevano smesso di scendere. Non perché fossero finite, ma perché si erano trasformate in qualcosa di diverso. Qualcosa di bruciante. Qualcosa che non cadeva: rimaneva. Rabbia. Una rabbia silenziosa, cupa, densa. Una rabbia che pulsava al ritmo del suo cuore.
Aprì la porta di casa, entrò nel silenzio, si lasciò scivolare contro il muro dell’ingresso e chiuse gli occhi. Non voleva più Mauro. No. Non voleva più il suo corpo, la sua voce, la sua indecisione. Patetico. Non voleva più mendicare un ricordo. Basta.
Ma dentro di lei qualcosa si muoveva ancora, un desiderio ferito, un vuoto che le mordeva le costole. Le sue mani tremarono, appena. Mille idee confuse stavano attanagliando la sua mente.
La notte, fuori, proseguiva, indifferente. A lei. A loro.
E Sofia rimase lì, immobile, con negli occhi soltanto lacrime e rabbia.
scritto il
2025-12-07
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