Il calore prohibido 6
di
karen90
genere
corna
La porta si chiude con quel clic che ormai è il mio battesimo, il suono che mi spacca il petto e mi bagna la fica nello stesso secondo, e Marco è già dentro la stanza come un temporale che entra senza chiedere permesso, la pioggia gli cola dai capelli neri lungo il collo, la giacca bagnata che gli si attacca alle spalle larghe, gli occhi verdi così scuri che sembrano pozzi di odio e desiderio mischiati, non dice una parola, il suo sguardo mi spoglia già, mi brucia la pelle, mi fa sentire nuda prima ancora di toccarmi, e io sento il respiro che mi si ferma in gola mentre lui tira fuori dalla tasca interna quelle fascette di plastica nere, larghe, cattive, le fa scorrere tra le dita con una lentezza oscena, il rumore secco del nylon che si tende è l’unico suono insieme al mio cuore che sbatte contro le costole come un animale in gabbia, e quando mi ordina «spogliati» la voce è così bassa, così rauca, così piena di promessa crudele che le mani mi tremano mentre mi tolgo tutto, il maglioncino che cade sul pavimento, la gonna di velluto che scivola lungo le cosce, il reggiseno che si slaccia con un colpo secco, le mutandine fradice che restano appiccicate alla fica un secondo di troppo prima di cadere, e resto lì nuda, la pelle d’oca, i capezzoli duri come vetri rotti, le cosce che tremano già di attesa e di paura, perché so che stavolta non avrà pietà, stavolta mi punirà davvero per aver osato sparire, per aver osato avere un’anima oltre al buco che lui usa quando vuole.
Mi prende per la nuca con una mano sola, le dita che affondano nei capelli fino a farmi male, mi spinge contro il tavolo della cucina, il legno freddo che mi morde il ventre, i seni schiacciati, il culo in aria come un’offerta sacrificale, e sento le fascette che mi stringono i polsi dietro la schiena, così forte che il sangue smette di circolare, il dolore è immediato, tagliente, bellissimo, poi la cintura esce dai passanti con un sibilo lungo, la piega in due, e la prima frustata arriva come un fulmine sul culo, un colpo secco, violento, che mi strappa un urlo, e lui continua, colpo dopo colpo, il culo che diventa fuoco, le lacrime che colano, la fica che squirta sul pavimento mentre io supplico «perdonami Marco, sono stata cattiva, sono stata una puttana ingrata».
Poi il telefono vibra, CLAUDIA, e lui ride, preme il verde, vivavoce, appoggia il telefono accanto alla mia faccia bagnata di lacrime, e mentre la voce dolce di lei chiede «amore dove sei» lui mi afferra il collo da dietro, mi schiaccia la guancia sul legno, si slaccia i jeans, il cazzo esce duro, enorme, venoso, me lo strofina tra le chiappe ancora rosse, poi scende e spinge dentro in un colpo solo, fino in fondo, fino a farmi sentire spaccare in due.
Claudia ride, quella risata bassa, calda, sicura di sé. «Amore, oggi Rinaldi mi ha tenuto quasi un’ora chiuso nel suo ufficio al ventitreesimo piano, sai, quell’ufficio d’angolo con vista su tutta Roma, le tende sempre abbassate…» Marco rallenta appena, resta fermo dentro di me fino alla base, mi stringe i fianchi così forte che domani avrò i lividi, ma la voce con lei è calma, divertita. «Ah sì? E cosa voleva Rinaldi?»
Claudia sospira soddisfatta, si sente il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere. «Mi ha chiuso la porta a chiave, Marco. Mi ha fatto sedere sul bordo della scrivania di mogano, mi ha aperto le gambe con le mani, mi ha infilato la lingua sotto la gonna mentre mi diceva che se voglio diventare direttore amministrativo della filiale italiana della multinazionale, se voglio il mio nome sulla porta, l’ufficio con segreteria personale, il bonus da sei cifre e le trasferte a New York e Singapore, devo essere “molto, molto disponibile” con lui… e non solo in ufficio.» Un piccolo gemito le sfugge dalla gola. «Mi ha già mandato il calendario: la prossima settimana mi vuole due giorni a Parigi, solo noi due, suite al Ritz, dice che vuole scoparmi sul tavolo delle riunioni, poi sul letto, poi sul pavimento, e che se gli do tutto quello che vuole mi mette anche nel consiglio di amministrazione europeo… basta che resto la sua puttanella personale quando lui decide.»
Io sento il cuore che si spacca e la fica che si contrae nello stesso istante, la gelosia che mi brucia come acido. Marco chiude gli occhi un secondo, il cazzo mi diventa ancora più duro dentro, poi spinge così forte che il tavolo stride, il mio urlo viene soffocato dalla sua mano. «Brava ragazza un cazzo» sussurra solo per me, mentre a lei dice tranquillo: «E tu che gli hai risposto, tesoro?»
Claudia ride, sensuale, senza vergogna. «Gli ho detto che sono sposata… ma che se mio marito è d’accordo con qualche piccola libertà per il bene della mia carriera, io so essere riconoscente fino in fondo. Mi ha già mandato la foto della suite, Marco… e mi ha scritto che vuole vedermi in ginocchio con il suo cazzo in bocca mentre firma il mio contratto.»
Marco ride, una risata bassa, cattiva, animalesca, e ricomincia a scoparmi con un ritmo brutale, ogni affondo un «adesso senti chi comanda davvero», ogni colpo un «nessuna delle due sarà mai mia», e Claudia continua a parlare di quanto è eccitata, di quanto vuole farsi scopare da Stefano Rinaldi per diventare potente, e lui la incoraggia, «fai quello che devi fare, amore, sono fiero di te», mentre mi distrugge, mentre mi usa come se fossimo uguali, due troie che si vendono per qualcosa, lei per soldi e potere, io per lui.
La chiamata finisce.
Marco getta il telefono, mi afferra i capelli con entrambe le mani, mi tira la testa all’indietro fino a farmi male al collo e ringhia: «Hai sentito, puttana? Lei si fa scopare da Stefano per un ufficio con vista… e tu ti fai scopare da me per niente.» Un colpo violentissimo dentro di me. «Nessuna delle due è mia… nessuna delle due avrà mai niente di più di questo cazzo.»
E poi esplode, viene dentro di me con un ruggito lungo, caldo, infinito, mi riempie fino a farmi traboccare, il seme che cola lento sulle cosce mentre io crollo sul tavolo, distrutta, umiliata, piena di lui e del suo disprezzo.
Quando finisce mi gira, mi solleva sul tavolo, mi spalanca le gambe, rientra lento, profondissimo, e sussurra guardandomi negli occhi: «Domani sera vieni a cena con noi. Vestito rosso corto, niente sotto. E sotto il tavolo ti sfondo con le dita mentre lei mi tiene la mano e pensa a Stefano Rinaldi che la scoperà a Parigi. E tu verrai in silenzio, puttana mia, verrai guardandomi negli occhi mentre lei crede di essere la regina del mondo.»
Mi bacia feroce, si sistema, esce.
Io resto lì, nuda, segnata dalle fascette, piena del suo sperma che cola da ogni buco, il corpo che trema ancora di orgasmi, e dentro di me una sola frase, cattiva, oscena, perfetta: un giorno la guarderò negli occhi mentre lui mi scopa davanti a lei, un giorno le farò vedere chi è la vera puttana, e chi è che alla fine vince davvero.
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Mi prende per la nuca con una mano sola, le dita che affondano nei capelli fino a farmi male, mi spinge contro il tavolo della cucina, il legno freddo che mi morde il ventre, i seni schiacciati, il culo in aria come un’offerta sacrificale, e sento le fascette che mi stringono i polsi dietro la schiena, così forte che il sangue smette di circolare, il dolore è immediato, tagliente, bellissimo, poi la cintura esce dai passanti con un sibilo lungo, la piega in due, e la prima frustata arriva come un fulmine sul culo, un colpo secco, violento, che mi strappa un urlo, e lui continua, colpo dopo colpo, il culo che diventa fuoco, le lacrime che colano, la fica che squirta sul pavimento mentre io supplico «perdonami Marco, sono stata cattiva, sono stata una puttana ingrata».
Poi il telefono vibra, CLAUDIA, e lui ride, preme il verde, vivavoce, appoggia il telefono accanto alla mia faccia bagnata di lacrime, e mentre la voce dolce di lei chiede «amore dove sei» lui mi afferra il collo da dietro, mi schiaccia la guancia sul legno, si slaccia i jeans, il cazzo esce duro, enorme, venoso, me lo strofina tra le chiappe ancora rosse, poi scende e spinge dentro in un colpo solo, fino in fondo, fino a farmi sentire spaccare in due.
Claudia ride, quella risata bassa, calda, sicura di sé. «Amore, oggi Rinaldi mi ha tenuto quasi un’ora chiuso nel suo ufficio al ventitreesimo piano, sai, quell’ufficio d’angolo con vista su tutta Roma, le tende sempre abbassate…» Marco rallenta appena, resta fermo dentro di me fino alla base, mi stringe i fianchi così forte che domani avrò i lividi, ma la voce con lei è calma, divertita. «Ah sì? E cosa voleva Rinaldi?»
Claudia sospira soddisfatta, si sente il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere. «Mi ha chiuso la porta a chiave, Marco. Mi ha fatto sedere sul bordo della scrivania di mogano, mi ha aperto le gambe con le mani, mi ha infilato la lingua sotto la gonna mentre mi diceva che se voglio diventare direttore amministrativo della filiale italiana della multinazionale, se voglio il mio nome sulla porta, l’ufficio con segreteria personale, il bonus da sei cifre e le trasferte a New York e Singapore, devo essere “molto, molto disponibile” con lui… e non solo in ufficio.» Un piccolo gemito le sfugge dalla gola. «Mi ha già mandato il calendario: la prossima settimana mi vuole due giorni a Parigi, solo noi due, suite al Ritz, dice che vuole scoparmi sul tavolo delle riunioni, poi sul letto, poi sul pavimento, e che se gli do tutto quello che vuole mi mette anche nel consiglio di amministrazione europeo… basta che resto la sua puttanella personale quando lui decide.»
Io sento il cuore che si spacca e la fica che si contrae nello stesso istante, la gelosia che mi brucia come acido. Marco chiude gli occhi un secondo, il cazzo mi diventa ancora più duro dentro, poi spinge così forte che il tavolo stride, il mio urlo viene soffocato dalla sua mano. «Brava ragazza un cazzo» sussurra solo per me, mentre a lei dice tranquillo: «E tu che gli hai risposto, tesoro?»
Claudia ride, sensuale, senza vergogna. «Gli ho detto che sono sposata… ma che se mio marito è d’accordo con qualche piccola libertà per il bene della mia carriera, io so essere riconoscente fino in fondo. Mi ha già mandato la foto della suite, Marco… e mi ha scritto che vuole vedermi in ginocchio con il suo cazzo in bocca mentre firma il mio contratto.»
Marco ride, una risata bassa, cattiva, animalesca, e ricomincia a scoparmi con un ritmo brutale, ogni affondo un «adesso senti chi comanda davvero», ogni colpo un «nessuna delle due sarà mai mia», e Claudia continua a parlare di quanto è eccitata, di quanto vuole farsi scopare da Stefano Rinaldi per diventare potente, e lui la incoraggia, «fai quello che devi fare, amore, sono fiero di te», mentre mi distrugge, mentre mi usa come se fossimo uguali, due troie che si vendono per qualcosa, lei per soldi e potere, io per lui.
La chiamata finisce.
Marco getta il telefono, mi afferra i capelli con entrambe le mani, mi tira la testa all’indietro fino a farmi male al collo e ringhia: «Hai sentito, puttana? Lei si fa scopare da Stefano per un ufficio con vista… e tu ti fai scopare da me per niente.» Un colpo violentissimo dentro di me. «Nessuna delle due è mia… nessuna delle due avrà mai niente di più di questo cazzo.»
E poi esplode, viene dentro di me con un ruggito lungo, caldo, infinito, mi riempie fino a farmi traboccare, il seme che cola lento sulle cosce mentre io crollo sul tavolo, distrutta, umiliata, piena di lui e del suo disprezzo.
Quando finisce mi gira, mi solleva sul tavolo, mi spalanca le gambe, rientra lento, profondissimo, e sussurra guardandomi negli occhi: «Domani sera vieni a cena con noi. Vestito rosso corto, niente sotto. E sotto il tavolo ti sfondo con le dita mentre lei mi tiene la mano e pensa a Stefano Rinaldi che la scoperà a Parigi. E tu verrai in silenzio, puttana mia, verrai guardandomi negli occhi mentre lei crede di essere la regina del mondo.»
Mi bacia feroce, si sistema, esce.
Io resto lì, nuda, segnata dalle fascette, piena del suo sperma che cola da ogni buco, il corpo che trema ancora di orgasmi, e dentro di me una sola frase, cattiva, oscena, perfetta: un giorno la guarderò negli occhi mentre lui mi scopa davanti a lei, un giorno le farò vedere chi è la vera puttana, e chi è che alla fine vince davvero.
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