La nostra convivenza

di
genere
corna

LA CASA Al PRIMO PIABO PIANO

Il giorno in cui Io e la mia ex compagna varcammo la soglia dell’appartamento, nessuno dei due poté immaginare quanto quella porta li avrebbe inghiottiti. Il palazzo, massiccio e severo, occupava un intero lato della via. Aveva finestre alte e strette come occhi socchiusi, muri che sembravano ascoltare, e un silenzio pesante, denso, che accompagnava ogni passo.

Il prezzo dell’affitto era sorprendentemente basso. “Un’occasione rara”, aveva detto l’agente, evitando accuratamente di parlare del padrone di casa.
Il Signor X
La prima volta che lo incontrarono, lui comparve alle loro spalle mentre esaminavano le chiavi. Non fecero in tempo a sentirlo arrivare.
«Benvenuti nella mia casa.»
La voce era profonda, calma. Non un saluto: un verdetto.
Tesi la mano, imbarazzato, ma lui non ricambiò. Si limitò a osservare la mia fidanzata concentrando il suo sguardo sulla sua 4 di tette, grosse pastose evidenti soto il vestito di lino aderente, come si valuta la qualità di un oggetto appena comprato.

I – La presenza

Le prime settimane scorsero con piccoli dettagli insignificanti, ma inquietanti.
Una porta lasciata socchiusa.
Una finestra spalancata che nessuno ricordava di aver aperto.
La sensazione che qualcuno, da qualche parte, ci stesse seguendo con lo sguardo.

Una sera, la mia compagna trovò il padrone di casa sul pianerottolo, intento a controllare “un problema al cablaggio generale”.
«Tutto per il vostro bene» disse con un sorriso immobile.
Mi accorsi però, mentre osservava l’interno dell’appartamento per qualche secondo di troppo.

II – La rete

Le visite del padrone di casa si fecero frequenti. Sempre con una scusa diversa. Sempre non richieste.

Una perdita d’acqua.
Un controllo ai contatori.
Una segnalazione dell’amministratore.
Ogni volta entrava, osservava, giudicava.
Un giorno, mentre io rientravo dal lavoro, trovò il padrone di casa seduto sul divano.
la mia fidanzata, accanto, in piedi come una scolara colta in fallo.
«La porta era aperta» disse lei, mortificata.
«Dobbiamo migliorare la vostra attenzione», commentò il padrone di casa.
Ho provato un’irritazione feroce, ma l ho soffocò. L’uomo emanava un’autorità glaciale, quasi naturale. Opporsi sembrava inutile, come gridare contro una roccia.

III – Il dominio silenzioso

Gli “incidenti” iniziarono subito dopo.
Il garage negato per ragioni inspiegabili.
Un avviso bancario per una firma non valida.
Un richiamo condominiale per rumori mai fatti.

Ogni problema si risolveva solo dopo una visita del padrone di casa alle ore più disparate soprattutto la sera.
Ogni soluzione aveva un prezzo invisibile:
la nostra obbedienza quotidiana per non infastidirlo.
La mia compagna iniziò a confidarsi con lui, e io me ne accorsi da piccoli dettagli: frasi che lei ripeteva con le stesse parole del padrone di casa, opinioni che sembravano non appartenerle.
«LUI dice che sarebbe meglio evitare certe scelte…»
«LUI pensa che sarebbe più responsabile…»
«LUI ha esperienza, dovremmo fidarci.»
Da lì in poi, la casa smise definitivamente di appartenere a NOI.

IV – L’appartamento all’ultimo piano

Arrivò il giorno in cui una lettera dell’amministrazione comunicò che il contratto d’affitto era “sospeso per verifiche”.
Un’unica persona poteva intervenire: il proprietario.

Lui ci invitò nel suo appartamento.

Quando la porta si aprì, un brivido mi scese lungo la schiena.
L’interno era ordinato in modo maniacale. Nessun rumore. Nessun odore.
Sulle pareti, monitor che mostravano ogni angolo del palazzo. Anche il loro pianerottolo. E la loro porta.
Lui ci osservò mentre la mia compagna si sistemava il vestitino scollato e la gonna poco sopra le ginocchia.
«Vi ho osservati fin dal primo giorno» disse.
«Non per cattiveria. Per sapere chi siete realmente, oltre le vostre maschere.»
Mostrò dossier, documenti, foto, informazioni che nessuno avrebbe mai dovuto possedere.
Tutto ciò che sapevano, facevano o pensavano…e soprattutto chi frequentavamo nel nostro rapporto cuckold Bwbo lui lo aveva già previsto.
Mi sentì la gola stringersi.
La mia compagna, invece, sembrava paralizzata, come se fosse troppo tardi per essere sorpresa.
«Una casa» continuò il padrone di casa, «non è solo un luogo dove vivete. È un ordine. Una disciplina. Una guida. Io offro questo. E voi accetterete.»
Non parlava al plurale. Parlava a loro come proprietà.

V – La scelta

Li condusse davanti alla sua porta.
«Se uscite da qui» spiegò, «tornerete nella vostra vita caotica e fragile, dove nulla è certo.
Se restate… dovrete riconoscere la mia autorità. Interamente.»
Guardai totalmente soggiogato la mia compagna.
Lei non disse nulla. I suoi occhi tradivano paura… e un’ombra di sollievo.
Il palazzo sembrava trattenere il respiro.
Il padrone di casa attese. Paziente. Sicuro.
La nostra libertà era a un passo dal collasso.
O forse era già svanita da tempo, senza che se ne accorgessero.
La storia si chiude con un gesto minimo:
Ho posato la mano sulla maniglia.
Da quella scelta, non ci sarebbe più stato ritorno.
La maniglia era fredda.
Troppo fredda per appartenere a un appartamento riscaldato.
Ho mantenuto la mano sospesa per un istante infinito, poi l ho lasciata.
Non avevo scelta.
Non ho avuto il coraggio di scegliere.
LUI non sembrò seccato.
Al contrario, un’ombra di soddisfazione attraversò i suoi occhi.
«La non-scelta è già una scelta» disse con calma.
«E spesso è la più sincera.»
Fece un passo indietro, lasciando che NOI ritornassimo nel nostro appartamento salutandolo dicendo ° grazie signore ...va bene °.
Quella sera scopammo molto eccitati ma sborrai subito e la mia compagna mi disse° sei proprio un coniglio sborri subito e ti afflosci° andando in bagno la sengtii masturbarsi e godere....
Da quel momento, la casa non fu più la stessa.
– Le nuove regole
La mattina seguente, sotto la porta trovarono un foglio stampato, firmato da LUI.

REGOLAMENTO INTERNO – Sezione Speciale per l’Unità 2B

Le regole erano più simili a una lista punitiva che a un regolamento:
Orari di uscita e rientro obbligatori.
Divieto assoluto di chiudere la porta a doppia mandata.
Comunicazione preventiva di ogni visita - SOTTOLINEANDO Maschi bianchi o neri-
Obbligo di lasciare accesso libero alla cucina dalle 20:00 alle 22:00 “per controlli tecnici”.
Nessuna stanza poteva essere riorganizzata senza autorizzazione.
Entrambi dovevamo rispondere, sempre, ai messaggi del proprietario entro due minuti.
Ho sentìto l’impulso di strappare il foglio, ma Lei mi fermò.
«Se lo facciamo peggiora» disse a voce bassa.
C’era timore, sì. Ma anche una sorta di rassegnazione e eccitazione… come se una parte di lei avesse già ceduto.

II – L’ordine cala dall’alto

Quella stessa sera, mentre stavano cenando, si spense la luce della sala.
Non tutto il palazzo: solo la loro sala.
Il mio telefono vibrò.
Era un messaggio del padrone di casa:
“Lasciate pure i piatti. Venite in corridoio.”
Non chiedeva.
Non spiegava.
Ordinava.
Quando aprirono la porta, LUI era già lì. Nessun rumore, nessun annuncio.
Sembrava un’ombra solidificata negli abiti scuri.
«Serve una verifica dei fusibili» disse, senza guardare nessuno dei due.
Entrò e si muoveva come se conoscesse la casa meglio di Noi.
Poi si fermò in mezzo al soggiorno.
Si voltò lentamente verso di me.
«Hai alzato la voce con la tua donna ieri sera. - ho urlato sborrroooo sto sborrando mentre la scopavo»
Nessuno era presente. Nessuno poteva aver sentito.
Lui inclinò la testa, come un professore davanti a uno studente ostinato.
«In questa casa… non tollero il disordine emotivo, urla o schiamazzi di ogni genere.»
La frase, semplice e tranquilla, aveva più peso di una minaccia ma se aveva sentito le urla aveva sentito anche il significato....abbassai gli occhi e dissi...scusi signore... .....

III – La discesa psicologica

Nei giorni seguenti, LUI iniziò a comunicare sempre più spesso.

A volte messaggi brevi:
“La tenda del salotto è stata spostata. Sistemarla.”
“Evita di lasciare il cellulare in cucina.”
Altre volte, erano veri e propri moniti:
“Non parlare di me quando pensi di essere solo.”
Ho iniziato a sentirmi braccato, controllato annientato.
Ogni suo movimento sembrava registrato, analizzato, giudicato.
La mia compagna, al contrario, sembrava adattarsi, piegarsi felice ed eccitata.
La sua voce si fece più cauta, i suoi gesti più misurati.
Sembrava quasi che un parte di lei trovasse sollievo nel non dover decidere più nulla.
Un pomeriggio, ho sorpreso la mia compagna seduta immobile sul divano.
Fissava la porta, in attesa.
«A cosa stai pensando?» chiesi.
«A nulla» rispose Lei.
Ma la voce aveva il tono di chi risponde un po’ troppo in fretta.

IV – L’audizione nell’appartamento superiore

Una sera, alle 21:00 in punto, suonò un campanello che non apparteneva al nostro appartamento.
Un suono grave, lento, antico.
La mia ha sussultò e mi ha mormorato «Ci sta chiamando.»

Senza dire una parola, si incamminò verso l’ultimo piano e io la seguii come un cagnolino.
La porta di LUI era aperta.

Dentro, l’appartamento era diverso da prima.
Più buio.
Più silenzioso.
Più… preparato.

LUI li attendeva in piedi, al centro della stanza, le mani dietro la schiena.

«Ogni casa ha bisogno di armonia» dichiarò.
«E l’armonia si ottiene solo quando ognuno accetta il proprio posto.»
Si avvicinò a ME, lentamente, come un giudice che osserva l’imputato prima della sentenza.
«Tu resisti» disse.
«Lei no.»

Si voltò verso la mia compagna.

«E tu attendi che io sistemi ciò che lui non è capace di controllare.»

LEI abbassò lo sguardo, tremando e io sentì qualcosa spezzarsi dentro di me.
LUI sorrise.

«Bene. D’ora in poi… la vostra vita seguirà la mia mano. E non ci sarà più disordine.»

V – La fine della libertà

Quando tornarono nell’appartamento, trovarono la disposizione dei mobili cambiata.
Il tavolo spostato di trenta centimetri.
Due sedie ruotate verso la porta.
Il quadro sul muro leggermente inclinato.
Dettagli minimi.
Ma sufficienti a far capire che Lui era aveva fatto cambiare da chissa chi la disposizione mentre eravamo sopra.

«Stiamo già vivendo così» disse.
«Ora dobbiamo solo… imparare a farlo bene. disse la mia fidanzata ».....
in quel momento ho capito che la battaglia non era più contro il padrone di casa.
Ma contro noi stessi.
Fu allora che sentì vibrare il telefono.
Un nuovo messaggio.
“Domani è domenica alle 7:00. Salite da me. Dobbiamo definire i prossimi obblighi.”

Non c’era buonanotte.
Non c’era cortesia.
Solo la certezza che lui sarebbe venuto.
Che loro sarebbero saliti.
Che il gioco del potere che facevamo come coppia cuckold non era più un gioco.
Era diventato la loro vita.

La sveglia suonò alle 6:40.
Non riuscivo a muovermi: la notte era stata un vortice di incubi e frasi del padrone che gli martellavano in testa come ordini eccitazione , cazzo duro e la mia compagna che si masturbava pensando non mi accorgessi.....
Lei, invece, era già in piedi.
Già vestita.
Già pronta.
Gonna corta , tacco 12, trucco appariscente e soprattutto sotto la camicia sbottonata non portava il reggiseno evidenziando le sue mammelle da vacca con i capezzoli insolitamente duri e visibili...

«Muoviti» mi disse senza guardarmi.
La sua voce era cambiata: non più esitante, non più fragile.
Una voce che non riconoscevo....
Quando bussammo alla porta, lui ci attendeva in piedi.
Dietro di lui, un’unica sedia.
Ma non per noi.
Per Elisa.

«Lei si siederà» disse indicando la mia lei.
«Tu no.»
IO rimasi in piedi.
Scomodo.
Invisibile.
La mia Lei si sedette senza esitare.

Lui, senza staccare gli occhi da me, disse:

«In questa casa ho deciso i ruoli. Lei» — indicando La nia donna — «è al centro. Tu sei ciò che resta. La cornice attorno a un quadro che non ti appartiene più.»

I – Il ruolo del cornuto

La cornificazione, nella mente di lui, non aveva nulla a che fare con atti fisici.
Era spogliare il marito del suo titolo, della sua posizione, del suo posto nel mondo.

«Tu» disse rivolgendosi a me «non sei più il punto di riferimento della tua casa. Non lo eri nemmeno prima, ma ora lo ammetterai.»
La mia compagna non mi difese.
Non una parola.
Non uno sguardo.

«La tua opinione» continuò il padrone, «non conta. Le decisioni della vostra vita verranno prese qui. Da lei e da me.»
«E tu le obbedirai» disse LUI, «non perché ti è imposto, ma perché è la tua natura. Un cornuto non guida. Un cornuto osserva, serve e obbedisce»
Mi strinse le palle fissandomi a 10 cm dalla faccia.....emisi un soffocato respiro di dolore dicendo...si signore.....e la mia compagna divenne rossa allargando le gambe istintivamente.....era in ADORAZIONE

II – La trasformazione di lei

Col passare dei giorni, il cambiamento di LEI diventò inquietante.

Sedeva sempre più spesso sul divano, in una posa che ricordava una regina sul trono.
Il telefono in mano.
In attesa del prossimo messaggio del padrone.
Io entrava nella stanza e lei non alzava nemmeno lo sguardo.

Un pomeriggio, dopo una giornata di silenzi, mi disse:

«Metti ordine nella camera. Il padrone vuole che sia perfetta domani.»
Io le dissi «Perché… lo chiami così?»
Lei inclinò la testa, con un sorriso duro, tagliente.
«Perché è quello che è.»
Poi aggiunse, gelida:

«E tu sei quello che sei.» e quando hai finito vieni qui leccami la fica e il culo fino a farmi venire...cornuto

III – Il rituale del padrone

Ogni sera, alle 21:00, il campanello non loro risuonava.
Ogni volta, LUI li riceveva allo stesso modo:

LEI seduta, IO in piedi.

Il padrone che decideva chi parlava e chi taceva.

Una sera, mentre Marco tentava timidamente di obiettare a una decisione presa tra LUI e Cristina il padrone lo interruppe con un gesto della mano.

«Silenzio.»

Quel gesto stroncò il marito come un colpo alla nuca.

«Il cornuto non discute.»
«Il cornuto non prende posizione.»
«Il cornuto non ha voce nella dinamica della casa.»

Cristina annuì, con una calma inquietante.

«Tu resterai presente» gli disse a voce bassa, «ma non parteciperai. Sarai testimone della forza altrui. E della tua debolezza.»

Poi aggiunse:

«Questo è il tuo posto. Accettalo.»

IV – Il matrimonio invertito

A poco a poco, ho cominciayo a vivere come un ospite nella mia stessa casa.
Cristina, invece, camminava con una sicurezza nuova.
Ogni parola, ogni gesto, ogni decisione veniva filtrata dal volere del padrone.

Era come vedere un quadro capovolto: prima erano una coppia, ora erano due funzioni di un ordine imposto.

Una sera, durante una delle sessioni nell’appartamento superiore, lui dichiarò:

«Il vostro matrimonio non è finito. È stato correttamente riallineato.»

Indicò Cristina:

«Lei sopra.»

Poi me:

«Tu sotto.»

E con un sorriso lento, glaciale:

«E io sopra a entrambi.»
Cristina abbassò lo sguardo, non per sottomissione, ma per rispetto.
Lui si avvicino a Lei la prese per i capelli estrasse un cazzo grossi venoso depilato e la scopo in gola come l ultima delle puttane fino a grugnire in un enorme sborrata piantato in gola fino alle palle, che lei bevve quasi assatanata.... io mi segavo in trans con la mano dentro i pantaloni
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scritto il
2025-11-17
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